Manuale sulla fede, speranza e carità |
Mentre quindi gli angeli e gli uomini reprobi rimarranno in una pena eterna, i santi conosceranno in modo più completo il bene che la grazia avrà loro conferito.
Allora dalla stessa realtà delle cose risulterà ancora più chiaro quel che è stato scritto nel Salmo: La misericordia e il giudizio io ti canterò, Signore, ( Sal 101,1 ) poiché nessuno è liberato se non per una misericordia non dovuta e nessuno è condannato se non per un giudizio dovuto.
Allora non sarà più nascosto ciò che ora è nascosto, quando fra due bambini, l'uno dovrà essere scelto per la misericordia, l'altro abbandonato per il giudizio, ( Rm 9, 10s ) e in questo il primo potrà riconoscere quel che gli sarebbe toccato per il giudizio, se non fosse subentrata la misericordia, e perché sia stato scelto l'uno invece dell'altro, pur essendo unica la condizione di entrambi; e perché poi presso alcuni non si siano compiuti quei prodigi che, se presenti, li avrebbero posti in condizione di fare penitenza, mentre si sono compiuti fra coloro che non avrebbero creduto.
Chiarissime sono infatti le parole del Signore: Guai a te, Corazin, guai a te, Betsàida!
Perché, se a Tiro e a Sidone fossero stati compiuti i prodigi che sono stati fatti in mezzo a voi, già da tempo avrebbero fatto penitenza nel cilicio e nella cenere. ( Mt 11,21 )
E certamente Dio non è stato ingiusto, non volendo la salvezza di quanti avrebbero potuto essere salvi, se solo l'avessero voluto.
Allora, nel luminosissimo fulgore della sapienza, si potrà vedere quel che ora è custodito dalla fede dei credenti, prima di averne una conoscenza esplicita: quanto sia certa, immutabile e assolutamente efficace la volontà di Dio; quante possibilità egli abbia senza volerle, mentre non v'è nulla che non voglia senza averne la possibilità; e quanto sia vero quel che si canta nel Salmo: Il nostro Dio sta in alto nei cieli, nei cieli e sulla terra Egli compì tutto ciò che volle. ( Sal 115,3 )
Ciò non sarebbe sicuramente vero se Egli avesse voluto qualcosa senza compierlo, e, cosa ancor più inaccettabile, senza compierlo perché la volontà umana avrebbe impedito la realizzazione di quel che voleva l'Onnipotente.
Insomma non accade nulla che non sia l'Onnipotente a volerlo, o permettendo che accade, o compiendolo Egli stesso.
Non c'è dubbio poi che Dio opera il bene, anche quando permette che accada tutto ciò che di male accade.
È solo per un giusto giudizio che Egli lo permette, ed è certamente buono tutto quel che è giusto.
Ed anche se tutte le cose cattive, proprio in quanto cattive, non possono essere buone, è tuttavia un bene che ci siano non solo cose buone, ma anche cattive.
Se infatti non fosse un bene l'esistenza anche di cose cattive, la bontà dell'Onnipotente non permetterebbe assolutamente che esistessero; non c'è ombra di dubbio infatti che, come è facile per Lui compiere quel che vuole, è altrettanto facile non permettere ciò che non vuole.
Se non crediamo questo, si compromette l'inizio stesso della nostra confessione, per cui confessiamo di credere in Dio Padre onnipotente.
E non c'è altra ragione per cui Egli viene chiamato onnipotente secondo verità, all'infuori del fatto che Egli può tutto ciò che vuole e non c'è volontà di qualsiasi creatura ad impedire l'attuarsi di una volontà onnipotente.
Si deve perciò considerare come si sia potuto dire di Dio ( poiché anche questa è parola assolutamente vera dell'Apostolo ): Egli vuole che tutti gli uomini siano salvi. ( 1 Tm 2,4 )
Ora, dal momento che non tutti lo sono, ed anzi sono molti di più quelli che non si salvano, sembra proprio che non accada quel che Dio vuole che accada, beninteso per una volontà umana che ostacola la volontà divina.
