Lettere |
Promemoria. Consenzio al mio signore e santo padre Agostino
Il vescovo Patroclo, mio beatissimo signore e fratello della Santità vostra, con la sua ardente carità mi spinse a scrivere alcune cose forse sciocche e senza costrutto contro i priscillianisti, dai quali perfino ora vengono devastate le Gallie.
Avevo deciso di trattenere in mio possesso i detti scritti temendo di annoiare forse troppo, con la loro lettura, la tua Paternità.
Accadde però che giunse all'improvviso un servo di Cristo chiamato Frontone, infiammato dallo Spirito Santo di ardentissimo zelo per la fede; io allora gli chiesi che cosa avesse fatto riguardo alla missione che gli avevo ingiunto di compiere ed egli mi raccontò molte cose di cui ci si deve rallegrare ma anche stupire.
L'anno passato infatti gli avevo dato l'ordine d'incaricarsi, armato di astuzia del tutto innocente, di combattere i suddetti priscillianisti, di cui le Spagne sono piene a tal punto che si ha l'impressione che i barbari solo nei loro riguardi non abbiano fatto nulla.
Lo avevo istruito e preparato a usare i raggiri con cui avrebbe dovuto affrontare singole, determinate persone inviando loro i libri che non molto tempo prima ero stato costretto a comporre per ordine del suddetto mio signore, fratello vostro, e soprattutto questo terzo libro.
Per quale ragione lo scrissi fingendomi un eretico, dopo aver appreso più completamente tutto [ ciò che riguarda quell'eresia ], è dichiarato nella lettera premessa a mo' d'una breve prefazioncina.
Qua dunque giunse del tutto a proposito il venerabile mio fratello Frontone, mentre il fratello Leona era trattenuto qui dall'impossibilità di navigare per la violenza dei venti, e mi raccontò moltissime cose, delle quali te ne riferirò poche per metterti sull'avviso.
Nella città di Tarragona - mi disse - in cui mi ero costruito un monastero, ricevetti, per le mani del vescovo Agapio, un pacco che tu mi avevi inviato sigillato; vi trovai dentro la lettera, i promemoria e i libri che mi avevi inviato.
Appena ebbi appreso tutte le norme [ da seguire ] e le istruzioni, corsi subito da Severa, l'eretica di cui mi avevi indicato assai chiaramente il nome; e, con l'astuzia da te esattamente esposta nel testo di quella tua prefazione, cercai di scoprire i nomi degli eretici.
Tra l'altro lei mi disse che un certo Severo, un prete noto per le sue ricchezze, per la sua influenza e anche per la sua cultura, un capo della sètta, aveva cercato, invano, di far ricadere sulla madre defunta l'odiosità che suscitava il suo tradimento.
Infatti, quando l'anno scorso il medesimo Severo, credendo che i barbari si fossero ritirati assai lontano, cercava dopo la morte della madre di raggiungere il villaggio in cui aveva residenza, ma nostro Signore Gesù Cristo, che scruta tutti i segreti, che regola tutti gli avvenimenti, volle che i suoi bagagli fossero presi dai barbari, affinché fosse svelata una sì grave scelleratezza.
Quelli, dopo aver fatto bottino d'ogni cosa, portarono via nella città vicina, chiamata Lerida, tre libri abominevoli il cui contenuto era tutto sacrilego, credendo che fossero preziosi e che forse sarebbero stati comprati da qualcuno ma, quando si resero conto che erano spregevoli, li lasciarono presso Sagittio, vescovo della stessa città.
Costui poi diede una scorsa a tutto il contenuto e, siccome era riconosciuto malvagio agli occhi di Dio, gli fu offerta l'occasione con cui divenirlo manifesto anche agli uomini.
E così, allorché in preda alla follia prese piacere a quei dolci veleni e la cosa, divenuta ormai di pubblico dominio, non poteva più restare nascosta col dissimularla, ritagliò via con inganno alcuni quaderni di quei libri contenenti la scandalosa e sacrilega scienza delle formule magiche e, dopo averli riesaminati tutti a casa sua, inviò a Tiziano, vescovo metropolitano di Tarragona, un solo libro dal quale aveva strappato via tutto quello che sembrava assolutamente perverso, insieme con una lettera in cui dichiarava che nei bagagli del prete Severo avevano preso e consegnato a lui tre libri, dei quali quello che inviava a lui gli dispiaceva assai assai, mentre gli altri li aveva messi al sicuro nell'archivio della chiesa.
Il vescovo Tiziano fece consegnare a Siagrio, vescovo di Huesca il libro ch'egli aveva ricevuto poiché Severo aveva preso il mentito nome di prete nella sua Chiesa, e lo esortava ad esaminare con una prudente indagine la fede del suo prete.
