Manuale sulla fede, speranza e carità |
Certo, quanti conducono una vita scelleratissima e non si preoccupano di correggere tale condotta di vita con i suoi costumi, pur continuando a fare costantemente elemosine insieme ai propri misfatti viziosi, si lusingano invano, dal momento che il Signore ha detto: Fate elemosina ed ecco, tutto per voi è puro; non ne comprendono infatti la portata.
Per comprenderlo, facciano attenzione ai destinatari di quelle parole.
Effettivamente nel Vangelo è stato scritto così: Dopo che ebbe parlato, un fariseo lo invitò a pranzo ed Egli, entrato, si mise a tavola.
Il fariseo allora cominciò a chiedersi tra sé e sé perché mai non avesse fatto le abluzioni prima del pranzo.
E il Signore gli disse: Ebbene, voi farisei purificate l'esterno della coppa e del piatto, ma il vostro interno è pieno di rapina e di iniquità.
Stolti, chi ha fatto l'esterno non ha forse fatto anche l'interno?
Piuttosto fate elemosina quanto al resto, ed ecco, tutto per voi è puro. ( Lc 11,37-41 )
Sarà mai possibile intendere che tutto è puro per i farisei che non hanno fede in Cristo, anche se non avranno creduto in Lui e non saranno rinati dall'acqua e dallo Spirito Santo, purché abbiano fatto elemosine, come essi le concepiscono?
E ciò benché siano impuri quanti non sono purificati dalla fede in Cristo, a proposito della quale è stato scritto: Purificando i loro cuori con la fede, ( At 15,9 ) e benché l'Apostolo dica: Per gli impuri e gli infedeli nulla è puro, ma sono contaminate la loro mente e la loro coscienza. ( Tt 1,15 )
Allora come potrebbe essere tutto puro per quei farisei, che facessero elemosine senza diventare credenti?
Oppure come potrebbero essere credenti, senza aver voluto credere in Cristo e rinascere nella sua grazia?
Eppure è vero quel che avevano udito: Fate elemosina ed ecco, tutto per voi è puro.
Chi vuol fare elemosina in modo ordinato, deve in effetti cominciare da se stesso e farla prima di tutto a se stesso.
L'elemosina è infatti un'opera di misericordia e sono assolutamente vere le parole: Abbi misericordia della tua anima per piacere a Dio. ( Sir 30,24 )
Per questo rinasciamo : per piacere a Dio, al quale giustamente dispiace la colpa che abbiamo contratto nascendo.
È questa la prima elemosina che noi ci facciamo, poiché abbiamo ricercato la nostra miseria grazie alla misericordia di Dio misericordioso, confessando il suo giusto giudizio, dal quale è dipesa la nostra miseria e a proposito del quale l'Apostolo dice: Il giudizio venuto da uno solo per la nostra condanna, ( Rm 5,16 ) e rendendogli grazie per la sua grande carità, a proposito della quale ancora l'Apostolo, messaggero della grazia, dice: Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi, perché, pur essendo ancora peccatori, Cristo è morto per noi; ( Rm 5,8 ) così, se ci giudichiamo secondo verità nella nostra miseria e amiamo Dio con quella carità che Egli stesso ci ha donato, possiamo vivere in modo religioso e retto.
Trascurando questo giudizio e quest'amore di Dio, i farisei offrivano, è vero, attraverso le elemosine che facevano, la decima, fino alle minuzie dei loro raccolti, eppure non facevano elemosine a partire da se stessi, praticando innanzi tutto la misericordia con se stessi.
È questo invece l'ordine della carità per il quale è stato detto: Amerai il prossimo tuo come te stesso. ( Lc 10,27 )
Dopo averli quindi rimproverati perché si lavavano all'esterno, mentre interiormente erano pieni di rapina e di iniquità, avvertendo che l'elemosina che purifica interiormente è quella che ogni uomo deve anzitutto fare a se stesso, il Signore afferma: Piuttosto fate elemosina quanto al resto, ed ecco, tutto per voi è puro.
Quindi, per rendere esplicito tale avvertimento e ciò che essi non si preoccupavano di compiere, perché non pensassero che Egli ignorava le loro elemosine, disse: Guai a voi, farisei!