Quando infatti si domanda per quale motivo non tutti si salvino, di solito si risponde perché essi non lo vogliono, ciò che non si può dire certamente dei più piccoli, ai quali non appartiene ancora il volere e il non volere.
Se infatti si ritenesse di dover attribuire alla loro volontà tutto quel che compiono per impulso infantile, dovremmo dire che, all'atto del loro battesimo, si salvano anche contro la propria volontà, quando cercano in tutti i modi di far resistenza.
Ma ancor più evidente è il caso in cui il Signore sgrida la città empia, dicendo: Quante volte ho voluto raccogliere i figli tuoi, come una gallina con i suoi pulcini, e non hai voluto. ( Mt 23,37 )
In questo caso è come se la volontà di Dio sia stata sopraffatta dalla volontà degli uomini e colui che è potenza assoluta non abbia potuto compiere ciò che voleva per l'impedimento dovuto al rifiuto dei più deboli.
Dov'è mai, allora, quell'onnipotenza, in virtù della quale nei cieli e sulla terra Egli compì tutto ciò che volle, se volle raccogliere i figli di Gerusalemme e non lo ha fatto?
O piuttosto quest'ultima propriamente non volle che i suoi figli fossero raccolti dal Signore?
Eppure, nonostante tale rifiuto, Egli raccolse tutti i suoi figli che volle; non è infatti che nei cieli e sulla terra Egli compì alcune cose senza volerle, mentre ne volle altre senza compierle: al contrario Egli compì tutto ciò che volle.
Ma quale empia follia può portare a dire che Dio non possa far volgere al bene le volontà cattive degli uomini, scegliendo quelle che vuole, quando e dove vuole?
Ma quando lo fa, è la misericordia a guidarlo, mentre quando non lo fa, è il giudizio; poiché Egli usa misericordia con chi vuole e indurisce chi vuole. ( Rm 9,18 )
Per poter dir questo, l'Apostolo valorizzava la grazia; a tal fine aveva già parlato dei due gemelli che Rebecca portava in grembo, non ancora nati e senza aver fatto nulla di bene o di male: Perché il disegno divino rimanesse fondato sull'elezione, non in base alle opere, ma alla sua chiamata, le fu detto: Il maggiore sarà sottomesso al minore. ( Rm 9,11-13; Gen 25,23 )
Ricorse per questo ad un'altra testimonianza dei profeti, dove sta scritto: Ho prediletto Giacobbe, ma ho odiato Esaù. ( Ml 1,2-3 )
Avvertendo tuttavia che quanto è stato detto potrebbe turbare coloro che non riescono a penetrare con l'intelligenza questa profondità della grazia, ha aggiunto: Diremo, dunque che c'è forse ingiustizia presso Dio? Certamente no! ( Rm 9,14 )
Sembra ingiusto infatti che Dio, prescindendo completamente dai meriti legati ad opere buone o cattive, possa prediligere l'uno e odiare l'altro.
In questo caso, se avesse voluto che si pensasse alle opere future ( buone per l'uno e cattive per l'altro ), che Dio certamente conosceva in anticipo, mai avrebbe detto: non in base alle opere, dicendo piuttosto: " in base alle opere future ", risolvendo così la questione; anzi, non ponendo affatto una questione da risolvere.
Ora però, avendo risposto: Certamente no, ossia, certamente l'ingiustizia non è presso Dio, subito dopo, per provare come ciò accada senza alcuna ingiustizia divina, ha detto: Egli infatti dice a Mosè: Proverò misericordia per colui di cui avrò avuto misericordia e accorderò misericordia a colui verso il quale sarò stato misericordioso. ( Rm 9,15; Es 33,19 )
Chi perciò potrebbe pensare, all'infuori dello stolto, ad un Dio ingiusto, sia quando emette un giudizio di castigo meritato, sia quando accorda una misericordia immeritata?