Ma il vescovo Siagrio, persona senza dubbio giusta e cattolica, ma troppo credulo e sconsideratamente benevolo, prestò tanta fede a Severo, il quale nascondeva il proprio sacrilegio con argomenti, menzogne e spergiuri, da convincere anche gli altri che Severo, ritenendo innocui quei libri lasciatigli in eredità da sua madre, aveva voluto portarli con sé al proprio villaggio per poterli leggere lì ed esaminarli con animo completamente libero da preoccupazioni.
Così, poiché tutti credevano a queste affermazioni, quella donnicciola di Severa che, ritenendomi un eretico, mi svelava tutti i segreti dei suoi delitti, rivelò anche il prete Severo, [ dicendo ] che mediante un compenso aveva ricevuto dal vescovo Sagittio quei libri che, sebbene già mezzo mutilati con frode, aveva dato a credere essere appartenuti a sua madre.
Io dunque, dopo essere venuto a conoscenza di tutto ciò ed essermi assicurato [ della verità ] servendomi d'ogni specie d'indizi, di segni, di prove, di testimoni, sottoposi il caso a una rigorosa inchiesta ecclesiastica e mi accinsi a condurre un'azione giudiziaria anzitutto contro Severa che aveva rivelato tutto, e subito dopo contro il prete Severo.
Severa però, sconcertata dall'inaspettata verità della cosa, dapprima non osò negare nulla di quanto si ricordava di aver detto, ma in seguito, poiché Severo s'era messo contro di me appoggiandosi sulla potenza di un illustre e potente personaggio qual era il console Asterio, suo parente, fece in modo che anche la suddetta donna ricorresse all'aiuto di una donna assai potente, la figlia di Asterio e sua nipote; essa, accolta nel pretorio del conte circondato da un gran numero di guardie militari, negò tutto ciò che aveva confessato ricorrendo per sua difesa agli spergiuri.
Quindi, dopo che furono fatti allontanare tutti, Severo e i suoi fautori, essendosi resi conto che io ero un uomo senza alcuna importanza a causa della bassezza della mia condizione, indigente per la scarsezza delle mie sostanze e che, completamente incapace di fornire prove, inveivo soltanto con i miei discorsi contro la forza di sì potente fazione, vollero farmi desistere dall'accusarli spaventandomi anche con la minaccia di morte dicendo: " Stabilisciti tu stesso il rischio che ti è riservato, se il prete proverà la propria innocenza "!
E io subito: " Se non potrò provare ciò che ho l'intenzione di provare - risposi - che cosa volete di più che vedermi espulso dalla Chiesa come un pagano per tutto il resto della mia vita "?
Gli eretici allora, tornati a strepitare: " Non vedete - gridarono -, o santi e venerabili sacerdoti, e voi, fedeli d'ogni età e sesso, ch'è venuto fuori un individuo povero di beni di fortuna ma ricco di menzogne, armato di audacia e privo d'innocenza?
Badate bene che non venga offerto un pericoloso esempio agli individui menzogneri!
Se infatti riguardo a quest'unico individuo, che non ha esitato a imbrattare con la macchia d'una calunnia un personaggio così santo e nobile, l'inconsulta rilassatezza del vostro senso di giustizia non darà un terribile esempio a tutti gli altri, inevitabilmente l'impunità di costui ecciterà a gara l'ardente brama di tutti i delatori menzogneri contro ciascuno di voi ".
Poiché il popolo di Tarragona, sobillato contro di me da quelle dichiarazioni degli eretici, s'era messo ad infierire contro di me con violente agitazioni di rivolta per procurare la mia rovina, io dissi gridando: " Se verrà provato che la mia accusa è falsa ed invece è retta la fede di Severo, vi basterà uccidermi con la lapidazione? ".
" Ci basta - risposero - ma questa condizione dev'essere confermata nei presenti processi verbali ".
Avvenne, così, che affidassimo io il pericolo della mia vita, Severo quello del suo onore, a dichiarazioni espresse formalmente e registrate negli Atti dei processi verbali della Chiesa; Severo inoltre, pronunciando ogni sorta di giuramenti protestò che i libri di sua madre non li aveva né ricevuti, né avuti, né visti dopo che se n'erano impossessati i barbari.
Ne seguì che furono inviate lettere ai vescovi di Lerida di Huesca, evidentemente perché volessero, essi in persona, portare con loro - poiché così voleva la causa - i libri in questione, e cioè Sagittio i due che già in precedenza, nella lettera inviata a Taziano, il vescovo metropolitano, aveva affermato di aver trattenuto con sé, e Siagrio l'unico libro che aveva ricevuto pubblicamente dal medesimo vescovo Taziano.
