La città di Dio

Indice

Contro i ritorni ciclari unità e bontà originaria dell'uomo

14 - Ineffabile l'opera di Dio

Non c'è da meravigliarsi poi se, vagando per questi cicli, non trovano né l'entrata né l'uscita perché non sanno come hanno avuto inizio e quale fine avranno il genere umano e la sua esistenza terrena.

Non possono infatti conoscere la trascendenza di Dio, perché egli, pur essendo eterno e senza inizio, da un determinato inizio ha dato origine al tempo e all'uomo, che prima non aveva creato e che ha creato nel tempo non con un disegno subitaneo, mai avuto prima, ma immutabile ed eterno.

Nessuno può indagare su questa trascendenza di Dio perché è arcana, né esprimerla perché è ineffabile.

Difatti nel rispetto ad essa Dio, con volontà non diveniente nel tempo, creò nel tempo l'uomo, prima di cui non era esistito alcun uomo, e da un solo individuo fece moltiplicare il genere umano.

Il Salmo citato premette queste parole: Tu, o Signore, ci custodirai e ci difenderai dalla generazione presente e fino nell'eternità.

Confuta poi coloro, nella cui insipiente ed empia dottrina non è contemplata l'eternità di una liberazione e felicità dell'uomo.

Infine con le parole: Gli empi si muoveranno in giro, suppone che gli si chieda: "Che cosa presumi di conoscere tu con l'opinione, il senso, l'intelligenza?

Si può forse ritenere che all'improvviso Dio decise di creare l'uomo, sebbene non l'avesse creato nella sterminata eternità anteriore e sebbene in lui è impossibile una modificazione e non esista alcun divenire?", e risponde rivolgendosi a Dio stesso: Nel rispetto della tua trascendenza hai fatto moltiplicare i figli degli uomini. ( Sal 12,9 )

Gli uomini, dice, pensino quel che vogliono, suppongano e sostengano quel che loro piace: Nel rispetto della tua trascendenza ( che l'uomo non può conoscere ) hai fatto moltiplicare i figli degli uomini.

Ed è infatti veramente trascendente e che sia sempre esistito e che per quanto riguarda l'uomo, che anteriormente non aveva creato, abbia creato il primo in un determinato tempo e che ciò nonostante non abbia mutato né disegno né volere.

15.1 - Dio è Signore in ogni tempo

Io come non oso dire che Dio Signore non sia stato sempre signore, così non devo dubitare che l'uomo non è sempre esistito e che il primo uomo è stato creato in un determinato tempo.

Ma quando rifletto di che cosa Dio fu eternamente signore se la creatura non è esistita eternamente, temo di affermare qualcosa, mi esamino e rammento il detto della Scrittura: Chi degli uomini può conoscere il disegno di Dio o chi potrà pensare l'oggetto del suo volere?

I pensieri dei mortali temono di errare e incerti sono i nostri procedimenti.

Infatti il corpo che è materia appesantisce l'anima e la terrenità costringe la nostra facoltà a formulare molteplici pensieri. ( Sap 9,13-15 )

Dunque in questa terrenità io formulo molti pensieri.

E ne formulo molti perché non riesco a raggiungere quell'uno che, o fra di essi o al di là di essi e che forse io non formulo, è il vero.

Ma supponiamo che, scegliendo fra di essi, io dico che la creatura, di cui Dio fosse signore, è sempre esistita, perché egli è eternamente signore e non vi fu tempo in cui non lo fosse, ma che sono esistite ora l'una ora l'altra in diverse dimensioni di tempo.

Questo per non affermare che alcuna sia coeterna al Creatore, giacché la fede e la vera ragione condannano questa tesi.

In tale ipotesi si deve evitare l'assurdo, contrario alla verità rivelata, che la creatura, mortale per il mutare del tempo, è sempre esistita con lo scomparire di una e il succedere dell'altra e che ha cominciato ad essere immortale soltanto quando si è giunti all'attuale successione di tempi, nella quale sono stati creati anche gli angeli.

Infatti se la luce creata al principio indica esattamente loro o piuttosto il cielo, di cui è detto: In principio Dio creò il cielo e la terra, ( Gen 1,1 ) si deve ammettere che non sono esistiti prima di essere creati, per non dover ammettere, se si dice che sono sempre esistiti, che esseri immortali siano coeterni a Dio.

Se poi dirò che gli angeli non sono stati creati nel tempo ma che sono esistiti prima di tutti i tempi, affinché Dio fosse il loro signore perché sempre è stato signore, mi si chiederà anche, nell'ipotesi che siano stati creati prima di tutti i tempi, se è possibile che, pur essendo stati creati, siano sempre esistiti.

Ma in proposito mi sembra che forse si può rispondere: E perché non da sempre, se non è assurdo dire che l'essere il quale esiste in ogni tempo da sempre esiste?

Essi sono esistiti in ogni tempo appunto perché sono stati creati prima di tutti i tempi, se i tempi hanno avuto inizio col cielo ed essi esistevano prima del cielo.

Ma supponiamo che il tempo non ha avuto inizio dal cielo ma che si ebbe prima del cielo, non certamente in ore, giorni, mesi ed anni.

Infatti queste misure di dimensioni di tempo, che nel parlare comune propriamente si chiamano tempo, hanno avuto inizio, come è evidente, dal movimento degli astri.

Dio stesso, nell'assegnare loro uno spazio, disse: E siano come distinzioni di tempi e di giorni e di anni. ( Gen 1,14 )

Il tempo si intende invece come il divenire del movimento secondo il prima e il poi, dato che le sue parti non possono essere simultaneamente.

Dunque prima del cielo una simile condizione si verificava nel divenire degli angeli e quindi il tempo già esisteva e gli angeli, dal momento in cui furono creati, divenivano nel tempo.

Ma anche in questo senso sono esistiti in ogni tempo, perché il tempo ebbe inizio con loro.

E chi potrebbe dire che non è sempre esistito ciò che è esistito in ogni tempo?

