La musica |
MAESTRO - Che piede è modus?
DISCEPOLO - Un pirrichio.
M. - Di quanti tempi?
D. - Di due.
M. - E bonus che piede è?
D. - Il medesimo di modus.
M. - Dunque modus e bonus sono identici.
D. - No.
M. - Perché hai detto medesimo dunque?
D. - Sono identici nel suono, non nel significato.
M. - Affermi dunque che si ha il medesimo suono nel dire modus e bonus.
D. - Noto che si differenziano nel suono delle lettere, il resto è eguale.
M. - E, secondo te, nel pronunciare il verbo pone e l'avverbio pone, a parte il diverso significato, il suono è differente?
D. - Completamente differente.
M. - E perché differente se è costituito dai medesimi tempi e dalle medesime lettere?
D. - Differisce perché si ha l'accento in sillabe diverse.
M. - E a quale disciplina appartengono tali nozioni?
D. - Io di solito le odo dai grammatici e da loro le ho apprese, ma non so se è ufficio proprio di tale disciplina o è preso in prestito da altra.
M. - Lo vedremo in seguito.
Per il momento ti propongo una domanda.
Se io battessi due volte un timpano o una corda d'arpa così di seguito e tanto velocemente come nel pronunciare modus e bonus, ti accorgeresti o no che anche in tal caso si hanno due tempi.
D. - Me ne accorgerei.
M. - Diresti dunque che è un pirrichio.
D. - Sì.
M. - E certamente dal grammatico hai appreso il nome del piede?
D. - D'accordo.
M. - Quindi il grammatico giudicherà di tutti i suoni di tal genere, ovvero hai avvertito da te le percussioni ritmiche ma hai appreso dal grammatico la terminologia da usare?
D. - Certo.
M. - Ed hai osato trasferire un termine, che la grammatica ti ha insegnato, ad un contenuto che, per tua ammissione, non è di competenza della grammatica?
D. - Ma, a mio avviso, è stato dato un nome al piede soltanto per indicare una misura di tempo.
E perché non dovrei, ogni volta che avverto tale misura, usare le parole in quel senso?
Ed anche se si dovesse usare una diversa terminologia, i suoni mantengono la medesima misura e quindi non sono di competenza dei grammatici.
E allora perché preoccuparsi della terminologia se il significato è chiaro?
M. - Neanche io lo voglio.
Tuttavia tu comprendi che si danno innumerevoli tipi di suoni, nei quali si possono osservare determinate misure.
Ed esse, come riconosciamo, non si devono attribuire alla disciplina grammaticale.
Non ritieni dunque che esiste un'altra disciplina, la quale ha come oggetto tutto ciò che nelle parole è un determinato ritmo dovuto all'arte?
D. - Mi sembra probabile.
M. - E quale pensi sia il suo nome?
Non ti è nuovo, come credo, che alle Muse si suole attribuire un certo universale potere del canto.
È questa che, salvo errore, si denomina musica.
D. - Anche io penso che lo sia.
M. - Ma siamo d'accordo di non preoccuparci affatto della terminologia.
Ed ora, se lo credi opportuno, indaghiamo, con la maggiore diligenza possibile, la competenza e il metodo di questa disciplina, qualunque essa sia.
D. - Indaghiamo pure.
Desidero assai conoscere tutto quanto la riguarda.
M. - Definisci allora la musica.
D. - Non ne sono capace.
M. - Riesci almeno ad accettare la mia definizione?
D. - Ci proverò, se la dài.
M. - La musica è scienza del misurare ritmicamente secondo arte .1
Sei d'opinione contraria?
D. - No forse, se mi fosse evidente che cos'è misura ritmica.
M. - Non hai mai sentito usare il termine misurare ritmicamente, ovvero l'hai sentito usare con significato non attinente al canto e alla danza?
D. - Giusto. Ma io osservo che misurare ritmicamente deriva da misura, poiché la misura si deve usare in tutte le opere d'arte, ed invece molti pezzi di canto e di danza sono assolutamente illiberali.
Vorrei quindi comprendere con esattezza che cosa significa misurare ritmicamente, questo termine, col quale da solo, si esprime la definizione di una disciplina tanto importante.
Infatti per possederla non basta apprendere quanto sanno i vari cantori e mimi.