Nello stesso tempo però Severo, avendo macchinato una calunnia contro di me, inviò lettere al suo parente, l'illustrissimo conte Asterio e a tutti gli altri suoi amici e congiunti, persone molto influenti; in quelle lettere in cui aveva inventato che io, da sicofante assai iniquo e astuto, avevo, con intollerabili accuse, non solo attaccato il conte in persona, ma anche la sua famiglia e la sua figlia, ma li avevo anche offesi e usato loro violenza.
Immediatamente dopo giunse a Tarragona l'eccellentissimo conte Asterio, al quale era stato affidato il compito di guidare un esercito assai numeroso e il comando d'una guerra assai importante, e con lui una folla di persone assai potenti, le quali ringhiavano piene d'ira contro di me solo, che sono una pulce morta.
A Severo però l'intera faccenda riuscì molto diversamente da come credeva.
Infatti, benché la verità affatto lampante, ch'era dalla parte nostra, fosse conculcata con tutte le forze da tutti e perfino dai sacerdoti, tuttavia in aiuto alla mia debolezza venne tanta forza da parte di nostro Signore Gesù Cristo, che fu preso dal terrore lo stesso conte, quantunque innocente, quantunque cattolico.
In realtà quando, al suo arrivo a Tarragona, venne a sapere ch'ero io solo a essere attaccato con le accuse più odiose da parte del suo congiunto e della figlia, di tutti gli amici e dei loro servi, siccome era una persona giusta e timorata di Dio, per nulla incline a prestar fede ad accuse di quella specie, non volle punire indiscriminatamente con efferata crudeltà i torti fatti soprattutto a lui o ai suoi, e ordinò che io - in quanto sapeva che, sebbene povero, ero cristiano - senza che mi fosse arrecata offesa, fossi fatto chiamare al suo pretorio.
Io però, armatomi del coraggio che mi dava l'aiuto di nostro Signore Gesù Cristo, risposi di non poter andare alla sua residenza, che sapevo piena di schiere di eretici, per paura d'incappare in un agguato dei nemici che minacciavano d'uccidermi alla presenza di tutti.
Ciononostante - aggiungevo - se c'era qualche particolare della faccenda o delle parole che non potevano affidarsi né a messaggeri né a lettere, s'egli lo avesse voluto, sarebbe dovuto venire lui in persona alla chiesa perché lì piuttosto potessi sapere di che si trattava.
Egli allora, senza indugio, sul far del giorno venne in chiesa e si recò immediatamente nella sala attigua alla chiesa, ov'erano seduti in tribunale i vescovi, con l'intenzione di sfornare, anch'egli con tutti gli altri, le loro accuse portate contro di me.
Avendo confabulato dapprima tutti a lungo con i vescovi Tiziano e Agapio, misero a profitto contro di me il gran favore che godevano presso di questi sostenendo che io ero un delatore assai astuto e falso, che avevo ingannato con straordinaria scaltrezza una donnicciola incauta e sempliciona, e che l'avevo spinta a narrare una favola bugiarda sul conto d'un prete, e che ora veniva da me perseguita in giudizio tutta una famiglia d'illustri personaggi a causa della nuvola inconsistente d'un sospetto, la cui falsità era asserita da colei stessa che veniva tacciata di tradimento, e [ sostenendo ] che da me era stato coperto d'insulti anche il conte e diffamata la figlia di lui.
Con queste e simili dichiarazioni essi suscitarono contro di me sì forti sentimenti di odio, che non solo il popolo ma anche alcuni sacerdoti mi minacciarono di morte.
Io fui condotto subito, solo, nel secretarium, per essere biasimato dai vescovi, oltraggiato dai chierici, straziato dagli eretici, sputacchiato dai soldati e perfino lapidato dal popolo.
Appena fui introdotto là, il vescovo Agapio mi fece tremare subito di terrore rivolgendomi le seguenti parole: " Dove sono - disse - le lettere e non so quali istruzioni di Consenzio, che hai trovato nel sacchetto che ti recai io stesso "?
A quella domanda io risposi senza esitare che si trovavano tutte presso di me.
Egli allora: " Portale - disse - tutte e restituiscile a me, salvo che tu preferisca incorrere nella sentenza di condanna [ che sarà ] pronunciata immediatamente ".
A queste parole, facendomi tranquillamente beffe delle sue minacce affatto assurde, gli chiesi perché mi ordinasse di consegnargli tutti quei documenti.
Egli allora: " Affinché - rispose - noi li leggiamo tutti e veniamo a sapere che cosa ti spinse improvvisamente a perseguitare persone del tutto innocenti ".
