Teologia dei Padri |
Non è difficile accorgersi come fu molto meglio che il genere umano - come in realtà fece Dio - abbia avuto origine da un solo uomo creato all'inizio, piuttosto che aver origine da molti.
Dio creò infatti animali solitari, erranti nella solitudine, per così dire, perché questa solitudine amano, come le aquile, i nibbi, i leoni, i lupi e altri animali simili; ma creò anche animali socievoli, che preferiscono vivere riuniti in gruppi, come i colombi, gli storni, i cervi, i caprioli e altri animali; e ciascuna di questa specie non la fece derivare da singoli animali, ma volle che ne esistessero molti insieme.
Ma per l'uomo non fu così: Dio creò la sua natura, intermedia, in un certo modo, tra gli angeli e le bestie; se poi l'uomo, soggetto al suo Creatore come al vero signore, avesse osservato con religiosa obbedienza il suo precetto, sarebbe entrato a far parte della società angelica, e senza passare attraverso la morte avrebbe conseguito l'immortalità beata ed eterna; ma se avesse offeso il signore Dio suo, con libera volontà per superbia e disobbedienza, sarebbe stato condannato a morte e avrebbe vissuto come un animale, servo delle libidini, destinato dopo morte al supplizio eterno.
L'uomo dunque fu da Dio creato singolo e solo: solo, non tuttavia nel senso che sarebbe stato privo di società umana, ché anzi più avrebbe sentito il vincolo di questa società e l'unità concorde, essendo gli uomini uniti tra di loro non solo dalla somiglianza di natura, ma anche dall'affetto della parentela.
E ciò tanto più, in quanto Dio non volle creare la femmina, che avrebbe unita all'uomo, nel modo con cui aveva creato l'uomo stesso, ma dall'uomo stesso, perché proprio da un uomo solo si diffondesse sulla terra tutta la stirpe umana.
Né Dio ignorava che l'uomo avrebbe peccato e, già sottomesso alla morte, avrebbe propagato una schiatta di mortali, e che questi mortali sarebbero proceduti tanto nella via del peccato, che le bestie prive di volontà ragionevole - le quali pullularono all'inizio dalle acque e dalla terra - sarebbero vissute più in tranquillità e in pace tra di loro che gli uomini, la cui schiatta era pur derivata da uno solo, proprio perché essi apprezzassero la concordia.
Mai infatti tra di loro i leoni e i draghi si fanno la guerra, che si fanno gli uomini.
Ma Dio prevedeva anche, nella sua grazia, che avrebbe chiamato alla sua adozione il popolo santo, rimettendo i suoi peccati, giustificandolo nello Spirito Santo, per associarlo nella pace eterna agli angeli santi, alla fine, quando la morte nemica sarà distrutta: e a questo popolo avrebbe giovato il pensiero che Dio istituì il genere umano da un uomo solo, per ricordare agli uomini quanto gli sia grata l'unità tra i molti.
Dio fece dunque l'uomo a immagine sua.
Gli creò perciò un'anima dotata di ragione e di intelligenza, per la quale egli sarebbe stato al di sopra di tutti gli animali terrestri, acquatici e volatili, privi di tale anima.
Formato poi l'uomo dalla terra, gli soffiò dentro una tale anima, sia che l'avesse già creata, sia piuttosto che la creasse soffiando, volendo cioè che quel fiato emesso ( che altro è il soffiare che emettere un soffio? ) fosse l'anima dell'uomo.
E gli fece anche la donna, quale aiuto nella procreazione, plasmandola, come Dio, da un osso che aveva tolto dal fianco dell'uomo.
Né dobbiamo pensare a tutto ciò secondo le consuetudini terrene, come vediamo gli artigiani che da una particolare materia terrena, con le loro mani terrene, fabbricano ciò che la loro arte e la loro industria gli permette.
La mano di Dio è la potenza di Dio, che opera invisibilmente anche le realtà visibili.
Ma questi eventi vengono ritenuti favolosi, più che veri, da coloro che misurano la potenza e la sapienza di Dio - con la quale egli può certamente creare semi anche senza semi - dalle sue opere comuni e quotidiane; ciò invece che egli creò all'inizio - dato che ne hanno esperienza - li lascia increduli.
Eppure, ciò che essi ben conoscono sulla concezione e sul parto degli uomini, non sembra ancor più incredibile, se lo si narra a chi non ne sa niente?
Certo è, però, che costoro assegnano tutto ciò a cause fisiche della natura e non all'opera della mente divina.
Agostino, La città di Dio, 12,21-24
Dal canto suo Mosè mi ha insegnato che nessuno, all'infuori di Dio, ha fatto il mondo; infatti in principio Dio fece il cielo e la terra ( Gen 1,1 ).
Egli mi ha del pari insegnato che Dio ha fatto l'uomo con la sua opera, e non senza motivo lasciò scritto: Dio fece l'uomo con il fango della terra e alitò sul suo viso un soffio di vita ( Gen 2,7 ), perché fosse palese una certa attività di Dio per formare l'uomo, attraverso una specie di lavoro fisico.
Egli mi ha pure insegnato che Dio fece anche la donna: infatti Dio inviò il sonno ad Adamo che si addormentò; prese una costola dal suo fianco e riempì il vuoto con la carne di lui.
E il Signore Iddio plasmò in donna la costola che aveva tolta da Adamo ( Gen 2,21-22 ).
Non invano, come ho detto, Mosè rappresenta Dio che lavora intorno ad Adamo ed Eva, come se avesse mani di carne.
Dio ordinò che fosse fatto il mondo e fu fatto: con una sola parola la Scrittura dice che fu compiuta la creazione del mondo.
Ma quando si arriva alla creazione dell'uomo, lo scrittore sacro ha cura di mostrarti, per così dire, le mani stesse di Dio al lavoro.
Ambrogio, Commento al Vangelo di san Luca, 2,85
Dio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza ( Gen 1,26 ).
Anzitutto si deve qui investigare il motivo per il quale, in occasione della creazione del cielo, Dio non disse « facciamo », bensì « il cielo sia! », « la luce sia! », come, d'altronde, in ogni parte della creazione.
La parola « facciamo » appare solo qui e questa espressione suona come un consiglio, una deliberazione, una comunicazione di Dio a un'altra persona fornita della sua medesima dignità.
E chi è mai colui che deve essere creato, dal momento che può rallegrarsi di un simile onore?
É l'uomo, il grande e meraviglioso essere vivente che Dio considera come il più illustre di tutta la creazione, per amore del quale esiste il cielo, la terra, il mare e il resto della creazione.
É l'uomo, la cui salvezza Dio ha tanto desiderato da non risparmiare, per amore di lui, il suo Figlio unigenito. Dio, infatti, non ha smesso di compiere efficacemente la sua opera fino a quando non abbia sollevato quest'uomo e non l'abbia fatto sedere alla propria destra.
Paolo esclama: Dio ci ha risuscitati e ci ha fatti sedere in Cristo Gesù alla destra nei cieli ( Rm 8,32 ).
Per questo, dunque, ci fu il consiglio, la deliberazione e la comunicazione.
Non come se Dio avesse avuto bisogno di un consiglio ( non sia mai! ), ma per mostrarci, attraverso questo discorso, l'onore spettante a colui che stava per nascere.
Giovanni Crisostomo, Omelie sul Genesi, 2
Si edifica una casa, non solo perché semplicemente vi sia una casa, ma perché essa accolga e protegga chi la abita.
Si costruisce una nave, non con l'intenzione che si possa vedere una nave, ma perché gli uomini su di essa attraversino il mare.
Così non si producono vasi perché semplicemente vi siano dei vasi, ma per riporre in essi il necessario ai nostri usi.
Anche Dio ha creato il mondo per qualche scopo.
Gli stoici affermano che il mondo è stato fatto per l'uomo, e con ragione, perché gli uomini godono di tutti i beni che esso racchiude in sé.
Ma perché l'uomo stesso sia stato creato e quale utilità abbia da lui quella artista costruttrice che è la provvidenza, gli stoici non lo hanno spiegato.
Che le anime sono immortali, ce ne rassicura il filosofo Platone; ma, per quale motivo e in che modo, quando e come raggiungono l'immortalità, oppure - ciò che soprattutto è un mistero stupendo - che esse sono state create mortali ma in vista dell'immortalità, e poi trascorso il tempo della loro vita mortale e deposto il manto del corpo corruttibile, vengono trapiantate nella beatitudine eterna … tutto ciò Platone non l'ha compreso.
Così non si è pronunciato neppure sul problema del giudizio divino e della diversa retribuzione ai giusti e agli ingiusti.
Solo riguardo alle anime immerse nel fango del vizio, egli pensò che siano condannate a nascere nuovamente nei corpi di vari animali, espiando così i loro peccati, finché sia loro concesso di ritornare in figura umana; e che ciò si ripeta di continuo e la loro trasmigrazione non abbia fine.
É proprio come se Platone ci volesse porre dinanzi agli occhi un gioco onirico della fantasia, non sostenuto né dalla ragione, né dalla guida divina, né da un qualche pensiero.
Voglio dunque esporre quell'importantissima verità che mai i filosofi, che pur hanno detto il vero, hanno potuto scoprire, perché non seppero dedurre fino in fondo le conseguenze.
Il mondo è stato creato da Dio, perché nascesse l'uomo.
Gli uomini sono stati creati, perché riconoscessero Dio come padre: in ciò consiste la sapienza.
Essi riconoscono Dio per onorarlo: in ciò consiste la giustizia.
Essi lo onorano, per riceverne il premio dell'immortalità.
Ricevono poi il premio dell'immortalità, per servire Dio in eterno.