In altri termini: vi ho messo in guardia sull'elemosina che dovete fare in virtù della quale tutto per voi sarà puro: ma guai a voi, o farisei, che pagate la decima della menta, della ruta e di ogni erbaggio; conosco bene infatti queste vostre elemosine e, perché non pensiate che il mio avvertimento riguardi ora quelle cose, aggiungo: E trasgredite la giustizia e l'amore di Dio, ( Lc 11,42 ) cioè l'elemosina che vi purificherebbe da ogni contaminazione interiore, rendendo puri per voi anche i corpi che lavate.
Dicendo: tutto, si intende ovviamente l'interiore e l'esteriore, come si legge in un altro passo: Purificate l'interno e l'esterno sarà puro. ( Mt 23,26 )
Ma per non dare l'impressione di aver disprezzato quelle elemosine che provengono dai frutti della terra, ha detto: Queste cose bisognava curare ( cioè il giudizio e l'amore di Dio ) senza trascurare le altre ( Lc 11,42 ) ( cioè le elemosine dei frutti della terra ).
Non s'ingannino dunque quanti pensano di comprare con le più generose elemosine dei propri raccolti o anche del proprio denaro la licenza di persistere impunemente nell'efferatezza dei misfatti e nella dissolutezza dei vizi.
Costoro infatti non si limitano solo a commetterli, ma li amano al punto da desiderare di restarvi implicati per sempre, purché sia possibile farlo impunemente.
Però chi ama l'iniquità odia l'anima sua, ( Sal 11,6 ) e chi odia l'anima sua non è misericordioso verso di essa, ma crudele.
Amarla secondo il mondo è certamente odiarla secondo Dio.
Volendo dunque farle l'elemosina che rende per lei tutto puro, dovrebbe odiarla secondo il mondo e amarla secondo Dio.
Nessuno infatti fa una qualsiasi elemosina senza ricevere qualcosa a cui attingere da chi a sua volta non ne ha bisogno.
Per questo è stato detto: La sua misericordia mi precederà. ( Sal 59,11 )
La differenza fra peccati lievi e peccati gravi va comunque ponderata sulla base del giudizio divino, non di quello umano.
Noi vediamo che anche dagli stessi Apostoli è stato concesso di perdonare alcune azioni, come quando il venerabile Paolo ha detto agli sposi: Non defraudatevi l'un l'altro, se non temporaneamente di comune accordo, per dedicarvi alla preghiera, e poi ritornate a stare insieme, perché Satana non vi tenti a causa della vostra intemperanza. ( 1 Cor 7,5 )
Si potrebbe pensare che questo non sia peccato, cioè l'unione coniugale finalizzata non alla procreazione, che poi è il bene delle nozze, bensì al piacere sessuale, in modo che chi ha una debole capacità di dominio possa evitare il male funesto della fornicazione, nel caso sia dell'adulterio, sia di qualsiasi altra impurità, che è vergognoso anche nominare, dove può trascinare la concupiscenza sotto la tentazione di Satana.
Si potrebbe pensare, come ho detto, che ciò non sia peccato, se non avesse aggiunto: Questo però vi dico per remissione, non per comando. ( 1 Cor 7,6 )
Chi potrebbe negare a questo punto che questo sia di fatto un peccato, dal momento che si ammette, sulla base di un'autorità apostolica, una remissione verso quanti lo commettono?
È analogo il caso in cui dice: Qualcuno di voi, avendo una questione con un altro, osa forse farsi giudicare dagli ingiusti anziché davanti ai santi? ( 1 Cor 6,1 )
E un po' più avanti: Se dunque avrete avuto dei conflitti su questioni di questo mondo, voi prendete come giudici persone prive di autorità nella Chiesa.
Lo dico per vostra vergogna.
Così non ci sarebbe tra voi proprio nessuna persona saggia che possa intervenire con un giudizio tra fratello e fratello?
Invece un fratello viene chiamato in giudizio dal fratello e per di più davanti a non credenti. ( 1 Cor 6,4-6 )
Anche qui infatti si potrebbe pensare che sia peccato non l'avere un conflitto con un altro, ma soltanto il pretendere d'esser giudicato all'infuori della Chiesa, se di seguito egli non avesse aggiunto: È di fatto chiaramente una colpa avere conflitti vicendevoli. ( 1 Cor 6,7 )
Perché poi nessuno cercasse di giustificarsi, dicendo che la propria causa era giusta, ma che ciononostante egli subiva un'ingiustizia, che pretendeva fosse riparata da una sentenza dei giudici, l'Apostolo affronta immediatamente queste idee pretestuose, e dice: Perché non subite piuttosto l'ingiustizia?