A mia volta io replicai: " Sei stato tu a consegnarmi tutto, come affermi tu stesso; in che modo è allora possibile che tu ignori che cosa mi hai consegnato "?
Egli allora: " Consenzio mi consegnò sigillate tutte le carte che dovevo portare a te; era forse lecito che una curiosità sleale mi spingesse ad aprire i sigilli "?
Ed io a lui: " Perché dunque desideri tanto conoscere adesso ciò che colui il quale te lo inviò volle che tu non lo conoscessi?
Poiché naturalmente egli ti aveva scelto come un latore adatto [ ai suoi fini ], non avrebbe dovuto consegnarti sigillati i documenti che adesso finalmente tu ricerchi con tanta premura; perché dunque mi imputi a colpa se adesso ho paura di svelarli a te, della cui lealtà diede una bellissima testimonianza anche colui che per tuo mezzo mi fece arrivare quei documenti sigillati "?
A queste parole il vescovo si sentì eccitato da un tale furore contro di me che, alzatosi infuriato dalla sua cattedra, voleva uccidermi al cospetto di tutti con le proprie mani.
Ma - chi oserebbe crederlo? - il furore del vescovo, represso dalla potenza di nostro Signore Gesù Cristo, grazie anche ai rimproveri del conte, si placò.
Allora il conte in persona prese a chiedermi - con prudenza e moderazione - per quale motivo io attaccassi con sentimenti di odio la sua famiglia e un prete suo parente.
E io a lui: " Credi forse, nobile e illustre signore, che sia odio il fatto che io desideri purificare la tua famiglia, che io brami liberare dai pericoli della morte eterna coloro nei quali quel serpente di Severo inoculò un veleno mortifero, versando in essi l'antidoto d'una severità assai clemente "?
Mentre esponevo queste cose e altre dello stesso genere, il conte, con lo sguardo modestamente rivolto a terra, reggendosi la testa con la mano, mi ascoltò in silenzio non solo con pazienza ma anche volentieri e alla fine mi rispose che, se le mie affermazioni fossero risultate vere, mi si sarebbe dovuta dimostrare la più grande riconoscenza per un sì gran beneficio.
Io allora: " Severo e gli altri - dissi - dimostrino ora che io ho pronunciato sia pure di sfuggita una parola diretta a danneggiare particolarmente la tua reputazione; tuttavia, se tu non fossi sorretto dalla tua ottima fede cattolica, giammai la paura per la tua potenza sarebbe riuscita a chiudere la libera bocca di Frontone ".
Il conte allora replicò: " Ti ringrazio d'esserti degnato di addurre la testimonianza della mia fede.
Quanto però alla fede di Severo e degli altri, sebbene siano uniti a me da una certa parentela, è tuttavia certo che essa non può essere di pregiudizio alla mia fede ".
Ciò detto, il conte si alzò e, lasciando in tronco tutto il processo, tornò al suo pretorio considerando con tanta ammirazione la sicurezza concessami dal Signore, che subito - cosa che nessuno avrebbe potuto credere - mi fece pervenire le seguenti raccomandazioni: " Perdona - diceva - ti scongiuro, servo di Cristo, se per caso ti abbiano fatto qualche torto e, mentre io - come vedi - mi affretto [ a partire ] con l'esercito per la battaglia, accompagnami con la potenza delle tue preghiere ".
Ma Severo e tutti gli altri, pieni di vergogna per l'inattesa imparzialità del conte, quel giorno rimasero un po' calmi, ma pochi giorni dopo suscitarono un odio così grande e generale contro di me che in quella città non si sarebbe potuto trovare quasi nessuno di spirito religioso e di santa condotta che non mi giudicasse degno di morte, e così io, scoraggiato e disperato, non speravo più nulla che mi sostenesse ed emettevo soltanto languidi sospiri.
Tuttavia il Signore, che non disprezza i cuori affranti e umiliati,1 quanto più forte era il furore della gente con cui aveva previsto che sarei stato assalito, tanto più grande fu la grazia del suo aiuto che manifestò nei miei riguardi.
C'era infatti un servitore assai potente, dalla cui volontà era governata non solo tutta la servitù ma anche la figlia del detto conte dal quale era stata allevata; era un uomo dal fisico assai robusto, ma di animo assai tracotante e arrogante a causa del suo potere.
Costui aveva spesso ordito inutilmente tranelli contro di me che, preoccupato per la sorte della mia vita, non mi allontanavo dalla chiesa, alla fine avendo mostrato il suo furore, meritò di subire il castigo molto evidente del nostro Difensore.
Egli infatti, completamente armato, fece all'improvviso irruzione [ nella chiesa ], circondato da bande di facinorosi, e tenendo tesa verso di me la sua mano disse: " Datemi questo cane e immediatamente gli soffocherò in gola i suoi latrati con la morte che si merita ".
