Teologia dei Padri |
Le belle forme nei corpi, l'oro, l'argento e ogni cosa simile attraggono gli occhi col loro aspetto; nel senso del tatto importa moltissimo la consonanza della carne e del suo oggetto, come gli altri sensi ricevono dagli oggetti una loro specifica e conveniente modificazione.
Anche l'onore mondano, il potere, il dominio posseggono una loro dignità, origine fra l'altro nell'uomo del desiderio di vendetta.
Tuttavia per ottenere tutti questi beni non occorre allontanarsi da te, Signore, né deviare dalla tua legge.
La vita stessa che viviamo qui sulla terra possiede un suo fascino, che le deriva da una certa misura di grazia sua propria e dall'armonia con tutte le altre minime bellezze dell'universo.
E l'amicizia tra gli uomini non è forse deliziosa per l'amabile modo con cui unifica molte anime?
Tutte queste cose e le altre ad esse simili sono fonte di peccato soltanto nel caso che ad esse tendiamo smoderatamente e per esse, che sono beni infimi, trascuriamo gli altri migliori e sommi: te, Signore Dio nostro, la tua verità e la tua legge.
Perché, sì, anche questi infimi beni dilettano, ma non quanto il mio Dio, autore di ogni cosa, in cui appunto gode l'uomo giusto e che appunto è la delizia dei cuori retti …
L'orgoglio simula l'eccellenza, mentre il solo Dio eccelso al di sopra di tutte le cose sei tu.
L'ambizione a che altro aspira, se non a onori e gloria, mentre tu solo soprattutto meriti onore e gloria eterna?
La crudeltà dei potenti mira a incutere timore, ma chi è davvero temibile, se non Dio solo, al cui potere cosa si può strappare o sottrarre, e quando, dove, come, da chi?
Le seduzioni delle persone lascive poi mirano a suscitare amore, ma nulla è più seducente della tua carità, né vi è amore più salutare di quello della tua verità, tanto è bella e splendente oltre ogni cosa.
La curiosità si atteggia a desiderio di conoscenza, mentre chi conosce tutto e in sommo grado sei tu; persino l'ignoranza e la scempiaggine si coprono col nome di semplicità e innocenza, poiché si trova nulla più semplice di te e c'è cosa più innocente di te, se ai malvagi stessi nuocciono le loro opere?
La pigrizia dal canto suo cerca o sembra cercare quiete, ma esiste quiete sicura senza il Signore?
Il lusso vuol essere chiamato soddisfazione e copiosità di mezzi; sei tu però la pienezza e l'abbondanza inesauribile d'incorruttibili bellezze.
La prodigalità si copre con l'ombra della liberalità, ma il più copioso dispensatore di ogni bene sei tu.
L'avarizia aspira a possedere molto, mentre tu possiedi tutto.
L'invidia disputa per eccellere, ma cosa eccelle più di te?
L'ira vuole vendetta, ma quale vendetta è più giusta della tua?
La pavidità trema, nella sua ricerca di sicurezza, dei pericoli insoliti e repentini che incombono sugli oggetti d'amore; a te infatti riesce qualcosa insolito, repentino?
O qualcuno ti può privare degli oggetti del tuo amore?
E dove si è saldamente sicuri, se non al tuo fianco?
L'uggia si rode per la perdita dei beni, di cui si dilettava la cupidigia, poiché vorrebbe che, come a te, così a sé nulla si potesse togliere.
In queste forme l'anima pecca allorché si distoglie da te e cerca fuori di te la purezza e il candore, che non trova, se non tornando a te.
Tutti insomma ti imitano, alla rovescia, quanti si separano da te e si levano contro di te.
Ma anche imitandoti, a loro modo, provano che tu sei il Creatore dell'universo e quindi non è possibile allontanarsi in alcun modo da te.
Agostino, Le Confessioni, 2,5-6
Come Dio ha creato il mondo per l'uomo, così ha creato l'uomo per se stesso, quasi preposto del tempio divino, osservatore delle opere e delle realtà celesti.
Egli solo infatti, dotato di sensi e capace di ragione, può comprendere Dio, ammirare le sue opere, scrutarne la forza e la potestà: per questo è dotato di ragione, di mente e prudenza.
Per questo egli solo fra tutti gli altri animali è stato creato col corpo eretto, tanto da innalzare viso e occhi alla contemplazione del suo Creatore.
E così egli solo ebbe il dono della parola, una lingua interprete del pensiero, per poter annunciare la maestà del suo Signore.
Infine tutto è stato a lui sottomesso, perché egli si assoggettasse a Dio, suo creatore e fattore.
Dio dunque volle che l'uomo fosse tutto dedicato alla sua glorificazione; per questo gli attribuì tanto onore da dominare tutte le cose: è sommamente giusto infatti che l'uomo ami colui che tanto gli ha donato; e che ami anche il prossimo unito a lui in una comunità di diritto divino.
