Esposizione dei Salmi |
Quando l'amore impuro infiamma un cuore, lo sollecita a desiderare le cose della terra e a cercare ciò che, destinato a perire, conduce l'anima alla stessa rovina: la precipita in basso, la sommerge nelle profondità dell'abisso.
Analogamente è dell'amore santo.
Eleva alle cose del cielo, infiamma per i beni eterni, desta l'anima a bramare le cose immutabili e immortali, solleva l'uomo dalle profondità dell'inferno alle sommità del cielo.
In una parola, ogni amore è dotato di una sua forza e, quand'è in un cuore innamorato, non può restarsene inoperoso: deve per forza spingere all'azione.
Vuoi vedere come sia il tuo amore? Osserva a che cosa ti spinge.
Non vi esortiamo, quindi, a non amare, ma a non amare il mondo, affinché possiate amare con libertà colui che ha creato il mondo.
Un'anima irretita dall'amore terreno è come se avesse del vischio nelle penne: non può volare.
Quando invece è pura da quegli affetti luridi che l'attaccano al mondo, può - per così dire - volare con ambedue le ali spiegate: le sue ali sono libere da ogni impedimento, dove per "ali" intendo i due comandamenti dell'amore di Dio e dell'amore del prossimo. ( Mt 22,40 )
E dove [ volerà ] se non verso Dio?
Sì, è verso di lui che volando ascenderà, poiché in effetti amando ascende.
Prima però di potersi elevare e mentre ne sente in cuore il desiderio, geme per essere ancora sulla terra e dice: Chi mi darà le ali, come di colomba, e volerò e mi riposerò? ( Sal 55,7 )
Per dove spiccherà il suo volo se non per un luogo lontano dagli scandali in mezzo ai quali gemeva la persona che pronuncia le parole or ora ricordate?
Vuol volare lontano dagli scandali; lontano dai cattivi ai quali è mescolato; vuol separarsi dalla paglia in mezzo alla quale si trova il buon grano.
Giunto alla meta, non dovrà più soffrire per la mescolanza e la compagnia di alcun malvagio ma potrà vivere nella santa società degli angeli, cittadini dell'eterna Gerusalemme.
Ecco il motivo per cui il salmo che oggi ci accingiamo a esporre alla vostra Santità è tutto un desiderio di questa Gerusalemme.
Ne è pieno - voglio dire - colui che in questo salmo ascende.
È infatti un cantico dei gradini; e di questi gradini abbiamo spesse volte detto alla vostra Carità che sono gradini per gente che vi sale, non che scende.
Vuol dunque salire: ma verso quale meta se non il cielo?
E che significa "salire al cielo"? Vorrà forse salire per trovarsi un posto accanto al sole, alla luna e alle stelle? No certamente.
[ Se desidera ascendere in cielo ] è perché nel cielo c'è l'eterna Gerusalemme dove abitano quei nostri concittadini che sono gli angeli, dai quali noi ora ci troviamo lontani perché esuli in terra.
Nell'esilio sospiriamo, nella patria godremo; ma intanto, già durante l'esilio, incontriamo dei compagni che, avendo visto la patria, ci invitano a correre verso di lei.
Per trovarsi accanto a loro, gioisce il cantore del salmo, di cui sono anche le parole: Mi sono rallegrato in [ mezzo a ] coloro che mi dicevano: Andremo nella casa del Signore.
Ripensate, fratelli, a quel che succede quando al popolo si dà notizia della festa dei martiri o si fissa un qualche luogo santo per radunarvisi in un determinato giorno e celebrarvi la festa: come tutta la gente si anima ed esortandosi scambievolmente dice: Andiamo, andiamo!
Se loro si chiede: Ma dove andiamo? rispondono: Là, in quel luogo, in quel santuario.
Parlano così fra loro e accendendosi, per così dire, l'un l'altro formano un'unica fiamma; e quest'unica fiamma, nata da chi parlando comunica all'altro il fuoco di cui arde, fa confluire tutti a quel luogo santo, e il santo proposito li santifica.
Se pertanto un amore puro riesce a trasportare [ i fedeli ] a un santuario materiale, quanto più sublime non dovrà essere l'amore che rapisce al cielo il cuore di chi, vivendo nella concordia, può scambiare col fratello le parole: Andremo nella casa del Signore!
Ebbene, corriamo! Corriamo perché andremo nella casa del Signore.
Corriamo perché tal corsa non stanca; [ corriamo ] perché arriveremo a una meta dove non esiste stanchezza.
Corriamo alla casa del Signore, e la nostra anima gioisca per coloro che ci ripetono queste parole.