Questa, infine, la conclusione che ne ricava: Dunque non è frutto della volontà, né dello sforzo dell'uomo, ma della misericordia di Dio. ( Rm 9,16 )
Entrambi i gemelli nascevano pertanto come figli della collera, ( Ef 2,3 ) beninteso non in base alle proprie opere, ma originariamente legati con il vincolo della condanna che risale ad Adamo; eppure, chi disse: Proverò misericordia per colui di cui avrò avuto misericordia, predilesse Giacobbe per una misericordia gratuita, mentre ebbe in odio Esaù per un giudizio dovuto.
E benché questo fosse dovuto ad entrambi, l'uno riconobbe nell'altro che, se ad una medesima condizione non corrispondeva un medesimo castigo, egli doveva vantarsi non di meriti personali diversi, ma della generosità della grazia divina, poiché non è frutto della volontà, né dello sforzo dell'uomo, ma dalla misericordia di Dio.
Nella sconfinata profondità salvifica di questo mistero è la fisionomia complessiva e, per così dire, il volto delle sante Scritture ad invitare quanti sanno contemplarle affinché chi si vanta, si vanti nel Signore. ( 1 Cor 1,31 )
Avendo quindi valorizzato la misericordia di Dio con le parole: Dunque non è frutto della volontà, né dello sforzo dell'uomo, ma della misericordia di Dio, ( Rm 9,16 ) subito dopo l'Apostolo, per valorizzare anche il giudizio, poiché dove non c'è misericordia, c'è il giudizio e non l'ingiustizia ( e certamente non c'è ingiustizia presso Dio ), ha aggiunto le seguenti parole: Dice infatti la Scrittura al Faraone: Ti ho fatto sorgere per mostrare in te la mia potenza e perché il mio nome venga proclamato su tutta la terra. ( Rm 9,17; Es 9,11 )
Dopo di che, con una conclusione che riguarda entrambe le cose, vale a dire misericordia e giudizio, afferma: Dunque Egli usa misericordia con chi vuole e indurisce chi vuole. ( Rm 9,18 )
Usa misericordia, evidentemente, per la grande bontà, mentre indurisce senza ingiustizia alcuna, cosicché chi è stato liberato non si vanti per i propri meriti, mentre chi è stato condannato non si lamenti di altro che dei propri meriti.
È soltanto la grazia, infatti, che distingue i redenti dai perduti, radunati, questi ultimi, in un'unica massa di perdizione dalla comune condizione perpetuatasi dalle origini.
A chi accoglie poi tali parole in modo da esclamare: Ma allora perché ancora rimprovera?
Chi può resistere al suo volere? ( Rm 9,19 ) quasi che il malvagio non risultasse colpevole per il fatto che Dio usa misericordia con chi vuole e indurisce chi vuole, giammai dovremmo vergognarci di rispondere come riconosciamo che ha risposto l'Apostolo: Chi sei tu, o uomo, per replicare a Dio?
Può forse dire il vaso plasmato a colui che lo plasmò: Perché mi hai fatto così?
Il vasaio non ha forse il potere di realizzare con la medesima massa d'argilla un vaso per un uso nobile ed un altro per un uso volgare? ( Rm 9,20-21 )
In questo passo alcuni ingenui credono che la risposta dell'Apostolo sia stata insufficiente e che egli abbia bloccato l'audacia del proprio antagonista per mancanza di argomenti razionali.
In realtà non sono davvero di poco peso le parole: Chi sei tu, o uomo?
Di fronte a tali questioni egli infatti richiama l'uomo ad una attenta considerazione delle proprie capacità, certamente in modo sbrigativo, anche se nella sostanza l'argomento razionale è notevole.
Chi può mai replicare a Dio, se non comprende queste cose?
Se invece le comprende, a maggior ragione non trova di che replicare.