Vedi dunque come tutto è concatenato: il principio con il mezzo, e il mezzo con la fine?
Consideriamo dunque le singole asserzioni, e vediamo se le prove reggono.
Dio ha creato il mondo per l'uomo.
Chi non vede ciò, non si distingue molto dagli animali.
Chi guarda su in cielo, fuori che l'uomo?
Chi ammira il sole, le stelle e tutte le altre opere di Dio, fuori che l'uomo?
Chi coltiva la terra? Chi ne raccoglie i frutti?
Chi naviga sul mare? Chi ha in suo potere i pesci, gli uccelli e i quadrupedi, se non l'uomo?
Dunque Dio ha fatto tutto in vista dell'uomo, perché tutto è stato lasciato in uso all'uomo.
Ciò hanno riconosciuto rettamente anche i filosofi pagani; ma la conseguenza che ne risulta, non l'hanno vista: che cioè Dio ha creato l'uomo stesso per Dio.
Eppure questa sarebbe stata la conclusione ovvia, doverosa e necessaria.
Dopo che Dio ha fatto così grandi opere per l'uomo, dopo che gli ha concesso tanto onore e potenza da dominare il mondo, l'uomo deve ravvisare in lui l'autore di tanti benefici, deve riconoscerlo come creatore, che ha fatto il mondo per l'uomo, e deve degnamente adorarlo e onorarlo.
Qui Platone è uscito di strada, qui ha abbandonato la verità che inizialmente aveva pur afferrato, non parlando cioè dell'adorazione di quel Dio che aveva pur riconosciuto come fondatore e padre di tutto, non comprendendo che l'uomo è a lui legato con i vincoli dell'amore filiale e che questo solo è il motivo per cui le anime diventano immortali …
É necessario dunque adorare Dio, perché così l'uomo - per la religiosità che è insieme giustizia - riceva da lui l'immortalità.
E non vi è anche nessun'altra ricompensa possibile per lo spirito religioso: esso è invisibile, perciò solo da Dio invisibile può essere ricompensato, e solo con un premio invisibile.
Lattanzio, Epitome delle Divine Istituzioni, 36-37
Quelli che vedono Dio parteciperanno alla vita, perché lo splendore di Dio è vivificante.
Per questo colui che è inafferrabile, incomprensibile e invisibile si offre alla visione, alla comprensione e al possesso degli uomini, per vivificare coloro che lo comprendono e lo vedono.
Infatti la sua grandezza è imperscrutabile, e la sua bontà inesprimibile; ma attraverso di esse egli si mostra e dà la vita a quelli che lo vedono.
É impossibile vivere senza la vita, e la vita consiste essenzialmente nel partecipare a Dio, partecipazione che significa vedere Dio e godere della sua bontà.
Gli uomini dunque vedranno Dio e così vivranno: questa visione li renderà immortali e capaci di Dio.
Questo è ciò che era stato rivelato in figura dai profeti: Dio può essere visto dagli uomini che portano il suo Spirito e aspettano senza stancarsi la sua venuta.
Così dice infatti Mosè nel Deuteronomio: In quel giorno vedremo, perché Dio parlerà all'uomo e questi vivrà ( Dt 5,24 ) …
Colui che opera in tutti, quanto alla sua potenza e grandezza, resta invisibile e inesprimibile per tutti gli esseri creati da lui; e tuttavia non è loro completamente sconosciuto, perché tutti arrivano, attraverso il suo Verbo, alla conoscenza dell'unico Dio Padre, che contiene tutte le cose e a tutte dà l'esistenza, come dice anche il Vangelo: Dio nessuno l'ha mai veduto; il Dio unigenito che è nel seno del Padre, egli lo ha rivelato ( Gv 1,18 ).
Fin dal principio dunque il Figlio è il rivelatore del Padre, perché fin dal principio è col Padre: le visioni profetiche, la diversità dei carismi, i suoi ministeri, la glorificazione del Padre, tutto egli, nel tempo opportuno, ha fuso in melodia ben composta e armoniosa per l'utilità degli uomini.
Dove infatti c'è composizione, c'è armonia; dove c'è armonia, c'è esatta misura di tempo, e dove c'è tempo opportuno, c'è utilità.
Per questo il Verbo si è fatto dispensatore della grazia del Padre per l'utilità degli uomini, in vista dei quali ha compiuto tutta l'economia della salvezza, mostrando Dio agli uomini e collocando l'uomo a fianco di Dio; salvaguardando l'invisibilità del Padre perché l'uomo non arrivasse a disprezzare Dio e avesse sempre qualcosa da raggiungere, e nello stesso tempo rendendo Dio visibile agli uomini con l'insieme della sua economia, per impedire che l'uomo, privato totalmente di Dio, cessasse addirittura di esistere.
Infatti la gloria di Dio è l'uomo vivente, e la vita dell'uomo consiste nella visione di Dio: se già la rivelazione di Dio attraverso la creazione dà la vita a tutti gli esseri che vivono sulla terra, quanto più la manifestazione del Padre attraverso il Verbo è causa di vita per coloro che vedono Dio!
Ireneo di Lione, Contro le eresie, 4,20,5-7
La creazione del mondo fu pienamente conclusa quando fu finito l'uomo, che reca in sé il dominio su tutti gli esseri viventi, che quasi riassume l'universo e rispecchia la bellezza di ogni creatura terrena.
Vogliamo perciò riposare anche noi, proprio come Dio riposò da ogni opera del mondo ( Gen 2,2-3 ).
Riposò nell'intimo dell'uomo, riposò nel suo spirito e nella sua volontà; egli infatti aveva fatto l'uomo, essere razionale, a sua propria immagine, che si affatica per la virtù e tende alla grazia celeste.
Solo in lui riposa quel Dio che dice: Su chi altri riposerò mai, se non sul mite, il pacifico, e colui che teme le mie parole? ( Is 66,2 ).
Ringrazio il Signore, nostro Dio, che ha prodotto una creatura in cui poter riposare.
Ha creato il cielo, ma non leggo che abbia riposato in esso.
Ha creato la terra, ma non leggo che abbia in essa riposato.
Ha creato il sole, la luna e le stelle, e anche qui non leggo che vi abbia riposato.
Ma ben leggo invece che egli ha creato l'uomo e in lui ha riposato, perché aveva in lui una creatura a cui poter perdonare i peccati.
Ambrogio, Esamerone, 6,75-76
La rivelazione afferma che Dio, Verbo, ragione, sapienza, virtù, fu il creatore della natura umana.
Da nessun altro motivo egli fu indotto a progettare la creazione di questo animale, se non dalla sua grandissima e insigne carità.
Bisognava infatti che la luce fosse visibile e la gloria non rimanesse priva di testimoni.
La bontà divina, inoltre, non doveva ridondare su Dio stesso, in maniera che nessuno ne ricavasse beneficio né dovevano rimanere oziose tutte le altre cose che si vedono in natura, non essendovi nessuno a prender parte e a godere di esse.
Se dunque all'uomo viene data la vita per renderlo partecipe dei beni divini, egli viene necessariamente creato in modo da essere idoneo al godimento di siffatte ricchezze.
Come infatti l'occhio, grazie alla virtù in esso situata di attrarre ciò che gli è connaturale, diviene partecipe della luce a motivo dello splendore insito in essa; non diversamente, era necessario che alla natura umana fosse mescolato qualcosa di affine a Dio, acciocché essa, essendo simile a lui, se ne sentisse opportunamente attratta.
Anche nella natura degli esseri bruti, infatti, quelle qualità grazie alle quali avviene ch'essi vivano nell'acqua e nell'aria, sono state opportunamente create a seconda del genere di esistenza che ciascun animale era destinato a condurre.
In tal modo, in virtù di una determinata struttura del corpo, per qualcuno era più conveniente l'aria, per qualcun altro l'acqua.
Allo stesso modo anche l'uomo, nato per godere dei beni divini, doveva possedere nella sua natura qualcosa di affine a colui del quale sarebbe stato partecipe.
Perciò è stato provvisto di vita, di ragione, di sapienza e di tutti i beni che convengono a Dio, affinché cioè, grazie a ciascuno di essi, l'uomo ardesse dal desiderio di ciò che gli fosse affine e familiare.
Ora, dal momento che fra i beni della natura vi è anche l'eternità, bisognava assolutamente che la nostra costituzione non ne fosse priva, ma la possedesse in sé per conoscere, attraverso la sua potenza, ciò che è al di sopra di tutto ed essere posseduta dal desiderio della divina eternità.
Il libro intorno all'origine del mondo mostra tutto ciò in una sola parola, dicendo, con un'espressione globale, che l'uomo fu fatto a immagine di Dio.
In questo paragone dell'immagine, infatti, vengono appunto enumerate quelle caratteristiche esprimenti il carattere della divinità.
Successivamente, tutto ciò che Mosè narra a questo proposito nel suo racconto storico ( perché noi lo ritenessimo per dogma ) adombra la medesima dottrina.
Il paradiso e la proprietà di quei frutti, il cui nutrimento non dona la sazietà del ventre a coloro che lo gustano, ma la scienza e la vita eterna: tutte queste cose corrispondono a quelle prima considerate circa l'uomo: che la nostra natura fosse originariamente buona e dotata di beni.
Con quanto è stato detto, però, non concorderà chi, nel considerare la situazione presente, ritiene di poter smentire le cose dette.
L'uomo adesso, infatti, non si trova più nelle condizioni descritte, ma in altre assolutamente opposte.
Dov'è la somiglianza divina nell'anima?
Dov'è l'assenza di malattie nel corpo?
Dov'è l'eternità della vita?
Non è forse l'uomo di breve vita, sensibile al dolore, caduco, soggetto a ogni genere di sofferenze sia nell'anima che nel corpo?