Perché non vi lasciate defraudare? ( 1 Cor 6,7 )
È possibile così tornare alle parole del Signore: A chi vuole prenderti la tunica e chiamarti in giudizio, tu lascia anche il mantello. ( Mt 5,40 )
E altrove: A chi prende del tuo, non richiederlo. ( Lc 6,30 )
Vietò anche ai suoi di avere conflitti con altri uomini su affari temporali e su questo insegnamento l'Apostolo si basa quando parla di colpa.
Tuttavia, quando permette che tali controversie siano definite tra fratelli chiamando altri fratelli a giudicare, è irremovibile nel vietare che ciò avvenga al di fuori della Chiesa: appare evidente anche qui allora che cosa viene accordato per remissione a chi è debole.
A causa di questi e analoghi peccati, e di altri, anche se minori, dovuti a mancanze in parole e pensieri, stando alla testimonianza dell'apostolo Giacomo: Tutti quanti manchiamo in molte cose, ( Gc 3,2 ) è opportuno rivolgerci al Signore con una preghiera quotidiana e frequente, dicendo: Rimetti a noi i nostri debiti, e non mentire in quel che segue: Come noi li rimettiamo ai nostri debitori. ( Mt 6,12 )
Ci sono poi alcuni peccati che sarebbero ritenuti lievissimi, se nelle Scritture non fossero presentati come più gravi di quanto s'immagini.
Infatti chi potrebbe ritenere colpevole della Geenna colui che dice stupido a suo fratello, se non lo dicesse la Verità? ( Mt 5,22 )
Tuttavia il Signore ha immediatamente offerto il rimedio a questa offesa, presentando il precetto della riconciliazione fraterna; infatti ha subito detto: Se dunque presenti la tua offerta all'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, ( Mt 5,23 ) con quel che segue.
Oppure chi potrebbe valutare l'entità del peccato derivante dall'osservanza di giorni, mesi, anni e tempi, come fanno quanti intendono o non intendono cominciare qualcosa in giorni o mesi o anni stabiliti, per il fatto che ritengono i tempi più o meno propizi secondo i vuoti insegnamenti degli uomini, ( Col 2,22 ) se non misurassimo l'entità di questo peccato in base al timore dell'Apostolo, che ha detto a costoro: Temo per voi di essermi affaticato invano a vostro riguardo? ( Gal 4,11 )
A ciò si aggiunge il fatto che i peccati, la cui abitudine s'è consolidata, per quanto gravi e terribili, sono ritenuti di poco conto o inesistenti, al punto che sembra doveroso non solo non tenerli nascosti, ma addirittura celebrarli o propagandarli, quando, come sta scritto, il peccatore si vanta dei desideri della sua anima e chi compie iniquità riceve benedizioni. ( Sal 11,3 )
Nei Libri divini, per indicare tale iniquità si parla di grida, come puoi trovare nel profeta Isaia, quando si parla della vigna cattiva: Io mi aspettavo un giudizio, mentre egli commise iniquità, e grida, anziché giustizia. ( Is 5,7 )
E così anche nella Genesi: Le grida di Sodoma e Gomorra si sono moltiplicate; ( Gen 18,20 ) infatti quei vizi non soltanto non erano puniti presso di loro, ma addirittura venivano praticati alla luce del sole, come se fossero legalizzati.
Allo stesso modo anche ai nostri giorni sono talmente tante, benché non uguali, le mancanze la cui abitudine è ormai apertamente consolidata, che non osiamo per esse scomunicare non solo un laico, ma nemmeno un ecclesiastico.
Per questo, commentando alcuni anni fa la Lettera ai Galati, nel punto in cui l'Apostolo dice: Temo per voi di essermi affaticato invano a vostro riguardo, ( Gal 4,11 ) sono stato indotto ad affermare: " Guai ai peccati degli uomini, che ci fanno inorridire solo se sono inconsueti; quanto a quelli consueti, invece, per rimettere i quali è stato versato il sangue del Figlio di Dio, per quanto siano tanto gravi da precludere del tutto l'accesso al regno di Dio, a forza di vederli siamo indotti a tollerarli e a forza di tollerarli addirittura a commetterne alcuni!
E voglia il cielo, Signore, che almeno non commettiamo tutti quei peccati che non abbiamo potuto impedire! ".
Chissà però che un cruccio eccessivo non mi abbia spinto ad un'affermazione incauta.