M. - Non ti turbi il tema sopra enunciato che anche al di fuori della musica si deve osservare la misura in tutte le produzioni e che essa tuttavia nella musica si dice ritmica.
Non dovresti ignorare infatti che il dire si attribuisce propriamente all'oratore.
D. - Non lo ignoro. Ma a che scopo questa affermazione?
M. - Perché anche il tuo schiavo, per quanto illetterato e popolano, quando risponde, sia pure con una parola, a una tua domanda, dice qualche cosa. Lo ammetti?
D. - Sì.
M. - Allora è un oratore anche lui?
D. - No.
M. - Dunque, anche se ha detto qualche cosa, non si è valso del dire oratorio.
Eppure dobbiamo ammettere che il dire oratorio si dice dal dire.
D. - D'accordo, ma anche questo concetto, chiedo, a che serve?
M. - A farti comprendere che la misura ritmica è di competenza della sola musica, sebbene la misura, da cui la parola deriva, può trovarsi anche in altre arti.
Allo stesso modo la dizione propriamente si attribuisce agli oratori, sebbene quando si parla, si dice qualche cosa e la dizione deriva dal dire.
D. - Comincio a capire.
M. - Hai poi detto che nel canto e nella danza vi sono molte produzioni illiberali e che, se dovessimo includerle nella misura ritmica, questa nobilissima disciplina diverrebbe illiberale.
È stata una osservazione molto sensata.
Esaminiamo dunque dapprima che cosa significa misurare ritmicamente, poi che cosa significa misurare ritmicamente secondo arte perché non è stato aggiunto invano alla definizione.
Infine non si deve trascurare il motivo per cui si è usata la nozione di scienza.
Infatti, salvo errore, la definizione risulta di questi tre elementi.
D. - Va bene.
M. - Ammettiamo dunque che misura ritmica è detta da misura.
E allora non ti appare la difficoltà che soltanto nelle azioni che si compiono mediante un determinato movimento si può oltrepassare o non raggiungere la misura, oppure si può incorrere nella difficoltà che si abbia qualche cosa fuor di misura, anche senza il movimento?
D. - No, certamente.
M. - Quindi misura ritmica si dice non incongruamente una determinata capacità di muovere, o almeno una capacità, con cui si ottiene che qualche cosa si muova secondo arte.
Non si può infatti dire che qualche cosa si muova secondo arte, se non mantiene la misura.
D. - Non si può certamente.
Ma allora bisognerebbe applicare la misura ritmica così intesa a tutte le produzioni artistiche.
Niente, per quanto ne capisco io, si esegue secondo arte se non col muovere secondo arte.
M. - E se tutto questo fosse dovuto alla musica?
Comunque il termine di misura ritmica è più usato, ed a ragione, per gli strumenti musicali.
Tu devi ammettere, così almeno penso, che un conto è un pezzo di legno o argento o altro materiale passato al tornio, ed altro è il movimento dell'artigiano nell'atto di tornirli.
D. - Sono d'accordo che differiscono notevolmente.
M. - E il movimento non s'intende per sé, ma piuttosto per l'oggetto che si vuole tornito?
D. - Chiaro.
M. - Ma se quegli muovesse le membra al solo scopo di muoverle con armonia ed eleganza, non diremmo che sta eseguendo una pantomima?
D. - Sì.
M. - E allora, secondo te, un qualche cosa ha più valore e pregio se è intesa per sé o ad altro?
D. - Per sé, che dubbio?
M. - Ed ora torna al tema già esposto della misura ritmica.
L'abbiamo considerata come determinata capacità di muovere.
Esamina se il termine ha maggiore applicazione nel movimento, per così dire, libero, che cioè s'intende per sé e di per sé genera diletto estetico, ovvero in quello che è in qualche modo illibero.
Sono in certo senso illibere tutte le cose che non sono fine a sé, ma si riferiscono ad altro.
D. - Nel movimento cioè che è inteso per sé.
M. - Quindi è già probabile che la scienza del misurare ritmicamente è scienza del muovere secondo arte, in maniera che il movimento sia inteso per sé e di per sé generi diletto.
D. - Sì, è probabile.
M. - Perché dunque è stato aggiunto secondo arte?
È impossibile che ci sia misura ritmica, se non c'è movimento secondo arte.