Ebbene, chi afferma queste cose e altre del genere, dileggiando la natura, stimerà di poter contestare ciò che è stato tramandato intorno all'uomo.
Ma affinché il discorso non traligni in alcun modo da quanto è stato detto, tratteremo adesso anche di questi pochi argomenti.
Affermare che la vita umana versa oggi in condizioni penose, non basta per presumere che l'uomo non abbia mai posseduto dei beni.
Infatti, dal momento che l'uomo è opera di Dio, che gli donò la vita in virtù della propria bontà, nessuno può a giusto diritto sospettare che proprio questo Dio, la cui bontà fu la causa della creazione, abbia provocato la decadenza dell'uomo.
Ben altro, invece, è il motivo per il quale ci troviamo ora nelle presenti condizioni, dopo essere stati abbandonati da quelle migliori.
Infatti, colui che ha creato l'uomo per renderlo partecipe dei suoi propri beni, facendo nascere per lui nella natura tutte le cose belle, non privò l'uomo del migliore e più importante dei beni: quella grazia, cioè, che non è sottoposta ad alcuna autorità e dispone pienamente della propria libertà di arbitrio.
Se la vita umana, infatti, fosse determinata da qualche condizionamento, da questo punto di vista la somiglianza con l'archetipo divino risulterebbe falsa.
Sottoposta e resa schiava da certe leggi, come potrebbe esser chiamata immagine della natura dominatrice?
Dal momento, invece, che l'uomo era in tutto simile a Dio, bisognava assolutamente che nella natura egli fosse padrone assoluto e indipendente: la partecipazione della virtù, in tal modo, avrebbe costituito realmente la ricompensa dei meriti.
Come poté accadere allora, potresti obiettare, che l'uomo, onorato in tutto con le cose più belle, mutò quanto vi era di buono nelle cose peggiori?
Anche a questo proposito la risposta è chiara.
Nessuna origine del male ebbe mai inizio dalla volontà di Dio.
In realtà, infatti, la malizia non ha nulla a che vedere con il rimprovero che ne attribuisce a Dio l'iniziativa e la paternità.
Il male, al contrario, sorge, intrinsecamente e in seguito a un'autonoma scelta, nel libero arbitrio dell'animo, prendendo consistenza una volta che qualcuno si sia allontanato da ciò che è buono e onesto per l'anima.
Gregorio di Nissa, Grande Catechesi, 5,2-4
Tutto quanto Dio creò era ottimo: ce lo testimonia il racconto della creazione ( Gen 1,31 ).
Fra le cose ottime c'era anche l'uomo, ornato di una bellezza di gran lunga superiore a tutte le cose belle.
Cos'altro, infatti, poteva esser bello al pari di chi era simile alla bellezza pura e incorruttibile?
Ora, se tutto era bellissimo, ma più di tutto l'uomo, allora certamente in lui non c'era la morte.
L'uomo non sarebbe stato qualcosa di bello, se avesse recato su di sé il segno sinistro e infamante della morte.
Egli, riflesso e immagine della vita eterna, era bello davvero, anzi bellissimo, col raggiante segno della vita sul volto.
Gregorio di Nissa, Commento al Cantico dei cantici, 12
Nessuna natura può vivere in eterno, nella beatitudine o nella dannazione, se non quella alla quale, per dono di Dio, è stato concesso di poter pensare a lui.
Questa natura intellettuale si ritrova nelle anime degli uomini e negli spiriti degli angeli.
Solo agli angeli e agli uomini, infatti, Dio ha concesso l'intima capacità di conoscerlo.
Per il libero arbitrio - dono supremo che il Creatore fu tenuto, per sua benignità, a inserire nella creatura intellettuale - elargì loro la facoltà e la gioia di conoscerlo e di amarlo, e in modo tale che a ciascuno fosse possibile mantenere o perdere tale facoltà; e, se qualcuno poi la perde di sua spontanea volontà, non può più riacquistarla a proprio arbitrio, restando così a Dio l'iniziativa di infondere nuovamente, per puro dono della sua bontà, l'inizio dei santi pensieri a coloro che egli vuole rinnovare; proprio come all'inizio della creazione Dio ebbe l'iniziativa nel disporre in ordine mirabile le realtà spirituali e le realtà corporee - senza nessun loro precedente merito - nei luoghi e nelle situazioni convenienti, come egli volle nella sua sapienza.
Per questo gli angeli e gli uomini, per esser stati creati ragionevoli, ebbero il dono divino dell'eternità e della beatitudine nel momento stesso in cui fu creata la loro natura spirituale; e alla condizione particolare che se fossero rimasti per sempre fedeli all'amore del loro Creatore, sarebbero rimasti per sempre beati ed eterni; se, invece, per arbitrio della propria libertà avessero voluto fare la propria volontà contro il comando del sommo Creatore, subito la beatitudine si sarebbe da loro allontanata e, a loro pena, sarebbe rimasta loro un'eternità misera, tribolata dagli errori e dalle sofferenze.
Per gli angeli, poi, egli volle - e anche adempì - questa disposizione: se qualcuno di loro avesse perduto, per sua volontà, la propria bontà, non avrebbe mai più potuto riacquistarla per dono divino.
Quella parte degli angeli, dunque, che si allontanò volontariamente dal suo creatore e Dio, l'unico bene in cui era beata, trovò, per decreto della giustizia superna, l'inizio della sua pena nella stessa avversione della sua volontà a Dio; la sua punizione, perciò, non fu altro che la privazione dell'amore di quel bene beatifico.
E Dio volle che in eterno restasse dannata, e le preparò perciò il fuoco eterno; e in esso gli angeli prevaricatori sono per sempre tormentati dalla loro cattiva volontà e dalla sofferenza: fin che resta in loro il male della loro ingiusta avversione a Dio, resta anche in loro la condanna eterna, quale giusta pena.
Il principe di questi angeli perversi, il diavolo, inserì nei primi uomini, che invidioso indusse a rendersi come lui colpevoli, la miseria del peccato e il castigo della morte; e non solo in loro, ma anche in tutta la loro discendenza.
Ma Dio, misericordioso e giusto, che, alla volontaria caduta del diavolo e dei suoi angeli, confermò in eterno gli altri angeli nel suo amore, non permise che tutta la massa del genere umano perisse in eterno, ma predestinò di ricondurre alla luce coloro che furono scelti dalla sua gratuita bontà, liberandoli dalle tenebre in cui si trova tutta la schiatta umana in pena del peccato originale.
E così, soprattutto, mostrò che essi furono liberati dai ceppi del peccato originale per liberissima grazia del redentore …
Iddio inoltre ha mostrato chiaramente che lo stesso inizio della buona volontà e dei buoni pensieri non nasce nell'uomo da se stesso, ma è preparato e concesso da Dio: infatti né il diavolo, né alcuno dei suoi angeli, da quando in punizione della loro colpa sono sommersi nelle tenebre di laggiù, mai non poterono né potranno riassumere la buona volontà.
Che se fosse possibile alla natura umana, dopo aver perso la buona volontà per avversione a Dio, riacquistarla da se stessa, ciò sarebbe molto più possibile alla natura angelica che, non gravata dal peso di questo corpo terreno, tanto più dovrebbe aver in sé una tale facoltà.
Ma, in questo modo, Dio ci ha mostrato da dove derivi la buona volontà degli uomini, che gli angeli perdettero e non poterono poi più riacquistare.
Fulgenzio di Ruspe, Regola della vera fede, 3,32-34
Se fai attenzione a te stesso, non hai bisogno di rintracciare il Creatore dalla costruzione dell'universo; molto di più vedrai in te stesso, come in un microcosmo, la grande sapienza di questo Creatore.
Dall'anima incorporea che è in te, riconosci l'incorporeo e illimitato Dio.
Anche il tuo spirito, infatti, in principio non possiede alcuna precisa residenza; soltanto in collegamento con la carne, esso viene fissato da uno spazio.
Quando pensi alla tua anima, credi che Dio è invisibile; anch'essa infatti, non può essere percepita con gli occhi della carne.
Non ha né colore né forma né alcun segno distintivo corporeo sopra di sé: essa viene riconosciuta unicamente dalle sue manifestazioni.
Ricerca dunque Dio non con una conoscenza mediata attraverso gli occhi, ma abbi invece fede nella ragione e cerca di comprenderlo spiritualmente.
Ammira l'opera del Creatore, osservando come l'anima sia talmente unita con la carne da raggiungere fin le parti più estreme, unendo insieme le membra più lontane in un'armoniosa unità.
Considera quale forza dell'anima venga trasmessa alla carne, quale vincolo d'unione rifluisca dalla carne verso l'anima; come altresì la carne riceva la vita dall'anima e l'anima il dolore dalla carne.
Rifletti ancora sul modo con il quale l'anima conservi nella memoria ciò che ha imparato e sulla ragione per cui l'incremento verso nuove conoscenze non oscuri il sapere intorno alle cose prima apprese, ma il ricordo di queste, anzi, rimanga chiaro e distinto come se esse fossero scavate nella parte migliore dell'anima come in una colonna di bronzo.
Considera infine come l'anima, abbandonatasi alle passioni della carne, perda la sua naturale bellezza, per ritornare poi nuovamente, purificata dall'ignominia del peccato con l'ausilio della virtù, alla somiglianza con il Creatore.
Se tu hai guardato così l'anima, allora fa' attenzione anche alla struttura del corpo e ammiralo come la degna casa che il migliore degli artigiani ha edificato per l'anima razionale.
Giustamente egli ha così strutturato, fra gli esseri viventi, soltanto gli uomini, affinché tu riconosca già dalla forma che la tua vita ha una provenienza soprannaturale.