15.2 - Gli angeli sempre esistiti ma nel tempo

Ma se darò questa soluzione, mi si chiederà: "Come dunque non sono coeterni al Creatore, se egli è sempre esistito ed essi egualmente?

Come si potrà affermare che sono stati creati se si deve pensare che sono sempre esistiti?

Che cosa si risponderà a questa obiezione?

Si dovrà forse dire che sono sempre esistiti perché sono esistiti in ogni tempo, dato che o sono stati creati col tempo o assieme ad essi ha avuto inizio il tempo e che tuttavia sono stati creati?".

Non possiamo negare che il tempo ha avuto un inizio, quantunque nessuno mette in dubbio che in ogni tempo si è avuto il tempo.

Infatti se il tempo non si è avuto in ogni tempo, c'era dunque il tempo quando non c'era il tempo.

Neanche uno sciocco lo potrebbe dire.

Dunque è ragionevole dire: C'era il tempo quando non c'era Roma; c'era il tempo quando non c'era Gerusalemme; c'era il tempo quando non c'era Abramo; c'era il tempo quando non c'era l'uomo e così via; infine nell'ipotesi che il mondo non sia stato creato all'inizio del tempo ma dopo un certo tempo, possiamo dire che c'era il tempo quando non c'era il mondo, ma è assurdo dire che c'era il tempo quando il tempo non c'era.

È come se si dicesse: "Esisteva l'uomo quando nessun uomo esisteva"; ovvero: "Esisteva questo mondo quando questo mondo non esisteva".

Se invece si intendesse parlare di due condizioni diverse, ci si può esprimere per analogia, cioè: "Esisteva un uomo diverso quando non esisteva l'uomo attuale"; e così si può dire ragionevolmente: "Si aveva un altro tempo quando non si aveva il tempo attuale"; ma neanche un insensato può dire: "C'era il tempo quando il tempo non c'era".

Si afferma dunque che il tempo ha avuto inizio, sebbene si ammetta che sempre c'è stato perché in ogni tempo il tempo c'è stato.

Non ne consegue che se gli angeli sono sempre esistiti, non siano stati creati.

Si afferma che sono sempre esistiti appunto perché sono esistiti in ogni tempo e sono esistiti in ogni tempo appunto perché senza di essi era assolutamente impossibile che si avesse il tempo.

Infatti se non esiste una creatura, dal cui divenire nel movimento si svolga il tempo, non è possibile in senso assoluto che si abbia il tempo.

E per questo anche se sono sempre esistiti, sono stati creati ma non ne consegue che se sono sempre esistiti siano coeterni al Creatore.

Egli infatti è sempre esistito per non diveniente eternità; essi invece sono stati creati ma dire che sono sempre esistiti significa che sono esistiti in ogni tempo, dato che era assolutamente impossibile che senza di essi si avesse il tempo.

Il tempo invece, dato che trascorre col divenire, non può essere coeterno all'eternità che non diviene.

Pertanto anche se l'immortalità degli angeli non trascorre nel tempo e non è passata, come se non si avesse più, e non è futura, come se ancora non si avesse, tuttavia i loro movimenti, con cui si svolge il tempo, passano dal futuro al passato.

Quindi è impossibile che siano coeterni al Creatore, perché non è concepibile che nel suo muoversi ci sia stata qualche cosa che non c'è più o ci sarà qualche cosa che ancora non c'è.

15.3 - Limite della ragione di fronte al mistero

Per la qual cosa se Dio è stato sempre signore, ha avuto sempre una creatura soggetta alla sua signoria, non da lui generata ma creata dal nulla e non a lui coeterna.

Era prima di lei, sebbene in nessun tempo senza di lei, perché non la precedeva per una dimensione del tempo che trascorre, ma in una immobile indefettibilità.

Ma se do questa soluzione a coloro che mi chiedono come è stato sempre creatore, sempre signore, se non esisteva una creatura a lui soggetta, ovvero perché è stata creata e non piuttosto è coeterna al Creatore se è sempre esistita, temo di esser giudicato come uno che afferma con leggerezza ciò che non sa, anziché come uno che insegna ciò che sa.

Ritorno dunque alla dottrina che il nostro Creatore ha voluto che conoscessimo e confermo che sono al di là delle mie capacità le nozioni che egli ha concesso di conoscere ai più sapienti in questa vita o ha riservato alla conoscenza dei perfetti nell'altra vita.

Ma ho ritenuto di esporle senza sostenerle affinché i lettori sappiano da quale pericolosa problematica debbono guardarsi, non pensino di essere capaci di tutto, anzi intendano che si deve ubbidire all'Apostolo il quale ci dà questo salutare ammonimento: Dico a tutti i componenti della vostra comunità, in base alla grazia che mi è stata data, di non pretendere di capir più di quanto conviene, ma di volerlo nel giusto limite, secondo la misura della fede che Dio ha distribuito a ciascuno. ( Rm 12,3 )

Se infatti il bambino viene nutrito secondo le sue forze, avverrà che col crescere comprenderà di più; se al contrario oltrepasserà le forze della propria capacità, verrà meno prima di crescere.

16 - I tempi eterni non sono l'eternità

Confesso di non sapere quali successioni dei tempi passarono prima che avesse inizio il genere umano.

Non dubito tuttavia che non si dà nulla di coeterno fra creatura e Creatore.

L'Apostolo parla di tempo eterno, e non futuro ma passato; e questo desta maggior meraviglia.

Ha detto: Verso la speranza della vita eterna che Dio, il quale non mente, ha promesso prima dei tempi eterni ma ha manifestato la sua parola nel tempo suo. ( Tt 1,2-3 )

Ha detto dunque che vi sono stati in passato tempi eterni che tuttavia non furono coeterni a Dio, giacché egli non solo esisteva prima dei tempi eterni ma ha anche promesso la vita eterna che ha manifestato nel tempo suo, cioè conveniente.

E non è altro che il suo Verbo perché egli è la vita eterna.

E come ha fatto a promettere giacché ha promesso agli uomini che ancora non esistevano prima dei tempi eterni?

