Questioni sui Vangeli |
30 Se presenta degli invitati alla cena come provenienti dalla città, vuol riferirsi ai credenti che provenivano dal popolo giudaico, ma solo quelli che, debilitati dal peccato non avevano la superbia di chi si ritiene nella giustizia.
Non avevano cioè quella superbia fallace che teneva lontani dalla grazia i loro caporioni.
Quando poi si rivolge agli altri che sono tra le siepi e lungo le strade e ordina loro di lasciarsi condurre perché c'è ancora posto, si riferisce ai pagani, che camminavano nelle più disparate vie dell'errore e fra le spine dei peccati.
31 Le spese per costruire la torre sono le forze necessarie per ottenere una incondizionata sequela di Cristo, e i diecimila che si mettono a combattere contro il re che ne ha ventimila indicano la semplicità del cristiano che si dispone a lottare contro la doppiezza del diavolo, cioè contro i suoi inganni e le sue false lusinghe.
Il Signore colloca queste virtù nel cuore di colui che rinunzia a tutto ciò che ha di proprio.
Conclude infatti così: Orbene, allo stesso modo chiunque fra voi non rinunzia a tutto ciò che ha di proprio non può essere mio discepolo.
Fra tutte le cose a cui si deve rinunziare occorre comprendere la stessa vita temporale, che bisogna possedere come un bene transitorio, per cui anche se uno ti minacciasse di togliertela non ti ostacolerebbe di raggiungere la vita eterna.
Il Signore spaventa l'uomo che non aveva completato la torre indicando anche le parole degli schernitori: Costui cominciò a costruire ma non riuscì a portare a compimento.
Nel re col quale avrebbe dovuto combattere il primo re il Signore pone sotto accusa la stessa pace dicendo: Mentre egli è ancora lontano gli manda un'ambasceria e gli chiede le condizioni di pace.
Con ciò vuol segnalare che gli uomini che non rinunziano totalmente ai loro averi non sono capaci nemmeno di sostenere le minacce delle tentazioni diaboliche incombenti e si riducono a far pace col maligno consentendo alle sue suggestioni e commettono peccati.
Esser discepolo di Cristo infatti comporta costruire la torre e combattere contro questo re; e avere i fondi per costruire la torre e i diecimila forti per contrastare i ventimila dell'altro re è rinunziare a tutto ciò che appartiene al diavolo.
32 Chiama sale senza sapore l'apostata e pecora smarrita tutti i peccatori che si riconciliano con Dio mediante la penitenza.
Questa pecora egli la porta sulle spalle nel senso che per sollevare i peccatori egli si fece umile.
Che se lascia nel deserto le novantanove pecore, lo dice per indicare i superbi, che nutrono in cuore una specie di solitudine: essi vogliono apparire soli ma per raggiungere la perfezione manca loro l'unità.
In effetti, quando uno si stacca dalla vera unità, chi lo stacca è la superbia: volendo essere autonomi non si pongono al seguito di quell'Uno che è Dio.
La figura di questi superbi il Signore la pone nelle novantanove pecore e nelle nove dracme: eccoli infatti presumere di se stessi e anteporsi agli altri peccatori che tornano sulla via della salvezza.
Dovunque è il numero uno che manca: manca nel nove per far dieci, nel novantanove per far cento e in tutti i numeri simili che ti metta a considerare.
Così manca uno a novecentonovantanove per essere mille, a novemilanovecentonovantanove per essere diecimila.
Possono cambiarsi i numeri accorciandoli o ampliandoli, ma se manca l'uno non sono completi.
L'uno invece, senza che lo si cambi mai, restando sempre identico in se stesso, quando lo si aggiunge rende perfetti; e il Signore lo applica a tutti coloro che si riconciliano facendo penitenza.
Infatti la penitenza è frutto di umiltà.
33.1 L'uomo che aveva due figli è da identificarsi con Dio, il quale ha due popoli, come due propaggini della famiglia umana.
Di questi due l'uno sono coloro che rimasero fedeli al culto dell'unico Dio, l'altro coloro che abbandonarono Dio e adorarono gli idoli.
La considerazione deve estendersi fino all'inizio della creazione dei mortali.
Orbene, il figlio maggiore rappresenta il popolo che venerò l'unico Dio; quanto al minore, si dice di lui che partì per una regione lontana.
Chiese al padre la porzione dei beni che gli spettava, come fa l'anima che ringalluzzita delle sue facoltà si arroga quanto concerne il vivere, il capire, il ricordare e il brillare per un vivace ingegno.
Sono, tutti questi, dei doni divini in quanto fu il Padre che distribuì ai figli parte del suo patrimonio.
Ricevuti i doni e gestendoli secondo il potere del proprio libero arbitrio, il figlio minore partì per una regione lontana.
Abbandonando il padre, usò male degli stessi doni naturali: per la voglia di saziarsi delle creature abbandonò il suo Creatore. ( Rm 1,25 )
Dopo non molti giorni, radunate tutte le sue cose partì allo sbaraglio per una lontana regione: non molto tempo dopo la creazione piacque all'anima, in forza del libero arbitrio, scegliersi la compagnia di una non so quale risorsa della sua stessa natura e abbandonare colui che l'aveva creata, a ciò spinta da un'esagerata fiducia nelle sue energie, ( Gen 3,1-7 ) che però si consumano assai presto quando si abbandona colui dal quale ci sono state date.
Per questo motivo la sua vita è definita vita da prodigo, cioè una vita che ama largheggiare e diffondersi in vanità esteriori, mentre al di dentro si svuota: cose che accadono a chi diventa schiavo delle esigenze d'una vita sregolata e abbandona colui che risiede all'interno dell'uomo.