I quadrupedi, infatti, guardano verso terra e si piegano sul ventre; solo all'uomo è conservato lo sguardo verso il cielo, affinché egli non sia schiavo delle voglie del ventre, ma indirizzi tutti i suoi sforzi verso l'alto.
Il Creatore ha posto la testa in cima e in essa ha collocato i sensi più importanti.
Qui, infatti, essi si trovano tutti, uno accanto all'altro: vista, udito, gusto, odorato; inoltre, per quanto essi si trovino così strettamente vicini, nessuno di essi intralcia l'attività di quello accanto.
Gli occhi hanno occupato il punto più alto affinché nessuna parte del corpo fosse d'ostacolo: si sono così collocati sotto il piccolo aggetto delle sopracciglia in modo da poter guardare liberamente intorno a sé, dalla loro alta posizione.
L'orecchio ha la sua apertura non diritta, ma riceve i suoni dall'aria in un corridoio contorto.
Anche questo apparato è frutto dell'altissima sapienza divina: la voce può, senza difficoltà alcuna, entrar dentro o riecheggiare più volte, interrotta dalle curve, senza che qualcosa dall'esterno possa cadervi dentro ( il che ostacolerebbe l'attività del senso ).
Fa' attenzione anche alla natura della lingua, come essa sia elastica e delicata e corrisponda, con ogni possibile movimento, a ciascuna necessità del parlare.
I denti sono organi della voce poiché offrono alla lingua un punto d'appoggio; al tempo stesso sono anche degli aiuti: alcuni di essi tagliuzzano la carne, altri la masticano.
Se tu rifletti convenientemente su tutte queste cose, e le osservi e le approfondisci, come, ad esempio, l'aria venga inghiottita dai polmoni e il calore venga conservato dal cuore; quando tu osservi gli organi della digestione e le vene del sangue, allora desumerai da tutto ciò l'imperscrutabile sapienza del tuo Creatore, così che tu possa dire con il profeta: meraviglioso io ti ho riconosciuto da me ( Sal 139,6 ).
Basilio il Grande, Omelia « Fa' attenzione a te stesso », 7-8
Voi siete una stirpe eletta, un sacerdozio regale … ( 1 Pt 2,9 ).
Questa magnifica esaltazione del popolo di Dio, fatta un tempo da Mosè, ora l'apostolo Pietro l'attribuisce giustamente alle nazioni che hanno creduto in Cristo.
Egli, come pietra angolare, riunì le genti nella salvezza, che in un primo tempo Israele aveva ricevuto per sé solo.
Egli chiama queste nazioni stirpe eletta a motivo della loro fede, per distinguerle da quelle che, rifiutando la pietra viva, si sono condannate da sé.
Sacerdozio regale, poi, perché sono unite al corpo di colui che è re supremo e vero sacerdote, il quale come re conferisce ai suoi il regno, e come sacerdote purifica i loro peccati mediante il sacrificio del suo sangue.
Li chiama regale sacerdozio perché si ricordino di sperare il regno eterno e di offrire incessantemente a Dio il sacrificio di una vita santa.
Sono denominate anche nazione santa e popolo che Dio si è conquistato ( 1 Pt 2,9 ), secondo quanto dice l'apostolo Paolo, commentando la parola del profeta: Il mio giusto, poi, vivrà di fede; ma se viene meno, non porrò in lui la mia compiacenza; noi però, dice, non siamo dalla parte che si sottrae volgendosi alla rovina, ma della schiera dei credenti che vogliono salvarsi l'anima ( Eb 10,38-39 ).
E, negli Atti degli apostoli: Lo Spirito Santo vi ha costituiti vescovi per pascere la Chiesa del Signore, che egli si è acquistata col suo proprio sangue ( At 20,28 ).
Noi siamo dunque diventati, nel sangue del nostro redentore, popolo di sua conquista, proprio come il popolo di Israele è stato un tempo riscattato dall'Egitto mediante il sangue dell'agnello.
Perciò nel versetto che segue ricorda il mistero dell'antica storia e insegna che esso deve trovare il suo compimento nel nuovo popolo di Dio, dicendo: Perché proclamiate le meraviglie di colui che dalle tenebre vi ha chiamati nella sua luce ammirabile ( 1 Pt 2,9 ).
Come, infatti, quelli che furono liberati per mezzo di Mosè dalla schiavitù egiziana innalzarono un canto di trionfo a Dio, dopo il passaggio del Mar Rosso e l'annegamento dell'esercito del faraone, così anche noi, dopo aver ottenuto la remissione dei peccati mediante il battesimo, dobbiamo degnamente rendere grazie per questi benefici divini.
Gli egiziani che angariavano il popolo di Dio e il cui nome è interpretato come « tenebre » e « tribolazioni », simboleggiano appunto i peccati che ci perseguitano, ma che sono stati distrutti nel battesimo.
Anche la liberazione dei figli di Israele e il cammino verso la patria, da lungo tempo promessa, corrispondono al mistero della nostra redenzione, mediante la quale, illuminati e guidati dalla grazia di Cristo, camminiamo verso la luce della dimora celeste.
Questa luce della grazia era prefigurata dalla colonna di nube e di fuoco che protesse gli ebrei dalle tenebre della notte durante tutta la loro marcia e li condusse, attraverso vie straordinarie, alla dimora promessa della loro patria.
Beda il Venerabile, Commento sulla prima lettera di san Pietro, 2
Quaggiù gli artisti conferiscono ai loro strumenti la forma idonea all'uso al quale questi ultimi sono destinati.
Non diversamente il migliore degli artisti forgia la nostra natura in maniera da renderla adatta all'esercizio della regalità.
Attraverso la superiorità emanata dall'anima, per mezzo della conformazione medesima del corpo, egli dispone le cose in modo che l'uomo sia realmente idoneo al potere regale.
Codesto crisma della regalità, infatti, che eleva d'altronde l'uomo assai al di sopra delle sue condizioni, l'anima lo manifesta spontaneamente, attraverso la sua autonomia e la sua indipendenza: è in tal modo che l'anima diviene, nella sua condotta, maestra della sua propria volontà.
E di chi mai è proprio tutto ciò, se non di un re?
Aggiungetevi, altresì, che la sua creazione a immagine di quella natura che tutto governa, dimostra appunto che l'anima umana possiede, fin dal principio, una natura regale.
Secondo quanto accade solitamente, gli autori dei ritratti di prìncipi, oltre alla rappresentazione dei lineamenti, esprimono la loro dignità regia vestendoli di abiti purpurei.
Di fronte a immagini del genere, infatti, si ha l'abitudine di dire: « ecco il re ».
Similmente la natura umana, creata per dominare il mondo in virtù della sua rassomiglianza con il re universale, è stata concepita come un'immagine vivente che partecipa del proprio archetipo nella dignità e nel nome.
Non l'avvolge la porpora, né lo scettro né il diadema illustrano la sua dignità ( l'archetipo, neppure lui, possiede tutto ciò ); al posto della porpora, invece, essa è rivestita della virtù, il più regale di tutti gli abiti; in luogo dello scettro, essa si sostiene sulla beata immortalità; al posto del diadema regale, essa reca la corona di giustizia.
In essa dunque, grazie alla sua precisa rassomiglianza con la bontà dell'archetipo, ogni cosa palesa la sua dignità regale.
Gregorio di Nissa, La formazione dell`uomo, 4
É così che l'insieme degli esseri raggiunge la sua perfezione.
Il cielo e la terra e ogni sostanza situata fra loro furono compiuti; ciascuna cosa accolse la bellezza che le è propria: il cielo, lo splendore degli astri; il mare e l'aria, gli animali che vi nuotano e vi volano; la terra, la diversità delle piante e degli animali, di tutti quegli esseri, insomma, che ricevono insieme la loro vitalità dalla volontà divina e che la terra mise al mondo nel medesimo istante.
La terra, che aveva fatto germogliare nello stesso tempo fiori e frutti, si riempiva di splendore.
I prati si ricoprivano di tutto quanto vi cresce.
Le rocce e le cime delle montagne, i versanti delle colline e le pianure, tutte le valli si ornavano di erba fresca e della magnifica varietà degli alberi: quest'ultimi spuntavano appena dal suolo, che già avevano raggiunto la loro perfetta bellezza.
Naturalmente, tutte le cose erano nella gioia.
Gli animali dei campi, condotti alla vita grazie al comando di Dio, saltavano nei boschi a frotte, divisi a seconda delle diverse razze.
Ovunque le ombre boscose riecheggiavano del canto armonioso degli uccelli.
Si può anche immaginare lo spettacolo che si offriva agli sguardi di fronte a un mare ancora calmo e tranquillo in tutte le sue onde.
I porti e i rifugi che si erano spontaneamente scavati lungo le coste secondo il volere divino, univano il mare al continente.
I placidi movimenti delle onde rispondevano a quelle vicine, facendo lievemente increspare la superficie dei flutti sotto l'effetto di dolci e benefiche aurette.
Tutta la ricchezza della creazione, sulla terra e sul mare, era pronta; ma colui al quale essa è donata, non ancora era là.
Quel grande e prezioso essere che è l'uomo non aveva ancora trovato posto nella creazione.
Non era infatti giusto che il capo facesse la sua apparizione prima dei suoi sudditi; soltanto dopo la preparazione del suo regno, allorché il Creatore dell'universo aveva, per così dire, allestito il trono di colui che doveva regnare, doveva logicamente essere rivelato il re.
Ecco qui la terra, le isole, il mare e, al di sopra di questi, a guisa di un tetto, la volta del cielo.