Non è ammissibile infatti che uno dedicato al culto di Dio sia danneggiato da un altro, allo stesso culto dedicato.
Da tutto ciò si comprende che l'uomo è stato strutturato in vista della religione e della giustizia …
Dio dunque ha voluto che tutti gli uomini siano giusti, che cioè amino e onorino Dio e gli uomini: onorino Dio come Padre, amino gli uomini come fratelli; su questi due precetti, infatti, si fonda tutta la giustizia.
Chi dunque non conosce Dio e danneggia il prossimo, vive nell'ingiustizia, è in contraddizione con la sua stessa natura e sconvolge l'ordine e la legge di Dio.
Lattanzio, L'ira di Dio, 14
Dobbiamo seguire la via della giustizia che conduce alla vita.
Ora, primo compito della giustizia è riconoscere Dio come genitore: temerlo come signore e amarlo come padre.
Egli infatti ci ha generati, ci ha animati con lo spirito di vita, ci nutre, ci salva.
Perciò, non solo come padre, ma anche come dominatore, può ben castigarci: ha su noi potere di vita e morte; duplice è dunque l'onore che l'uomo gli deve prestare, cioè amarlo e temerlo.
Secondo compito della giustizia è riconoscere l'uomo come fratello.
Se infatti ci ha creati lo stesso Dio, se ci ha generati tutti, a pari condizione, alla giustizia e alla vita eterna, dobbiamo sentirci tutti uniti da un vincolo fraterno, e chi non lo ammette, è ingiusto.
Ma l'origine di questo male, per cui l'unione tra gli uomini, il vincolo comunitario si è dissolto, nasce dall'ignoranza del vero Dio.
Chi infatti non conosce la sorgente di questo bene, non può certo essere buono.
Il risultato è che dal tempo in cui gli uomini cominciarono a consacrare e venerare molti idoli, la giustizia se ne fuggì come ci dicono i poeti: ogni patto fu infranto, la retta convivenza umana fu lacerata.
Si cominciò allora a badare solo a se stessi, a riporre il diritto nella forza, a nuocere all'altro, ad attaccarlo con la violenza, a circonvenirlo con la frode, ad aumentare i propri beni a spese altrui; si cominciò a non perdonare neppure ai parenti, ai figli, ai genitori; a preparare bevande velenose a rovina degli uomini, ad appostarsi in armi sulle vie, a infestare il mare; si cominciò a lasciar le briglie sciolte alla libidine, ovunque spinga il suo furore; a non ritener più nulla tanto sacro che la brama nefasta non violi.
Avvenendo tutto ciò, gli uomini si diedero le leggi per il bene comune, per difendersi così a vicenda contro l'ingiustizia.
Ma il timore delle leggi non ha represso la scelleratezza: ne ha solo rimosso l'estrema licenza.
Le leggi infatti potevano punire i delitti, non potevano rinsaldare la coscienza.
Perciò quello che prima avveniva pubblicamente, lo si cominciò a compiere in occulto.
E anche l'amministrazione del diritto fu compromessa, perché gli stessi difensori delle leggi furono corrotti da doni e premi, vendendo sentenze o in assoluzione dei malvagi o a rovina dei buoni.
A ciò si aggiunsero contrasti, guerre, devastazioni reciproche; furono conculcate le leggi e il potere di infierire giunse a ogni licenza.
In questo misero stato della realtà umana, il Signore ha avuto pietà di noi, rivelandosi nell'incarnazione.
Col suo esempio ci ha indicato la via per la quale potessimo giungere alla vera pietà, alla fedeltà, alla castità, alla misericordia; potessimo disconoscere gli errori della nostra vita precedente, conoscendo insieme lui nostro Dio, da cui l'empietà ci aveva separati; potessimo apprendere dalla bocca stessa del Signore la legge divina che unisce l'umanità alle realtà celesti, legge che toglie di mezzo tutti gli errori che ci avevano irretiti, con le loro vane ed empie superstizioni.
Questa medesima legge divina prescrive anche ciò che dobbiamo all'uomo, perché ci insegna che quanto fai per gli uomini, lo fai per Dio.
Ma la radice della giustizia, il fondamento di ogni equità è che tu non faccia ciò che non vuoi ti sia fatto, che tu misuri l'animo altrui dal tuo stesso animo.
Se è duro sostenere le ingiurie e se chi con esse ti offende ti sembra ingiusto, trasferisci nella persona altrui ciò che senti di te e giudica l'altro in base alla tua persona: comprenderai così che tu agirai ingiustamente se nuoci altrui, quanto ingiustamente agisce un altro se nuoce a te.
Se ponderiamo ciò in mente nostra, conserveremo l'innocenza, che è quasi il primo gradino su cui sta la giustizia.
Il primo è dunque non nuocere: il seguente giovare.