Dunque la regione lontana è la dimenticanza di Dio.
La fame che incontrò in quella regione è la mancanza della parola di verità.
Quel cittadino di quella regione è un qualche principe dell'aria, facente parte delle schiere demoniache.
La sua villa, l'ambito del suo potere. I porci, gli spiriti immondi che stanno sotto di lui.
Le ghiande con cui si pascevano i porci sono le dottrine del mondo, risonanti nella loro sterile vanità, con le quali si solleva il chiasso delle lodi per gli idoli e delle favole scritte in vari linguaggi e poesie sul conto degli dèi del mondo pagano: cose tutte di cui gongolano i demoni.
Quando dunque quel giovane voleva saziarsi di tutto ciò, egli voleva, certo, trovare un qualcosa di solido e di retto in tali dottrine che concernesse la vita beata, ma non ci trovava nulla.
Questo dicono le parole: Ma nessuno gliene dava.
33.2 Rientrato in sé: aveva richiamato la sua intenzione dal seguire le cose che dal di fuori allettano - certo vanamente! - e seducono per tornare all'interno della coscienza.
E aveva detto: Quanti mercenari di mio padre hanno pane in abbondanza!
Come poté sapere questa notizia se in lui c'era quella completa dimenticanza di Dio quale si riscontra in tutti gli idolatri?
Ma forse si tratta d'un ripensamento avvenuto in uno che stava rinsavendo e avvenuto quando già il Vangelo veniva predicato.
Egli dunque aveva potuto constatare che molti predicavano la verità ma fra loro ce n'erano alcuni che non lo facevano spinti dall'amore per la verità ma dal desiderio di procacciarsi emolumenti secolari.
Di questi dice l'Apostolo che ci sono alcuni che annunziano il Vangelo in maniera non casta ( Fil 1,17 ) ma pensando che il servizio di Dio può anche essere un tornaconto. ( 1 Tm 6,5 )
In effetti quei tali non predicavano cose diverse da quelle di Paolo, come sogliono fare gli eretici, ma le stesse che Paolo annunciava; non le predicavano però con lo stesso animo dell'Apostolo, per cui a ragione sono chiamati mercenari.
Si trovano infatti nella stessa casa, dispensano lo stesso pane della parola, tuttavia non sono chiamati all'eredità eterna ma arruolati per una retribuzione terrena.
Di costoro è detto: In verità vi dico, hanno ricevuto la loro ricompensa. ( Mt 6,2 )
Disse pertanto il prodigo: Io qui muoio di fame, e aggiunse: Mi alzerò - poiché era steso a terra - e andrò - poiché si era allontanato - da mio padre, poiché allora si trovava alle dipendenze del capo dei porci.
Le parole che seguono sono di uno che si propone il pentimento e la confessione del proprio peccato ma ancora non li mette in pratica.
Non sta infatti ancora dicendo al padre quelle cose ma si ripromette di dirgliele quando andrà da lui.
Quell'andare dal padre dunque per adesso occorre intenderlo come un entrare nella Chiesa mediante la fede per poi trovare nella Chiesa la possibilità di una valida e fruttuosa confessione dei peccati.
Cosa dunque si propone di dire al padre? Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te; non sono più degno d'essere chiamato tuo figlio; prendimi come uno di quei tuoi mercenari.
Può discutersi se quell'ho peccato contro il cielo sia lo stesso che contro di te.
In caso affermativo chiama cielo l'infinita eccelsità del Padre, di cui è detto anche nel salmo: La sua provenienza è dal cielo altissimo, ( Sal 19,7 ) con chiaro riferimento alla stessa persona del Padre.
Tuttavia quell'ho peccato contro il cielo non lo si potrebbe riferire alle anime dei giusti, dove risiede Dio, mentre quel contro di te intenderlo: di te che abiti nell'intimo segreto della coscienza?
33.3 E alzatosi andò da suo padre.
Il padre lo vide quando egli era ancora lontano, prima cioè che comprendesse Dio sebbene già lo ricercasse con religiosa premura.
Quando infatti si parla degli empi e dei superbi è giusto dire che Dio non li vede, nel senso che non li ha presenti dinanzi agli occhi.
Che li si ha dinanzi agli occhi si dice infatti abitualmente di coloro ai quali si vuol bene.
E ne provò compassione: corse e gli si gettò al collo.
In realtà il Padre non si allontanò dal suo Figlio unigenito, mediante il quale come correndo discese sino al luogo del nostro peregrinare, pur così lontano da lui.
In Cristo infatti c'era Dio in atto di riconciliare con sé il mondo. ( 2 Cor 5,19 )
E lo stesso nostro Signore diceva: Il Padre che dimora in me, è lui che compie le sue opere. ( Gv 14,10 )
E quel gettarglisi al collo che cos'è se non piegare il suo braccio e abbassarlo nell'umiliazione al fine di riabbracciare il fuggitivo?
Dice infatti: E il braccio del Signore a chi è stato rivelato? ( Is 53,1 )
Dove braccio del Signore è certamente il nostro Signore Gesù Cristo. E lo baciò.
Per colui che tornava a casa dopo un lungo vagabondare meritarsi il bacio d'amore da parte del Padre significava essere consolato dalla parola della grazia di Dio che dona speranza nel perdono dei peccati.
Entrato nella Chiesa, incomincia la confessione dei peccati, ma non li racconta tutti, come si era ripromesso; arriva solo alle parole: Non sono degno d'essere chiamato tuo figlio.
Desidera che ad opera della grazia si realizzi in lui ciò di cui guardando ai suoi meriti si riconosceva indegno.