Il popolo allora e anche quegli stessi che in modo assai violento avevano minacciato di lapidarmi, con grida ispirate dalla fede, cacciarono dalla chiesa quel forsennato assetato di sangue come una belva.
Lo stesso giorno egli partì alla volta della sua villa suburbana ove pranzò piacevolmente, ma la mattina [ seguente ] il mio Protettore lo percosse con il dolore d'un colpo tanto mortale, che di lì non poté essere trasportato in città se non sei giorni dopo, morto.
Tutti i fedeli, in seguito a questo evento, atterriti per la lampante potenza di quel prodigio, desistettero per un po' dall'attaccarmi, ma i miei nemici e tutta la famiglia del conte, incitati da un odio ancora più feroce e dissennato, reclamavano per me, come omicida, la pena capitale con il pretesto che mediante le mie funeste maledizioni avrei fatto morire quel tale; ma c'erano anche pochi individui senza alcuna fede, i quali dicevano che quel fatto era accaduto per caso.
Mentre accadevano questi fatti a Tarragona, a Lerida il vescovo Sagittio veniva costretto da una lettera del vescovo Tiziano a restituire, o meglio, a esibire i libri che aveva affermato trovarsi in suo possesso.
Ora, per un mirabile disegno di Dio, avvenne che Severo, avendo inviato subito a Sagittio una lettera senza dubbio segreta, con cui lo informava di ciò ch'era accaduto, il latore della lettera si recò con la massima celerità prima al villaggio di Severo, che si trovava più distante, per sollecitare un certo monaco Ursizione, amico di Severo, a tirar fuori dai ripostigli di Severo i libri richiesti da Sagittio e a portarli di nascosto allo stesso Sagittio.
Questi tuttavia, poiché si ricordava d'aver restituito i libri a Severo, dal quale aveva ricevuto di nascosto dei regali, sentendosi bruciare dall'intimo fuoco della cattiva coscienza e meravigliandosi di non aver ricevuto alcuna lettera di Severo nel corso di questa faccenda, credette che Siagrio, vescovo di Huesca, ch'egli sapeva aver restituito parimenti a Severo il suo libro, avesse commesso questo peccato a causa di un simile sentimento di avidità; gli scrive allora di nascosto una lettera in cui dice di non dubitare affatto che fosse costretto anche lui a rendere un libro in seguito a un ordine contenuto in una analoga lettera del vescovo metropolitano.
Da un pezzo, per le mani di un diacono chiamato Paolino, i due libri che aveva tenuti in casa sua li aveva inviati allo stesso Siagrio, poiché era uno di quelli a cui era stata affidata l'inchiesta concernente il suo prete Severo.
Paolino però, non avendo trovato nel villaggio il vescovo Siagrio in persona, li aveva consegnati al prete Severo; dato poi che il fatto era assolutamente ignoto a tutti, per evitare che nascesse qualche sospetto, lo scongiurava istantemente di voler fare aprire i ripostigli del suo prete Severo e portare con sé di nascosto i libri che ne avrebbe tirato fuori, affinché egli nel tribunale potesse dimostrare di non aver affatto consegnato i libri a Severo.
Mentre questa lettera veniva recapitata a Siagrio, vescovo di Huesca, quei libri furono portati di nascosto a Sagittio da Ursizione, familiare di Severo.
Quando Sagittio li ebbe ricevuti, provò tanta gioia quanta era stata la tristezza da cui prima era stato tormentato e, con il proposito nel cuore di ricorrere allo spergiuro, partì subito alla volta di Tarragona.
Siagrio invece, avendo ricevuto non solo la lettera di convocazione del vescovo Tiziano, ma anche quella segreta di Sagittio, vedendo ch'egli, per avere restituito con imprudente ingenuità al suo prete Severo il libro ricevuto, si sentiva coinvolto nell'imputazione fondata su di un sospetto assai grave, passò un breve periodo di affannosa ansietà, ma poi stabilì di recarsi piuttosto colà al fine d'essere in grado, aggrappandosi alla formula della bugia concordata, di liberare dalle catene d'un sospetto sì grave non solo il prete Severo ma anche il proprio collega d'episcopato Sagittio; in quel frangente ecco che all'improvviso nella stessa notte, atterrito da una portentosa visione di nostro Signore Gesù Cristo, vide di trovarsi afflitto davanti al tribunale del terribile Giudice e di aver ricevuta la sentenza di condanna per essere stato partecipe d'una colpa sì grave; tosto si levò trepidante di paura e restò preso da tanta costernazione che non solo rivelò le lettere di Sagittio e costrinse Ursizione, il monaco di Severo, ch'era stato il latore degli scritti, a confessare tutto nei processi verbali della Chiesa, ma si mise anche sulle tracce di Sagittio - che si recava a Tarragona - affrontando a piedi un viaggio assai lungo, difficile e pericoloso.