Perché nella sua eternità e nello stesso suo Verbo a lui coeterno era definito con un atto della provvidenza ciò che a suo tempo sarebbe avvenuto.

17.1 - Sofismi dei sostenitori del ritorno dell'identico

Non ho dubbi neanche sul fatto che prima della creazione dell'uomo non sia esistito in qualche tempo alcun uomo e che non è stata restituita all'esistenza attraverso non so quali cicli e non so quante volte una umanità della medesima specie o altra simile nella natura.

Non mi distolgono da questa credenza gli argomenti dei filosofi, anche se è considerata molto profonda la loro teoria che l'infinito non si può rappresentare come oggetto di scienza.

Pertanto Dio, dicono essi, contiene in sé tutte le ragioni finite del tutto delle cose finite che crea.

Inoltre, soggiungono, non si deve pensare che la sua bontà sia rimasta per qualche tempo senza agire per non affermare che la sua azione sia nel tempo, giacché il suo riposo sarebbe nell'eternità e poi, come se si fosse pentito del precedente suo riposo senza inizio, avrebbe dato inizio alla sua opera.

Pertanto è necessario, dicono, che ritornino sempre i medesimi eventi e trascorrano identici nel loro perpetuo ripetersi.

Quindi il mondo o si perpetuerebbe nel divenire perché, sebbene sia sempre esistito senza avere inizio nel tempo, è stato creato, ovvero, nonostante il suo sorgere e tramontare, sarebbe tornato e tornerebbe sempre a ripetersi mediante quei cicli.

Col dire, cioè, che le opere di Dio hanno avuto un inizio nel tempo, si verrebbe ad affermare che egli abbia in qualche modo condannato il precedente suo riposo senza inizio come inerte e ozioso e perciò riprovevole e che pertanto sia passato al movimento.

Se al contrario si afferma che dall'eternità ha creato le cose nel tempo, ma diverse, e che così è giunto una buona volta a creare anche l'uomo, che anteriormente non aveva creato, potrebbe sembrare, a sentir loro, che ha creato le cose che ha creato non con la scienza, con cui a loro avviso non ci si può rappresentare l'infinito, ma così secondo l'opportunità, come gli veniva in mente con una intermittenza dovuta al caso.

Quindi, secondo loro, se si ammettono quelle palingenesi con cui tornano i medesimi eventi nel tempo o in un mondo perpetuo o in un mondo che inserisce in cicli identici il ripetersi del suo sorgere e tramontare, non si attribuiscono a Dio né un ozio indolente, tanto più che è di una lunghezza senza inizio, né un'inconsapevole sprovvedutezza nell'agire.

Se non si dà il ritorno dell'identico, è impossibile, dicono, che sia colta da una sua scienza o prescienza la realtà differenziata con infinita diversificazione.

17.2 - Vengono confutati

Se la ragione non riesce a confutare queste elucubrazioni, con cui pensatori miscredenti tentano di stornare la nostra religiosità semplice dalla via dritta per farci girare con loro attorno ai cicli, ( Sal 12,9 ) la fede dovrebbe farsene beffe.

Si aggiunge che con l'aiuto del Signore Dio nostro una dimostrazione apodittica riesce a spezzare questi cicli periodici che la suddetta teoria si affanna a rappezzare. Costoro errano, al punto da preferire un circolo vizioso alla via vera e dritta, principalmente in questo che dall'angolazione della mutevole e angusta intelligenza umana misurano l'intelligenza divina assolutamente immutabile, comprensiva di qualsiasi infinità e che dispone in una successione, senza passare da un pensiero all'altro, l'infinita serie dei numeri.

Capita loro quel che dice l'Apostolo: Non capiscono perché confrontano se stessi a se stessi. ( 2 Cor 10,12 )

Essi infatti devono eseguire con una decisione nuova tutto ciò che loro capita in mente di dover fare poiché hanno la mente posta nel divenire.

Proponendosi quindi al pensiero non Dio, che non possono rappresentarsi, ma in vece di lui se stessi, confrontano non Dio ma se stessi e non a lui ma a se stessi.

Noi non dobbiamo ritenere che Dio si trovi in una condizione quando è in riposo e in un'altra quando è in attività.

È perfino inconcepibile che sia condizionato, come se nel suo essere si verifichi qualche cosa che prima non c'era.

Chi è condizionato infatti subisce una modificazione e ogni essere che subisce una modificazione è nel divenire.

Nel suo riposo dunque non si devono ravvisare pigrizia, ozio, inerzia, come nella sua attività lavoro, sforzo, fatica.

Sa agire nel riposo e riposare nell'azione.

Può applicare ad un'opera nuova una determinazione non nuova ma eterna e non ha cominciato a fare ciò che non aveva fatto perché si è pentito di essere stato anteriormente in riposo.

Ma supponiamo che fosse prima in riposo e poi in attività, anche se io non so come questi concetti siano accessibili al pensiero umano.

Ovviamente le nozioni del prima e del poi si riferirono alle cose che prima non esistevano e poi sono esistite.

In Dio al contrario non si ebbe un volere successivo che mutò o sostituì il volere antecedente, ma un solo medesimo eterno immutabile atto della volontà fece sì che le cose create non esistessero finché non esistettero e che poi esistessero quando cominciarono ad esistere.

Mostrò così a coloro che potevano conoscere queste verità, rivelandole forse con un intervento straordinario, che non aveva bisogno delle cose ma che le aveva create per disinteressata bontà, giacché anche senza di esse era rimasto in una felicità non minore da un'eternità senza inizio.

18 - Dottrina su trascendenza e creazione nel tempo

Riguardo poi all'altra loro teoria che neanche con la scienza di Dio può essere rappresentato l'infinito, rimane loro che osino affermare, immergendosi nell'abisso profondo della irreligiosità, che Dio non conosce il tutto del numero.

È assolutamente certo che il numero è infinito, perché qualunque sia il numero che si prende come limite, non dico che è possibile aumentarlo di un'unità, ma per quanto sia grande e comprensivo di una indefinita quantità numerica, in base all'idea stessa del numero, non solo si può raddoppiare, ma anche moltiplicare per se stesso.