Così nei campi incolti, prima di incominciare a seminare, estirpati i cespugli, tagliate le radici dei vepri, è necessario ripulirne il terreno; in tal modo dall'animo nostro prima si devono strappare i vizi, e solo poi seminare le virtù, perché il seme della parola di Dio porti in noi frutti d'immortalità.
Lattanzio, Epitome delle Divine Istituzioni, 59-60
Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto ( 1 Cor 4,7 ).
Non siamo dunque avari dei nostri beni, come se ci appartenessero …
L'uso del denaro è transitorio e la proprietà privata non è eterna.
Se la riconosci passeggera sulla terra dove ora ti trovi, potrai acquistare in cielo un possesso che non avrà mai fine.
Ricorda i servi che, nel Vangelo, avevano ricevuto dei talenti dal loro padrone e ciò che il padrone, al suo ritorno, diede a ciascuno di essi; comprenderai allora che deporre il proprio denaro sulla tavola del Signore per farlo fruttificare è molto più vantaggioso che conservarlo con una fedeltà sterile che non porta alcun vantaggio al creditore, con gran danno del servo pauroso il cui castigo sarà tanto più grave …
Ricordiamo anche quella vedova, che preoccupandosi dei poveri, dimenticò se stessa al punto da donare tutto quello che le restava per vivere, pensando soltanto alla vita futura, come attesta il Signore stesso.
Gli altri avevano dato del superfluo ( Mt 12,43 ), ma essa, forse più povera di molti poveri - tutta la sua fortuna si riduceva a due spiccioli -, nel suo cuore era più ricca di tutti i ricchi.
Essa guardava soltanto alle ricchezze della ricompensa eterna; avara dei tesori celesti, rinunciò a tutto ciò che possedeva come a beni terreni e destinati a tornare terra …
Diede quello che aveva per possedere ciò che non vedeva.
Donò i beni caduchi per acquistare i beni immortali.
Questa poveretta non ha dimenticato i mezzi previsti e disposti dal Signore per ottenere la ricompensa futura.
Per questo il Signore non l'ha dimenticata, il Giudice del mondo ha pronunciato in anticipo la sua sentenza: nel Vangelo fa l'elogio di colei che incoronerà nel giorno del giudizio.
Prestiamo dunque al Signore i beni che egli ci ha donato.
Infatti, non possediamo nulla che non sia dono del Signore, anzi senza la sua volontà non esistiamo nemmeno.
Che cosa potremmo considerare nostro, dato che, in forza di un debito enorme, neppure ci apparteniamo?
Non solo siamo stati creati, ma anche redenti da Dio.
Rendiamo grazie: riscattati a gran prezzo, a prezzo del sangue del Signore, noi cessiamo di essere oggetti senza valore, perché la libertà di non essere sottomessi alla giustizia di Dio, è peggiore della schiavitù.
Chi è libero in questo modo, è schiavo del peccato, prigioniero della morte.
Rendiamo al Signore ciò che ci ha dato.
Doniamo a colui che riceve nella persona di ogni povero.
Doniamo con gioia e riceveremo in letizia i doni del Signore.
Paolino da Nola, Lettera 34, 2-4
Uno abbonda di denaro e ne è superbo; un altro abbonda di onori e ne è superbo; un altro ritiene di abbondare di giustizia e, questo è peggio, ne è superbo.
Quelli che non sembrano abbondare di denaro, ritengono di abbondare di giustizia contro Dio: nelle disgrazie si giustificano, accusano Dio e dicono: « Cosa ho commesso, cosa ho fatto? ».
E tu rispondi: « Guarda, ricorda i tuoi peccati, se non hai fatto nulla ».
La coscienza un po' scossa ritorna in sé e riflette sulle sue azioni cattive; ma dopo di ciò, non vuol confessare di soffrire giustamente.
Dice: « É chiaro, ho fatto del male; ma vedo molti che hanno agito peggio e ora non soffrono ».
Costui è giusto contro Dio.
Anch'egli abbonda, ha il petto pieno di giustizia: gli sembra che Dio agisca male e ritiene di soffrire ingiustamente.
Se tu gli dessi una nave da guidare, se ne andrebbe a naufragare con essa: ma vuol discutere con Dio sul governo del mondo, vuol tenere il timone del creato e distribuire a tutti dolore e gioia, premi e pene.
Anima infelice! Perché ve ne meravigliate!
Abbonda, ma abbonda di malvagità, abbonda di ingiustizia: e tanto più abbonda di ingiustizia, quanto si ritiene abbondare di giustizia.
Ma il vero cristiano non deve abbondare, ma deve riconoscersi povero; se ha ricchezze, deve sapere che non sono quelle le vere ricchezze e desiderarne altre.
Infatti chi desidera ricchezze false, non ricerca le ricchezze vere; chi invece cerca quelle vere, è ancora povero, e giustamente dice: Sono povero e dolente ( Sal 69,30 ).