Ma Sagittio, per una mirabile disposizione del Signore, era giunto assai prima e, avendo preso posto nel suo seggio in tribunale con i vescovi, disse: " Ecco, beatissimi fratelli, i libri che la vostra Santità mi aveva ordinato di presentare ".
A queste parole io, il quale - come ho detto dianzi - avevo conosciuto le loro mene segrete in seguito alla rivelazione fattami dall'eretica Severa, affermai che senza dubbio Sagittio aveva ricevuto poco prima, di nascosto, da Severo gli scritti venduti a lui da un pezzo, poiché sapevo quale regalo aveva ricevuto e quando e finanche per mezzo di chi aveva venduto a Severo quelle armi sacrileghe per uccidere le anime di molte persone.
Sagittio allora, valente nel diritto e istruito nelle discipline liberali, scagliandosi pieno di rabbia contro di me, si mise a gridare che sarei dovuto morire lapidato, qualora non avessi provato subito i fatti che gli avevo rinfacciato.
Egli poi, al cospetto di tutto il popolo, chiamando a testimoni i Vangeli e tutte le cose sante, non una volta sola ma a più riprese, spergiurò che i libri erano rimasti nascosti già da allora nell'archivio della propria chiesa e che Severo non li aveva assolutamente neppure visti.
A sua volta Severo si legò con uguali spergiuri.
Anche tutti coloro, ch'io presentavo come testimoni o come denuncianti, proferivano la medesima bugia gridando insieme che io ero un avversario sacrilego di venerabili sacerdoti.
Innanzitutto la stessa Severa, negando tutte le sue delazioni, mi accusava spergiurando che io ero il macchinatore di un'inaudita menzogna.
A queste parole io, poiché lo strepito insopportabile di tutto il popolo mi minacciava la morte immediata, risposi reclamando - quale unico rimedio che trova uno spirito costernato e confuso - che il giudizio fosse differito al giorno seguente; affermavo infatti con la massima sicurezza che Cristo, autore della verità incorruttibile, il giorno seguente avrebbe resi noti - nei modi che avrebbe voluto - gli spergiuri evidenti di Sagittio, di Severo e di tutti gli altri.
Anche agli stessi eretici parve umano permettere di differire, per il brevissimo tempo da me richiesto, il supplizio della mia lapidazione.
Nel pomeriggio di quel medesimo giorno sopraggiunse il vescovo Siagrio, che io parimenti accusavo sapendo ch'era il principale sostenitore del suo prete Severo e che di nascosto gli aveva restituito il libro.
Ma dopo essere venuto a sapere ch'egli aveva compiuto a piedi un viaggio sì lungo e faticoso, mi chiesi con stupore che cosa avesse spinto quell'uomo, ricco e gravato dall'età assai avanzata e impedito dalla debolezza del fisico, a intraprendere le difficoltà di quella fatica sì grande, e così mi precipitai immediatamente alla locanda in cui aveva preso alloggio.
Dopo averlo salutato: " Ti piace - gli dissi - che tu e Sagittio, spinti da un'identica bugia, beviate il mio sangue negando che siete stati voi a restituire i libri a Severo, affinché io muoia innocente perché non posso provare un fatto che non avrei certamente rinfacciato, se non lo avessi conosciuto in modo assolutamente sicuro "?
Egli allora: " Chi mai - disse - ha potuto indicarti, figlio mio, questo fatto avvenuto assolutamente di nascosto "?
E io, meravigliato che colui, che avevo creduto fosse venuto a confermare gli spergiuri di tutti quanti, aveva proferito per primo immediatamente la dichiarazione con cui ammetteva il fatto, gli narrai di nuovo fin dal principio tutta la serie delle mie scoperte; avendogli poi detto che Sagittio e Severo avevano negato il medesimo fatto chiamando tanto solennemente a testimoni tante cose sacre, egli per lo sdegno causato da uno spergiuro sì nefando esclamò: " Porta qua - disse - figlio mio, al più presto, le lettere di Sagittio in cui ha ammesso d'aver consegnato a Severo i libri e reca anche i processi verbali con i quali dal monaco Ursizione è stato dimostrato ch'egli ha ricevuto gli stessi libri da non molto tempo ".
Senza poi dissimulare ch'egli, contro sua voglia, era stato spinto dalla paura del Signore a manifestare a tutti ogni cosa, raccontò anche a me con parole sincere lo svolgimento della sua portentosa e terribile visione.