Dirò ora comunque cose che ho già avuto modo di dire anche in altri passi dei miei opuscoli: due sono i motivi per cui pecchiamo, o perché non vediamo che cosa si debba fare, o perché non facciamo quel che già vediamo; in un caso il male consiste nell'ignoranza, nell'altro nella debolezza.
A noi tocca indubbiamente contrastare questi mali, ma ne siamo certamente sopraffatti senza l'aiuto divino, che non solo ci fa vedere che cosa si debba fare, ma, anche grazie ad un'integrità recuperata, fa in modo che l'attrazione della giustizia abbia in noi il sopravvento sull'attrazione di quelle cose che ci portano a peccare con piena avvertenza, o perché desideriamo di possederle, o perché temiamo di perderle.
A questo punto siamo ormai non soltanto peccatori, come di fatto eravamo peccando per ignoranza, ma anche trasgressori della legge, dal momento che non facciamo quel che si deve fare, ovvero facciamo quel che già sappiamo che non si deve fare.
Per tali motivi dobbiamo pregare non solo se abbiamo peccato, perché ci perdoni ( e perciò diciamo: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori ), ma anche perché la sua guida ci aiuti a non peccare ( e perciò diciamo: Non indurci in tentazione ( Mt 6,12-13 ) ), rivolgendoci a colui del quale nel Salmo si dice: Il Signore è mia luce e mia salvezza; ( Sal 27,1 ) è luce per ridurre la nostra ignoranza, salvezza per ridurre la nostra fragilità.
La stessa penitenza, del resto, pur in presenza di un degno motivo per farla secondo il costume della Chiesa, il più delle volte non viene fatta per debolezza, poiché la vergogna è anche timore di dispiacere, mentre la considerazione degli uomini attrae più della giustizia in base alle quale ciascuno si umilia con la penitenza.
Perciò la misericordia divina è necessaria non solo nell'atto in cui si fa penitenza, ma anche perché sia possibile farla.
Altrimenti l'Apostolo non direbbe di alcune persone: Se per caso Dio non conceda loro di pentirsi; ( 2 Tm 2,25 ) e l'Evangelista, per preannunziare l'amaro pianto di Pietro, ha detto: Il Signore si volse a guardarlo. ( Lc 22,61 )
Chi invece non crede alla remissione dei peccati nella Chiesa, disprezza tutta la generosità del dono divino e con questa ostinazione della mente conclude il suo ultimo giorno, è colpevole di quel peccato imperdonabile contro lo Spirito Santo, ( Mt 12,32 ) nel quale Cristo rimette i peccati.
Ho affrontato questa difficile questione in un piccolo scritto specifico, con tutta la chiarezza di cui sono stato capace.
Per quel che riguarda poi la risurrezione della carne, beninteso non come chi è tornato in vita per poi morire di nuovo, ma risurrezione per la vita eterna, così come è risorta la carne di Cristo stesso, non trovo un modo soddisfacente per poter giungere ad una trattazione essenziale e risolvere tutte le questioni solitamente sollevate in proposito.
In ogni caso nessun cristiano deve assolutamente mettere in dubbio che è destinata alla risurrezione la carne di tutti gli uomini che sono nati e nasceranno, che sono morti e moriranno.
Ci si imbatte quindi, anzitutto, nella questione relativa ai feti abortiti, evidentemente già nati nel seno materno, ma non ancora in condizione di rinascere.
Affermando infatti che risorgeranno, questa tesi può essere comunque accettata riguardo a quelli che sono già formati, ma riguardo a quelli informi, come non essere più inclini a pensare che periranno, come semi che non siano stati fecondati?
Eppure chi arriverebbe a negare, pur non arrivando ad affermarlo, che la risurrezione attuerà compiutamente ogni formazione imperfetta?
In tal modo non mancherebbe la perfezione destinata a sopraggiungere con il tempo, così come non si verificheranno i difetti che con il tempo erano sopraggiunti, e la natura non sarebbe defraudata di quella conveniente armonia che il tempo avrebbe potuto arrecare, né danneggiata da quelle avversità contrarie che il tempo aveva arrecato.
Al contrario giungerà a compimento quel che era ancora incompiuto, così come ogni difetto sarà riparato.