Invece chi è povero e pieno di malvagità, perché si dice che abbonda?
Perché gli dispiace di essere povero e ritiene di abbondare di giustizia nel suo cuore contro la giustizia di Dio.
E l'abbondanza della nostra giustizia, cos'è?
Per quanta essa sia in noi, è come una goccia di rugiada, e non so che, di fronte a una sorgente; davanti a tanta sovrabbondanza, è come un misero stillicidio, per rammollire la nostra vita e scioglierne la dura iniquità.
Ora, desideriamo saziarci pienamente dalla sorgente della giustizia, bramiamo attingere a quell'abbondanza, di cui si dice nel salmo: Si inebrieranno per l'abbondanza della tua casa e darai loro a bere dal torrente della tua gioia ( Sal 36,9 ) …
A cosa si riduce la nostra giustizia fra tante tentazioni?
Possiamo astenerci dall'omicidio, dall'adulterio, dal furto, dallo spergiuro, dalle frodi: possiamo forse astenerci dai pensieri cattivi?
O dalle suggestioni delle concupiscenze perverse?
Cosa è dunque la nostra giustizia?
Abbiamo fame del tutto, abbiamo sete del tutto, delle vere ricchezze, della vera salute e della vera giustizia …
Quando la morte sarà ingoiata nella vittoria, e questo nostro corpo corruttibile avrà indossato l'incorruttibilità, questo corpo mortale avrà rivestito l'immortalità ( 1 Cor 15,53-54 ), allora ci sarà la vera salute, allora ci sarà la vera, perfetta giustizia, e noi eviteremo il male non solo nelle azioni, ma anche nei pensieri.
Ora invece siamo miserabili, poveri, bisognosi, dolenti: sospiriamo, gemiamo, preghiamo, innalziamo gli occhi a Dio.
Coloro che sono felici in questo mondo ci disprezzano: essi abbondano; e coloro che sono infelici in questo mondo ci disprezzano: anch'essi abbondano, perché c'è la giustizia nel loro cuore, ma è falsa.
Per questo non pervengono alla giustizia vera: sono pieni di giustizia falsa.
Ma tu, per poter giungere alla giustizia vera sii povero e bisognoso anche di giustizia; e ascolta il Vangelo: Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati ( Mt 5,6 ).
Agostino, Esposizioni sui Salmi, 122,10-12
Dobbiamo tutti amare Dio perché è padre, e venerarlo perché è padrone, onorarlo perché benefico e temerlo perché severo: l'uno e l'altro aspetto sono in lui degni di ossequio.
Chi, senza venir meno alla pietà filiale non amerà il padre dell'anima sua?
O chi impunemente disprezzerà il dominatore di tutte le cose, che ha su di tutti un potere vero ed eterno?
Se lo consideri come padre: egli ci ha fatto nascere a questa luce di cui godiamo, per lui viviamo, per sua opera siamo entrati nella dimora di questo mondo.
Se lo consideri come Dio: egli ci nutre con larghezza di doni, ci sostenta, in casa sua abitiamo, alla sua famiglia apparteniamo.
E se questa famiglia è meno ossequiente di quanto converrebbe, meno devota di quanto richiederebbero i meriti immortali del genitore e padrone, tuttavia appartenere a lei molto ci giova a conseguire il perdono, se pur lo amiamo e lo conosciamo, se disprezzati i beni e le realtà terrene meditiamo le realtà celesti, divine ed eterne.
Perché ci sia possibile, dobbiamo unirci a Dio, dobbiamo adorare e amare Dio: in lui è l'origine delle cose, la radice delle virtù e la fonte di ogni bene.
Cosa è maggiore di Dio per potenza o più perfetto di lui per sapienza o più fulgido di splendore?
E avendoci egli generato alla sapienza, procreato alla giustizia, non è lecito che l'uomo, abbandonato Dio, elargitore della sensibilità e della vita, serva alle realtà terrene e fragili, si attacchi tutto ai beni mondani, staccandosi dall'innocenza e dalla religiosità.
Non lo rendono beato le voluttà viziose e perniciose e neppure l'opulenza incitatrice alla libidine o l'ambizione vana o gli onori caduchi, da cui irretito l'animo umano, reso schiavo del corpo, viene condannato alla morte eterna, ma solo l'innocenza, solo la giustizia, la cui legittima e degna ricompensa è l'immortalità che Dio all'inizio stabilì di elargire agli spiriti santi e incorrotti, i quali si conservano integri dai vizi e da ogni corruzione terrena.
Non possono essere partecipi di questo premio celeste ed eterno coloro che hanno la coscienza macchiata di delitti, frodi, rapine, inganni, né coloro che hanno impresso in sé il marchio indelebile di ingiurie e nefandezze commesse contro gli uomini.