Io allora: " Ti prego - dissi - venerabile padre, che per una straordinaria grazia di Cristo sei stato strappato dalla compagnia degli empi, di consegnarmi ormai i documenti e di tacere per un po' di tempo fino a quando conosceremo, almeno domani, se il rimorso costringerà Sagittio e Severo a portare un po' di rispetto agli altari di Cristo ".
Si giunse dunque al giorno seguente; in tribunale era presente tutto il popolo.
Quando io mi resi conto che le due suddette persone dai loro polmoni pieni di menzogne espettoravano spergiuri simili o forse peggiori, esclamai: " Perché, o Sagittio, perché ti vanti del nome di vescovo usato falsamente?
Non hai paura di far perire la tua anima con sì gravi spergiuri?
Non sei stato forse tu ad inviare ultimamente questa lettera al vescovo Siagrio?
Non hai forse ricevuto dei libri per mezzo del monaco Ursizione "?
All'udire ciò, egli non solo negava tutto e si legava con più numerosi spergiuri, ma incitava anche il popolo a mandarmi in rovina, per avere inventato tanti incredibili e inauditi delitti, fino a quando, confutato vittoriosamente da me con le lettere che io mostrai in pubblico, fuggì subito dal tribunale per sfuggire alla sua condanna e alla sua vergogna.
Il vescovo Tiziano allora, poiché era sollecitato dai clamori del popolo affinché lo condannasse, dichiarò che su una questione riguardante un vescovo non poteva essere pronunciata una sentenza se non da molti vescovi.
Io però m'affrettai a mettermi sulle tracce di Sagittio, che fuggiva già fuori della città con una parte del popolo, e quando l'ebbi raggiunto gli parlai della restituzione dei quaderni ch'egli aveva sottratto agli stessi libri, ma egli giurò di averli ricevuti strappati e a pezzi dai barbari da molto tempo, e che nessuno dubitava che tutte le parti, che noi affermavamo essere mancanti in quei libri, erano andate perdute presso i barbari; ma in seguito, sconvolto dalla paura, fu costretto a restituire tutte le pagine che mancavano.
Io allora reclamai che quelle pagine fossero lette di nuovo al popolo, ch'era in ascolto; da quella lettura venivano fuori dei delitti così inauditi che nessun orecchio avrebbe potuto sostenere una sì terribile violenza dello stesso veleno.
Risulta che a proposito di questa faccenda fu tenuto in seguito un concilio, ma con incredibile condiscendenza di tutti la verità fu talmente soffocata, anzi così mercanteggiata e tradita, che non solo fu restituita la comunione ai sacrileghi ma, perché in seguito un giorno potesse essere rimessa in discussione la questione, furono dati alle fiamme non solo i processi verbali ma anche i libri.
Ma poiché io stavo in piena libertà vicino ai vescovi e m'ero messo a gridare contro la sentenza venale in modo da attirarmi la più grande odiosità, uno dei sette vescovi, quell'Agapio che mi aveva minacciato di morte, passò alle vie di fatto e prese a colpirmi con schiaffi e con pugni, mentre tutti gli altri suoi colleghi di episcopato, detestando una tale follia, cercavano d'impedirlo.
" Se ne vada ora costui - disse - se ha il sopravvento colui che si vanta d'avere sopraffatto con le sue dichiarazioni il personaggio principale della casa del conte e che ora potrebbe rovinarmi con simili insulti ".
Io allora, rallegrandomi di aver ricevuto quell'offesa, " Ascolti - dissi - queste parole Cristo e giudichi lui " e poi, per non ricordare il seguito, mi chiuse la bocca un gran timore di peccare.
Ebbene, chi oserebbe giudicare, senza tremare, l'insondabile abisso dei decreti del Signore? ( Sal 51,19 )
Noi, infatti, vedemmo che, circa sei giorni dopo, il suddetto vescovo, colpito da un improvviso dolore alla gola, rese lo spirito non senza aver prima chiesto, all'indegnissimo uomo che sono io, perdono di quella sua azione e di quelle sue parole.
Ma potremmo noi affermare, senza ammettere un peccato, che un vescovo, il quale era considerato cattolico, sia stato colpito da un castigo del Signore?
Nello stesso tempo, siccome cresceva l'odio di tutti contro di me, fui costretto a intraprendere un lunghissimo e faticoso viaggio e ricorrere all'aiuto del santo e beatissimo Patroclo, vescovo di Arles, del quale era lodata la ben nota tenacia nel perseguitare questa eresia.
Da lui ottenni senza difficoltà che tutti, sia gli accusati che i giudici, i quali con un giudizio iniquo avevano sbilanciato il peso della giustizia, si adunassero in un concilio che ancora non sappiamo se debba tenersi nella città di Béziers, come è stato annunziato.