Ricchezze d'ogni specie erano state riposte in questi palazzi: per « ricchezze » intendo riferirmi a tutta la creazione, a tutto ciò che la terra produce e fa germogliare, a tutto il mondo sensibile, vivente e animato, così come anche ( se si deve contare fra queste ricchezze quelle sostanze che la bellezza rende preziose agli occhi degli uomini, come l'oro, l'argento e queste pietre tanto ambite ) a tutti quei beni che Dio pone in abbondanza nel seno della terra come in cantine reali.
Unicamente allora Iddio fa apparire l'uomo in questo mondo, affinché egli sia, delle meraviglie dell'universo, il contemplatore e la guida.
Il Signore vuole che il loro godimento, infatti, doni all'uomo l'intelligenza di colui che gliele ha fornite, in maniera che la grandiosa bellezza di ciò che egli vede lo ponga sulle tracce della potenza ineffabile e inesprimibile del Creatore.
Ecco perché l'uomo è condotto per ultimo nella creazione.
Non che costui venga relegato con disprezzo all'ultimo posto, ma perché, fin dalla sua nascita, comprendesse di essere il sovrano di quel suo regno.
Un buon padrone di casa, d'altronde, non introduce il suo invitato che dopo i preparativi del pranzo, allorché egli abbia messo tutto a posto come si deve e adeguatamente decorato la casa, il divano e la tavola.
Soltanto allora, pronta la cena, fa sedere il suo convitato.
Allo stesso modo, colui il quale, nella sua immensa ricchezza, è l'anfitrione della nostra natura adorna dapprima la dimora di bellezze d'ogni genere, allestendo questo grande e vario festino.
A questo punto egli introduce l'uomo per rivelargli non il possesso di beni che questi non ancora detiene, bensì il godimento di quanto a lui si offre.
Ecco perché, nel creare la nostra natura, Iddio getta un duplice fondamento all'unione del divino con il terrestre, affinché, attraverso l'uno e l'altro carattere, l'uomo godesse doppiamente sia di Dio, grazie alla sua natura divina, sia dei valori terreni, in virtù di quella sua sensibilità che appartiene alla loro stessa dimensione.
Gregorio di Nissa, La formazione dell`uomo, 1-2
Vedi quanto è potente il nuovo canto.
Ha fatto uomini dalle pietre e uomini dalle fiere.
Quelli che erano altrimenti morti, non essendo partecipi della vita, di quella che è, appena ascoltarono il canto, ripresero a vivere.
Esso ordinò con cura l'universo e dispose la diversità degli elementi secondo una concordanza, perché tutto il cosmo fosse in armonia.
Volle che il mare fosse libero, ma gli vietò di invadere la terra, e al contrario privò la terra del moto che aveva e la fissò come argine del mare.
Invero mitigò con l'aria l'impeto del fuoco, in certo modo componendo l'armonia dorica con quella lidia, calmò il freddo rigido dell'aria con la mescolanza del fuoco, mischiando armoniosamente le più profonde note del tutto.
É questo canto incontaminato, fondamento dell'universo e armonia di tutte le cose, che si estese dal mezzo alle pareti estreme e dal vertice al centro, armonizzò il tutto, non secondo la musica tracia, che si avvicina a quella di Iubal, ma secondo la paterna volontà di Dio, che Davide emulò.
Il verbo di Dio nato da Davide ( ma che era ) prima di lui, disprezzando la lira e la cetra, strumenti inanimati, avendo posto in armonia con lo spirito santo questo mondo e il piccolo cosmo, l'uomo, l'anima e il corpo di lui, canta a Dio con lo strumento a più voci e canta con lo stesso strumento all'uomo: « Tu infatti sei per me cetra e flauto e tempio »; cetra per l'armonia, flauto per lo spirito, tempio per il Verbo, perché l'una risuoni, l'altro spiri e l'altro accolga il Signore.
In verità il re Davide, citarista, che poco prima abbiamo ricordato, esortava alla verità, distoglieva dagli idoli, molto dovette suonare ai demoni, che da lui erano cacciati, la vera musica, con la quale solo guarì Saul da essi posseduto.
Il Signore fece l'uomo bello, strumento spirante, secondo la sua immagine.
Anch'egli, senza saperlo, in perfetto accordo con Dio, ritmico e sacro, sapienza ipermondana, verbo celeste.
Clemente Alessandrino, Protrettico, 1, 4,4; 1, 5,1-4
Tutti gli elementi di cui consta il mondo e ogni loro prodotto sono stati predisposti a utilità dell'uomo.
A lui serve il fuoco, col suo calore e la sua luce, per preparare i cibi e lavorare i metalli.
A lui servono le sorgenti, perché possa bere e fare il bagno; i fiumi, perché irrighi i campi e delimiti le sue contrade.
A lui serve la terra, da cui ottiene frutti molteplici, le pianure per i seminati, i colli per le vigne, i monti per procurarsi legna da costruzione e da ardere.
A lui serve il mare, non solo permettendo lo scambio di merci e il trasporto di beni fin da lontane contrade, ma anche per ricavarne in quantità pesci d'ogni specie.
E come all'uomo servono gli elementi che giacciono sotto di lui, così lo serve anche la volta celeste: ciò che in essa si verifica, infatti, è ordinato a render fertile la terra che ci nutre.
Il sole percorre, in pellegrinaggio instancabile su strade diverse, il suo corso annuale; sorgendo, porta il giorno destinato al lavoro; tramontando, porta la notte destinata al riposo.
Retrocedendo ora verso il sud, e riavvicinandosi poi al nord, dà luogo all'estate e all'inverno, perché con l'umidità e le brume invernali la terra si fecondi riccamente, e, con i calori estivi, i cereali maturando si rassodano, mentre i frutti, illuminati e riscaldati dal sole, maturando inteneriscano.
Così la luna, guida delle ore notturne, dà la norma, col crescere e il diminuire della sua luce, ai periodi mensili e con il raggio del suo splendore irradia la notte, ottenebrata da densa caligine, in modo che d'estate i viaggi, le campagne militari e il lavoro dei campi possano continuarsi senza tensione e difficoltà.
Anche le altre stelle, con il loro sorgere e il loro tramonto in particolari posizioni, ci offrono la possibilità di un vantaggioso uso del tempo; prestano inoltre guida ai navigli, perché non vaghino con corso incerto per il mare immenso, e il nocchiero, che le osserva con attenzione, può giungere felice al porto della contrada verso cui sospira.
Il soffio dei venti raccoglie le nuvole, perché le sementi siano irrigate di pioggia e le vigne abbondino di tralci e gli alberi di frutti.
Questi beni, poi, ci vengono offerti a varie scadenze nel corso dell'anno, perché mai non manchi ciò che sostiene la vita umana.
Comprendiamo poi bene che, allo stesso modo, Dio ha creato anche gli animali per uso dell'uomo: sia per cibarsene, sia per vestirsi, sia per servirsene nel lavoro.
La provvidenza divina, dunque, ha chiaramente voluto guarnire e fornire la vita umana di ogni bene e provvista; per questo scopo Dio ha riempito l'aria di uccelli, il mare di pesci e la terra di animali.
Tuttavia i filosofi dell'Accademia, nelle dispute contro gli stoici, non mancano di chiedere: « Perché sulla terra e sul mare si trova anche ciò che ci è contrario, nemico e dannoso, se Dio ha creato tutto per il bene dell'uomo? »
Gli stoici, non conoscendo la verità, controbattono questa obiezione in modo del tutto inadeguato; rispondono infatti: « Tra le piante, e tra le numerose fiere, molto vi è, la cui utilità è per ora nascosta; ma nel corso dei tempi si troverà molto ( come molto non si conosceva nei secoli passati ) la cui utilità e necessità si dovrà ammettere ».
Ma più brevemente e più veramente gli stoici così potrebbero rispondere: « Quando Dio creò l'uomo, quale sua immagine e a corona della divina opera creatrice, solo in lui soffiò la sapienza, con la quale è possibile signoreggiare e sottomettere tutto, e godere dei beni della terra ».
Tuttavia Dio pose di fronte all'uomo i beni e i mali, perché gli aveva dato l'intelletto, il cui compito supremo consiste nel distinguere il bene dal male.
Nessuno infatti può scegliere il meglio, nessuno può sapere cosa è il bene, se non sa insieme respingere il male e guardarsene.
Il bene e il male sono intrecciati tra di loro: se si toglie questo, si toglie necessariamente anche quello.
Solo quando davanti agli occhi si hanno il bene e il male, la sapienza compie la sua opera: si sforza di ottenere il bene, riguardandone l'utilità, e rigetta il male, con l'occhio fisso verso il benessere.
Come dunque all'uomo erano stati offerti beni in gran numero, così non potevano mancargli i mali, da cui avrebbe dovuto guardarsi.
Se non gli si fosse presentato nessun male, nessun pericolo e nulla di ciò che può in qualche modo essergli nocivo, la sapienza non avrebbe avuto nessun'occasione di agire, e non sarebbe stata necessaria all'uomo.
Se ovunque si volgesse l'occhio si presentassero solo beni, che necessità ci sarebbe di riflessione, di comprensione, di scienza e intelligenza, quando tutto ciò a cui giungesse la mano fosse conveniente alla natura?
Se a fanciulli, che non hanno ancora l'uso di ragione, si volesse bandire un pranzo magnifico, certo ciascuno di loro afferrerebbe ciò che gli suggerisce l'ingordigia, la fame oppure il caso; e tutto ciò che essi porterebbero alla bocca, sarebbe loro utile e salutare.
Nulla dunque, in questo caso, potrebbe danneggiarli, seppur restano per sempre come sono, cioè restano sempre fanciulli, sempre privi di saggezza?