Per tutti quelli, dunque, che vogliono degnamente chiamarsi sapienti, anzi uomini, è necessario disprezzare ciò che è caduco, calpestare ciò che è terreno, rifiutare ciò che è limitato, per potersi unire a Dio con un beatissimo legame inscindibile.
Svaniscano l'empietà e le discordie; si sopiscano i dissensi turbolenti e pestiferi, per cui l'umana società e l'unione che per volere divino lega tutti gli uomini, sono sciolte, spezzate, dissipate; per quanto possiamo, cerchiamo di essere buoni e benefici; se abbiamo qualche bene, se possediamo qualche ricchezza, spendiamola non per il piacere di uno solo, ma per la salvezza di molti.
Il piacere è mortale, come il corpo a cui serve; la giustizia invece e la beneficenza sono immortali, come lo spirito, come l'anima che con le buone opere giunge alla somiglianza con Dio.
La sacra dimora di Dio non sia nei templi, ma nel nostro cuore; può essere distrutto tutto ciò che si costruisce con le mani.
Purifichiamo questo tempio che non il fumo o la polvere, ma i cattivi pensieri sporcano; che non i ceri ardenti, ma la luce e lo splendore della sapienza illuminano.
E se crediamo che in esso vi è sempre presente Dio, a cui non si celano i segreti della mente, noi vivremo in modo da sperimentarne sempre la grazia e non temerne mai l'ira.
Lattanzio, L'ira di Dio, 24
Tra di noi non vi può essere che la conoscenza e l'ignoranza della verità, e il legame o ai vizi o alle virtù.
É così che noi prepariamo il regno, nel nostro cuore, o al diavolo o a Cristo.
E le qualità di questo regno vengono così descritte dall'Apostolo: Il regno di Dio non è cibo e bevanda, ma giustizia e pace e gioia nello Spirito Santo ( Rm 14,17 ).
Dunque, se il regno di Dio è in noi, e se il regno di Dio è giustizia e pace e gioia, se ne deduce che chi vive nella giustizia, nella pace e nella gioia è senz'altro nel regno di Dio.
Viceversa, chi vive nell'ingiustizia, nella discordia e nella tristezza mortale, si trova nel regno del diavolo, nell'inferno e nella morte.
Sono questi i segni, dunque, da cui si distinguono il regno di Dio o quello del demonio.
E in effetti, se con l'intimo sguardo della mente consideriamo lo stato in cui si trovano le virtù celesti e superne che veramente dimorano nel regno di Dio, quale altro stato dovremo ritenere che esso è, se non una gioia continua ed eterna?
Cosa è infatti tanto proprio, tanto conveniente per la vera beatitudine, che la continua tranquillità e la gioia eterna?
Giovanni Cassiano, Conferenze, 1,13
Non preoccupiamoci di compiere offerte e di pregare con le mani pulite; facciamo in modo, piuttosto, che ad esser mondo sia ciò che offriamo, se non vogliamo coprirci di ridicolo.
Se uno, infatti, dopo aver ben lavato un piatto, lo riempisse poi di sudici doni, non ci parrebbe questa una presa in giro?
Le mani siano pure pulite, ma se vogliamo che lo siano realmente, dovremo lavarle non tanto con l'acqua, quanto, prima ancora, con la giustizia: è in questo che consiste l'autentica pulizia delle mani.
Se invece siamo carichi di malvagità, potremo lavarle anche mille volte, ma non ne ricaveremo alcun risultato.
Lavatevi, ammonì il profeta, siate puri ( Is 1,16 ).
Ebbene, egli aggiunse, forse, a quelle parole: « Andate alle fontane, ai bagni, agli stagni, ai fiumi »?
Nulla di tutto questo. Che cosa disse, allora? Allontanate le cattive azioni ( Is 1,16 ) dalle anime vostre; cioè: « Purificatevi ».
É facendo a questo modo, infatti, che ci si libera dalla sporcizia; è in questo che consiste la vera pulizia.
L'altra, infatti, non ha mai recato molto giovamento; questa, invece, ci dona la fiducia in Dio.
Alla pulizia del corpo possono tenere anche gli adulteri, i ladri, gli assassini, gli effeminati, i corrotti, i fornicatori e gli uomini senza scrupoli; anzi, sono soprattutto queste persone a praticarla.
Costoro, infatti, hanno molta cura per la pulizia del loro corpo e stanno sempre a profumare e a pulire il sepolcro ( come una tomba è, infatti, il loro corpo, dal momento che l'anima, dentro, è morta ).
Questo genere di pulizia, quindi, possono praticarlo anche costoro; per l'altro, invece, non è così.
Non fai nulla di straordinario, se lavi il tuo corpo: si tratta della purificazione giudaica, stolta e inutile, qualora non vi si corrisponda anche dal punto di vista interiore.