Né aggiunse quel che, meditando fra sé e sé, avrebbe voluto dire: Prendimi come uno dei tuoi mercenari.
Quando mancava di pane, aveva desiderato di essere come uno dei suoi mercenari, ma dopo il bacio paterno, datogli con tanta generosità, una simile condizione non lo soddisfa.
La veste migliore è la dignità che Adamo perse; i servi che la recano sono i predicatori della riconciliazione; l'anello alla mano è il pegno dello Spirito Santo ( 2 Cor 5,5 ) con la distribuzione della grazia ben rappresentata dalle dita.
I calzari ai piedi, la prontezza nel dedicarsi alla predicazione senza toccare le cose terrene.
Il vitello grasso è lo stesso nostro Signore nella sua umanità, nella quale fu saziato di scherni.
E l'ordine di recarlo sul posto, cos'altro dice se non che lo si predichi e con il suo annunzio lo si faccia venire nelle viscere dei figli affamati per placarne la fame?
Il comando che esso venga ucciso è un'allusione alla morte di Cristo; egli infatti viene ucciso per ogni uomo che crede nella sua morte.
Continua dicendo: E mangiamo. Sono parole che denotano allegrezza, e lo dimostra il seguito: Poiché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato.
È il banchetto e la festa che si celebra adesso che la Chiesa si è dilatata e diffusa per tutto il mondo.
In effetti quel vitello è offerto al Padre nel Corpo e nel Sangue del Signore e nutre tutta intera la casa.
33.4 A questo punto viene fuori il figlio maggiore, che sarebbe il popolo d'Israele secondo la carne.
Esso non è partito per una regione lontana, tuttavia non è in casa ma nel campo: compie cioè di preferenza - e ciò anche in alcuni israeliti assai eminenti - opere terrene, chiuso nella ricchezza ereditaria della Legge e dei Profeti.
In realtà fra loro spesso sono state trovate, e si trovano ancora, persone di questo tipo.
Venendo dal campo comincia ad avvicinarsi alla casa.
Vuol dire che a un certo momento, rigettando la faticosità delle opere servili, spinto dall'autorità delle Scritture comincia a considerare la libertà della Chiesa.
Ascolta la musica e le danze: ascolta gente che, piena di Spirito Santo, predica il Vangelo con identità di voce ( At 2,4 ) ( di loro infatti è detto: Vi scongiuro, fratelli, a dire tutti identiche cose ( 1 Cor 1,10 ) ) e vive in bella concordia lodando Dio con un'anima sola e un cuore solo. ( At 4,32 )
Chiamato uno dei servi gli chiede cosa sia successo: si mette, evidentemente, a leggere qualcuno dei profeti e facendovi delle ricerche in certo qual modo lo interroga per qual motivo nella Chiesa, a cui egli si accorge di non appartenere, si celebrino di tali feste.
Il profeta, servo del Padre, gli risponde: È tornato tuo fratello e tuo padre ha ucciso il vitello grasso perché lo ha riavuto sano e salvo.
Tuo fratello infatti s'era spinto nelle plaghe più remote della terra; ed è proprio per questo che la gioia di coloro che cantano al Signore un canto nuovo è maggiore: perché la sua lode proviene dall'estremità della terra. ( Is 42,10 )
Anzi, per amore di colui che si era assentato si lasciò uccidere quell'Uomo coperto di piaghe ed esperto delle miserie; ( Is 53,3 ) e coloro che non avevano sentito narrare nulla di lui lo videro, e coloro che nulla avevano ascoltato lo compresero. ( Is 52,15 )
Quel figlio però seguita ad essere stizzato e anche ai nostri giorni ricusa di entrare.
33.5 Quando tutte le genti saranno entrate, a tempo opportuno uscirà ancora il Padre perché si salvi l'intero Israele, di cui una parte è stata colpita da cecità.
Costoro sono come nel campo, e la cosa ha da durare finché l'universalità del figlio minore spintosi molto lontano, praticando l'idolatria del paganesimo, non torni indietro ed entri nella casa paterna a mangiare il vitello. ( Rm 11,25 )
Verrà infatti il momento per la chiamata pubblica dei giudei, che nel Vangelo conseguiranno la salvezza.
Questa chiamata pubblica [ il Signore ] la definisce come un'uscita del Padre per invitare con suppliche il figlio maggiore.
La risposta di questo figlio pone due problemi: come intendere l'affermazione che quel popolo non trasgredì mai il comandamento di Dio e come faccia quel figlio a dire di non avere ricevuto nemmeno un capretto per mangiarlo insieme agli amici.
Orbene, quanto al precetto di Dio da lui non trasgredito viene spontaneo pensare che la frase non si estende a tutti i precetti ma a quel precetto sommamente necessario con cui gli si comandava di non adorare nessun altro dio all'infuori dell'unico Dio, creatore dell'universo. ( Es 20,3 )
E del resto quel figlio non è da prendersi come simbolo di tutti gli israeliti ma solo di coloro che mai passarono al culto dei simulacri abbandonando l'unico vero Dio.
Era, sì, un figlio che si trovava, per così dire, nel campo e come tale bramava beni terreni, tuttavia questi beni li desiderava dall'unico vero Dio, pur trattandosi di cose che l'uomo ha in comune con gli animali.
Al riguardo in un salmo pronunciato dalla sinagoga - in ebraico detta Asaf - si trova detto molto a proposito: Dinanzi a te sono diventato come un animale, ma io sono sempre con te. ( Sal 73,23 )
E il fatto è riconosciuto dallo stesso padre, quando dice al figlio: Tu sei sempre con me.