Tra le persone più competenti ci si può interrogare al riguardo e discutere nel modo più circostanziato su una questione di cui ignoro se l'uomo possa venire a capo: quando cioè inizi la vita umana nell'utero e se esista una forma di vita, anche nascosta, che non manifesti ancora le attività proprie di un individuo vivente.
Mi pare che ci voglia un bel coraggio, in effetti, per rifiutarsi di considerare come individui viventi quei feti che vengono estratti completamente smembrati dall'utero di donne incinte, per evitare, che rimanendovi ormai morti, finiscano per uccidere anche le madri.
In realtà è da quando l'uomo comincia a vivere, che comincia già certamente a morire: una volta morto però, dovunque gli sia potuto capitare di morire, non riesco ad immaginare come costui possa essere escluso dalla risurrezione dei morti.
Per quel che riguarda poi gli esseri deformi che nascono e vivono, per quanto precoce possa essere la loro morte, o non si potrà negarne la risurrezione, o non si deve credere che risorgeranno in quella condizione, anziché con una natura reintegrata e risanata.
Lungi da noi il pensare che quel neonato con membra doppie, nato non molto tempo fa in Oriente, di cui hanno riferito anche fratelli assolutamente degni di fede che lo hanno visto e sul quale ha lasciato uno scritto il sacerdote Girolamo di santa memoria; lungi da noi il pensare, voglio dire, che a risorgere sarà un uomo con un doppio corpo, e non piuttosto due uomini, come sarebbe dovuto avvenire, se a nascere fossero stati due gemelli.
Ugualmente anche tutti gli altri parti, che, in sé considerati, sono definiti deformi in quanto venuti alla luce con qualcosa in più o in meno, o con una qualche accentuata anomalia, con la risurrezione verranno riportati alle proporzioni della natura umana, in modo che ogni singola anima abbia il suo proprio corpo, senza più contrarre tutto quel che aveva contratto al momento della nascita, ma dotata, ciascuna per suo conto, di proprie membra, in grado di assicurare la piena integrità del corpo umano.
In ogni caso dinanzi a Dio non si perde la materia terrena dalla quale viene creata la carne dei mortali; al contrario, quale che sia la polvere o la cenere in cui essa si dissolva, l'esalazione o il vento in cui evapori, la sostanza di altri corpi o addirittura gli elementi in cui si trasformi, il cibo di altri esseri animati, persino umani, in cui si riduca, diventando la loro carne, in un solo istante essa torna a quell'anima umana, dalla quale in origine ebbe la vita, che fa nascere, vivere e crescere l'uomo.
Pertanto la stessa materia terrena, che diventa cadavere con l'allontanarsi dell'anima, nella risurrezione non sarà reintegrata in modo che tutto ciò che si disgrega, assumendo via via gli aspetti e le disposizioni sempre nuove di altre realtà, pur ritornando al corpo dal quale si è disgregato, torni necessariamente alle parti originarie del corpo.
Altrimenti, se nei capelli ritorna tutto ciò che i tagli frequenti avevano loro sottratto, se nelle unghie ritorna tutto ciò che è stato tante volte accorciato, ecco che questa mostruosità irragionevole e sconveniente diventa un ostacolo per quanti riflettono sul problema, impedendo loro di credere nella risurrezione della carne.
È come quando una statua di metallo che si può fondere viene liquefatta con il fuoco, oppure polverizzata, o riagglomerata e un artista intende ricostruirla nelle stesse dimensioni: in tal caso per la sua integrità non conta nulla sapere a quale membro della statua venga restituita una particella materiale, purché tuttavia nella ricostruzione la statua possa recuperare tutta la materia di cui era costituita; allo stesso modo, Dio, artista che opera in modo mirabile e ineffabile, ricostituirà con mirabile e ineffabile prontezza la nostra carne con tutto ciò di cui essa era fatta.
Avrà poca importanza allora per tale reintegrazione se i capelli torneranno ai capelli e le unghie alle unghie, o se quanto di essi era perduto sarà trasformato in carne e riportato ad altre parti del corpo, dal momento che ad impedire che ci sia qualcosa di sconveniente sarà la provvidenza dell'artista.
Non ne consegue nemmeno che la statura individuale dei risuscitati sarà diversa solo perché l'avevano avuta diversa da vivi, oppure che i magri ritorneranno in vita con la loro magrezza e gli obesi con la loro obesità.