Infatti qualsiasi numero è così determinato dalle sue proprietà che non v'è numero eguale ad un altro.

Sono dunque disuguali per quantità e qualità, ognuno è finito, il tutto dei numeri è infinito.

Dio dunque non conoscerebbe a causa dell'infinità l'intero dei numeri e la sua scienza arriverebbe fino a una certa quantità numerica e ignorerebbe il resto?

Non lo potrebbe dire neanche il più insensato.

E costoro non vorranno sottovalutare il numero e affermare che non è oggetto della conoscenza di Dio, perché nella loro tradizione Platone con parole veramente autorevoli presenta Dio che concepisce il mondo mediante i numeri.8

E nella nostra Scrittura si legge che viene detto a Dio: Hai ideato tutte le cose nella misura, nel numero e nel peso. ( Sap 12,21 )

E di lui dice il Profeta: Egli fa scorrere la durata nel numero; ( Is 40,26 ) e il nostro Salvatore dice: Tutti i vostri capelli sono stati numerati. ( Mt 10,30 )

Non si può dubitare che gli sia noto l'intero dei numeri, perché, come dice un Salmo, la sua intelligenza non si può calcolare col numero. ( Sal 146,5 )

Dunque l'infinità del numero, quantunque non si dia calcolo numerico del numero infinito, può essere oggetto di conoscenza unificante per colui, la cui intelligenza non si può calcolare col numero.

Pertanto se l'oggetto di una rappresentazione unificante mediante scienza ha finitezza nella rappresentazione del soggetto, certamente ogni infinità in un modo ineffabile a Dio è finita, perché per la sua scienza è oggetto rappresentabile.

Dunque se l'infinità del numero non può essere infinita per la scienza di Dio che se la rappresenta come oggetto, che razza di omucci siamo noi che pretendiamo di porre limiti alla sua scienza, dicendo che, se non tornano i medesimi eventi nel tempo attraverso i medesimi cicli, Dio non può o aver prescienza di tutte le cose che ha creato per crearle o scienza dopo averle create?

Infatti la sua sapienza molteplice nell'unità e multiforme nella uniformità ha rappresentazione unificante del tutto degli oggetti per noi irrappresentabili con un atto di conoscenza per noi irrappresentabile.

Ne consegue che se volesse creare sempre cose nuove e le cose che seguono dissimili dalle precedenti, esse non sarebbero per lui fuori dell'ordinamento e della provvidenza e non le ordinerebbe a partire dal tempo più vicino ma le accoglierebbe in una eterna prescienza.

19 - Vita eterna nelle successioni dei tempi

Io non oso determinare se Dio agisce in quel modo e se quelli che sono detti secoli dei secoli ( Tb 13,23; Sal 84,5 ) si avvicendano in un nesso di continuità, sebbene si svolgano diversificandosi con razionale dissomiglianza, e questo soltanto per quelli che sono liberati dalla schiavitù terrena ed esistono nella loro felice immortalità; ovvero se per secoli dei secoli s'intendano le successioni che esistono nella sapienza di Dio con indefettibile stabilità e che sono cause esemplari delle successioni che scorrono nel tempo.

Forse si potrebbe dire secolo invece di secoli sicché il secolo del secolo verrebbe a significare soltanto i secoli dei secoli, come il cielo del cielo ( Sal 115,16 ) non significa altro che i cieli dei cieli.

Infatti Dio ha chiamato cielo il firmamento sopra il quale vi sono le acque ( Gen 1,8 ) e tuttavia un Salmo dice: E le acque, che sono sopra i cieli, lodino il nome del Signore. ( Sal 148,4-5 )

Quale dei due significati o un terzo eventuale abbia il concetto dei secoli dei secoli è un problema molto profondo e, se per adesso viene rimandato senza risolverlo, non compromette l'argomento che sto trattando, tanto se nell'esaminarlo riuscissi a chiarire qualche nozione, quanto se un'approfondita discussione mi rendesse più cauto.

Non oserei infatti in così grande oscurità di concetti affermare qualche cosa pregiudizialmente.

Ora sto ribattendo la teoria dei cieli con i quali, come coloro sostengono, tornerebbero necessariamente attraverso periodi di tempo sempre i medesimi eventi.

Ora qualunque delle due opinioni sui secoli dei secoli sia vera, non ha riferimento ai cicli suddetti.

Infatti tanto se i secoli dei secoli non tornino all'identico ma si svolgano l'uno dall'altro in un ordinato avvicendarsi, rimanendo così assicurata la felicità dei liberati dalla carne senza il ritorno alla schiavitù terrena, quanto se i secoli dei secoli siano eterni e paradigmatici di subalterne successioni nel tempo, i cicli che ricondurrebbero l'identico sono un non senso, tanto più che li rifiuta la vita eterna degli eletti. ( Mt 25,46 )

20.1 - Dio nell'insipiente teoria ciclare

Le orecchie dei credenti infatti non sopportano di udire che li attende un simile destino dopo aver trascorso in mezzo a tante sventure la vita, seppure si può considerare vita questa che è piuttosto una morte, e tanto grave, che la morte che da essa ci libera si teme per amore di questa morte.

Dunque dopo sì grandi, molteplici e orribili mali, superati nella purificazione mediante la sapienza della vera religione, si giungerebbe alla visione di Dio e così si diventerebbe beati nella contemplazione della luce ideale mediante la partecipazione alla sua immutevole immortalità, obiettivo finale del nostro amore ardente, per poi abbandonarla in base a una fatale necessità.

E coloro che l'abbandonano, scagliati fuori da quella immortalità, verità, felicità, sarebbero risommersi nella mortalità terrena, nella avvilente insipienza, nelle esecrabili passioni, in cui si perde Dio, in cui si ha in odio la verità, in cui si cerca la felicità attraverso i piaceri contaminanti.

E questo sarebbe avvenuto in passato e avverrebbe in futuro sempre alla stessa maniera incessantemente, a determinati periodi e lunghezze delle durate antecedenti e successive.