Non lo rimprovera quasi fosse un bugiardo ma elogia il suo perseverare nel servire Dio e lo invita al godimento d'una gioia più completa e profonda.
33.6 Chi è quel capretto che a lui non fu dato per imbandirci il pranzo?
Di per sé, col nome di " capretto" si suole indicare il peccatore. ( Mt 25,32-33 )
Ma mi guardi il cielo dal vedervi rappresentato l'anticristo.
Non troverei una soluzione per la frase intesa in questo modo; e sarebbe veramente assurdo che colui al quale è detto: Tu sei sempre con me chiedesse al padre di aderire all'anticristo mediante la fede.
Né è possibile in alcuna maniera identificare questo figlio con quella porzione di giudei che credono nell'anticristo.
Se poi questo capretto fosse l'anticristo, come mangerebbero delle sue carni coloro che non credono in lui?
Mangiare del capretto ucciso potrebbe però equivalere a rallegrarsi della brutta fine dell'anticristo.
Ma in questo caso come può il figlio rimasto fedele al padre dire che la cosa non gli è stata accordata, se è vero che tutti i figli di Dio godranno per la condanna eterna dell'antico avversario?
In tale oscurissima questione vorrei dire una cosa, senza peraltro impedire ulteriori e più diligenti ricerche.
Sarei cioè dell'avviso che quel figlio si lamenti perché a lui non è stato concesso in cibo lo stesso nostro Signore, che egli ritiene un peccatore come tanti altri.
Per quel popolo Cristo è un capretto, ad esempio, quando lo prende per uno che viola il sabato ( Mt 12,1-13 ) e trasgredisce la legge; ( Mt 5,17 ) e così gli ebrei non hanno meritato di rallegrarsi al suo convito.
In questa maniera le parole: Non mi hai mai dato un capretto per banchettare con i miei amici equivalgono a queste altre: Colui che a me sembrava un capretto tu mai me l'hai dato per prepararci un banchetto; e non me l'hai dato proprio per il fatto che a me sembrava un capretto.
L'aggiunta: Con i miei amici è da intendersi detta dalle autorità e riguardare il popolo minuto o come detta dagli abitanti di Gerusalemme e riguardare le altre popolazioni della Giudea.
Quanto alle prostitute con le quali il figlio minore è accusato di aver sperperato i suoi beni, con esse s'intendono bene le varie forme di superstizioni.
Accade quando l'uomo, abbandonando l'unico sposalizio legittimo, che è quello con la parola di Dio, comincia a fornicare con l'innumerevole caterva dei demoni, ai quali si concede con indecorosa passione.
33.7 Abbiamo esposto le parole del padre: Tu sei sempre con me.
Ma che cosa significa quell'aggiunta: E tutte le cose mie sono tue?
A questo proposito bisogna guardarsi dall'intendere le parole: Tutte le cose mie sono tue come se non fossero anche del fratello.
Bisogna anche non supporre che se ne possa soffrire penuria quasi che si tratti d'una eredità terrena, dove è evidentemente impossibile che tutto appartenga al maggiore se anche il minore vi ha la sua parte.
Quando si tratta di figli giunti alla perfezione, completamente purificati e divenuti immortali, tutte le cose le si possiedono in modo che esse sono ciascuna di tutti e tutte di ciascuno.
Come infatti la cupidigia non sa possedere nulla senza egoistiche strettezze, così la carità non le sa possedere con la benché minima restrizione.
Ma in che senso: Tutte le cose? Forse che, dirà qualcuno, Dio darà in possesso a quel figlio anche gli angeli e le virtù celesti e le potenze e tutti gli esseri che in cielo sono al suo servizio?
Se prendi la parola "possesso" nel senso che il possessore ne sarà anche il padrone, certo non gli darà tutto.
Gli eletti infatti non saranno padroni degli angeli ma coeredi, come è detto: Saranno uguali agli angeli di Dio. ( Mt 22,30 )
Se invece s'intende un possesso come quando diciamo - e diciamo bene - che l'anima possiede la verità, non vedo perché non possiamo prendere con esattezza e proprietà la parola " tutto" nel senso realmente di tutto.
Parlando infatti della verità, non intendiamo dire che le anime sono padrone della verità che posseggono.
Se non ci è consentito di prendere in questo senso il termine " possesso" se ne eviti anche l'uso.
Il padre infatti non disse: Ti darò il possesso di tutto, e nemmeno: Tu possiedi o possederai tutte le cose mie, ma: Tutte le cose mie sono tue.
Non saranno però sue come lo sono di Dio.
Quanto infatti costituisce la nostra ricchezza può essere per la nostra famiglia o cibo o ornamento o altre cose del genere.
E se quel tale poteva chiamare con fondatezza suo lo stesso padre, non vedo perché non potesse chiamare sue le cose possedute dal padre, purché intenda trattarsi di un diverso modo di possedere.
Quando infatti avremo raggiunto la beatitudine eterna, saranno nostri i beni a noi superiori perché di essi viviamo, nostri i beni uguali a noi dei quali parteciperemo la stessa vita, nostri i beni a noi inferiori perché eserciteremo il dominio su di loro.
Stia dunque perfettamente tranquillo quel fratello maggiore e partecipi alla gioia comune perché il suo fratello minore era morto e tornò in vita, era perduto e fu ritrovato.
34.1 In quel fattore che il padrone scacciò dall'amministrazione e lodò perché fu abile nel provvedersi l'avvenire non dobbiamo prendere tutto come proposto alla nostra imitazione.
Non dobbiamo infatti frodare il nostro Signore nemmeno per elargire in elemosine quanto ricavato dalla frode.