Ma se rientra nel progetto del Creatore che i lineamenti individuali conservino un'identità e una somiglianza ben riconoscibile, e che invece a tutti i rimanenti organi corporei sia restituita uguale integrità, la costituzione fisica di ognuno risulterà modificata in modo che nulla di essa vada perduto e ogni eventuale deficienza risulti colmata da colui che poté realizzare dal nulla tutto ciò che volle.
Se poi nei corpi di coloro che risorgono si registrerà una giustificabile disuguaglianza, come avviene per le voci che sostanziano il canto, ciò riguarderà in ognuno la costituzione fisica del suo corpo, in modo da restituire anche l'uomo alle schiere degli angeli ( Mt 22,30 ) senza che si presenti al loro sguardo alcunché di sconveniente.
Nulla vi sarà, infatti, di indegno, poiché quel che deve essere sarà comunque degno; altrimenti non sarà affatto.
I corpi dei santi risorgeranno dunque senza alcun difetto, senza alcuna deformità, senza alcuna corruzione, pesantezza o impaccio: la speditezza sarà pari alla contentezza.
Per questo motivo sono pure chiamati spirituali, anche se non c'è ombra di dubbio che saranno corpi, non spiriti.
Come ora il corpo viene chiamato animale, ( 1 Cor 15,44-46 ) pur essendo un corpo e non un'anima, allo stesso modo allora il corpo sarà spirituale, pur essendo corpo e non spirito.
Perciò, se ci si riferisce alla corruzione che ora appesantisce l'anima ( Sap 9,15 ) e alle passioni che spingono la carne ad avere desideri contrari allo spirito, ( Gal 5,17 ) allora non ci sarà più carne, ma corpo, poiché si parla anche di corpi celesti. ( 1 Cor 15,40 )
Per questo è stato detto: La carne e il sangue non erediteranno il regno di Dio, e, quasi per spiegare tali parole, si è aggiunto: Né ciò che è corruttibile erediterà ciò che è incorruttibile. ( 1 Cor 15,50 )
Quel che prima viene detto carne e sangue, dopo viene detto corruttibile; prima si parla di regno di Dio, dopo di incorruttibile.
Se invece ci si riferisce alla sostanza, anche allora ci sarà carne; per questo, dopo la risurrezione si parla di carne per indicare il corpo di Cristo. ( Lc 24,39 )
Ma se l'Apostolo dice: Si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale, ( 1 Cor 15,44 ) è perché l'armonia tra la carne e lo spirito sarà tale e lo spirito potrà vivificare la carne a sé sottomessa senza aver bisogno d'alcun sostentamento, in modo che non ci sia in noi alcun conflitto interno: non avremo avversari da affrontare né dall'esterno, né in noi stessi.
Tutti coloro, poi, che appartengono a quella massa condannata, scaturita dal primo uomo e che non sono liberati dall'unico mediatore fra Dio e gli uomini, ( 1 Tm 2,5 ) risorgeranno certamente ognuno con la propria carne, ma per essere puniti insieme al diavolo e ai suoi angeli. ( Mt 25,41 )
Serve poi molto allora affaticarsi a ricercare se essi risorgeranno con i difetti e le deformità dei loro corpi, e con le stesse membra che sono state all'origine dei loro difetti e deformità?
Non ci deve nemmeno angustiare l'incertezza circa le loro fattezze o bellezza, dal momento che la loro dannazione sarà certa e perenne.
Non lasciamoci toccare dal problema riguardante la natura della incorruttibilità del loro corpo, se è vero che potrà soffrire, o della sua corruttibilità, se è vero che non potrà morire.
La vita vera è solo quella vissuta felicemente e la vera incorruttibilità solo quando il benessere non è corrotto da alcun dolore.
Quando invece chi è infelice non ha la possibilità di morire, è la morte stessa, per così dire, che non muore; quando il dolore non uccide, ma tormenta, la corruzione stessa è senza fine.
Nelle Sacre Scritture in tal caso si parla di seconda morte. ( Ap 2,11; Ap 20,6.14 )
Tuttavia se nessuno avesse peccato, all'uomo non sarebbe toccata né la prima morte, che costringe l'anima ad abbandonare il proprio corpo, né la seconda, che non le consente di abbandonare il corpo che merita la sua pena.
Certamente lievissima sarà la pena di quanti non hanno aggiunto nient'altro al peccato originale che hanno contratto, mentre per tutti gli altri che hanno aggiunto qualcosa, ci sarà di là una condanna tanto più sopportabile, quanto minore quaggiù sarà stata l'iniquità.
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