E tutto questo perché sia possibile a Dio conoscere le sue opere con cicli stabiliti che eternamente vanno e vengono, attraverso la nostra falsa felicità e vera infelicità, sia pure alternate, ma eterne per l'incessante ripetersi.

E questo perché Dio non potrebbe cessare dall'agire e perché non potrebbe cogliere con la scienza l'infinito.

Chi potrebbe ascoltare simili idee, chi crederle, chi sopportarle?

Ed anche se queste palingenesi fossero vere, non solo sarebbe più prudente non parlarne, ma anche più filosofico ignorarle.

Esprimo il mio pensiero come posso.

Infatti se nell'aldilà non le conserveremo nella memoria e per questo saremo felici, perché qui dalla loro conoscenza viene resa più pesante la nostra infelicità?

Se al contrario di là necessariamente le conosceremo, ignoriamole per lo meno di qua, in maniera che sia più felice di qua l'attesa del sommo bene che di là il suo conseguimento, dato che di qua si attende di conseguire la vita eterna, di là si sa che la vita felice ma non eterna a un certo momento si deve perdere.

20.2 - Il destino dell'uomo

Ma essi dicono che non si può giungere alla felicità nell'aldilà, se non si conosceranno con la cultura di questo mondo quei cicli, in cui si avvicendano felicità e infelicità.

Perché ammettono allora che quanto più si amerà Dio tanto più facilmente si giungerà alla felicità, se poi insegnano queste teorie da cui tale amore è illanguidito?

Chi infatti non amerebbe più fiaccamente e più tiepidamente un essere che sa di dover ineluttabilmente abbandonare e opporsi alla sua verità e sapienza, e questo dopo esser giunto, secondo la propria capacità, alla piena conoscenza di lui nella perfezione della felicità?

Non si riesce ad amare fedelmente neanche un amico, se si sa che diventerà nemico.

Ma non sono vere quelle palingenesi le quali ci minacciano una vera infelicità che non finirà mai ma che s'interromperà spesso e incessantemente con intervalli di falsa felicità.

Non v'è nulla infatti di più falso e ingannevole di una felicità, durante la quale, pur nella immensa luce della verità, ignoriamo, ovvero, pur nel più alto grado della felicità, temiamo di tornare ad essere infelici.

Se infatti di là ignoreremo la futura disgrazia, ha maggior conoscenza di qua la nostra infelicità, perché conosciamo la futura felicità.

Se poi di là non ci sarà nascosta la sventura imminente, trascorre più serenamente il tempo l'anima afflitta perché, quando esso sarà passato, sarà elevata alla felicità, che l'anima felice perché, trascorso il periodo, dovrà tornare all'afflizione.

In tal modo l'attesa della nostra infelicità sarebbe felice e l'attesa della nostra felicità infelice.

Ne consegue che sopportando di qua i mali presenti e temendo di là i futuri, siamo destinati ad essere sempre infelici, anziché una volta felici.

20.3 - Novità contro il ritorno dell'identico

Ma queste teorie sono false.

Lo proclama la pietà, lo dimostra la verità.

A noi infatti è veracemente promessa quella vera felicità che implica la tranquillità che sempre si deve conservare e mai interrompere.

Seguendo dunque la via dritta, che per noi è Cristo, ( Gv 14,6 ) con la sua guida che è salvezza, volgiamo il razionale cammino della fede lontano dai futili e insignificanti giri ciclici dei miscredenti.

Il platonico Porfirio non volle seguire l'opinione della sua scuola su questi cicli e sulle andate e ritorni delle anime, alternatisi senza fine, sia per reazione all'insignificanza della teoria, sia in ossequio alla cultura cristiana.

Preferì sostenere, come ho già detto nel libro decimo,9 che l'anima è stata mandata nel mondo per conoscere il male, affinché liberatasene con la catarsi, una volta tornata al Padre, non torni a subirlo.

A più forte ragione noi dobbiamo biasimare ed evitare questo errore contrario alla fede cristiana.

Considerate dunque vuote di senso queste palingenesi, nulla ci costringe a pensare che il genere umano non ha un inizio nel tempo da cui è cominciato ad esistere, mentre, secondo questa teoria, nella realtà in base a non saprei quali cicli non ci dovrebbe esser nulla di nuovo che non si sia avuto prima e non si avrà dopo attraverso determinati intervalli.

Se infatti l'anima viene liberata per non tornare alla schiavitù, in una forma in cui prima non era stata liberata, avviene in lei qualcosa di nuovo che prima non era mai avvenuto, e questo avvenimento sublime è una felicità eterna che non verrà mai meno.

E se nell'essere immortale avviene una novità tanto grande, non ricondotta nel passato e non riconducibile in futuro da alcun ciclo, perché si sostiene che nelle cose mortali ciò non può avvenire?

Affermano che non avviene nell'anima il fatto nuovo della felicità perché torna a quella in cui è sempre vissuta.

Al contrario la liberazione stessa diviene un fatto nuovo perché l'anima si libera dalla infelicità in cui mai è vissuta e in lei si ha anche il fatto nuovo della infelicità che mai si era avuto.

Se poi questa novità non rientra nell'ordinamento delle cose, dirette al fine dalla divina provvidenza, ma avviene fatalmente, dove sono andati a finire quei cicli determinati nel periodo, nei quali non si verificherebbero eventi nuovi ma tornerebbero sempre i medesimi che furono?

Se poi questa novità non esula dall'ordinamento della provvidenza, tanto nell'ipotesi della immediata creazione come in quella della caduta, è possibile che avvengano eventi nuovi i quali prima non avvennero e tuttavia non sono estranei all'ordinamento della realtà.

È stato possibile per l'anima procacciarsi per impreveggenza una infelicità nuova, che tuttavia non era imprevista per la divina provvidenza, tanto che l'ha inclusa nell'ordinamento della realtà e ne ha liberato l'anima con disegno provvidenziale.