Vede bene infatti, se comprende, che tutto quanto il genere umano è stato condannato nella radice della sua apostasia da un giudizio divino talmente giusto, che nessuno avrebbe il diritto di prendersela con la giustizia di Dio, anche se nessuno ne venisse liberato; mentre quelli che sono liberati dovevano esserlo in modo da far risultare, rispetto ai più che non lo sono, sottomessi ad una condanna assolutamente giusta, quel che avrebbe meritato tutto l'insieme e dove avrebbe condotto anche costoro il giudizio divino dovuto, se non fosse intervenuta la sua misericordia non dovuta.
Così è stato fatto in modo che sia chiusa ogni bocca ( Rm 3,19 ) a quanti vogliono vantarsi per i propri meriti e chi si vanta, si vanti nel Signore. ( 1 Cor 1,31 )
Queste sono le grandi opere del Signore, conformi a tutte le sue volontà, ( Sal 111,2 ) e così sapientemente conformi, che, nonostante il peccato della creatura, angelica e umana, cioè nonostante questa abbia voluto fare non la volontà di Dio, ma la propria, persino attraverso la medesima volontà della creatura, che ha agito contro la volontà del Creatore, questi ha portato a compimento quel che ha voluto, usando bene anche dei mali, in quanto sommamente buono, in vista della condanna di quanti giustamente predestinò alla pena, e in vista della salvezza di quanti amorevolmente predestinò alla grazia.
Per quanto attiene a loro, essi agirono contro la volontà di Dio; per quanto invece attiene all'onnipotenza di Dio, non furono minimamente capaci di riuscirvi.
Anzi, proprio in quanto agirono contro la sua volontà, questa si è realizzata in loro.
Difatti grandi sono le opere del Signore, conformi a tutte le sue volontà, cosicché anche quanto accade contro la sua volontà, in modo inspiegabile e sorprendente non prescinde mai dalla sua volontà; del resto, ciò non accadrebbe se Egli non lo permettesse ed è evidente che Egli lo permette volontariamente, non involontariamente, né Egli, nella sua bontà, permetterebbe l'accadere del male, se non fosse capace, nella sua onnipotenza, di ricavare il bene anche dal male.
Qualche volta poi è una volontà buona che porta l'uomo a volere qualcosa che Dio non vuole, anche se la sua buona volontà è ben più grande e certa ( non può infatti mai essere cattiva ); è il caso in cui un figlio buono vuole che il padre viva, mentre Dio, nella sua buona volontà, vuole che muoia.
Può accadere al contrario che una volontà cattiva porti un uomo a volere quel che la volontà buona di Dio vuole, come quando un figlio cattivo vuole la morte del padre, che vuole anche Dio.
La volontà del primo è dunque contraria alla volontà divina, mentre quella del secondo vuole la medesima cosa; eppure ad esser in sintonia con la volontà buona di Dio è la pietà del primo, benché voglia una cosa diversa, piuttosto che l'empietà del secondo, che vuole la medesima cosa.
Ciò che importa è quale volontà sia confacente all'uomo e a Dio, e quale sia il fine che orienta la volontà di ciascuno, perché possa ricevere approvazione o disapprovazione.
Dio infatti porta a compimento alcune volontà sue, sicuramente buone, per mezzo delle volontà cattive di uomini cattivi: così Cristo è stato ucciso per noi per mezzo di Giudei malvagi secondo la volontà buona del Padre, ed è stato un bene così grande, che l'apostolo Pietro, che non accettava che ciò accadesse, è stato chiamato " Satana " da colui che era venuto per essere ucciso. ( Mt 16,21-23 )
Quanto sembravano buone le volontà di devoti credenti, che non volevano che l'apostolo Paolo prendesse la strada di Gerusalemme, perché là non dovesse soffrire i mali che il profeta Agabo aveva predetto? ( At 21,10-14 )
Eppure Dio voleva che per annunziare la fede di Cristo egli soffrisse quelle cose, impegnandosi come suo testimone.