D. - Non lo so e non so neanche come mi sia sfuggito.
Era proprio questo l'intento dell'indagine.
M. - Si sarebbe anche potuto non discutere su tale termine.
Espunta la clausola " secondo arte ", potevamo definire la musica soltanto come scienza del misurare ritmicamente.
D. - Chi ti può seguire, se intendi svolgere così tutto l'argomento?
M. - La musica è scienza dei muovere secondo arte.
Ora si può dire mosso secondo arte tutto ciò che è mosso ritmicamente con l'osservanza delle misure di tempi e lunghezze.
Infatti genera già piacere estetico e pertanto già si può considerare convenientemente misura ritmica.
Può avvenire tuttavia che la misura ritmica generi piacere estetico, quando non dovrebbe.
Supponi che un tale canti con bella voce ed esegua la pantomima con armonia, ma finisca nello sguaiato, quando il soggetto richiede austerità.
Egli non usa con arte la misura ritmica.
Infatti esegue senza arte, cioè fuori convenienza, il movimento che al contrario si dovrebbe eseguire secondo arte per il fatto stesso che è ritmico.
Quindi un conto è misurare ritmicamente ed un altro misurare ritmicamente secondo arte.
La misura ritmica si può riconoscere in qualsiasi cantante purché non sbagli negli accordi di voci e suoni.
La conveniente misura ritmica invece appartiene a questa disciplina liberale, cioè la musica.
Potresti ritenere che un movimento, in quanto sconveniente al soggetto, non è secondo arte, sebbene devi ammettere che è ritmica secondo le regole dell'arte.
Ma rispettiamo il nostro criterio, valido in ogni trattazione, di non lasciarci assillare da una polemica verbale, se il concetto è sufficientemente chiaro.
E non preoccupiamoci se la musica si deve definire scienza del misurare ritmico, ovvero del misurare ritmico secondo arte.
D. - Amo disprezzare vivamente le polemiche verbali; tuttavia codesta tua distinzione non mi dispiace.
M. - Rimane da esaminare il motivo, per cui nella definizione s'implica scienza.
D. - D'accordo. Rammento che il procedimento lo richiede.
M. - Rispondi dunque se, secondo te, a primavera l'usignolo moduli con arte la voce.
Il suo canto è difatti ritmico e molto armonioso e, salvo errore, è conveniente alla stagione.
D. - D'accordo.
M. - È dunque capace di disciplina liberale?
D. - No.
M. - Vedi dunque che il termine di scienza è indispensabile alla definizione.
D. - Lo vedo bene.
M. - Rispondimi dunque, se vuoi.
Ritieni eguali all'usignolo coloro che, mossi da una certa sensibilità, cantano secondo arte, cioè ritmicamente e armoniosamente, sebbene interrogati sul ritmo e la successione dei suoni acuti e gravi non sanno rispondere?
D. - Li giudico del tutto eguali.
M. - E quelli che, senza avere questa scienza, ascoltano volentieri, si devono paragonare a certi animali?
Si può infatti vedere che elefanti, orsi e altre specie di animali si muovono ritmicamente al canto e che gli uccelli stessi traggono diletto dalla propria voce.
Non canterebbero infatti con tanta assiduità se, essendo escluso ogni interesse, non avessero soddisfazione.
D. - La penso così, ma è un'offesa contro quasi tutto il genere umano.
M. - Non è come la pensi.
Infatti uomini eccellenti, sebbene profani della musica, vogliono talora adattarsi alla massa che non differisce molto dalle bestie e che comprende un numero straordinario d'individui.
E lo fanno con molta liberalità e tatto.
Ma qui non è il caso di parlarne.
Anche dopo le grandi preoccupazioni, allo scopo di ristorare e rinfrancare lo spirito, si può con grande moderazione ricevere un po' di divertimento dai canti.
E prenderlo qualche volta a questa condizione è segno di grande moderazione.
Ma lasciarsene prendere anche qualche volta è vergognoso e indegno.
Che te ne sembra? Coloro che suonano il flauto, la cetra e simili strumenti si possono paragonare all'usignolo?
D. - No.
M. - Quale n'è la differenza?
D. - In costoro scorgo una certa arte, in quello la natura soltanto.
M. - Esprimi un concetto probabile.
Ma ti sembra che si deve considerare arte, anche se eseguono per imitazione?