Ma se si mescola ai cibi anche qualcosa di amaro, o nocivo, o addirittura velenoso, essi certamente scambierebbero, per ignoranza, il male con il bene, non soccorrendoli la sapienza che rende possibile il rifiuto del male e la scelta del bene.
Vedi dunque: la sapienza ci è necessaria per il male; se non vi fosse male sulla terra, noi non saremmo neppure esseri ragionevoli.
Lattanzio, L`ira di Dio, 13
Apprezza i benefici che ricevi dal mare, dalla terra, dall'aria, dal sole.
Ammira l'altezza del cielo che ti sovrasta.
Abbi cura del beneficio che ricavi dalle creature.
Ciascuna delle cose di cui abbiamo parlato, infatti, è, per così dire, tua tributaria.
Esse sono a tua disposizione quasi come un reddito.
Il sole illumina, riscalda e cuoce i frutti nati dalla terra.
Di notte brilla la luna; le stelle indicano a te che stai sulla terra il momento della notte e segnalano il mutamento delle stagioni; sul mare, poi, guidano il navigante sull'itinerario verso terra.
Parimenti, l'aria che respiri ravviva il calore che è dentro di te e con le piogge nutre i prodotti dell'agricoltura.
Quando poi l'aria suscita i freddi, impedisce nello stesso tempo alle piante e ai semi di sbocciare verso l'alto e distribuisce la vita vegetativa nelle radici, spingendola con forza verso il basso, quasi come un flagello.
Essa distrugge anche i corpi dei rettili che nuocciono alle piante e ai semi e nello stesso tempo ti dona le specie di uccelli mangerecci.
A che serve enumerare qui i benefici che ti provengono dalla terra, dalle sorgenti, dai fiumi e dal mare?
Godendo di tutto ciò, dimenticherai forse chi te l'ha donato?
Usufruendo delle cose create, continuerai a infuriarti e a smaniare e a delirare contro il Creatore?
Non ti accorgi neppure dei doni che hai in mano, affannandoti aspramente a ribellarti?
Teodoreto di Ciro, La provvidenza divina, 2
Dio stesso ti sottomise le mandrie di cavalli: quando prendi un cavallo selvaggio, non ancora in grado di sopportare il cavaliere, lo domi con perizia, freni la sua audacia, reprimi i suoi balzi, pieghi il suo collo ad arco e fai piegare il suo muso verso il basso.
Poi gli insegni il giusto ritmo di andatura e il disciplinato avvicendamento degli zoccoli nonché la rapidità del galoppo a seconda della necessità: lo rendi, insomma, da selvaggio domestico, costringendolo a sottostare alla tua voce e alla tua mano.
Si sottomette in tal modo alle tue sferzate colui che è di gran lunga superiore a te quanto a forza e celerità.
Sopporta e teme le tue minacce, riconoscendo, in tutto ciò che compie, la sua servitù.
Quando tu vai a caccia, egli caccia con te; ti aiuta mentre combatti, scagliandosi impetuosamente contro i nemici.
Quando vuoi metterti in salvo con la fuga, subito anche lui, preso dal timore, depone la sua audacia e, giratosi indietro, si dà alla fuga: mettendosi allora a correre assai velocemente, ti libera dagli inseguitori.
Se gli viene ordinato di scagliarsi contro il fronte della schiera nemica, non si mostra disobbediente; se invece gli si ingiunge di darsi alla fuga, non si comporta diversamente, ma riconosce, anzi, come unica via di salvezza, il comando del suo cavaliere.
Ma perché parlo del cavallo, dell'asino e del cammello?
Anche l'elefante, infatti, di gran lunga il più grande degli animali terrestri, si degna di mettersi ai tuoi ordini, eppure con la forza della sua proboscide può sradicare persino alberi di notevoli dimensioni, senza considerare quanto sia possente la sua forza né tenendo conto delle sue energie o di quella sua immensa mole con la quale sembra di imitare persino le colline, ma sopportando la tua autorità.
E tu, sedendotici sopra, lo comandi: egli esegue, infatti, tutto ciò che gli venga ordinato.
Quando riceve dal pubblico la mercede dello spettacolo, te la porge, servendosi della proboscide come di una tenaglia.
Ti aiuta mentre combatti: accogliendo, infatti, sul dorso molti arcieri, fa in modo che si possano investire di frecce i nemici come dall'alto di una torre e, assalendo le loro schiere, facilmente le atterrisce e le sconvolge, disperdendone i soldati.
Ordunque, non crucciarti per il fatto di essere fornito di un corpo di modeste dimensioni; considera piuttosto, da quanto abbiamo detto finora, quali possenti animali si degnino di servirlo e onora con animo ben disposto colui che li ha sottomessi al tuo impero: mostrati perciò grato verso il tuo Creatore.
Egli, infatti, preoccupandosi della salvezza della tua anima, non ha assolutamente consentito che tu fossi impedito da un corpo grande e pesante: in tal caso, altrimenti, essendo in ogni cosa superiore, saresti inevitabilmente caduto nell'insolenza diabolica.
Se infatti, fornito di un tale corpicino, sei solito smaniare e infuriarti contro il Creatore, che cosa non avresti fatto, qualora ne avessi ricevuto uno grande e possente?
La tua mediocre statura, invece, ti insegna a ben valutare te stesso e a riconoscere il Creatore.
Il dono della ragione poi, compensa la debolezza del corpo.
Per mezzo di questo, infatti, tu comandi e governi tutto il regno degli animali selvaggi, le greggi di pecore, di capre e di porci; le mandrie di cavalli, i cammelli nomadi e da soma, tutte le razze degli uccelli e dei muli.
Alcuni di questi ti sono dati come cibo: rendono, infatti, la tua mensa più abbondante, offrono ogni genere di voluttà e forniscono la materia prima per vari alimenti.
Altri sono destinati a trasportare frumento e legna e ad eseguire altre funzioni necessarie.
Fra i cani, alcuni sono d'aiuto ai cacciatori, altri ai pascoli, altri stanno a guardia della casa: confidando nella loro sorveglianza, i pastori godono d'un sonno tranquillo e, con il loro aiuto, bastano in pochi a pascolare molte pecore.
Né soltanto per i padroni questi cani affrontano il pericolo, ma anche per le pecore.
Combattono in difesa dei pastori che lottano aspramente con i lupi: neppure feriti vogliono salvarsi vilmente con la fuga, ma, con il loro latrato, chiamano in aiuto i pastori.
Il cane, poi, si comporta in questo modo non secondo il dettato della ragione, ma in quanto dotato, per così dire, di un istinto naturale.
Inviato dal cacciatore a stanare la fiera, annusa l'odore e, seguendone scrupolosamente le tracce, non desiste finché non abbia scovato la preda.
Trovatala, la incalza con i denti e con le unghie, senza divorarla, ma conservandola integra per colui dal quale è stato mandato.
Pur essendo privo di ragione, il cane riconosce tuttavia il comando e non tenta di farsi avanti con il suo padrone per partecipare della belva catturata.
Se incontra una fiera più grande, che superi di gran lunga le sue forze, come il cinghiale o l'orso o un'altra del genere, si tiene accuratamente distante dal morso dei suoi denti aguzzi e combatte energicamente.
Agitandosi senza interruzione dietro le sue spalle, il cane tenta di trattenere saldamente la belva, non consentendole di fuggire grazie alla sua lotta violenta.
Affaticandola, infatti, con un continuo incalzare e agitandolesi intorno, la costringe a rimanere nel medesimo luogo e ad aspettare l'arrivo del cacciatore.
Sopraggiunto, costui, con l'aiuto della perizia e delle armi rapidamente e senza difficoltà si impadronisce infine della belva.
Né, a questo punto, qualcuno del numero di coloro che sogliono contestare, potrebbe chiamare in causa o obiettare che esistono cani rabbiosi o asini recalcitranti o cammelli mordaci o tori che incornano.
Di un numero così grande, infatti, pochissimi incappano in codesti difetti, e non senza una qualche grave necessità.
Da questo argomento, in effetti, è lecito indurre che gli animali non si sottomettono spontaneamente a te, ma in quanto si conformano alla volontà del Creatore.
E quelli che si ribellano alla tua autorità ( come il cammello che morde, il toro che ferisce con le sue corna e tutti gli altri come questi ), rendono appunto chiarissima testimonianza di ciò.
Parimenti, infatti, tutte le bestie si sottrarrebbero al tuo dominio, se non ne fossero impedite dalla legge divina.
In tal modo, la loro ribellione favorisce la tua disciplina e i loro sobbalzi fanno cessare i tuoi; tiranneggiato da queste, apprendi a non tiranneggiare a tua volta, riconoscendo il Signore.
É per questo motivo che l'Artefice delle cose ha creato anche le fiere e i rettili, onde ammaestrare appunto alla virtù il tuo animo giovanilmente insolente e temerario e renderti, grazie al terrore delle bestie feroci, bisognoso dell'aiuto divino.
Infatti, la paura di queste, che incombe su di te, pungendoti e stimolandoti con intensa sofferenza, suole spingerti alla preghiera e ti costringe a implorare soccorso.
Quando, poi, le circostanze ti inducono a cercare aiuto, allora ti preoccupi anche di onorare colui che può soccorrerti e ti mostri sollecito nei suoi confronti, allo scopo di sfuggire ai pericoli da parte di coloro che ti insidiano.
Allora infatti, sollevando l'animo verso l'alto, ricerchi il difensore, desideroso come sei d'essere liberato da chi ti danneggia.
Un tal timore, dunque, ti conduce a Dio.
Ed egli ha allontanato da te queste sventure affinché tu, incessantemente afflitto da una simile paura, non conducessi una vita infelice.
Infatti ha nascosto in caverne le bestie velenose e ha comandato loro di vivere in cavità sotterranee, non consentendo ad esse in alcun modo di aggredire impunemente gli uomini.