Egli quindi portò a compimento questa sua volontà buona per mezzo non delle volontà buone dei cristiani, bensì di quelle cattive dei Giudei, ed erano dalla sua parte quanti non volevano quel che egli voleva, anziché quanti resero possibile, con la loro volontà, quel che egli voleva: l'atto fu il medesimo, ma egli lo compì per loro tramite con volontà buona, mentre quelli con volontà cattiva.
In ogni caso, per quanto forti possano essere le volontà degli angeli o degli uomini, buoni o cattivi, favorevoli o contrari a ciò che Dio vuole, la volontà dell'onnipotente è sempre invincibile; essa non può mai essere cattiva, poiché, anche quando infligge dei mali, è giusta e sicuramente, se è giusta, non è cattiva.
Dio onnipotente dunque, sia che per misericordia provi misericordia di chi vuole, sia che per il giudizio indurisca chi vuole, non compie alcuna ingiustizia, non compie nulla contro la propria volontà e tutto ciò che vuole, lo compie.
Quando perciò noi sentiamo e leggiamo nelle sacre Lettere che è volontà di Dio che tutti gli uomini siano salvi, benché sappiamo con certezza che non tutti gli uomini lo sono, non per questo dobbiamo però sottrarre alcunché alla volontà di Dio onnipotente.
Dobbiamo piuttosto intendere ciò che sta scritto: Egli vuole che tutti gli uomini siano salvi, ( 1 Tm 2,4 ) come se si dicesse che nessun uomo è salvato, all'infuori di quelli che Egli ha voluto salvi; non che non ci sia nessun uomo all'infuori di chi Egli vuole salvo, ma che nessuno si salvi all'infuori di chi Egli vuole; perciò lo si deve pregare perché lo voglia, poiché accadrà sicuramente solo se Egli avrà voluto.
In effetti, parlando in quel modo, l'Apostolo si riferiva proprio al dovere di pregare Dio.
Così infatti intendiamo anche quel che sta scritto nel Vangelo: Egli illumina ogni uomo che viene sulla terra: ( Gv 1,9 ) non perché non ci siano uomini che Egli non illumini, ma perché nessuno è illuminato se non da Lui.
Oppure, senza dubbio, è stato detto: Egli vuole che tutti gli uomini siano salvi, non perché non ci siano uomini di cui non volesse la salvezza, Egli che non volle compiere miracoli portentosi presso quei popoli di cui dice che avrebbero già fatto penitenza, se li avesse compiuti, ( Mt 11,21 ) ma perché con l'espressione tutti gli uomini, noi intendiamo l'intero genere umano, in tutte le differenze in cui esso si articola: re e privati, nobili e popolani, altolocati e umili, dotti e ignoranti, sani e malati, perspicaci, tardi e sciocchi, ricchi, poveri e benestanti, maschi e femmine, bambini, ragazzi, adolescenti, giovani, adulti e vecchi; di tutte le lingue, costumi, mestieri e professioni; costituiti in una varietà incalcolabile di volontà e di coscienze; e in tutte le altre differenze possibili fra gli uomini.
Quale sarebbe fra questi il motivo per cui Dio non vuole che gli uomini di tutte le nazioni siano salvi per mezzo del suo Unigenito e Signore nostro, e così faccia, proprio in quanto nella sua onnipotenza non può volere invano tutto quel che ha voluto?
L'Apostolo infatti aveva insegnato a pregare per tutti gli uomini, aggiungendo in particolare per i re e per tutti quelli che stanno al potere, ( 1 Tm 2,1-2 ) che si potevano ritenere, nella loro altezzosa superbia terrena, ben lontani dall'umiltà propria della fede cristiana.