Con quale sfrontata leggerezza umana si osa affermare dunque che è impossibile per la divinità creare cose nuove non per sé ma per il mondo, che prima non ha creato e che mai ha tenuto fuori del disegno provvidenziale?

Se poi affermano che le anime liberate dalla carne non torneranno più all'infelicità, ma che con questo evento non avviene nulla di nuovo perché sempre anime diverse le une dalle altre sono state liberate, sono liberate e saranno liberate, per lo meno concedono, se questo è il loro pensiero, che nuove anime sono create, per le quali vi sono una nuova infelicità e una nuova liberazione.

Se dicono infatti che sono anteriori al tempo e che sono sempre esistite per l'addietro, inoltre che da esse continuamente sono formati nuovi uomini e che, se costoro vivranno nella sapienza, saranno liberati dai loro corpi in maniera da non essere più ricondotti alla schiavitù terrena, vengono necessariamente a sostenere che le anime sono infinite.

Infatti per quanto esteso fosse un numero finito di anime, non basterebbe nelle infinite durate anteriori perché da esso derivassero sempre uomini nuovi, nell'ipotesi che le anime, una volta liberate dalla soggezione alla morte, non vi sarebbero mai più tornate in seguito.

Quindi non potranno spiegare come sia infinito il numero delle anime nella realtà che, a sentir loro, per essere nota a Dio, deve essere finita.

20.4 - Inizio e aumento contro l'identico

Dunque quelle palingenesi sono state dimostrate assurde, perché con esse si sostiene che l'anima necessariamente tornerà alle medesime sventure.

Quindi la cosa più conveniente che rimane per la pietà è credere che è compossibile a Dio produrre esseri mai prodotti prima e, data la ineffabile prescienza, non porre il proprio volere nel divenire.

Riguardo al problema se il numero delle anime liberate e destinate a non tornare alla schiavitù terrena possa sempre aumentare, se la vedano quei tali che fanno discorsi tanto profondi sulla limitazione dell'infinità delle cose.

Io per me chiudo questo mio discorso con un dilemma.

Nell'ipotesi che l'aumento sia possibile, perché negare che poté esser creato ciò che non era mai stato creato, se il numero delle anime redente, che anteriormente non si era avuto, non si verifica soltanto una volta ma non cessa mai di crescere?

Se al contrario è necessariamente stabilito che si dia un determinato numero delle anime liberate destinate a non tornar mai più nell'infelicità e che questo numero non venga accresciuto ulteriormente, anche esso indubbiamente, qualunque sia, prima certamente non si aveva.

Difatti senza un inizio non poteva esser accresciuto e giungere alla dimensione della sua grandezza.

E tale inizio in questi termini prima non si ebbe.

E affinché esso si desse, è stato creato un uomo, prima del quale non ce n'era stato un altro.

21 - Motivi provvidenziali della monogenesi

Dopo aver esaminato, come ho potuto, il problema molto difficile a causa dell'eternità di Dio che crea cose nuove senza alcuna novità del suo volere, non è difficile capire che è stato molto meglio quanto di fatto avvenne e cioè che Dio moltiplicasse il genere umano da un solo individuo, creato per primo, anziché derivarlo da più individui.

Infatti sebbene abbia stabilito che alcuni animali vivano solitari e per così dire solivaghi, cioè che preferiscono viver da soli, come le aquile e gli sparvieri, i leoni e i lupi e simili, ed altri uniti da un istinto gregario che preferiscono vivere a stormi o nel branco, come i colombi e gli storni, i cervi, le gazzelle e simili, tuttavia non li ha fatti derivare da un solo individuo ma ha comandato che più individui contemporaneamente venissero all'esistenza.

Ha invece creato un solo individuo uomo, perché ne aveva ideata la natura come qualche cosa di mezzo fra gli angeli e le bestie.

Quindi se rimanendo soggetto al Creatore come a vero Signore avesse osservato con religiosa obbedienza il suo comando, sarebbe passato nel consorzio degli angeli e avrebbe conseguito senza passare per la morte una felice immortalità senza fine.

Se al contrario usando la volontà libera con atti di superba ribellione avesse offeso Dio suo Signore, divenuto soggetto alla morte e schiavo delle passioni, sarebbe vissuto da bestia e destinato dopo la morte a una pena eterna.

Ma l'uomo non doveva vivere da solo fuori dell'umana società, che anzi proprio in quel modo gli venivano inculcati l'unità dell'umana società e il vincolo della concordia, se gli uomini si sentivano avvinti non solo dalla somiglianza della natura ma anche dal sentimento della comune origine.

Infatti non volle neanche creare la femmina da unirsi all'uomo come creò lui ma da lui la estrasse in modo che il genere umano si propagasse da un solo individuo in senso assoluto.

22 - Confronto fra genesi umana e belluina

Dio non ignorava che l'uomo avrebbe peccato e che soggetto alla morte avrebbe propagato individui destinati a morire e che i mortali sarebbero giunti al punto estremo nella disumanità del peccare.

Al contrario le bestie di ogni singola specie che cominciarono a esistere germinando in più dall'acqua e dalla terra, sebbene prive di razionale volontà, sarebbero vissute fra di loro con più tranquilla sicurezza degli uomini, sebbene la specie di questi ultimi si è propagata, ad inculcare la concordia, da un solo individuo.

Infatti neanche i leoni e i rettili si combattono fra di sé come fanno gli uomini.

Ma Dio prevedeva anche di chiamare in adozione con la sua grazia un popolo di fedeli e, giustificatolo nello Spirito Santo con la remissione dei peccati, di farlo partecipe della società degli angeli santi nella pace eterna, dopo aver eliminato l'ultima nemica, la morte. ( 1 Cor 15,26 )

E a questo popolo avrebbe giovato la considerazione del fatto che da un solo individuo Dio ha dato origine al genere umano per inculcare agli uomini quanto gli è gradita l'unità dei molti.

23 - Provvidenza nella creazione dell'uomo

Dio fece dunque l'uomo a sua immagine. ( Gen 1,26 )

Infatti egli ha creato l'anima con tali doti per cui mediante l'intelligenza capace di pensiero fosse superiore a tutti gli animali della terra, dell'acqua e dell'aria, privi di una mente simile.