Frattanto, dopo un breve intervallo di tempo [ il vescovo ] mi fornì una scorta assai gradita, di cui gli sono assai grato, e così intrapresi anche un viaggio faticoso e assai pericoloso per mare e mi sono recato in quest'isola al solo scopo di avere la gioia di vederti e narrarti a quattr'occhi questi avvenimenti per essere forse anch'io informato da te su qualche altro punto [ di questa faccenda ].
Press'a poco con queste parole si concluse il racconto di quel santo e venerabile uomo di Frontone, che testé ho riferito alle orecchie della vostra Beatitudine come l'ho sentito dalla sua bocca.
Adesso, dunque, sebbene non ci sia alcun dubbio sulla veridicità di quel racconto, tuttavia presentando l'esame della faccenda al celeste consiglio della Beatitudine vostra, desidero informarvi anzitutto che, anche se non mi è giunta all'orecchio alcuna voce sia pure incerta, tuttavia in base a una considerazione del tutto sicura è credibile che al concilio indetto dal santo e beatissimo vostro fratello Patroclo, mosso non dal suo potere ma del suo spirito di fede, non si recheranno affatto i vescovi spagnoli.
Al contrario il medesimo santo e beatissimo vostro fratello e tutti gli altri vescovi della Gallia, personaggi assai illustri ed eminenti, i quali non permettono che una peste tanto pericolosa penetri nella Chiesa di nostro Signore Gesù Cristo, infiammati - ne sono sicuro - d'uno zelo maggiore, riferiranno forse questi fatti alle orecchie del nostro glorioso principe e faranno ogni sforzo affinché il cancro di questa dottrina che, strisciando di nascosto, s'è diffuso ormai per tutto il mondo, venga reciso in tutte le province con i ferri roventi d'una condanna uniforme.
Sono venuto a sapere con tutta certezza che vi sono degli individui che difendono questi osceni e sacrileghi priscillianisti sull'esempio della Beatitudine vostra.
In effetti essi dicono: " I vescovi africani non hanno affatto rimosso dal grado episcopale i donatisti in qualunque modo tornati a essi e questa consuetudine ha creduto doversi confermare l'illustre e nobile dottore [ della Chiesa ] Agostino, o meglio la stessa grazia dello Spirito Santo che parla per bocca di lui,2 mentre da noi c'è tanta crudeltà che i vescovi scoperti nel delitto di seguire questa dottrina li rimoviamo dall'episcopato e contro di loro pronunciamo una sentenza d'una barbara severità, la quale stabilisce che a nessuno di coloro presso i quali saranno scoperti questi comportamenti sacrileghi venga aperta la porta della Chiesa salvo che facciano penitenza ".
Io quindi, mosso da un'ispirazione, a mio parere opportuna, in ragione della confidenza derivante dalla tua familiarità e carità, se avrai la bontà di acconsentire, oso esortare la santa e venerabile Paternità tua di dettare su questa faccenda e far recapitare al beatissimo tuo fratello Patroclo, il quale - come ritengo per certo - desidera di essere visitato con i tuoi scritti, una lettera la quale mostri che l'evidente diversità delle province, delle persone e delle dottrine insegna che si devono pronunciare sentenze diverse.
In effetti - come pare alla mia debole intelligenza - c'è una grande differenza tra la Spagna, che commette un incesto occulto, e l'Africa che commette un adulterio pubblicamente; così pure c'è una gran diversità tra gli spagnoli i quali, sorpresi in questa empietà, tremano di paura, e gli africani che ancora si vantano ostinatamente nello scisma.
Parimenti i priscillianisti, davvero degni d'ogni esecrazione e d'una più decisa abominazione, ( Sal 37,7 ) sono senza dubbio, per la natura delle loro colpe, diversi dai donatisti per quanto crudeli e turbolenti questi possano essere.
Se però tu farai poco conto della mia piccola supplica inetta ed insulsa, ti scongiuro di voler perdonare la mia ardita carità.
Quanto poi al libro, di cui ho fatto menzione all'inizio, incoraggiato come sono dallo splendido successo che ha ottenuto, ho creduto mio dovere inviarlo alla Paternità tua.
Se la Paternità tua ordinerà di farlo pervenire a giovani assai accorti e ragguardevoli e li istruirà come si deve, penso che molte schiere di priscillianisti, che sono nascosti specialmente in cotesta città, appariranno in modo palese a tutti.
Memore di me possa tu, santo e beatissimo signore, godere sempre di ottima salute.
Indice |
1 | Contra mendacium 1, 1 |
2 | Iuven. 7, 111 |