Coloro che ce le riferiscono hanno visto prima di noi la patria e, da lontano, a noi che li seguiamo, gridano: Andremo nella casa del Signore.
Camminate, correte! L'hanno vista gli Apostoli e ci hanno detto: Correte, spicciatevi, veniteci appresso!
Andremo nella casa del Signore. E ciascuno di noi cosa dice? Mi sono rallegrato per coloro che mi dicevano: Andremo nella casa del Signore.
Mi sono rallegrato per la compagnia dei Profeti e degli Apostoli.
Tutti costoro infatti ci hanno detto che andremo nella casa del Signore.
I nostri piedi stavano negli atri di Gerusalemme.
Se cercavi cosa fosse la casa del Signore, eccotelo spiegato.
In quella casa, la casa appunto del Signore, si loda il costruttore della casa stessa, il padrone di casa è la gioia di tutti coloro che vi abitano: egli, che quaggiù è l'unica [ nostra ] speranza, lassù [ sarà ] la nostra reale felicità.
Pertanto, quelli che corrono a che cosa debbono pensare?
D'essere in certo qual modo lassù e d'esserci stabilmente.
Gran cosa essere stabilmente in quella casa, in compagnia degli angeli, e mai perderne il posto!
Ci fu uno che lo perse e decadde: colui che non fu stabile nella verità. ( Gv 8,44 )
Coloro che, viceversa, non sonno decaduti rimangono stabili nella verità.
E veramente stabile è chi ripone tutto il suo godimento in Dio, mentre chi pretende di saziarsi godendo di se stesso cade.
E chi è che si ripromette una tale sazietà? Il superbo.
Ben a ragione dunque colui che amava restare per sempre negli atri di Gerusalemme diceva: Nella tua luce vedremo la luce.
[ Nella tua ], non nella mia.
E ancora: Presso di te, non presso di me, [ è ] la fonte della vita.
E cosa aggiungeva? Non si levi contro di me il piede del superbo, e la mano dell'empio non mi smuova.
Ecco là, cadono gli operatori di iniquità: sono abbattuti, né possono rialzarsi! ( Sal 36,10-12 )
Se pertanto costoro non poterono rimanere in piedi perché erano superbi, devi salire mediante l'umiltà, in modo da poter dire: I nostri piedi stavano negli atri di Gerusalemme.
Pensa a come sarai in quella patria, e, sebbene ora ti trovi in cammino mettiti dinanzi agli occhi quel che sarai lassù e quel che godrai in maniera indefettibile, quando sarai in mezzo agli angeli.
Si realizzerà in te, infatti, quel che fu detto: Beati quelli che abitano nella tua casa, [ o Signore ]: nei secoli dei secoli ti loderanno. ( Sal 84,5 )
I nostri piedi stavano negli atri di Gerusalemme. Quale Gerusalemme?
C'è in effetti anche quaggiù una Gerusalemme, ma questa Gerusalemme è solo una figura dell'altra.
Ora, che gran privilegio sarebbe avere stabile dimora nella Gerusalemme terrena, se la città non poté essa stessa durare stabilmente ma fu abbattuta?
E di questo privilegio parlerà davvero lo Spirito Santo, considerandolo cosa del massimo valore, quando dal cuore ardente di questo innamorato fa uscire l'espressione: I nostri piedi stavano negli atri di Gerusalemme?
Non sono, viceversa, rivolte alla Gerusalemme terrena le parole del Signore: Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che ti sono mandati? ( Mt 23,37 )
Possibile dunque che il salmista desideri come cosa di sommo pregio il trovarsi fra coloro che uccidevano i profeti e lapidavano gli inviati [ del Signore ]? Certo no!
Non è possibile che pensi alla Gerusalemme terrena colui che ama con tanto ardore.
Egli vuol senz'altro giungere all'altra Gerusalemme, quella che è la nostra madre ( Gal 4,26 ) e che l'Apostolo definisce come eterna nei cieli. ( 2 Cor 5,1 )
E poi ascolta! Se non vuoi credere a me, ascolta come continui il salmo e qual Gerusalemme voglia rappresentare alle nostre menti.
Egli aveva detto: I nostri piedi stavano negli atri di Gerusalemme.
Come se qualcuno gli avesse chiesto: A qual Gerusalemme ti riferisci? di quale Gerusalemme parli?, egli soggiunge immediatamente: Gerusalemme è edificata in forma di città.
Fratelli, quando David pronunciava queste parole la città di Gerusalemme era completamente costruita, non la si stava costruendo.