Prima dalla polvere della terrenità formò l'uomo e poi alitando infuse l'anima intelligente, ( Gen 2,7 ) sia che l'avesse creata prima o piuttosto nell'atto di alitare e volle che fosse anima umana quell'alito che produsse alitando, giacché alitare significa produrre un alito.

E poi gli produsse, operando da Dio, con un osso levato dal suo fianco, la moglie come comparte per la generazione. ( Gen 2,21-24 )

Questi fatti non si devono giudicare in base all'esperienza sensibile, come di solito avviene nell'osservare gli artigiani che da una materia terrena con le membra del corpo producono l'oggetto competente all'esercizio dell'arte.

La mano di Dio è la potenza di Dio che produce immaterialmente anche le cose materiali.

Ma coloro che dai dati dell'esperienza immediata misurano la potenza e la sapienza di Dio, con cui sa e può anche senza i semi produrre i semi, ritengono questi fatti favolosi e non veri.

Inoltre giacché non possono conoscere le istituzioni avutesi in origine, se le rappresentano da una falsa prospettiva, come se le leggi stesse della genetica, che essi conoscono, non sembrassero più incredibili, qualora venissero esposte a persone che non le conoscono.

Eppure parecchi di essi le attribuiscono più a cause fisiche che all'intervento della mente divina.

24 - L'atto creativo è soltanto di Dio

Ma non mi posso occupare in questo libro di coloro i quali non credono che la mente divina produca ed ordini queste leggi.

Quelli della scuola di Platone credono che tutti i viventi mortali sono stati prodotti non dal Dio sommo, che ha creato il mondo, ma per sua permissione o comando da altri dèi inferiori,10 che egli ha creato e che l'uomo occuperebbe fra i viventi un posto eminente e di origine comune con gli dèi stessi.

Se i platonici si libereranno dalla superstizione, in base alla quale tentano di giustificare feste e riti sacri in onore degli dèi come a loro creatori, si libereranno anche da questa erronea dottrina.

Non è lecito credere e dire, anche prima che se ne possa avere conoscenza razionale, che ci sia, oltre Dio, altro creatore di qualsiasi essere per quanto piccolo e mortale.

Gli angeli, che essi preferibilmente chiamano dèi, anche se applicano per comando o permissione la loro azione ai fenomeni del mondo, non sono considerati da noi creatori dei viventi, come delle biade e delle piante gli agricoltori.

25 - Atto creativo e provvidenza nel mondo

Altra è la forma esterna che si applica all'esterno alle varie strutture dei corpi, come fanno i vasai e gli artigiani e operatori simili, che dipingono anche o foggiano raffigurazioni di animali; ed altra è la forma che all'interno contiene le cause efficienti per un segreto e occulto ordinamento di un essere vivente e intelligente, il quale non solo crea, perché non è creato, la forma fisica dei corpi ma anche l'anima dei viventi.

La prima forma va attribuita a vari operatori, la seconda ad un solo operatore Dio, datore dell'essere e dell'esistenza, che senza alcun intervento del mondo e degli angeli ha creato il mondo e gli angeli.

Mediante un potere divino e, per così dire, produttivo, che non conosce l'esser fatto ma il fare, hanno ricevuto la forma, nell'atto che era creato il mondo, la orbicolarità del cielo e quella del sole.

E col medesimo potere divino e produttivo, che non conosce l'esser fatto ma il fare, ha ricevuto la forma la orbicolarità dell'occhio e quella del pomo e le altre figure fisiche che, come possiamo osservare nei vari fenomeni naturali, non sono applicate dall'esterno ma dalla potenza intimamente penetrante del Creatore.

Egli ha detto appunto: Io riempio il cielo e la terra, ( Ger 23,24 ) ed è sua la sapienza che giunge da un termine all'altro con forza e dispone tutte le cose con dolcezza. ( Sap 8,1 )

Non so quale cooperazione gli angeli creati per primi abbiano offerto al Creatore che creava il resto e non oso loro attribuire un compito impossibile e non devo loro limitare un compito possibile.

Tuttavia per quanto riguarda la produzione iniziale degli esseri, con cui avviene che esistono in quanto esseri, l'attribuisco soltanto a Dio, col plauso anche degli angeli, perché anche essi riconobbero con gratitudine di dovere a lui il proprio essere.

Noi dunque non consideriamo creatori dei vari frutti gli agricoltori perché troviamo scritto: Né chi pianta né chi irriga è qualche cosa ma Dio che fa crescere. ( 1 Cor 3,7 )

Né possiamo considerare tale la terra, sebbene ci appaia come la madre feconda di tutti gli esseri che fa nascere dai semi e nutre attraverso le radici, perché troviamo scritto egualmente: Dio dà un corpo al seme secondo un suo disegno e ad ogni seme un proprio corpo. ( 1 Cor 15,38 )

Così non dobbiamo considerare creatrice del suo feto la femmina ma piuttosto colui che ha detto a un suo servo: Ti conosco prima che ti formassi in un grembo. ( Ger 1,5 )

E sebbene l'anima impressionata, in un senso o nell'altro, della pregnante possa quasi provvedere il feto di alcuni caratteri, come fece Giacobbe con i ramoscelli variamente striati per far nascere bestie diverse nel colore, ( Gen 30,37 ) tuttavia la madre non ha prodotto l'essere che viene generato come non ha prodotto se stessa.

Dunque qualunque siano le cause fisiche o seminali che si applicano alla produzione dei fenomeni, tanto se essi sono operazioni di angeli, di uomini o di altri viventi, quanto se sono le unioni di maschi e femmine, qualunque siano inoltre i desideri e i sentimenti della madre che valgano a imprimere fattezze o colori nei feti teneri e impressionabili, soltanto Dio sommo crea gli esseri stessi che assumeranno l'una o l'altra determinazione nel proprio genere.