D. - E perché no? A mio avviso, l'imitazione ha tanto valore nelle arti che con la sua eliminazione tutte potrebbero cessare.
Anche gli insegnanti si offrono ad essere imitati e questo appunto essi denominano insegnare.
M.- Ritieni che l'arte è una determinata ragione e che si valgono della ragione coloro che si valgono dell'arte, ovvero no?
D. - Sì.
M.- Chi dunque non può usare la ragione, non può usare l'arte.
D. - Anche questo concedo.
M.- Ritieni che gli animali privi di parole e che quindi sono considerati irragionevoli possono usare la ragione?
D. - Assolutamente no.
M. - Allora o dovrai considerare animali ragionevoli le gazze, i pappagalli e i corvi, ovvero senza criterio hai congiunto l'imitazione al concetto di arte.
Osserviamo infatti che questi uccelli cantano e fischiano molti motivi alla maniera degli uomini e che lo fanno per imitazione.
Che te ne sembra?
D. - Non comprendo ancora del tutto come hai fatto a imbastire questa conclusione e fino a qual punto essa è valida contro la mia risposta.
M. - Ti avevo chiesto se, secondo te, i citaristi, i flautisti e altri suonatori del genere esercitano arte, anche se hanno raggiunto l'abilità nel suonare con l'imitazione.
Hai risposto che è arte ed hai sostenuto che l'imitazione ha tanta importanza da sembrare che eliminandola tutte le arti potrebbero essere destituite.
Ne può conseguire che chi ottiene un effetto mediante imitazione, fa arte, anche se eventualmente non ogni individuo che fa arte l'ha raggiunta con l'imitazione.
Ma se l'imitazione è arte e l'arte è razionalità, l'imitazione è razionalità.
Ma l'animale irragionevole non usa la ragione, quindi non è capace di arte, però è capace di imitazione, quindi l'arte non è imitazione.
D. - Io ho affermato che molte arti si fondano sulla imitazione, non ho considerato arte la stessa imitazione.
M. - Ma, a tuo parere, le arti che si fondano sulla imitazione, non si fondano sulla ragione?
D. - Anzi io penso che si fondano su entrambe.
M. - Non faccio obiezioni.
Ma la scienza dove la fondi, sulla ragione o sull'imitazione?
D. - Anch'essa su entrambe.
M. - Dunque riconosci la scienza agli uccelli.
Hai loro riconosciuto la capacità d'imitare.
D. - No, perché ho affermato che la scienza sussiste in entrambe sicché è impossibile che sia nella sola imitazione.
M. - E ritieni che possa essere nella sola ragione?
D. - Sì.
M. - Quindi pensi che arte e scienza si differenziano.
Infatti la scienza può sussistere nella sola ragione, l'arte invece esige l'unione di imitazione e ragione.
D. - Non veggo la conseguenza.
Io avevo affermato che molte e non tutte le arti sono costituite da ragione ed insieme da imitazione.
M. - E considererai scienza la nozione che risulta da entrambe, ovvero le concederai soltanto la dimensione della ragione?
D. - E che cosa m'impedisce di considerarla scienza, quando alla ragione si unisce l'imitazione?
M. - Stiamo trattando ora del citarista, del flautista, e cioè delle esecuzioni musicali.
Dimmi dunque se al corpo, cioè a una certa sua soggezione, si deve attribuire quanto questi individui producono per imitazione.
D. - Ma io penso che si deve attribuire allo spirito e insieme al corpo.
Quando hai detto soggezione al corpo, hai usato un termine veramente appropriato.
Il corpo infatti può essere soggetto soltanto allo spirito.
M. - Noto che con molto discernimento hai attribuito l'imitazione non soltanto al corpo.
Ma potresti affermare che la scienza non appartiene esclusivamente allo spirito?
D. - E chi lo potrebbe?
M. - Dunque ti è assolutamente impossibile far dipendere da ragione e imitazione una scienza consistente nei suoni delle cetre e dei flauti.
Infatti, come hai ammesso, non si dà imitazione senza l'intervento del corpo.
Hai affermato anche al contrario che la scienza è soltanto dello spirito.
D. - Riconosco che è logica conclusione delle concessioni che ho fatte.
Ma che me ne importa?
Anche il flautista potrà avere scienza nello spirito.
