La musica |
Stando così le cose, tentiamo, se ci è possibile, di trascendere questi ritmi di giudizio e indaghiamo se ce ne sono altri superiori.
E sebbene in essi non si notano più lunghezze di tempo, si usano soltanto per valutare eventi che si hanno in lunghezze di tempo, e non tutti ma solo quelli che sono distribuiti nel ricordo.
Hai qualche difficoltà da esporre in proposito?
D. - Lo straordinario potere dei ritmi di giudizio mi impressiona assai, mi sembra infatti che sono essi ai quali sono ricondotte tutte le funzioni dei sensi.
Non so dunque se fra i ritmi se ne può trovare qualcuno più eccellente di essi.
M. - Non si perde nulla a indagare più diligentemente.
Infatti o ne troveremo di più perfetti nell'anima umana, o confermeremo che quelli di giudizio sono in essa i più perfetti, se tuttavia si evidenzierà che in essa non se ne hanno di più elevati.
Altro è infatti che non ci siano ed altro che non si possano scoprire da nessuno o da noi.
Ma io penso che quando si canta il verso proposto come esempio: Deus creator omnium, lo ascoltiamo con i ritmi espressi, lo riconosciamo con quelli di memoria, lo formuliamo con quelli in formazione, ne siamo dilettati esteticamente in virtù dei ritmi di giudizio e lo valutiamo con non so quali altri ritmi.
Ma sul fondamento del diletto estetico, che è quasi la sentenza dei ritmi di giudizio palesi, noi pronunciamo mediante ritmi più nascosti una sentenza più consaputa.
Oppure, secondo te, è lo stesso esser dilettati dal senso e valutare con la ragione?
D. - Ammetto che sono due cose diverse.
Ma prima di tutto mi sento turbato dal nome stesso per il fatto che non siano chiamati ritmi di giudizio quelli in cui è presente la ragione, anziché quelli in cui è presente il diletto estetico.
Temo poi che la valutazione della ragione non sia altro che un giudizio approfondito dei ritmi su se stessi.
Non vi sarebbero, cioè, ritmi nel fatto estetico e ritmi nella ragione, ma sarebbero gli stessi e medesimi ritmi che giudicano in maniera diversa i ritmi sensibili quando li presenta la memoria, come è stato dimostrato, e giudicano se stessi nella più pura sfera sovrasensibile.
M. - Non ti preoccupare dei nomi; è un affare che dipende da noi poiché i nomi sono imposti dall'arbitrio e non dalla natura.
Se dunque ritieni che i due ritmi sono identici e non vuoi accettare due diversi modi di ritmo, ti confonde, salvo errore, il fatto che una medesima anima produce gli uni e gli altri.
Ma devi riflettere che anche nei ritmi in formazione la medesima anima muove il corpo o è mossa verso il corpo, che negli espressi questa medesima anima reagisce alle modificazioni del corpo e che in quelli di memoria essa stessa si muove sulle onde dei ricordi fino a quando non si placano.
Quindi noi nel fare i ritmi e distinguerne i diversi modi prendiamo in considerazione movimenti e stati diversi di un solo essere, cioè dell'anima.
Or dunque altro è esser mossa verso gli oggetti che modificano il corpo, che si ha nella sensazione, altro è muoversi al corpo che si ha nel produrre ed altro conservare l'effetto prodotto nell'anima da questi movimenti, che è ricordare.
Allo stesso modo altro è accettare o rifiutare movimenti ritmici nell'atto che sono prodotti o quando sono rievocati dal ricordo, e questo si ha nel diletto della concordanza di tali movimenti o stati diversi e nel fastidio della loro discordanza; e altro è valutare se danno diletto estetico secondo una norma razionale o no, e questo si ha con un atto di ragione.
Dobbiamo dunque ammettere che sono due modi distinti, come tre sono quelli detti di sopra.