Se uno, avendo il corpo pieno di piaghe purulente e di ferite, provasse a lavarlo, a che cosa gli gioverebbe?
Quale utilità ne ricaverebbe? Se, allora, le piaghe del corpo non possono essere affatto curate, qualora vengano lavate e asciugate esternamente, quale vantaggio potremmo trarre dalla pulizia del corpo, quando l'ascesso si trovi nell'anima stessa? Nessuno.
É necessario che le nostre preghiere, quelle sì, siano pure!
E non lo saranno, certamente, fino a quando rimarrà immonda l'anima che le esprime.
Non v'è niente, poi, che insudicia l'anima al pari della cupidigia e della rapina.
Ebbene, vi sono taluni invece che, dopo aver compiuto per il giorno intero ogni sorta di malvagità, alla sera, entrando devotamente in chiesa e giungendo le mani, pretenderebbero di lavare, in questo modo, tutto il sudiciume che hanno accumulato.
Se le cose stessero davvero così, allora sì che gioverebbe assai lavarsi ogni giorno! …
Ascolta, invece, quanto dice il Signore: Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio ( Mt 5,8 ).
E intende, forse, riferirsi al corpo? Assolutamente no.
Il profeta, a sua volta, che cosa dice ancora? Crea in me un cuore puro, o Dio ( Sal 51,12 ) e, nuovamente: Purifica il tuo cuore dalla malizia ( Ger 4,14 ).
Giovanni Crisostomo, Omelia sulla seconda lettera a Timoteo, 6,4
Sono numerosi quelli che, dopo aver disprezzato grandi beni, somme ingenti d'oro e d'argento e splendide proprietà, si turbano a causa di un temperino, di uno stilo, di un ago o di una penna.
Se si fossero mantenuti costanti nella contemplazione e nella purezza del cuore, non avrebbero mai perduto questo bene per cose da nulla, mentre avevano preferito abbandonare le cose grandi e preziose piuttosto che incorrere in tale pericolo.
Infatti ci sono di quelli che custodiscono dei manoscritti così gelosamente da non tollerare che qualcuno vi dia un'occhiata o li tocchi appena; in questo modo trovano occasioni di impazienza e di rovina proprio dove dovrebbero imparare ad acquistare i beni della pazienza e della « carità ».
Hanno abbandonato tutte le loro ricchezze per amore di Cristo, e conservano tuttavia il primitivo attaccamento del cuore alle cose più banali, lasciandosi spesso vincere a causa loro dalla collera.
Non hanno in sé la carità di cui parla l'apostolo, e diventano perciò sterili e infruttuosi.
Riferendosi a fatti di questo genere, san Paolo dice: Se distribuissi tutte le mie sostanze in cibo ai poveri, se dessi il mio corpo alle fiamme, e non avessi la carità, a nulla mi giova ( 1 Cor 13,3 ).
Da questo si vede chiaramente che la perfezione non si raggiunge di colpo con la nudità e la privazione di tutte le ricchezze o col disprezzare gli onori, se poi non si ha la carità di cui l'apostolo descrive le forme e che consiste unicamente nella purezza del cuore.
Infatti, non rivaleggiare, non gonfiarsi di superbia, non irritarsi, non agire disonestamente, non cercare il proprio interesse, non godere dell'ingiustizia, non tener conto del male e tutto il resto, che cosa significa se non offrire continuamente a Dio un cuore perfetto e purissimo e custodirlo intatto da qualsiasi turbamento di passione?
Perciò noi dobbiamo agire e desiderare ogni cosa in vista di tale purezza.
Per essa - lo sappiamo bene - dobbiamo cercare la solitudine, praticare i digiuni e le veglie, sopportare le fatiche e la nudità, occuparci nella lettura; per questa dobbiamo darci alla pratica di tutte le virtù, e allora potremo rendere e conservare il nostro cuore libero da tutte le passioni cattive e salire per questi gradini fino alla perfezione della carità.
Se poi, impegnati in una giusta e necessaria occupazione, non potessimo adempiere ai nostri obblighi in tutto il loro rigore, non dobbiamo, per amore di queste osservanze, rattristarci, né lasciarci vincere dall'ira o dall'irritazione, poiché proprio per vincere questi difetti noi ci eravamo proposti di fare quel che abbiamo dovuto poi tralasciare.
Infatti con un movimento di collera perdiamo più di quel che acquistiamo con un digiuno; e il frutto che si ricava dalla lettura non può essere maggiore del danno causato dal disprezzare un fratello.
Quindi le cose secondarie, cioè i digiuni, le veglie, la solitudine, la meditazione della Scrittura, dobbiamo riferirle al fine principale, cioè a quella purezza di cuore che è la carità; non è giusto, a causa di queste altre cose, mettere in pericolo la virtù fondamentale.