Quando infatti si associa l'imitazione che, come ho detto, non è possibile senza il corpo, essa non sottrarrà l'oggetto che egli tiene presente allo spirito.
M. - Non lo sottrarrà certamente.
Ma io non intendo affermare che sono privi di scienza tutti coloro che usano simili strumenti.
Affermo che non tutti ne sono capaci.
Stiamo trattando questo problema per intendere, se è possibile, con quanto discernimento è stata posta la scienza nella definizione di musica.
Che se di essa fossero capaci tutti i flautisti, citaristi e altri suonatori del genere, penso che nulla vi sarebbe di più banale e volgare di tale disciplina.
Ma segui con tutta l'attenzione perché rimanga evidente il risultato della nostra lunga indagine.
Mi hai già concesso che scienza è soltanto nello spirito.
D. - E perché non concederlo?
M. - E il senso dell'udito lo attribuisci allo spirito, al corpo o a entrambi?
D. - Ad entrambi.
M. - E la memoria?
D. - Penso che sia da attribuire allo spirito.
Anche se percepiamo qualche cosa sensibilmente e lo affidiamo alla memoria, non per questo si deve pensare che la memoria abbia sede nel corpo.
M. - Codesto è forse un problema importante, ma non attinente all'attuale argomento.
Ma per quanto basta all'intento, non puoi negare, come penso, che le bestie hanno la memoria.
Le rondini dopo un anno tornano ai nidi.
Delle capre è stato detto con verità: Ricordano la strada per tornare all'ovile anche le stesse [ capre ].2
Ed è cantato nel poema che il cane riconobbe l'eroe suo padrone, ormai dimenticato dai familiari.3
E se volessimo, potremmo allegare innumerevoli casi, dai quali risulta quanto sto affermando.
D. - Non lo nego, ma sto aspettando con impazienza l'aiuto che ne aspetti.
M. - E quale, secondo te?
Affermo semplicemente che se si attribuisce scienza unicamente all'essere spirituale e la si nega a tutti i bruti, viene accreditata soltanto al pensiero e non al senso e alla memoria.
Infatti il senso non sussiste fuori del corpo ed esso e la memoria sono comuni anche alle bestie.
D. - Anche qui mi sto chiedendo a quale scopo.
M. - A questo. Vi sono individui che si arrestano alla esteriore esteticità e affidano alla memoria quanto soddisfa il loro gusto e muovendo il corpo secondo tale regola, vi associano una certa capacità d'imitazione.
Ma essi non hanno scienza, anche se apparentemente eseguono secondo le norme dell'arte e della cultura, a meno che non afferrino con puro e ideale pensiero l'azione che eseguono o esibiscono.
E se ragionevolmente si potesse dimostrare che tali sono gli attori drammatici, non avresti, a mio avviso, motivo per esitare a negar loro la scienza, e conseguentemente a non conceder loro la vera musica, che è appunto scienza del misurare ritmicamente.
D. - Spiega un po' il concetto, vediamone il significato.
M. - Penso che non accrediti alla scienza ma alla pratica la maggiore o minore agilità delle dita.
D. - E perché lo penseresti?
M. - Perché poco fa soltanto allo spirito hai attribuito la scienza.
Ora tu puoi constatare che tale abilità è soltanto del corpo, sebbene sotto il comando dello spirito.
D. - Ma appunto perché lo spirito dotato di scienza comanda al corpo tale abilità, questa, secondo me, si deve attribuire allo spirito, anziché alle membra che eseguono.
M. - Secondo te, si può dare il caso che un musicante valga per scienza più d'un altro, sebbene il meno informato muove con maggior facilità e agilità le dita?
D. - Sì.
M. - Ma se il movimento rapido e più agile delle dita dovesse assegnarsi alla scienza, tanto più si sarebbe abili, quanto più si è dotati di scienza.
D. - D'accordo.
M. - Considera anche questo caso.
Penso che qualche volta hai osservato artigiani e altri operai.
Essi con l'ascia o con la scure battono sempre allo stesso posto e menano il colpo soltanto dove la loro intelligenza indica.
E talora siamo da loro scherniti, se nel tentativo di fare altrettanto, non vi riusciamo.