Se dunque ammettiamo ragionevolmente che qualora il sentimento estetico non fosse compenetrato esso stesso di alcuni ritmi, non potrebbe certamente approvare le misure regolari e rigettare le discordanti, dobbiamo anche ammettere che la ragione, la quale trascende il sentimento estetico, non potrebbe assolutamente senza dei ritmi più duraturi giudicare dei ritmi che le sono inferiori.
E se questo è vero, è evidente che sono stati trovati nell'anima cinque modi di ritmi, e se vi aggiungerai i ritmi corporei, che abbiamo chiamato sonori, riconoscerai che ne sono stati classificati e disposti in ordine sei modi.
Ora, se vuoi, siano chiamati sensibili i ritmi che si sono introdotti quasi di nascosto per avere la precedenza nella trattazione ed abbiano il nome, perché più dignitoso, di ritmi di giudizio estetico questi ultimi che sono stati riconosciuti più eccellenti.
Penserei di cambiare nome anche ai ritmi sonori perché, chiamandoli corporei, designeranno anche più apertamente i ritmi della danza e della mimica.
Sempre che tu approvi i concetti esposti.
D. - Certo che li approvo perché mi sembrano veri ed evidenti, accetto anche questa rettifica dei termini.
M. - Ed ora rifletti sul potere dialettico della ragione nei limiti in cui possiamo intuirlo dalle sue opere.
Infatti per parlare soprattutto di ciò che concerne l'assunto di questa opera, prima di tutto ha considerato in che cosa consiste la misura ritmica secondo arte e ha stabilito che consiste in un certo movimento libero e volto al fine della propria bellezza.
Quindi essa ha compreso che nei movimenti sensibili altro è l'essere variato mediante brevità e lunghezza di tempo, secondo che si ha maggiore o minore lunghezza, ed altro è esser variato mediante la percussione nello spazio secondo certi gradi di velocità o di lentezza.
Fatta questa distinzione, essa ha compreso come la variazione, che è nella successione di tempo mediante lunghezze misurate e adattate all'udito, ha dato origine con diversi congiungimenti ai vari ritmi e ha descritto i loro schemi e distribuzione fino alle misure dei versi.
Infine ha considerato quale funzione nel misurare i ritmi, formarli, ascoltarli e ricordarli esercita l'anima, di cui essa stessa è la parte superiore, ha distinti questi che sono dell'anima da quelli del corpo ed ha conosciuto che neanche essa potrebbe percepire questi ritmi, distinguerli e conferire loro ritmicità secondo arte senza certi suoi ritmi e li ha considerati più perfetti di quelli di ordine inferiore con una sua valutazione estetica.
A questo punto, quando l'anima agisce così con un proprio diletto estetico, il quale pondera la successione dei tempi ed esprime il proprio giudizio per misurare i ritmi suddetti, che cosa è che apprezziamo nei ritmi sensibili?
Soltanto una determinata consonanza e le lunghezze misurate con eguaglianza.
Il pirrichio, lo spondeo, il dattilo, l'anapesto, il proceleusmatico, il dispondeo, non produrrebbero diletto se non rapportassero una delle loro parti all'altra con divisione quantitativamente equivalente.
Il giambo, il trocheo e il tribraco hanno di bellezza che con la loro parte minore dividono con eguaglianza la parte maggiore in due parti di eguale quantità.
Inoltre i piedi di sei tempi suonano con leggiadra finezza soltanto perché hanno divisione secondo l'uno e l'altro schema, cioè in due sedi eguali di tre tempi, oppure in una parte di un tempo e un tempo e in un'altra di due e due tempi.
In questo modo la maggiore contiene due volte la minore e a sua volta è divisa con equivalenza dalla minore che con i due tempi scompartisce i quattro in misure di due tempi ciascuna.
E i piedi di cinque e sette tempi sembrano più adatti alla prosa che al verso soltanto perché la loro parte minore non divide la maggiore in parti uguali.