Riguardo poi a coloro dai quali desideriamo essere accolti nei padiglioni eterni non dobbiamo pensare che siano debitori di Dio e del Signore nostro.
Nel brano infatti sono designati i giusti e i santi come coloro che introducono nei padiglioni eterni coloro dai quali nelle loro necessità hanno ricevuto beni terreni.
Di costoro è detto anche che, se qualcuno dà a un suo simile anche un solo bicchiere di acqua fresca in quanto è discepolo del Signore, non sarà privato della sua ricompensa. ( Mt 10,42 )
Similitudini come questa vengono dette perché le si prenda " al contrario", ad esempio perché s'intenda questo: se meritò lode dal padrone colui che lo truffava, quanto più non dovranno piacere a Dio nostro Signore coloro che fanno opere buone per conformarsi al suo precetto?
È lo stesso caso di quel giudice iniquo che veniva scongiurato dalla vedova. ( Lc 18,2-8 )
Il Signore ne trasse l'immagine per farci risalire a Dio giudice, sebbene nessuna similitudine si possa stabilire tra Dio e il giudice iniquo.
34.2 Quell'amministratore al posto di cento barili d'olio ordinò al debitore che scrivesse cinquanta e, invece che cento misure di frumento, scrivesse ottanta.
Credo che non ci sia altro significato all'infuori di questo: a somiglianza di quello che i giudei facevano verso i leviti, e più di loro, ognuno che lavora nella Chiesa di Cristo deve praticare una giustizia superiore a quella degli scribi e dei farisei. ( Mt 5,20 )
Se loro pertanto davano una decima parte, ( Nm 18,21 ) il cristiano deve dare la metà.
Così si comportò Zaccheo, ( Lc 19,8 ) e non solo quanto agli interessi ma addirittura riguardo ai beni che possedeva.
Quanto meno occorre che il cristiano raddoppi la decima, per cui, dando due decime, superi le erogazioni dei giudei.
Il denaro che possediamo per usi temporali è chiamato dal Signore mammona iniquo.
Col nome mammona si designano le ricchezze, le quali non vengono stimate ricchezze se non dai cattivi, che ripongono in esse le loro speranze e l'appagamento della loro felicità.
Se a possederle sono invece i giusti, il denaro vale certo qualcosa, ma le vere ricchezze dei giusti sono soltanto quelle celesti e spirituali, con le quali colmano la loro indigenza nell'ambito dello spirito ed esclusa la miseria e la scarsità delle cose materiali, si arricchiscono dell'abbondanza della beatitudine.
35 Nel detto: Se non siete stati fedeli nelle cose altrui il Signore chiama cose altrui i beni della terra per il fatto che nessuno morendo può portarli con sé. ( 1 Tm 6,7 )
È quanto afferma Davide: Non temere l'uomo quando arricchisce e quando diventa grande la gloria della sua casa.
Quando morrà non porterà via nulla, né la sua gloria scenderà insieme a lui. ( Sal 49,17-18 )
36 Diceva il Signore: O odierà l'uno e amerà l'altro, o si affezionerà all'uno disprezzando l'altro.
Qui occorre un'attenta distinzione, trattandosi di parole non dette per dire o quasi a casaccio.
Non c'è infatti nessuno che, interrogato se ami il diavolo, risponda che lo ama, ma piuttosto che lo odia.
Tutti al contrario, o quasi tutti, dicono a gran voce di amare Dio.
Pertanto è detto: Odierà l'uno e amerà l'altro, cioè, come di dovere, odierà il diavolo e amerà Dio.
Quanto al seguito: O si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro.
Si affezionerà all'uno, cioè al diavolo andando a caccia, per così dire, dei suoi doni temporali, ma così facendo disprezzerà Dio.
Non dice: " lo odierà ", ma lo disprezzerà, come fanno tutti coloro che confidando nella sua bontà si lusingano di passarla liscia con lui e per questo pospongono le sue minacce alle proprie voglie malsane.
A costoro viene detto per bocca di Salomone: Figlio, non aggiungere peccato a peccato e non dire: Grande è la misericordia di Dio. ( Sir 5,5-6 )
37 Il Regno dei cieli patisce violenza e i violenti lo rapiscono, ( Mt 11,12 ) è detto perché ognuno disprezzi le cose mondane, non solo ma anche perché non badi alle lingue di chi lo deride nel suo atteggiamento di disprezzo.
Facendosi una simile violenza egli invade in certo qual modo, come fanno i predoni violenti, il Regno dei cieli.
L'affermazione in effetti è aggiunta al racconto in cui l'evangelista riferisce di Gesù deriso dai farisei perché parlava del disprezzo delle ricchezze. ( Lc 16,14 )
38.1 C'era un ricco che vestiva di porpora e di bisso e ogni giorno banchettava lautamente, ecc.
Sono affermazioni che possiamo prendere in senso allegorico.
Nel ricco possiamo vedere quelli che fra i giudei erano superbi e volevano affermare la loro giustizia, misconoscendo la giustizia di Dio. ( Rm 10,3 )
La porpora e il bisso sono la dignità regia, di cui diceva il Signore: Vi sarà tolto il Regno di Dio e sarà dato a un popolo che pratichi la giustizia. ( Mt 21,43 )
Il banchetto lussuoso è il vanto della legge di cui [ i giudei ] abusavano: pur gloriandosene in un'appariscente iattanza, non ne usavano come mezzo necessario per la salvezza.
Quel mendicante chiamato Lazzaro ( che vuol dire " aiutato" ) rappresenta uno qualsiasi dei pagani o dei pubblicani che si riconosceva bisognoso e quindi viene tanto più aiutato quanto meno presume dell'abbondanza delle sue risorse.