Perciò, dopo aver detto: Questa è cosa buona al cospetto di Dio, nostro Salvatore, ( 1 Tm 2,3 ) che cioè si preghi anche per costoro, ha aggiunto subito, per eliminare la disperazione: Egli vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità. ( 1 Tm 2,4 )
Evidentemente Dio ha giudicato cosa buona degnarsi di accordare la salvezza dei grandi per le preghiere degli umili, come vediamo già realizzato.
Anche il Signore ha fatto ricorso a questo modo di parlare, quando nel Vangelo ha detto ai farisei: Prelevate la decima della menta, della ruta e di tutto il raccolto. ( Lc 11,42 )
Infatti i farisei non prelevavano la decima su qualsiasi prodotto straniero e su tutti i raccolti di tutti gli stranieri in ogni terra.
Come dunque qui tutto il raccolto indica ogni genere di raccolto, così là con l'espressione tutti gli uomini possiamo intendere ogni genere di uomini.
Si può anche intendere in qualunque altro modo, purché però non siamo costretti a credere che Dio onnipotente abbia voluto realizzare qualcosa senza riuscirci.
Se infatti non c'è alcun dubbio che Egli nei cieli e sulla terra, come proclama la verità, compì tutto ciò che volle, ( Sal 115,3 ) certamente non ha compiuto tutto ciò che non volle compiere.
Di conseguenza Dio avrebbe voluto conservare anche il primo uomo nella condizione di integrità in cui era stato costituito, conducendolo al momento giusto, dopo aver generato dei figli, ad uno stato migliore, se nella sua prescienza avesse saputo che egli avrebbe voluto restare per sempre senza peccato, così come era stato creato; in tale stato non soltanto non gli sarebbe stato possibile commettere peccato, ma nemmeno averne la volontà.
Dal momento però che Dio già sapeva che l'uomo avrebbe usato male del libero arbitrio, cioè che avrebbe peccato, si accinse piuttosto a voler trarre il bene anche da colui che faceva il male, in modo che non venisse svuotata la cattiva volontà dell'uomo, ma nondimeno fosse portata a compimento la buona volontà dell'Onnipotente.
Perciò l'uomo doveva anzitutto esser posto nella condizione di volere sia il bene che il male, in modo che non restasse nel primo caso senza ricompensa, nel secondo senza punizione.
Successivamente però sarà in condizione di non poter volere il male, senza per questo esser privato del libero arbitrio.
In realtà tale arbitrio sarà ben più libero, in quanto non potrà essere assolutamente asservito al peccato.
Né del resto la volontà è da condannare, o è inesistente, o da non giudicare libera, quando ci fa perseguire la felicità, in modo non solo da non volere l'infelicità, ma da non avere più assolutamente la possibilità di volerla.
Come dunque anche ora la nostra anima è in condizione di non volere l'infelicità, così sarà sempre in condizione di non volere l'ingiustizia.
Non si doveva però sospendere l'ordine, in base al quale Dio volle mostrare il grado di bontà di un animale razionale, che avesse anche la possibilità di non peccare, pur essendo preferibile essere nella impossibilità di peccare; allo stesso modo fu inferiore, ma fu pur sempre tale, l'immortalità consistente nella possibilità di non morire, restando superiore quella che consisterà nella impossibilità di morire.
La natura umana perse quella sua condizione per mezzo del libero arbitrio, mentre per mezzo della grazia guadagnerà questa, che pure era stata sul punto di guadagnare per proprio merito, se non avesse peccato.
Neppure allora, per la verità, senza grazia avrebbe potuto esserci alcun merito, poiché, pur essendo il peccato fondato solo sul libero arbitrio, quest'ultimo tuttavia non bastava a perseverare nella giustizia, se dalla partecipazione al bene immutabile non provenisse l'offerta dell'aiuto divino.