Ma sono ammessi secondo il loro schema a dare la ritmicità dei tempi perché nei piedi di cinque tempi la parte minore ha costantemente due tempi primi mentre la maggiore tre tempi primi, e nei piedi di sette tempi la parte minore ha costantemente tre tempi primi mentre la maggiore quattro.
Così in tutti i piedi non v'è mai la parte più piccola caratterizzata con la divisione da una determinata misura, se ad essa le altre non concordano nella massima eguaglianza possibile.
Nella combinazione dei piedi, sia che essa si svolga in una libera successione, come nei ritmi, sia che ritorni a capo da una fine ben determinata, come nei metri, sia anche che si distingua in due cola, i quali si corrispondano con un determinato schema, come nei versi, un piede si congiunge ad un altro soltanto in base al fattore della eguaglianza.
E proprio per questo la sillaba di mezzo del molosso e degli ionici, che è lunga, può essere divisa in due tempi eguali non scindendola ma a facoltà di chi recita con la percussione, sicché il piede rientra nel rapporto di tre a tre, quando è combinato con quelli che hanno il medesimo rapporto fra le parti.
E questo si ha soltanto per la validità del principio d'eguaglianza perché, cioè, la sillaba di mezzo è equivalente alle due laterali che sono di due tempi ed anche essa è di due tempi.
Ma non si può ottenere nell'anfibraco, quando è unito ad altri piedi di quattro tempi, appunto perché in esso non si trova una simile eguaglianza, dato che la sillaba di mezzo è di due tempi e le laterali di un tempo.
Per lo stesso motivo con le pause non si froda l'udito, perché il debito viene pagato al diritto d'eguaglianza non in suono ma in lunghezza di tempo.
Così una sillaba breve seguita dalla pausa viene considerata lunga non per convenzione ma per un connaturato criterio che regola l'udito, soltanto perché è vietato dal medesimo principio d'eguaglianza restringere in limiti più stretti un suono posto in una quantità di tempo maggiore.
Pertanto il significato stesso di udire e tacere consente di prolungare una sillaba oltre i due tempi in modo che sia occupata dal suono la quantità di tempo che si può occupare con la pausa.
Al contrario se la medesima sillaba occupa meno di due tempi e rimane un po' di tempo per un movimento senza suono delle labbra, si ha una violazione della eguaglianza perché eguaglianza non si ha fra meno di due cose.
Infine nella eguaglianza dei cola, con la quale si hanno i vari sistemi, che i greci chiamano περίοδοι, e si pongono versi di schema diverso, si torna con un approfondimento al concetto di eguaglianza per il semplice fatto che il colon più breve si raccorda nella percussione col più lungo mediante l'equivalenza dei piedi.
Nel verso poi in un approfondito esame dei ritmi, si scopre che i commi in esso congiunti, sebbene ineguali, conservano la dinamica dell'eguaglianza.
La ragione continua l'indagine e sottopone a interrogatorio il sentimento estetico che si attribuisce le mansioni della critica.
Gli si chiede se, mentre lo diletta l'eguaglianza nei ritmi delle lunghezze di tempo, due sillabe brevi, che abbia sentito, sono veramente eguali, oppure se è possibile che una delle due sia pronunciata più lentamente, non fino alla quantità di una lunga, ma un po' meno, tanto da superare comunque la sua compagna.
Non si può negare che è possibile, sebbene il sentimento estetico non percepisce queste sfumature e riceve godimento da tempi ineguali come se fossero eguali.
E niente v'è di più sgradevole di tale errore e ineguaglianza.
Dal fatto si è ammoniti a volgere il godimento estetico in altro senso da questi ritmi che sono imitazioni della eguaglianza e non si può avere certezza se ci danno la pienezza.
Anzi si è certi forse che non ne danno la pienezza, e tuttavia non si può negare, proprio perché ne sono imitazioni, che sono belli nel loro ordine e in virtù d'una loro finalità.