Al contrario, Iddio volle ch'esse rimanessero sempre nascoste, apparendo soltanto raramente, e fuggissero alla vista degli uomini, loro padroni.
Stabilì per esse una legge secondo la quale sarebbe stato loro consentito di recar danno a poche persone e soltanto di rado ( e ciò non in seguito alla loro iniziativa nell'attaccar battaglia, ma unicamente per difendersi una volta provocate ).
Nessuna di esse, infatti, ci avrebbe mai intimorito, se la natura umana fosse stata esperta delle loro forze.
Il sommo governatore di tutte le cose ha poi stabilito che i quadrupedi abitino le selve e le asperità rocciose e i luoghi pieni di cavità, solitamente lontanissimi dagli uomini.
Sancì per essi un tempo, evidentemente di notte, destinato al pasto … all'inizio codesti animali erano sottomessi all'uomo, ma in seguito all'ingresso del peccato si ribellarono al suo governo.
Teodoreto di Ciro, La provvidenza divina, 5
Ti vanti forse di essere forte?
Dovresti, anzi, umiliarti per questo motivo, dal momento che ti dai delle arie su di una cosa insignificante.
Il leone, infatti, ti supera in audacia; il cinghiale, in forza: di fronte a loro non sei neppure un moscerino.
I briganti, i profanatori di tombe, i gladiatori, sì, forse anche i tuoi schiavi più miserabili sono più forti di te.
Questo sarebbe un vanto? E non ti vergogni di vantartene?
Sei nel fiore della bellezza? Ma questo è il vanto del corvo della favola!
Tu non sei più bello del pavone, né per la leggiadria dell'aspetto, né per gli splendidi colori del piumaggio.
L'uccello riporta la vittoria, il suo piumaggio ti supera di gran lunga in grazia e in splendore.
Anche il cigno e tanti altri uccelli sono bellissimi: a paragone di questi, tu scompari del tutto …
Per caso sei ricco? E di che? Cosa possiedi? Oro, argento, pietre preziose?
Ma di ciò possono vantarsi anche briganti e assassini; e persino i forzati.
Il sudore dei criminali condannati, quindi: è questo l'oggetto della tua gloria?
Tu, però, te ne adorni e te ne fai bello?
Ma anche di cavalli se ne possono vedere di bene adornati.
Presso i persiani si trovano persino dei cammelli riccamente bardati; fra gli uomini lo sono tutti gli attori sulla scena.
Non ti vergogni, allora, di inorgoglirti per qualcosa che gli animali bruti, gli schiavi, gli assassini, gli effeminati, i briganti e i violatori di tombe dividono con te?
Per caso tu costruisci splendide case? E che vuol dire?
Le cornacchie abitano spesso case più splendide e hanno residenze più sontuose.
Non ti accorgi che le ville costruite in luoghi isolati di campagna da coloro che vaneggiano per le ricchezze sono popolate di cornacchie?
Ti vanti forse della tua bella voce?
Non sarai, tuttavia, mai in grado di superare la grazia del cigno e dell'usignolo.
Sei orgoglioso della tua abilità? Ma che cosa c'è, sotto questo punto di vista, di più abile delle api?
Quale ricamatrice, quale pittore, quale architetto può imitare i loro lavori?
O forse ti dai delle arie per la finezza del tuo vestito?
Ma anche in questo sono i ragni a riportare la vittoria.
Oppure vai fiero della velocità del tuo piede?
Anche in tal caso il premio tocca agli animali bruti: alla lepre e al capriolo; e quanti animali domestici non sono assolutamente da meno di loro quanto a velocità del piede!
Tu fai lunghi viaggi? In nessun caso, però, più lunghi degli uccelli, poiché questi se la cavano molto più facilmente nel viaggiare: non hanno bisogno di denaro per il viaggio, né di bestie da tiro, poiché le loro ali sostituiscono tutto; esse sono la loro nave, la loro pariglia da tiro, la loro vettura, il loro vento: tutto ciò, insomma, che si può immaginare.
Hai forse uno sguardo acuto? Però, in ogni caso, mai così acuto come quello del capriolo o dell'aquila.
Hai un orecchio fine? Ma l'asino ce l'ha ancora più fine.
Il tuo odorato è sensibile? Il cane, tuttavia, non ti cede in questo la superiorità.
Puoi trovare qualcosa con facilità? Ma anche in questo sei inferiore alla formica.
Porti gioielli d'oro? Comunque, non diversamente dalle formiche indiane.
Ti vanti perché sei sano? Dal punto di vista della salute, gli animali se la passano molto meglio di te.
Anche per quanto riguarda il benessere e il procurarsi il vitto, non conoscono il timore della miseria …
Sento dunque dire: « Dio, durante la creazione, ha provveduto agli animali bruti meglio che a noi ».
Vedi quanto ti manca la riflessione? …
Ci sono infatti prerogative nelle quali nessuno degli animali irrazionali è uguale a noi.
Quali sono? Il timor di Dio e la condotta di vita virtuosa.
Noi sappiamo che c'è un Dio, riconosciamo la sua provvidenza, meditiamo sull'immortalità.
Qui gli animali devono cedere a noi: non possiamo dubitarne.
Noi abbiamo la ragione: in questo gli animali privi di ragione non hanno nulla in comune con noi.
Perciò, sebbene in tutto il resto noi restiamo dietro di loro, abbiamo comunque la signoria su di essi.
E in ciò, appunto, si manifesta questa nostra grande superiorità: nel fatto, cioè, che noi, pur essendo inferiori alle bestie, comandiamo su di esse.
Donde devi imparare che tu non hai tali prerogative per merito di te stesso, ma grazie a Dio che ti ha creato, dotandoti della ragione.
Noi tendiamo reti e trappole ai danni degli animali e, catturandoli, ve li cacciamo dentro.
Proprie dell'uomo dovrebbero essere la moderazione, l'equità, la dolcezza di carattere, il disprezzo del denaro.
Ma poiché tu, preso da alterigia, non possiedi nessuna di queste qualità, ne deriva come naturale conseguenza che tu o ti sollevi orgoglioso al di sopra degli uomini oppure ti abbassi al di sotto delle bestie irragionevoli.
Questo, infatti, è il costume della boria e della presunzione: non mantiene mai la giusta misura; o si innalza sconvenientemente oppure si umilia con altrettanta esagerazione.
Noi siamo simili agli angeli; ci è promesso il regno dei cieli, la spirituale riunificazione con Cristo.
L'uomo si lascia flagellare e non soccombe; egli non ha paura della morte, non trema, non teme, non aspira più a nulla.
Chi non è così intenzionato a questo proposito, si trova molto al di sotto delle bestie irrazionali.
Infatti, dal momento che sei inferiore ad esse dal punto di vista delle prerogative corporee, nel caso in cui tu non possegga neppure quelle spirituali, come non potresti ricoprire una posizione assai inferiore rispetto a quella degli animali?
Considera, ad esempio, un uomo che non sia affatto conforme alla ragione, vivendo nella lussuria e nell'avidità.
Ebbene costui, il cavallo lo supera nell'ardore del combattimento, il cinghiale nella forza, la lepre nella velocità, il pavone gli è superiore in bellezza, il cigno nell'armoniosità della voce, l'elefante nella mole, l'aquila nell'acutezza della vista, tutti gli uccelli in ricchezza.
In base a che cosa, dunque, pretendi di dominare sulle bestie brute?
Grazie alla ragione? Ma essa non c'è.
Chi non ne fa un buon uso infatti, si trova nuovamente al di sotto di tali bestie.
Quando tu, sebbene dotato di ragione, ti comporti più irragionevolmente degli animali, allora sarebbe meglio che tu, fin dal principio, non avessi affatto ricevuto il dono della ragione.
Non è la medesima cosa, infatti, perdere una dignità dopo averla posseduta e non esserne, invece, mai giunti in possesso.
Quando il re è peggiore di un comune soldato, allora sarebbe meglio ch'egli non fosse mai stato rivestito della porpora.
Non diversamente stanno le cose anche a proposito del nostro argomento.
Perciò, dal momento che sappiamo che, senza la virtù, noi siamo inferiori agli animali bruti, esercitiamola affinché diventiamo realmente uomini, anzi angeli, giungendo al godimento dei beni promessi.
Giovanni Crisostomo, Omelie sulla lettera ai Filippesi, 7,5-6
Dio, nostro creatore e padre, diede all'uomo la coscienza e l'intelligenza perché da ciò fosse manifesto che noi siamo generati da lui che è intelligenza, coscienza, ragione.
A tutti gli altri animali non volle, intenzionalmente sin dall'origine, attribuire questa potenza razionale e perciò dispose in modo che ne fosse tuttavia sufficientemente tutelata l'esistenza.
A tale scopo rivestì tutti con un proprio mantello perché a maggior agio potessero sostenere il rigore dei freddi invernali.
Ad ogni specie assegnò particolari mezzi difensivi per respingere attacchi esterni: gli uni resistono con armi naturali ai più forti: gli altri, troppo deboli, si sottraggono ai pericoli con la velocità della fuga oppure si nascondono in buche o si mettono al sicuro con astuzie, se sprovvisti di mezzi di velocità.
Tra essi quindi alcuni sono sollevati nello spazio da agili piume, altri irrobustiti da artigli, altri forniti di corna e altri hanno quale arma i denti nella bocca o adunche unghie ai piedi: a nessuno manca un mezzo di difesa …
Nel formare l'uomo, quale animale eterno e immortale, Dio non lo armò esteriormente, come tutte le altre bestie, ma internamente; né pose la sua difesa nel corpo, ma nell'animo; perché sarebbe stato superfluo, dopo avergli fatta la massima concessione, proteggere lui con difese del corpo, quando, per di più, avrebbero compromesso l'estetica dell'aspetto umano.