D. - È come tu dici.
M. - Ma quando non vi riusciamo, non sappiamo forse il punto da colpire o la lunghezza del pezzo da staccare?
D. - Qualche volta non lo sappiamo, qualche volta sì.
M. - Supponi dunque che un tale sappia tutto ciò che gli artigiani debbono fare e che lo sappia alla perfezione, sebbene sia meno capace nell'esecuzione, e che sia perfino in grado di suggerire agli abilissimi esecutori con maggiore competenza di quanto essi non sappiano giudicare.
Puoi affermare che questa capacità non derivi dalla pratica?
D. - No.
M. - Quindi non solo si devono attribuire all'esercizio anziché alla scienza la celerità e l'agilità, ma anche la misura del movimento nelle membra.
Altrimenti, più si è dotati di scienza e meglio si userebbero le mani.
Lo diciamo in riferimento all'auletica e alla citaristica, in cui sono interessate le dita e le articolazioni.
Per noi è un affare piuttosto difficile.
Ma non per questo dobbiamo pensare che si tratti di scienza, anziché di pratica e di assidua imitazione ed esercizio.
D. - Non posso più obiettare.
Spesso sento dire che medici assai colti sono superati dai meno colti nelle amputazioni e nelle incisioni di vario genere, per quell'aspetto che richiede l'uso delle mani e dei ferri.
Definiscono chirurgia questo settore della medicina.
Con tale termine si designa appunto una determinata pratica di medicare mediante l'operazione delle mani.
Quindi passa ad altro e chiudi ormai l'argomento.
M. - A mio parere, ci rimane da chiarire, se ne siamo capaci, un altro argomento.
Queste arti, che ci dilettano mediante l'esecuzione delle mani, per conseguire l'efficacia della pratica, non hanno derivato dalla scienza, ma dal senso e dalla memoria.
Altrimenti tu mi potresti obiettare che in alcuni è possibile la scienza senza la pratica, e talora tanto più eccellente che in coloro, i quali si distinguono per la pratica, ma che tuttavia anche costoro non hanno potuto raggiungere tanta pratica senza la scienza.
D. - Comincia; è chiaro che dovrebbe esser così.
M. - Hai mai ascoltato con interesse i mimi?
D. - Con maggior interesse di quanto vorrei.
M. - Come avviene, secondo te, che la massa profana acclama un flautista il quale butta fuori banali accordi e poi applaude un bravo cantante ed è tanto più profondamente emozionata, quanto più il canto è melodioso?
Si deve pensare che la massa si comporta così per competenza nell'arte musicale?
D. - No.
M. - E allora?
D. - Penso che si deve alla natura che ha dato a tutti la facoltà di udire, competente del giudizio in materia.
M. - Pensi bene. Ma considera se anche il flautista è dotato di tale facoltà.
Se è così, seguendo il giudizio della facoltà stessa, può muovere le dita, mentre soffia nel flauto, fissare e consegnare alla memoria ciò che suona più agevolmente secondo una propria inclinazione e abituare le dita a muoversi senza esitazione ed errore.
E ciò tanto nel caso che esegua la composizione di un altro o che componga lui.
E, come è stato detto, è la natura che agisce da guida e da criterio.
Quindi nell'atto che la memoria segue il senso, e le articolazioni, gradualmente addestrate e rese idonee, seguono la memoria, il musicante, quando lo vuole, suona con tanto maggior perizia tecnica, quanto più eccelle in quelle doti che, dianzi, l'indagine ha mostrato comuni a noi e alle bestie, e cioè la tendenza ad imitare, il senso, la memoria.
Hai qualche cosa da dire in contrario?
D. - No, non ho nulla. Ma ormai desidero udire le caratteristiche della disciplina, che vedo negata mediante argomenti stringenti alle capacità degli individui privi d'istruzione.
M. - Non è ancora svolto sufficientemente l'argomento e non permetterò che si passi all'argomento successivo senza una chiarifica.
È stato da noi accertato che i mimi possono senza la scienza musica soddisfare il gusto della massa.
Allo stesso modo dovrà essere accertato che i mimi non possono in alcuna maniera apprendere e avere conoscenza della musica.
D. - Mi meraviglierei se ci riesci.
M. - È facile, ma devi essere più attento alle mie parole.
D. - Per quanto ne so io, non sono stato mai svagato nell'ascoltarti da quando ha avuto inizio il nostro discorso, ma confesso che ora mi costringi a concentrarmi maggiormente.