Come l'uomo ha il potere di morire quando vuole ( ognuno di noi infatti può uccidersi, se non altro almeno cessando di alimentarsi ), anche se però la volontà non basta per prolungare la vita, se vengono meno gli apporti costituti dagli alimenti o da qualsiasi altra forma di sostegno, così l'uomo nel paradiso era capace per mezzo della volontà di darsi la morte abbandonando la giustizia, anche se, per mantenere una vita di giustizia, senza l'aiuto del Creatore, il volere non bastava.
Ma dopo quella caduta la misericordia di Dio è più grande, dal momento che è lo stesso libero arbitrio che deve esser liberato dalla schiavitù, sottomesso com'è al peccato e alla morte.
E la liberazione non è assolutamente dovuta a se stessi, bensì alla sola grazia di Dio, riposta nella fede in Cristo, di modo che la stessa volontà, come sta scritto, è predisposta dal Signore ( Pr 8, 35 ) ad accogliere gli altri doni di Dio, per mezzo dei quali giungere al dono eterno.
Per questo l'Apostolo definisce grazia di Dio la stessa vita eterna, che rappresenta sicuramente la ricompensa per le opere buone: Il salario del peccato, egli dice, è la morte; ma la grazia di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù nostro Signore. ( Rm 6,23 )
Ora il salario è un debito reso per un servizio militare, e non donato; per questo egli ha detto: Il salario del peccato è la morte, per mostrare che la morte è una conseguenza non immeritata del peccato, ma dovuta.
La grazia, poi, se non è gratuita, non è grazia. ( Rm 11,6 )
Dunque si deve intendere che i beni stessi meritati dall'uomo sono dono di Dio; quando per essi viene resa la vita eterna, che cosa si rende se non grazia su grazia? ( Gv 1,16 )
L'uomo dunque è stato creato retto, ( Sir 7,30 ) in modo da poter rimanere in quella condizione di rettitudine non senza l'aiuto divino, e da diventare perverso per la propria libertà.
A seconda di quale delle due vie avesse scelto, la volontà di Dio sarebbe stata compiuta, o addirittura da lui, o sicuramente sopra di lui.
Perciò, visto che egli preferì compiere la propria volontà, piuttosto che quella divina, s'è compiuta sopra di lui la volontà di Dio; Egli dalla medesima massa di perdizione scaturita da quella discendenza, fa un vaso per un uso nobile ed un altro per un uso volgare: ( Rm 9,20-21 ) il primo per misericordia, il secondo per il giudizio.
Nessuno quindi dovrà vantarsi dell'uomo e, per questo, nemmeno di sé.
Non ci potrebbe liberare nemmeno l'uomo Gesù Cristo in persona, unico Mediatore tra Dio e gli uomini,( 1 Tm 2,5 ) se non fosse anche Dio.
Quando fu creato Adamo, cioè un uomo retto, non c'era bisogno di un mediatore.
Quando però i peccati scavarono un solco profondo tra il genere umano e Dio, era necessario che ci riconciliassimo con Dio, fino alla risurrezione della carne nella vita eterna, per mezzo di un mediatore, l'unico ad esser nato, vissuto e ucciso senza peccato; così la superbia dell'uomo sarebbe stata smascherata e risanata grazie all'umiltà di Dio, e l'uomo avrebbe potuto accertare quanto si era allontanato da Dio, alla luce della chiamata che gli veniva dal Dio incarnato; così, grazie all'uomo Dio, sarebbe stato offerto all'uomo pervicace un esempio di obbedienza e, assumendo l'Unigenito la condizione assolutamente immeritata di servo, si sarebbe spalancata la sorgente della grazia; nella persona del Redentore sarebbe stata quindi prefigurata anche la risurrezione della carne, promessa ai redenti, e il diavolo sarebbe stato sconfitto grazie a quella medesima natura che si compiaceva d'aver ingannato, senza che però l'uomo potesse vantarsene, per non far risorgere la superbia.
Ciò non toglie che quanti intendano approfondire questo grande mistero del Mediatore possano cogliere ed esprimere qualcos'altro, o almeno coglierlo, pur senza esprimerlo.
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