Non abbiamo dunque un cattivo concetto delle cose che ci sono inferiori e con l'aiuto del Dio e Signore nostro ordiniamoci al fine fra le cose che sono sotto di noi e quelle che sono sopra di noi per non essere ostacolati dalle inferiori ed essere dilettati soltanto dalle superiori.
Il godimento è appunto quasi la legge di gravitazione dell'anima.
Il godimento dunque muove l'anima al fine.
Dove infatti sarà il tuo tesoro, ivi sarà anche il tuo cuore; ( Mt 6,21 ) dove il godimento, ivi il tesoro; dove il cuore, ivi la felicità o l'infelicità.
E cose superiori sono quelle in cui è permanente la sovrana, stabile, non diveniente, eterna eguaglianza.
In essa non v'è il tempo perché non v'è divenire e da essa i tempi hanno origine, sono diretti al fine e regolati come imitazioni dell'eternità attraverso i periodi in cui il moto circolare del cielo torna all'identico, riconduce all'identico i corpi celesti e obbedisce alle leggi d'eguaglianza, armonia e finalità con i giorni, i mesi, gli anni, i lustri e gli altri movimenti orbitali delle stelle.
Così le cose terrene sottomesse a quelle celesti fondono in una ritmica successione i movimenti orbitali dei propri tempi in un quasi poema dell'universo.
Molte di queste cose ci sembrano senza e contro finalità, poiché siamo inseriti, secondo i nostri meriti, nel loro ordinamento al fine, senza conoscere quale opera di bellezza la divina Provvidenza sta compiendo nei nostri confronti.
Se qualcuno, ad esempio, fosse collocato come una statua in un angolo di una sala molto spaziosa e bella, non potrebbe percepire la bellezza della costruzione perché ne fa parte.
Così un soldato in una schiera non può cogliere la disposizione di tutto l'esercito.
E se in qualche composizione poetica le sillabe si animassero a percepire solo per il tempo in cui si ode il loro suono, non potrebbero certamente godere della ritmicità e bellezza dell'opera nella sua interezza, perché non potrebbero valutarla in una visione unitaria, sebbene sia stata condotta a termine per mezzo di ognuna di esse nel loro susseguirsi.
Così Dio ha ordinato l'uomo che pecca, e quindi fuori dell'ordine, ma non contro l'ordine.
Infatti si è posto fuori dell'ordine per sua volontà col perdere la tendenza all'uno che possedeva finché ha obbedito ai precetti di Dio ed è stato ordinato al fine soltanto in parte, in modo che non avendo voluto condurre al fine la legge è condotto al fine dalla legge.
Ora tutto ciò che si fa secondo legge, si fa con giustizia e tutto ciò che si fa con giustizia, non si fa contro l'ordine, poiché anche nelle nostre opere malvagie le opere di Dio sono giuste.
Infatti l'uomo in quanto uomo è un bene, l'adulterio invece in quanto adulterio è necessariamente un male, ma spesso dall'adulterio nasce un uomo, cioè dall'opera cattiva, dell'uomo l'opera buona di Dio.
Ma torniamo all'argomento, giacché per chiarirlo abbiamo fatto queste considerazioni.
I ritmi della ragione eccellono in bellezza.
Se ci separassimo da essi, nel piegarci verso il corpo, i ritmi in formazione non darebbero la misura a quelli del senso.
Questi a loro volta conducono la bellezza sensibile dei tempi ai corpi da muovere, e così si formano anche i ritmi espressi nel loro incontro con i sonori.
L'anima, ricevendo tutte queste impressioni, le moltiplica, per così dire, in se stessa e produce i ritmi del ricordo.
E questo dinamismo dell'anima è chiamato memoria, grande aiuto nelle attività molteplici della esperienza sensibile.
Dunque tutti gli oggetti conservati dalla memoria e derivanti dai movimenti dell'anima, che sono reazioni alle modificazioni del corpo, sono detti in greco φαυτασίαι.
Non trovo come vorrei chiamarli in latino.