Il suo potere non fenomenico, penetrando tutte le cose con una presenza metempirica, fa che esista tutto ciò che in qualunque modo esiste in quanto esiste.

Se egli non lo producesse, non solo non sarebbe questo o quell'altro essere, ma non potrebbe affatto esistere.

Il fatto che gli artigiani impongono la forma agli oggetti sensibili non significa che sono stati gli artigiani e gli architetti a fondare Roma e Alessandria, ma i re per cui volontà, decisione e comando sono state costruite, e cioè Romolo e Alessandro.

A più forte ragione dunque soltanto Dio dobbiamo considerare Creatore degli esseri, perché egli non li produce da una materia che non abbia creato egli stesso e non impiega cooperatori che egli non abbia creato e se sottrae alle cose il suo potere, per dire così, produttivo, non esisteranno più come non esistevano prima che fossero prodotte.

Intendo il "prima" secondo eternità e non secondo tempo.

Ed è Creatore del tempo soltanto colui che creò le cose, dal cui divenire si svolse il tempo.

26 - I Platonici sul mondo perfetto

Platone dunque insegnò che gli dèi creati dal Dio sommo sono produttori degli altri viventi, così che hanno da lui la parte immortale ed essi assestano la parte mortale.

Insegnò quindi che non sono creatori della nostra anima ma del corpo.11

Ora Porfirio in vista della purificazione dell'anima afferma che il corpo si deve assolutamente fuggire e, assieme al suo maestro Platone e agli altri platonici, ritiene che coloro che conducono una vita immorale per scontare la pena tornano in corpi mortali, anche di bestie secondo Platone, soltanto di uomini secondo Porfirio.12

Ne consegue che gli dèi i quali, secondo la loro teoria, si devono onorare come datori della nostra vita e del nostro essere, non sono altro che fabbricatori dei nostri ceppi e prigioni, non esseri che ci hanno dato l'esistenza ma che ci hanno chiuso in carceri pieni d'affanni e ci hanno legato con catene molto pesanti.

Quindi i platonici o la smettano di minacciare le pene mediante i corpi oppure non vengano a inculcarci che dobbiamo adorare quegli dèi, giacché esortano a fuggire e liberarci, per quanto ci è possibile, dalla loro opera in noi.

Tuttavia l'una e l'altra affermazione è assolutamente falsa.

Infatti le anime non scontano la pena con l'essere ricondotte alla vita terrena e l'unico Creatore di tutti i viventi in cielo e in terra è colui dal quale cielo e terra sono stati creati.

Se non esiste altra ragione del vivere in questo corpo che scontare la pena, perché proprio Platone afferma che non poteva esserci mondo più bello e perfetto se non aveva la pienezza dei generi di tutti i viventi, cioè mortali e immortali?13

Se poi il nostro avere l'esistenza, sia pure come mortali, è un dono divino, perché sarebbe pena ritornare al corpo, cioè a un oggetto della munificenza divina?

E se Dio ( e questo è un motivo ricorrente in Platone )14 conteneva nell'eterna intelligenza non solo le forme dell'universo ma anche quelle di tutti i viventi, perché egli stesso non ha creato tutte le cose?

Oppure non volle essere l'ideatore di alcuni esseri, sebbene la sua mente ineffabile e ineffabilmente lodevole avesse l'idea per crearli?15

27.1 - Motivi sociali nella monogenesi

Giustamente quindi la vera religione lo riconosce e afferma Creatore non solo dell'universo ma di tutti i viventi, cioè delle anime e dei corpi.

Fra le creature, in un grado superiore, è stato creato da lui a sua immagine l'uomo, uno solo, per la ragione che ho detto, salvo che me ne sfugga una maggiore, un solo uomo ma non destinato a essere solo.

La razza umana è appunto la più incline alla discordia per passione e la più socievole per natura.

E la natura umana non potrebbe addurre qualche cosa di più vantaggioso contro la passione della discordia, per evitarla se non esiste, per guarirla se già esistesse, che il ricordo del progenitore.

Dio ha voluto appunto crearne uno solo per propagare la razza ( Gen 2,22 ) affinché con questo monito si mantenesse il vincolo della concordia fra i molti.

Il fatto poi che la femmina è stata fatta esistere per lui dal suo stesso fianco sta ad indicare quanto salda deve essere l'unione di marito e moglie.

Queste opere di Dio sono fuori della norma perché sono all'origine.

E coloro che non credono a questi fatti dovrebbero ammettere anche che non sono mai avvenuti interventi straordinari perché, se fossero avvenuti secondo il corso normale della natura, neanche essi sarebbero considerati eventi straordinari.

Nulla sotto l'ordinamento sublime della divina provvidenza si verifica irrazionalmente, anche se la ragione è nascosta.

Ha detto un Salmo: Venite e vedete le opere del Signore che ha fatto avvenire come eventi straordinari sopra la terra. ( Sal 46,9 )

Si dirà in altro luogo con l'aiuto di Dio perché la femmina è stata creata dal fianco dell'uomo e che cosa questo primo evento straordinario prefigurò per analogia.

27.2 - Creazione dell'uomo proemio alle due città

Ora poiché questo libro è alla fine, dobbiamo ritenere che, mediante l'uomo creato in principio, nel genere umano avevano avuto origine le due città, non ancora nell'esperienza storica ma nella prescienza divina.

Da lui infatti sarebbero sorti uomini, alcuni per un giudizio occulto ma giusto di Dio, da associarsi nella pena con gli angeli ribelli, altri nel premio con gli angeli buoni.

È stato scritto infatti: Tutte le vie del Signore sono bontà e verità. ( Sal 25,10 )

Quindi non può essere ingiusta la sua grazia né crudele la sua giustizia.

Indice

8 Platone, Timeo 34b s
9 Vedi sopra 10,30
10 Platone, Timeo 41a-43b
11 Platone, Timeo 11, 41
12 Porfirio, De regr. an
13 Platone, Timeo 29b
14 Platone, Politeia 597b-e;
Timeo 30b ss.;
Filebo 28c-31a
15 Platone, Timeo 30b