Viene da pensare a quei due che pregavano nel tempio, dei quali uno era pubblicano e l'altro fariseo. ( Lc 18,10 )
Il ricco, sazio, per così dire, della sua giustizia ma per nulla affatto meritevole di essere annoverato fra quei che sono beati per la fame e la sete della giustizia, ( Mt 5,6 ) diceva così: Ti ringrazio perché non sono come questo pubblicano.
Al contrario il povero, che desiderava essere aiutato, diceva: Abbi pietà di me peccatore. ( Lc 18,11-13 )
Ora questo povero, sdraiato alla porta del ricco, desiderava saziarsi delle briciole che cadevano dalla mensa di lui.
Non si consentiva che egli entrasse nella sala da pranzo di quel signore, che non usava come dovuto del suo cibo e non ne dava all'indigente.
Viene da pensare a quello scriba che, avendo la chiave del Regno dei cieli, non vi entrava lui e non consentiva agli altri di entrarvi. ( Lc 11,52 )
Le briciole che cadevano dalla mensa del ricco sono certe parole della legge che i capi del giudaismo sbandieravano, e così gettavano in terra in quanto ne parlavano al popolo pieni di superbia.
Le piaghe sono la confessione ripetuta dei peccati: con esse infatti gli umori cattivi del corpo escono fuori, per così dire, dall'interno dell'organismo.
I cani che le leccavano sono quegli uomini perduti che amando il peccato non la smettono mai di lodare a voce spiegata le loro cattive azioni, mentre viceversa gli altri, quando le trovano in sé, ne gemono e confessandole le detestano. Il seno di Abramo è il riposo dei poveri, cui è promessa la beatitudine; di loro infatti è il Regno dei cieli, ( Mt 5,3 ) e lì saranno accolti al termine di questa vita.
La sepoltura nell'inferno indica la gravità delle pene che dopo questa vita divoreranno i superbi e gli spietati.
Riguardo a questi dannati il Signore afferma nel presente racconto che essi vedono da lontano e conoscono il riposo eterno degli eletti, dove però a loro non è consentito passare.
38.2 Ardendo tutt'intero tra le fiamme, il ricco chiede che gli si rinfreschi la lingua.
Il significato di questo particolare è nel testo scritturale: La morte e la vita sono in potere della lingua, ( Pr 18,21 ) e ancora: Con la bocca si fa la professione di fede per avere la salute; ( Rm 10,10 ) ma quel tale questo non fece a causa del suo orgoglio.
La punta del dito rappresenta la benché minima opera di misericordia con cui mossi dallo Spirito Santo aiutiamo i miseri.
Quando gli si dice: Nella tua vita hai ricevuto i tuoi beni si ha di mira il fatto che egli amò la felicità mondana né amò altra vita all'infuori di quella in cui sfoggiava il gonfiore della sua superbia.
Di Lazzaro si dice che ebbe la sua porzione di mali in quanto si rese conto che la vita quaggiù, essendo vita mortale, include fatiche, dolori, guai, cose tutte che sono pena di quel peccato di cui è scritto: Per natura siamo stati anche noi soggetti all'ira come anche gli altri. ( Ef 2,3 )
Altrove, sullo stesso argomento è scritto che nemmeno il bambino la cui vita sulla terra è durata un giorno può dirsi esente dal peccato. ( Gb 14, 4-5 sec. LXX )
In effetti tutti moriamo in Adamo, ( 1 Cor 15,22 ) che con la sua trasgressione divenne uomo mortale. ( Gen 3,6-19 )
38.3 Si dice in seguito che i giusti, anche se lo volessero, non potrebbero passare là dove sono tormentati gli empi.
Cosa significa questa espressione se non che i dannati, terminata la vita presente, si trovano rinchiusi in un carcere da cui non possono uscire finché non abbiano pagato fino all'ultimo spicciolo? ( Mt 5,26 )
Ad essi per un decreto immutabile della divina sentenza non può essere arrecato nessun aiuto di misericordia dai giusti, anche se costoro lo volessero prestare.
Ci si esorta, in altre parole, ad andare incontro ai bisogni del prossimo durante la vita presente, perché dopo la morte anche se accolti nella somma beatitudine, non potremo soccorrere quelli che amiamo.
Né si citi la frase biblica: Affinché essi a loro volta vi accolgano nei padiglioni eterni. ( Lc 16,9 )
Essa non fu scritta per i superbi e quanti non ebbero viscere di misericordia, come appare essere stato il nostro ricco, quasi che costoro meritino d'essere accolti dai santi in detti padiglioni.
Fu scritta invece per quanti si procurarono amici largheggiando nella pratica delle opere di misericordia.
E anche riguardo a costoro i giusti non li accoglieranno per un potere loro proprio, quasi volendoli gratificare, ma in forza d'una promessa e d'una facoltà loro concessa da colui che nella sua Provvidenza suggerì loro di renderseli amici e che nella sua bontà di redentore si degnò di essere lui stesso nutrito, vestito, ospitato e visitato in ciascuno dei suoi per quanto piccoli. ( Mt 25,35-40 )
A questo punto ci sarebbe la questione, tutt'altro che insignificante, se quell'accoglienza avvenga non appena terminata questa vita ovvero alla fine del mondo, quando i morti risorgeranno e ci sarà il giudizio con la retribuzione ultima e definitiva.
Ma, in qualunque tempo accada, certo non esiste testo scritturale che la prometta a gente quale ci si lascia intendere essere stato quel ricco.
38.4 I cinque fratelli che quell'uomo dice di avere in casa di suo padre rappresentano i giudei.
Si dice che erano cinque perché erano tenuti schiavi sotto la legge data per mezzo di Mosè, ( Gv 1,17 ) scritta in cinque libri.
