La musica |
Ora esponiamo qualche nozione sulla mescolanza dei piedi e sulla strofa metrica.
Sono stati già esposti molti concetti quando abbiamo esaminato quali piedi si devono mescolare fra di loro.
Per quanto attiene alla strofa metrica si dovranno esprimere alcuni concetti quando cominceremo a trattare del verso.
In definitiva i piedi si uniscono in un contesto secondo le regole trattate nel secondo libro.
Si deve sapere a proposito che tutte le forme di metro, che sono state rese celebri dai poeti, hanno i loro creatori e perfezionatori e che da essi sono state dettate leggi ben definite che è proibito abrogare.
Dal momento infatti che le hanno stabilite con metodo razionale, non è conveniente derogare da esse, quantunque si potrebbe sempre nel rispetto della razionalità e senza offesa dell'estetica uditiva.
La conoscenza di questo argomento non è affidata all'arte ma alla tradizione, quindi anziché avere conoscenza si accetta l'autorità.
Non possiamo neanche avere scienza, se non saprei quale poeta di Falerii ha composto i metri che suonano così:
Quando flagel/la ligas, ita/ liga, Vitis et ul/mus uti simul/ eant.7
Possiamo soltanto accettare la tradizione ascoltandoli e leggendoli.
È invece compito, che ci riguarda, dell'arte poetica esaminare se questo metro si compone di tre dattili e di un pirrichio finale, come suppongono molti inesperti di musica.
Essi non hanno capacità d'intendere che il pirrichio non può esser posto dopo il dattilo o che piuttosto, come la teoria insegna, il primo piede in questo metro deve essere un coriambo, il secondo uno ionico con una lunga divisa in due brevi e l'ultimo un giambo, dopo il quale si avrà una pausa di tre tempi.
Gli individui non del tutto incolti potrebbero constatarlo se il metro fosse pronunciato e cadenzato da un grammatico secondo i due modi citati.
Così con gusto naturale e proprio di tutti giudicherebbero che cosa prescrive la regola dell'arte.
Comunque si deve rispettare la norma voluta dal suddetto poeta, che cioè, quando si usa questo metro, i ritmi rimangono invariabili.
Infatti questo metro non delude l'udito.
Non lo deluderebbe comunque, anche se si ponesse al posto del coriambo un digiambo o lo stesso ionico senza scomporre la lunga in brevi o qualunque altro fosse in euritmia.
Dunque non si dovrà variare nulla in questo metro, non perché si deve evitare la mancanza di proporzione, ma perché si rispetta la tradizione.
La teoria insegna che sono istituiti metri invariabili, ai quali, cioè, non bisogna cambiare nulla, come quelli di cui abbiamo già parlato abbastanza, altri invece variabili, nei quali si possono usare piedi in luogo di altri, come in questo: Troiae/ qui pri/mus ab o/ris, ar/ma virum/que cano.
Infatti in esso è possibile sostituire in qualsiasi posto uno spondeo con un anapesto.
Ve ne sono altri né totalmente invariabili né totalmente variabili, come questo:
Pendeat/ ex hume/ris dul/cis chelys,
Et nume/ros e/dat vari/os quibus
Assonet/ omne vi/rens la/te nemus,
Et tor/tis er/rans qui/ flexibus.8
Puoi osservare che in esso si possono ovunque porre spondei e dattili, tranne che all'ultimo piede che l'autore del metro ha voluto fosse sempre un dattilo.
E puoi osservare che in queste tre forme di metri la tradizione ha il suo peso.
Per quanto riguarda, nella commischianza dei piedi, la competenza della facoltà razionale che sola può giudicare del dato sensibile, si deve tener presente ciò che segue.
Le parti dei piedi che, quando si ha la pausa, sono poste aritmicamente dopo certi piedi, come il giambo dopo il ditrocheo o l'epitrito II, lo spondeo dopo l'antispasto, si collocano irregolarmente anche dopo altri piedi che ad essi sono mescolati.
Infatti è chiaro che il giambo è posto regolarmente dopo il molosso, come indica il seguente metro se ripetuto più volte con pausa finale di tre tempi: Ver blandum/viret/floribus.