M. - Te ne sono grato, quantunque tu lo faccia per il tuo interesse.
E allora, per piacere, rispondimi, se, secondo te, sapeva che cosa fosse un soldo aureo, quel tizio, il quale volendo valutarlo al giusto scambio, pensò che valesse dieci sesterzi.
D. - Ma chi potrebbe pensarlo?
M. - E allora dimmi che cosa si deve stimar di più, i contenuti di cultura della nostra intelligenza o il riconoscimento che eventualmente ci viene accordato dagli illetterati?
D. - Non v'è dubbio che l'intelligenza è superiore a tutte le altre cose che neanche si dovrebbero considerare nostre.
M. - E puoi negare che ogni scienza è contenuto della intelligenza?
D. - E chi potrebbe?
M. - Anche la musica dunque è nell'intelligenza.
D. - Rilevo che consegue dalla sua definizione.
M. - E non ritieni che la popolarità e le ricompense tributate agli attori appartengono a quell'ordine di cose, che è posto nel potere della fortuna e nel giudizio degli ignoranti?
D. - A mio avviso, non si dà cosa tanto casuale, sottoposta agli accadimenti e soggetta al dominio e all'approvazione della massa, come quelle.
M. - E a tal prezzo i mimi venderebbero i propri canti, se avessero scienza della musica?
D. - Sono assai convinto della conclusione, ma avrei una leggera obiezione in contrario.
Non mi pare che l'individuo, il quale scambiava il soldo, si debba paragonare al mimo.
Egli infatti, col ricevere gli applausi e l'onorario elargitogli, non perde la scienza, seppur ne è in possesso, con cui ha soddisfatto il gusto della massa.
Ma se ne torna a casa più colmo di ricchezza, più lieto per la popolarità e con la propria scienza incolume e integra.
Sarebbe stolto se disprezzasse questi vantaggi, perché non ricevendoli sarebbe molto meno illustre e più povero, ricevendoli non è meno dotto.
M. - Vedi allora se col seguente argomento otteniamo il nostro intento.
Tu ritieni, penso, che ha molto più valore il fine, per cui agiamo, che l'azione stessa.
D. - È chiaro.
M. - Dunque chi canta o impara a cantare soltanto per ottenere l'esaltazione dal popolo o da qualche individuo, non giudica migliore quell'esaltazione che il canto?
D. - Mi è impossibile negarlo.
M. - E chi giudica male una cosa, secondo te, ne ha scienza?
D. - Per nulla affatto, a meno che eventualmente non sia diventato in qualche modo squilibrato.
M. - Quindi chi giudica migliore una cosa peggiore, senza dubbio è privo della conoscenza della cosa?
D. - Sì.
M. - Se dunque mi convincerai o dimostrerai che un mimo ha conseguito ed esibisce la propria abilità, seppur ce l'ha, non per piacere alla massa a scopo di lucro e di celebrità, allora ti concederò che è possibile avere scienza della musica ed essere un mimo.
Ma se è assai probabile che si fa il mimo soltanto per proporsi esclusivamente come fine della professione il lucro e la celebrità, devi ammettere o che i mimi non hanno vera conoscenza della musica, oppure che fanno meglio essi a chiedere popolarità e altri vantaggi soggetti al caso, che noi l'intelligenza.
[ E poiché essi chiedono dagli altri fama e vantaggi, ma non chiedono da noi intelligenza, quando apprezzano sconsideratamente ciò che è illiberale appunto perché più piacevole, appare che non ne hanno scienza ].
D. - Ho concesso le premesse. Veggo che devo concedere anche la conclusione.
Mi pare impossibile trovare un uomo di teatro che ami la propria arte per se stessa e non per vantaggi estranei.
A stento se ne potrebbe trovare qualcuno dal ginnasio.
Ma se qualcuno ve n'è stato o ve ne sarà, non sembra che per questo si devono disprezzare i musici, ma piuttosto riabilitare una buona volta i mimi.
Quindi esponi, per favore, le caratteristiche di questa grande disciplina, che ormai non m'è più possibile considerare illiberale.
Indice |
1 | Censorino, De die nat. 10, 2 |
2 | Virgilio, Georg. 3, 316 |
3 | Omero, Odyss. 17, 291 ss |