Per tale ragione io mi stupisco della stoltezza dei seguaci di Epicuro i quali biasimano l'operato della natura, e tentano di dimostrare che il mondo si forma e si regge senza la Provvidenza e attribuiscono l'origine delle cose agli atomi, dal cui concorso fortuito tutto sarebbe nato e nascerebbe.
Lattanzio, L`opera di Dio, 2,1-2
Vuoi dunque confrontare gli animali, così generati, con l'uomo?
Non disconoscere la natura propria di ciascuna specie, e il tuo paragone sarà tutto a favore dell'uomo.
Prima di tutto, la natura ha piegato tutte le specie di bestie, di animali e pesci sul ventre: gli uni strisciano sul ventre; gli altri, che pur hanno piedi, sembrano, per il loro incedere da quadrupedi, più immersi e infissi al terreno, che liberi.
Sono incapaci di erigersi, e solo sul terreno cercano il loro nutrimento e gioiscono solo dei piaceri del ventre, che li tira in basso.
Attento, o uomo, a non abbassarti a modo delle bestie!
Attento a non abbassarti al ventre, seguendo non tanto il bene del corpo, quanto le sue voglie!
Pensa alla figura del tuo corpo e assumi anche spiritualmente una posizione degna dell'elevatezza di quello.
Lascia che solo gli animali si pascano proni a terra.
Perché ti pieghi sul tuo ventre, nelle gozzoviglie, dato che la natura non ti ha su di esso disteso?
Perché cerchi la tua gioia in ciò che disonora la tua natura?
Perché, pensando notte e giorno al cibo, ti pasci, come le bestie, di ciò che è terreno?
Perché ti dai ai piaceri della carne che disonorano te stesso, rendendoti schiavo del ventre e delle sue brame?
Perché ti privi della ragione, che pure il Creatore ti ha elargita?
Perché ti metti sullo stesso piano con gli animali, da cui Dio vuole che tu sia ben distinto, ammonendoti: Non rendetevi simili al cavallo e al mulo, che non hanno intelletto ( Sal 32,9 )?
Ambrogio, Esamerone, 6,10
La ragione giudica in un modo, l'utilitarismo in un altro.
La ragione stima le cose alla luce della verità, anteponendo, con retto giudizio, le maggiori alle minori.
L'utilitarismo invece viene mosso per lo più dalla ricerca della comodità, tanto da stimare più ciò che la verità denuncia valere di meno.
Mentre la ragione riconosce l'eccellenza di gran lunga superiore dei corpi celesti su quelli terrestri, quale uomo carnale mai non preferirebbe che in cielo mancassero anche molte stelle, piuttosto che mancasse una pianticella dal suo campo o una mucca dal suo armento?
Eppure gli uomini maturi o disprezzano o cercano di correggere pazientemente i giudizi dei bimbi, che preferiscono la morte di un qualsiasi uomo, eccettuati quei pochi dal cui amore si sentono beneficati, piuttosto che quella di un loro uccelletto; e tanto più se si tratta di un uomo severo, mentre il loro uccelletto è bello e canta bene.
Agostino, Il libero arbitrio, 3,17
Ciò che nel nostro animo abbiamo in comune con gli animali - è giusto asserirlo - appartiene all'uomo esteriore.
Non gli appartiene perciò solo il corpo, ma anche quel principio vitale che dà vigore alla compagine del corpo e a tutti i sensi di cui esso è fornito per percepire le realtà esterne; le immagini di questi sensi fisse nella memoria, rivivono poi nel ricordo: è una realtà che appartiene anch'essa all'uomo esteriore.
In tutto ciò non ci distinguiamo dagli animali se non per il fatto che non siamo proni nella posizione del corpo, ma eretti.
Con questo, colui che ci ha fatto ci ammonisce di non renderci simili, nel nostro animo, agli animali, da cui ci distinguiamo perfino nell'atteggiamento del corpo.
E neppure di abbassare il nostro animo a ciò che nell'animale è pur più elevato: cercare in ciò la quiete della nostra volontà, è umiliare gravemente l'animo.
Ma come il corpo è naturalmente eretto verso i corpi più nobili, cioè i corpi celesti, così il nostro animo, che è sostanza spirituale, deve erigersi alle realtà spirituali più nobili, innalzandosi non per superbia, ma con vera religiosità.
Agostino, La Trinità, 12,1
Che il sommo Creatore di tutte le cose abbia chiamato all'esistenza fin dall'inizio un'unica natura umana, riempiendo, a partire da un solo uomo e da una sola donna, l'intero universo di uomini, non soltanto lo attesta la sacra Scrittura, ma è la natura stessa ad avallarne la testimonianza.
Infatti a tutti coloro ai quali toccò di vivere in Oriente o in Occidente, nelle regioni australi o boreali o centrali del mondo, è stato assegnato un unico sembiante, e un medesimo numero di sensi, mentre differiscono unicamente per costumi e carnagione.
I costumi, dal canto loro, dipendono dalle differenti consuetudini di vita oppure dalla libertà.
La medesima differenza, d'altronde, è lecito rilevarla anche presso di noi.
É la latitudine, poi, a provocare la diversità di carnagione.
Coloro i quali vivono più lontani dai raggi solari, infatti, hanno la superficie del corpo più chiara.
Viceversa, gli abitanti dell'emisfero australe, sia in Oriente che in Occidente, più prossimi come si trovano ai raggi del sole, assumono un pigmento scuro.
Proprio come avviene per il legno che, investito costantemente dalla fiamma del fuoco, si trasforma in carbone e diviene di colore nero.
Teodoreto di Ciro, La provvidenza divina, 7
Giustamente la vera religione riconosce e loda il vero Creatore dell'universo anche come creatore di tutti gli esseri viventi, cioè delle anime e dei corpi.
E colui che è preminente tra gli esseri terreni, l'uomo fatto a immagine di lui, fu da lui, per qualche causa a noi nascosta, creato solo, ma non fu poi lasciato solo.
Nessun altro genere di animali è tanto discorde per vizio, e tanto socievole per natura.
La natura umana, poi, non potrebbe addurre nulla tanto atto a premunire dalla discordia, se non esiste, e a curarla, se esiste, quanto il ricordo del suo progenitore, che Dio volle creare solo all'origine di una moltitudine, come ammonimento a conservare l'unità concorde nella moltitudine.
La sua donna fu fatta dal suo fianco; e con ciò fu significato chiaramente quanto deve esser cara l'unione tra il marito e la moglie.
Queste opere di Dio sono insolite, perché furono le prime.
Coloro poi che non le credono, non possono credere a nessun prodigio: se i prodigi, infatti, avvenissero secondo il corso solito della natura, non si potrebbero dire prodigi.
Ma cosa mai si può dire che, sotto il governo tanto augusto della divina provvidenza, avviene invano, quantunque il motivo ce ne sfugga?
Dice uno dei sacri salmi: Venite e vedete le opere di Dio, che fece prodigi sulla terra ( Sal 46,9 ) …
Perciò in questo primo uomo, che fu creato all'inizio, riteniamo che, non secondo l'evidenza, ma certo secondo la prescienza di Dio, sorsero nel genere umano due società, quasi come due città.
Da lui infatti ebbero origine tutti gli uomini, sia quelli che saranno associati nel supplizio agli angeli cattivi, sia quelli che nel premio saranno associati agli angeli buoni: per giudizio di Dio certamente occulto, ma giusto.
Sta scritto infatti: Tutte le vie del Signore sono misericordia e verità ( Sal 26,10 ): non può essere ingiusta la sua grazia, né crudele la sua giustizia.
Agostino, La città di Dio, 12,27
Chiunque nasce come uomo, cioè come animale ragionevole mortale, sia che presenti ai nostri sensi una forma del corpo strana, e incolore, o un movimento, o un suono per una qualsivoglia forza parte o qualità della natura, nessun fedele tuttavia dubiterà che non tragga origine dall'unico progenitore.
Tali apparenze ci mostrano chiaramente ciò che corrisponde nei più alla natura, e ciò invece che è strano perché è raro.
La stessa ragione che spiega i parti mostruosi fra noi uomini, si può addurre anche per spiegare le mostruosità di alcune genti.
Dio infatti è creatore di tutto, sa come, dove e quando era opportuno creare; conosce inoltre la bellezza dell'universo intero, e le parti simili o diverse cui essa è intessuta.
Ma chi non può vedere il tutto, si stupisce per quella che crede deformità della parte: non sa infatti a che riferirla e ciò cui spesso si armonizza.
Sappiamo che alcuni uomini nascono con più di cinque dita nelle mani o nei piedi; e questa è una delle mostruosità più piccole.
Quantunque poi la sua spiegazione ci sia sconosciuta, non sia mai che qualcuno sia tanto pazzo da credere che il Creatore abbia sbagliato il numero delle dita umane.
E se anche si presentasse un'anomalia maggiore, la conosce bene colui le cui opere può presumere di censurare … non si può negare poi che tutti questi uomini traggano la loro origine dall'unico primo uomo; così si deve ammettere che tutti i popoli il cui corpo, come ci viene tramandato, sembra quasi esorbitare e trascendere dal corso ordinario della natura quale è posseduta da tutti, o quasi tutti, se poi si può applicare loro la definizione di animali ragionevoli e mortali, procedono anch'essi dalla stirpe dell'unico primo uomo; presupposto, tuttavia, che sia vero tutto ciò che si tramanda sulla stranezza fisica di questi popoli e sulla loro diversità da noi.
Agostino, La città di Dio, 16,8
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