Infatti, se questa rimane integra e intatta nulla potrà nuocerci, anche se saremo costretti a tralasciare per necessità qualcosa di secondario: a niente ci servirebbe l'adempiere perfettamente tutti gli impegni, se restiamo privi del bene più importante in vista del quale si devono compiere tutte le altre cose.
Giovanni Cassiano, Conferenza, 1,6-7
La vera giustizia è accompagnata dalla compassione, la falsa giustizia invece dallo sdegno - quantunque spesso i giusti si sdegnino, a buon diritto, con i peccatori -.
Ma altro è ciò che compie l'irritazione superba, altro lo zelo per la disciplina.
Si sdegnano, ma non sono sdegnati; disperano, ma non sono disperati; perseguitano, ma amando, perché se esteriormente esagerano i rimproveri, per zelo, interiormente sono tutti dolcezza, per amore.
Ritengono per lo più superiori, in cuor loro, coloro stessi che correggono, e giudicano migliori di sé quegli stessi che giudicano.
Facendo così, custodiscono i sudditi nell'osservanza e custodiscono se stessi nell'umiltà.
Viceversa, coloro che spesso insolentiscono per falsa giustizia, disprezzano gli altri, non conoscono misericordia per le debolezze; e non ritenendosi essi peccatori, diventano perciò stesso peccatori peggiori.
Gregorio Magno, Predica per la III domenica dopo Pentecoste, 34
Vi è una natura in cui non vi è male alcuno, o anche non vi può essere male alcuno; ma non può esistere una natura in cui non vi sia nessun bene.
Per questo, neppure la natura del diavolo, in quanto natura, è male: la perversità la rende cattiva.
Perciò egli, pur non restando nella verità, non sfuggì al giudizio della verità: non rimase nella tranquillità dell'ordine, perciò non sfuggì al potere dell'Ordinatore.
La bontà di Dio, che appare nella sua natura, non lo sottrasse alla giustizia di Dio, che lo ordina alla pena.
Dio non castiga in lui, il bene da lui, creato, ma il male che il demonio commise.
Non priva la natura di tutto ciò che le diede, ma qualcosa gli toglie e qualcosa gli lascia, affinché ci sia colui che soffre per la sottrazione.
Il dolore stesso è testimone del bene tolto e del bene lasciato.
Chi pecca è peggiore se si allieta di aver recato danno al retto ordine.
Ora chi soffre, se non ne guadagna nulla di bene, si rattrista per il danno della sua salute.
Ma sia il retto ordine, sia la salute sono un bene, e ci si deve addolorare per la perdita del bene, non certo allietarsene ( se tuttavia non ci sia una compensazione migliore, ed è migliore l'equità dell'animo che la salute del corpo ); perciò è senz'altro più conveniente che l'ingiusto soffra nel castigo, piuttosto che si allieti nella colpa.
Come dunque nel peccato la gioia di aver abbandonato il bene è testimonianza di cattiva volontà, così nel castigo il dolore di aver perso il bene è testimonianza di natura buona.
Chi soffre per aver perso la pace della propria natura, soffre per qualche rimasuglio di quella pace, il quale fa sì che egli abbia amica la propria natura.
Se dunque nell'estremo supplizio gli iniqui ed empi piangono la perdita, fra le pene, di alcuni loro beni naturali e sentono che loro li ha giustissimamente tolti Dio, da essi disprezzato pur avendo quelli loro benignissimamente elargiti, tutto ciò è nel retto ordine.
Perciò Dio, sapientissimo creatore e giustissimo ordinatore di ogni natura, che ha istituito il genere umano mortale a coronamento di tutte le bellezze terrene, elargì agli uomini alcuni beni convenienti a questa vita, cioè la pace temporale, quale può godersi in questa vita mortale, che si ha nella salute, nell'incolumità e nell'unione sociale ai propri simili; e inoltre tutto ciò che è necessario per difendere o recuperare questa pace, come ciò che si addice e conviene ai sensi: la luce, la notte, l'aura respirabile, l'acqua potabile e tutto ciò che è necessario per il nutrimento, il vestito, la cura e l'ornamento del corpo.
E tutto ciò, a questo patto veramente giusto: chi fa retto uso di tali beni caduchi consoni alla pace dei mortali, riceverà dei beni più grandi e migliori, cioè la stessa pace dell'immortalità e, ciò che ad essa è consono, la gloria e l'onore della vita eterna per godere di Dio e del prossimo in Dio; chi invece ne fa uso cattivo, non riceverà quei beni e perderà questi.
Agostino, La città di Dio, 19,13
La Legge aveva ordinato di lapidare gli adulteri.
Ora, la Legge non poteva prescrivere un'ingiustizia; e se qualcuno si esprimeva contro ciò che la Legge ordinava, questi era colpevole d'ingiustizia.
Anche i farisei dicevano tra loro a proposito di Gesù: « Egli ha fama di essere veritiero, da lui emana dolcezza; è sulla giustizia che noi dobbiamo metterlo alla prova.