Egli chiede a Lazzaro che si mandi qualcuno dai suoi fratelli: con ciò si riconosce indegno di testimoniare lui stesso la verità.
E certamente, se non aveva ottenuto un po' di refrigerio per se stesso, tanto meno spera di poter essere sciolto dai lacci degli inferi per andare ad annunziare la verità.
Abramo gli dice: Se vogliono credere hanno Mosè e i profeti.
Non mette Mosè e i profeti al di sopra del Vangelo ma afferma, come dice anche l'Apostolo, che il Vangelo riceve testimonianza dalla Legge e dai Profeti, ( Rm 3,21 ) e inculca che i giudei credendo al Vecchio Testamento sarebbero potuti giungere al Vangelo.
Lo dice del resto anche nostro Signore: Se credeste a Mosè, credereste anche a me; difatti di me egli ha scritto. ( Gv 5,46 )
A questo si riferisce il seguito del discorso: Se non ascoltano Mosè e i profeti, nemmeno se uno risorge dai morti si lasceranno persuadere.
In effetti Mosè e i profeti parlarono profeticamente di colui che sarebbe risuscitato dai morti e con ciò stesso della sua resurrezione dai morti, per cui chi non crede a quanto detto da loro, non potrà credere nemmeno a Cristo.
Molto minore sarà quindi la fede che presteranno a uno qualsiasi che risorge da morte, quando non credono a colui la cui resurrezione fu predetta da Mosè e dai profeti, ai quali ricusano di credere.
38.5 Questo racconto può essere interpretato anche in altra maniera.
Nella persona di Lazzaro possiamo vedere il nostro Signore e nel suo giacere alla porta di quel ricco intendere il fatto che incarnandosi si abbassò al punto che lo potessero ascoltare anche i più superbi tra i giudei.
Desiderava saziarsi con le briciole che cadevano dalla mensa del ricco: cercava tra loro opere di giustizia anche se poche e piccole.
Non avrebbero cioè dovuto per superbia usurpare alcunché alla sua mensa, cioè alla sua autorità, ma avrebbero dovuto compiere qualche volta e a caso almeno opere di misericordia e di umiltà, sia pur minime, e compierle magari senza impegno ordinato e perseverante di una vita buona, ma come succede quando le briciole cadono dalla mensa.
Le piaghe si riferiscono alle sofferenze del Signore nella debolezza della carne che si degnò di prendere per noi.
I cani che andavano a leccarle sono i pagani, che i giudei ritenevano gente peccatrice e immonda, mentre sono proprio i pagani che adesso lambiscono con dolcezza e vivissima devozione in tutto il mondo i patimenti del Signore nel sacramento del suo Corpo e del suo Sangue.
Infine per seno di Abramo s'intendono i segreti penetrali del Padre dove, risorgendo dopo la passione, fu assunto il Signore. ( Mc 16,19 )
Se lo si dice sollevato dagli angeli, è - penso - perché la sua ascensione, che lo portò a celarsi nei penetrali del Padre, fu dagli angeli annunziata ai discepoli che guardavano [ in alto ].
Dicendo infatti: Cosa state a guardare verso il cielo? ( At 1,9-11 ) affermarono che l'occhio umano in nessun modo può penetrare in quel segreto recesso dove andava il Signore allorché, dinanzi allo sguardo dei discepoli, veniva elevato in cielo.
Il resto può interpretarsi secondo la spiegazione precedente, perché gli intimi recessi del Padre possono bene intendersi anche per il posto dove vivono con Dio le anime dei giusti già prima della resurrezione.
È verissimo infatti che Dio è presente dovunque e non è rinchiuso in nessun luogo; eppure al ladrone fu detto: Oggi sarai con me in paradiso. ( Lc 23,43 )
In realtà il Figlio di Dio mai si allontanò dal cielo, nemmeno quando ad opera di uomini subiva tanti patimenti nella capitale dei giudei: cosa a lui possibile per l'umanità che aveva assunta.
39.1 I discepoli gli dissero: Signore, aumenta la nostra fede.
Può certo ritenersi che chiesero un aumento di quella fede con cui si crede alle cose che non si vedono.
Tuttavia si può anche parlare di fede quando si tratta di credere non a delle parole ma a delle realtà già presenti: la qual cosa avverrà quando ai santi sarà dato contemplare in se stessa la sapienza di Dio con cui sono state create tutte le cose, ( Sal 104,24 ) divenuta loro manifesta con visione diretta.
Di questa fede reale e di questa luce che si rende presente [ ai santi ] parla, forse, l'apostolo Paolo quando dice: In esso si rivela la giustizia di Dio di fede in fede. ( Rm 1,17 )
E in un altro passo: Quanto a noi, contemplando a viso scoperto la gloria del Signore saremo trasformati nella stessa immagine, passando di gloria in gloria, come mossi dallo Spirito del Signore. ( 2 Cor 3,18 )
Come in questo passo dice: Di gloria in gloria, così nell'altro: Di fede in fede.
E, quanto alla gloria, si passa dalla gloria del Vangelo dal quale sono ora illuminati coloro che credono alla gloria della stessa immutabile verità che diverrà manifesta a coloro che nell'aldilà saranno trasformati e godranno della sua pienezza.
Lo stesso è della fede. Dalla fede delle parole per le quali ora crediamo a ciò che ancora non vediamo si passa alla fede nella sostanza delle cose, con cui cioè si possiede per sempre ciò che ora crediamo.