Ma se in luogo del molosso è posto un ditrocheo al principio, come in questo caso: Vere terra/viret/floribus, l'udito lo rifiuta decisamente.
Ed è facile mediante il giudizio dell'udito far la prova anche con altri metri.
E se ne ha una motivazione evidente.
Quando piedi fra loro congiungibili vengono congiunti, si devono aggiungere alla fine parti che si accordano con tutti i piedi collocati in quel contesto perché non nasca in qualche modo un contrasto fra i piedi commischiati.
Il fatto che meraviglia di più è che, quantunque lo spondeo chiuda ritmicamente il digiambo e il ditrocheo, tuttavia quando entrambi questi piedi si trovano in una serie o soli o comunque mescolati con altri congiungibili ad essi, lo spondeo non può seguirli con il benestare dell'udito.
Non v'è dubbio che l'udito percepisce con diletto questi due metri ripetuti ad uno ad uno e separatamente: Timenda res/ non est e Iam timere/ noli, ma se li congiungi così: Timenda res/ iam timere/ noli, non vorrei ascoltarli che in prosa.
Non meno aritmico è il metro, se si congiunge in un punto qualsiasi un altro piede, come un molosso in questo modo: Vir fortis/, timenda res /, iam timere/ noli; o così: Timenda res /, vir fortis/, iam timere/ noli; o anche così: Timenda res/, iam timere/, vir fortis/, noli.
E causa dell'aritmia è che il digiambo avrebbe anche la percussione del due e uno, mentre il ditrocheo dell'uno e due.
Ora lo spondeo è eguale in tempi alle loro parti che hanno il due, ma poiché il digiambo attrae lo spondeo verso la propria parte iniziale e il ditrocheo a quella finale, ne nasce un certo contrasto.
E in tal modo il ragionamento elimina la nostra meraviglia.
Non minore stupore desta l'antispasto.
Se nessun altro piede gli si unisce o il solo digiambo in un determinato modo, permette che il metro si chiuda col giambo, ma niente affatto se è accompagnato da altri piedi.
Unito al dicoreo rifiuta il giambo a causa dello stesso dicoreo.
E fin qui non me ne stupisco affatto.
Ma non so proprio perché congiunto con altri piedi di sei tempi rifiuta alla fine il giambo che è di tre tempi.
È forse una cagione più nascosta di quanto sia possibile a noi scoprirla con evidenza.
Ma dimostro il fatto con questi esempi.
Non si mette in dubbio che questi due metri: Potestate/placet e Potestate/potentium/placet, con una pausa di tre tempi alla fine si enunciano entrambi ritmicamente.
Ma aritmicamente con la medesima pausa questi: Potestate/ praeclara/ placet, Potestate/ tibi multum/ placet, Potestate/ iam tibi sic/ placet, Potestate/ multum tibi placet, Potestate/ magnitudo/ placet.
Per ciò che attiene alla facoltà percettiva, essa ha adempiuto alla propria funzione nel problema in parola e ha indicato ciò che ha accettato e ciò che ha rifiutato, ma sulla cagione del fenomeno bisogna consultare la facoltà razionale.
E la mia in tanta oscurità non può che vederla in questi termini.
L'antispasto ha la sua prima parte eguale a quella del digiambo poiché entrambi cominciano con una breve e una lunga, la seconda parte invece con un dicoreo perché sono chiusi entrambi da una lunga e una breve.
Perciò l'antispasto posto da solo ammette alla fine del metro il giambo che corrisponde alla sua prima parte e lo ammette, anche se unito al digiambo col quale ha questa parte eguale.
Ammetterebbe il giambo finale anche col dicoreo, se col dicoreo si accordasse tale chiusura.
Unito con gli altri invece non lo ammette perché il giambo contrasta in tale congiungimento.
Indice |
7 | Settimo Severo, attr. Terenziano, De metris 2001; G.L. 6, 385; Mario Vittorino, Ars gramm., in G.L. 6, 122, 16-17; Servio, In Verg. Aen. 4, 291 |
8 | Pomponio, attr. Terenziano, De metris 2135-41: G.L. 6, 389; Mario Vittorino, Ars gramm., in G.L. 6, 115, 15-17 |