Portiamogli una donna sorpresa in delitto flagrante di adulterio e interroghiamolo su ciò che la Legge comanda al riguardo … ».
Che cosa risponde il Signore Gesù? Che cosa risponde la Verità?
Che cosa la Saggezza? Che cosa risponde la Giustizia stessa chiamata in tal modo in causa?
Gesù non dice: « Non venga lapidata », perché non vuole dare l'impressione di parlare contro la Legge.
Eppure, si guarda bene dal dire: « Sia lapidata », in quanto non è venuto per perdere ciò che ha ritrovato, ma per cercare ciò che è perduto.
Allora, che cosa risponde? Osservate quanto egli sia ricolmo di giustizia, di dolcezza e di verità!
« Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra » ( Gv 8,7 ).
Risposta dettata dalla saggezza! Come li fa rientrare tutti in se stessi!
Le loro subdole trame erano esteriori, in quanto essi non riuscivano a penetrare i loro cuori in profondità.
Giudicavano l'adultera, senza però considerare se stessi.
Ora, chiunque scruta sé attentamente si scopre peccatore.
É inevitabile. Dunque, o restituite la libertà a questa donna, o subite con lei il castigo della legge.
Se Gesù avesse detto: « Non sia lapidata l'adultera », si sarebbe reso colpevole di ingiustizia.
Se invece egli avesse detto: « Venga lapidata », avrebbe mostrato di mancare di dolcezza.
Dirà allora ciò che doveva dire il buono e il giusto: « Colui che è senza peccato, getti la prima pietra ».
É, questa, la voce della giustizia.
Sia pure punita la colpevole, ma non per mano di colpevoli; venga pure eseguita la legge, ma non per mezzo di coloro che la legge stessa violano.
É veramente questa la voce della giustizia.
Colpiti da tale giustizia come dalla punta di una lancia, essi rientrarono in se stessi e, scoprendosi peccatori, uno dopo l'altro se ne andarono tutti ( Gv 8,9 ) …
La donna restò dunque sola: tutti se ne erano andati.
Allora Gesù levò gli occhi su di lei.
Abbiamo ascoltato la voce della giustizia; sentiamo ora quella della dolcezza.
Effettivamente, penso che quella donna dovesse essere rimasta spaventata dalla frase di Gesù: Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra.
Quegli uomini erano rientrati in se stessi, e il loro dileguarsi aveva tutta l'aria di una vera e propria confessione.
Avevano però lasciato la donna con la sua grande colpa alle prese con colui che era senza peccato.
E siccome ella aveva appena udito quell'espressione di Gesù, si aspettava di essere castigata da colui che non conosceva peccato.
Ma Gesù, dopo aver allontanato da sé i suoi avversari, con la voce della giustizia alza su di lei gli occhi della misericordia e le chiede: « Nessuno ti ha condannato? ».
Ed ella rispose: « Nessuno, Signore ».
E Gesù le disse: « Nemmeno io ti condannerò ».
Sì, neppure io, da cui tu credevi di essere condannata perché non avevi trovato in me il peccato, « nemmeno io ti condannerò ».
Come mai, Signore? Favorisci tu allora il peccato? Certamente no.
Ascoltate quel che viene in seguito: « Va', e d'ora in poi non peccare più » ( Gv 8,10-11 ).
Sì, anche il Signore stesso è portatore di condanna, ma non contro l'uomo, bensì contro il peccato.
Agostino, Commento al vangelo di san Giovanni, 33,4-6
Non rechiamo oltraggio al Signore nostro, Gesù Cristo, il cui sangue è stato versato per noi!
Rispettiamo coloro che ci guidano, onoriamo gli anziani, educhiamo i giovani nel timore di Dio e indirizziamo verso il bene le nostre donne.
Diano sempre testimonianza di una amabile purezza di costumi; dimostrino sinceramente la loro intenzione di vivere in pace; manifestino, attraverso il silenzio, di saper dominare la loro lingua; non seguano, per quanto concerne la carità, la loro disposizione naturale, ma, al contrario, mostrino amore verso tutti coloro che servono Dio, senza alcuna preferenza.
I nostri figli, in tal modo, ricevano un'educazione autenticamente cristiana; sappiano quanto sia preziosa l'umiltà agli occhi di Dio, quanto sia efficace, al cospetto del Signore, l'amore puro; comprendano quanto sia bello e grande il timore di Dio, capace di salvare tutti coloro che vivono santamente e con purezza di coscienza.
Dio conosce, nelle loro più intime pieghe, i nostri pensieri e i nostri desideri: il suo spirito, infatti, dimora dentro di noi. Egli, nondimeno, può privarcene in qualsiasi momento, solo che lo voglia.
Clemente di Roma, Lettera ai Corinti, 21
Indice |