Ritenere come conoscenze certe tali rappresentazioni è adesione allo scetticismo che è portinaio dell'errore.
Ma quando questi movimenti si scontrano e divengono, per così dire, un mare agitato per i diversi e contrastanti venti dell'atto di coscienza, si ha un generarsi di movimenti da altri movimenti, ma non di quelli che si hanno dall'irrompere delle modificazioni del corpo impressionato nell'organo sensoriale, ma simili, quasi immagini di immagini.
Hanno insegnato a chiamarli fantasmi.
In un modo infatti mi rappresento mio padre che ho visto spesso e in un altro mio nonno che non ho mai visto.
Il primo dato è rappresentazione, l'altro fantasma.
Quello lo trovo nella memoria, l'altro in quel movimento dell'anima che è sorto dagli oggetti conservati nella memoria.
È difficile scoprire e spiegare come abbiano origine i fantasmi.
Penso comunque che se non avessi mai visto corpi umani, non potrei in alcun modo rappresentarmeli al di dentro con forma visibile.
Ora ciò che mi figuro da un oggetto visto, me lo figuro con la memoria, e tuttavia altro è trovare nella memoria la rappresentazione del fantasma e altro trar fuori il fantasma dalla memoria.
Ma lo può il dinamismo dell'anima.
Però è assai grande errore considerare come oggetto di conoscenza i fantasmi anche se veri.
Comunque nell'uno e nell'altro caso v'è ciò che non irragionevolmente possiamo considerare l'aver coscienza, cioè avere rappresentato o immaginato quegli oggetti.
Infatti non sono uno sconsiderato se dico di avere avuto un padre e un nonno, ma sarei proprio pazzo se dicessi che sono quelli che la mia coscienza conserva nella immaginazione o nel fantasma.
Ma alcuni accettano i propri fantasmi con tanta sconsideratezza che unico contenuto di tutte le false filosofie è quello di considerare come oggetti di conoscenza derivati dal senso le immaginazioni e i fantasmi.
Opponiamoci dunque a questi oggetti e non commisuriamo ad essi la mente al punto di ritenere che mentre se ne ha una rappresentazione comprensiva, essi siano oggetto di puro pensiero.
Se dunque tali ritmi, che si hanno nell'anima nel suo applicarsi ad azioni poste nel tempo, hanno una loro bellezza, anche se essi la realizzano attimo per attimo nel loro divenire, perché la divina Provvidenza disapproverebbe tale bellezza?
È vero che si configura dalla nostra soggezione al divenire, dovuta alla pena che abbiamo meritato per giusta legge di Dio.
Tuttavia egli non ci ha abbandonato in essa al punto che non possiamo tornare sui nostri passi ed essere distolti dal piacere dei sensi della carne per la misericordia di lui che ci tende la mano.
Infatti questo piacere infigge profondamente nella memoria ciò che essa deriva dai sensi che sono causa di cadute.
E l'esperienza dell'anima nella carne, a causa della soggezione alla carne, è chiamata nella Sacra Scrittura carne.
Essa lotta contro la mente, quando si può applicare il detto dell'Apostolo: Con la mente sono soggetto alla legge di Dio, con la carne alla legge del peccato. ( Rm 7,25 )
Ma se l'anima si solleva stabilmente alle cose spirituali e vi rimane, l'assalto dell'esperienza carnale si frange e respinto un po' alla volta cessa.
Infatti era più forte quando non opponevamo resistenza, non cessa mai del tutto comunque, ma diminuisce quando resistiamo.
Così tutta la nostra esistenza, mediante un consaputo regredire da ogni movimento che allenta ogni freno e nel quale consiste il deperire dell'essere dell'anima, riottenendo il godimento dei ritmi razionali, si volge a Dio, mentre dà al corpo i ritmi dell'assenza dalle passioni e non ne trae diletto.
Ciò si compirà con la distruzione dell'uomo esteriore e la sua trasformazione in un essere più perfetto.
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