In armonia con questa spiegazione è anche il detto di Giovanni nella Lettera ai Parti: Carissimi, già ora siamo figli di Dio ma non è ancora apparso ciò che saremo.
Sappiamo tuttavia che, quando egli apparirà, noi saremo simili a lui perché lo vedremo così come egli è. ( 1 Gv 3,2 )
In forza di che siamo ora figli di Dio se non perché, credendo nel suo nome, ci è stato dato il potere di diventare figli di Dio ( Gv 1,12 ) e così lo possiamo vedere, sia pure in maniera enigmatica?
E come potremo nell'aldilà essere simili a lui se non perché, come dice Giovanni, noi lo vedremo così come egli è?
La quale frase si identifica con l'altra: Ma allora a faccia a faccia. ( 1 Cor 13,12 )
39.2 Parecchi non comprendono come ci possa essere una fede nella verità già in sommo grado a noi presente; quindi ritengono che nostro Signore non diede una risposta ai discepoli in ciò che essi avevano chiesto.
Chiedendo i discepoli: Signore, accresci la nostra fede, egli disse loro: Se aveste una fede come un granellino di senape direste a questo gelso: Sràdicati e bùttati in mare, ed esso vi obbedirebbe.
E poi continuò: Chi di voi, supposto che abbia un servo ad arare o a pascolare il gregge, quand'egli ritorna dal campo gli dice subito: Vieni e mettiti a tavola?
Non gli dice forse: Preparami la cena; rimbòccati le maniche e servimi finché non abbia mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai anche tu?
Avrà forse riguardo per quel servo perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Credo proprio di no. Così sarà di voi.
Quando avrete eseguito tutto quello che vi è stato comandato, dite: Siamo servi inutili; abbiamo fatto ciò che era nostro obbligo fare.
Con difficoltà si riesce a vedere cos'abbia a spartire tutto questo con la domanda: Signore, accresci la nostra fede, se non s'intende bene cosa significhi quel: di fede in fede. ( Rm 1,17 )
E il significato dell'espressione è che dovevano lasciarsi trasferire dalla fede attuale, con cui si serve Dio, a quell'altra fede dove si gode di Dio.
Cresce infatti la fede se in un primo momento si crede alle parole della predicazione e poi alla realtà delle cose che appaiono in se stesse.
Questa contemplazione comporta una somma quiete e sarà donata nel Regno di Dio giunto alla fase eterna; tuttavia la somma quiete di lassù sarà il premio delle fatiche compiute per dovere nel servizio della Chiesa.
È detto pertanto che quel servo ara e pasce il gregge nel campo, cioè compie opere riguardanti la presente vita terrena e serve a degli uomini sebbene stolti come bruti.
Tuttavia dopo quelle fatiche tornerà certo a casa, cioè si riunirà alla Chiesa ma per lavorare anche lì servendo il suo Padrone finché non abbia mangiato e bevuto.
Egli infatti perché aveva fame cercò dei frutti in quell'albero ( Mt 21,18-19 ) e perché aveva sete chiese dell'acqua alla donna di Samaria. ( Gv 4,7 )
Mangi dunque e beva la risposta di fede a lui data dalle genti pagane e a lui presentata dai suoi servi, intendendo per " suoi servi" coloro che si occupano nel predicare il Vangelo.
39.3 Rientra in questa tematica anche la risposta data antecedentemente con la parabola del granellino di senapa, secondo la quale i cristiani debbono avere come prima cosa la fede necessaria per la vita presente.
Finché è un tesoro nascosto in vasi di creta, ( 2 Cor 4,7 ) sembra cosa piccolissima, ma è dotata di una fortissima vitalità e germoglia ( Mt 13,31-32 per impulso del nostro Signore Gesù Cristo.
Egli vuol essere alimentato attraverso il ministero dei suoi servi, e cioè attraverso loro far passare i credenti nel suo corpo, dopo averli in certo senso uccisi e mangiati.
Dopo di che anche quaggiù li pasce lui stesso con la parola della fede e il sacramento della sua passione.
Egli infatti non è venuto per essere servito ma per servire. ( Mt 20,28 )
Dicano dunque tali servi a quel gelso in base alla parabola del granellino di senapa: si rivolgano cioè allo stesso Vangelo della croce del Signore che con i frutti di sangue pendenti dal legno ( si pensi qui alle ferite ) avrebbe fornito il cibo ai popoli del mondo, e gli dicano di sradicarsi dal giudaismo incredulo e di traslocarsi e trapiantarsi nel mare dei gentili.
È infatti con tale servizio, effettuato in casa, che essi saranno veri ministri del Signore, affamato e assetato. ( Mt 25, 35.40 )
39.4 Giunti alla fine chiedano pure di godere eternamente del cibo incorruttibile della divina sapienza, e dicano: Siamo servi inutili, abbiamo fatto quello che era nostro dovere. Non ci resta da fare altro.
Abbiamo terminato la corsa, abbiamo sostenuto sino alla fine la lotta; ci attende la corona della giustizia. ( 2 Tm 4,7-8 )
Tutto infatti può dirsi di quell'ineffabile godimento della verità, e con tanto maggior ragione si può dire ogni cosa quanto minore è la capacità con cui si è degni parlarne, anche per un poco.
Essa infatti è luce per chi viene illuminato, riposo per chi ha lottato, patria per chi ritorna, cibo per chi dev'essere saziato, corona per chi ha riportato vittoria.
E concludendo, tutti quei beni temporali e passeggeri che l'infedele nel suo errore desidera trovare, certo parzialmente, nella creatura, tutti quanti e tutti insieme e più veri e stabili in eterno troverà l'autentica religiosità dei figli nel Creatore di tutte le cose.
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