Si riferiva quindi a un'altra non so quale città che viene costruita ai nostri giorni, a una città verso la quale mediante la fede corrono le pietre vive, della quale dice l'apostolo Pietro: E anche voi, come altrettante pietre viventi, siete insieme costruiti per formare una casa spirituale, ( 1 Pt 2,5 ) cioè il tempio santo di Dio.
Che significa: Voi siete insieme costruiti come pietre viventi?
Per vivere, ti è necessario credere; credendo diventi tempio di Dio, nel senso inteso dall'apostolo Paolo quando dice: Santo è il tempio di Dio, e questo siete voi. ( 1 Cor 3,17 )
È dunque una città che adesso viene costruita: adesso vengono staccate dai monti le pietre ad opera di coloro che annunziano la verità, adesso le si squadra perché entrino a far parte dell'edificio eterno.
Ci sono molte pietre che si trovano ancora fra le mani del costruttore: che non cadano dalle mani dell'artefice se vogliono da perfetti entrare a far parte dell'edificio del tempio.
Ecco qual è la Gerusalemme che viene edificata in forma di città.
Il suo fondamento è Cristo, come dice l'apostolo Paolo: Nessuno può porre altra base oltre quella che già c'è, che è Gesù Cristo. ( 1 Cor 3,11 )
Quando si pongono le fondamenta [ d'una casa ], le si pongono in terra e sopra vi si costruiscono le pareti: le quali con il loro peso tendono al basso perché in basso sono state poste le fondamenta.
Se invece il nostro fondamento è in cielo, lasciamoci costruire verso il cielo.
L'edificio di questa basilica, che vedete ergersi nella sua mole spaziosa, è un edificio fatto di materia, e quindi, essendo materia, i costruttori dovettero porne in basso il fondamento.
Quanto invece a noi, che veniamo costruiti in senso spirituale, il nostro fondamento è stato posto nella Sommità. ( Ef 2,20-22 )
Corriamo dunque là dove siamo costruiti, perché proprio di Gerusalemme fu detto: I nostri piedi stavano negli atri di Gerusalemme.
Ma di quale Gerusalemme? La Gerusalemme che è edificata in forma di città.
Per mostrarci chiaramente quale fosse questa Gerusalemme, non si contentò di dirci che viene edificata in forma di città, poiché anche così le parole potrebbero intendersi della Gerusalemme terrena.
Che rispondere infatti a un ipotetico obiettore che dicesse: È vero che al tempo di David, quando queste parole venivano dette e cantate, quella città era completamente costruita; ma non poteva David, spiritualmente illuminato, prevederne la rovina e la ricostruzione?
In effetti Gerusalemme fu devastata e il popolo, preso prigioniero, fu deportato a Babilonia: avvenimento che nelle Scritture è chiamato esilio babilonese. ( 2 Re 25,11 )
Geremia però aveva profetizzato che, dopo settanta anni di prigionia, si sarebbe potuta ricostruire la città distrutta dai vincitori. ( Ger 25,12 )
Ora qualcuno potrebbe concludere: Ecco cosa vedeva David illuminato dallo Spirito: che la città di Gerusalemme sarebbe stata distrutta dal popolo vincitore e dopo settanta anni sarebbe stata ricostruita.
Per questo diceva: Gerusalemme la quale è costruita in forma di città.
Non pensare dunque [ tu interprete ] che le sue parole si riferiscano alla città formata dai santi, come da pietre viventi.
Perché sia tolto ogni dubbio, nota come prosegue.
Diceva: I nostri piedi stavano negli atri di Gerusalemme.
Quale città chiamo Gerusalemme? Forse - dice - quella che voi vedete ergersi nella sua mole di mura materiali?
No, ma la Gerusalemme che è edificata in forma di città.
Perché non " la città " ma in forma di città, se non perché la mole delle mura della Gerusalemme terrena costituiva una città visibile, una città in senso proprio, come lo si usa da tutti?
Al contrario l'altra Gerusalemme viene edificata in forma di città, poiché quanti entrano a farne parte sono anch'essi a modo di pietre vive, ( 1 Pt 2,5 ) e non pietre in senso concreto e reale.
Ebbene, com'essi sono a modo di pietre, e non pietre [ sic et simpliciter ], così la Gerusalemme è edificata, non città, ma - dice proprio così - in forma di città: dove, usando la voce " edificio ", ha voluto inculcarci che si riferiva alla struttura esterna delle mura e al loro complesso.
In realtà, parlando propriamente, quando si dice " città " ci si riferisce alle persone che vi abitano; ma il salmista, dicendo che viene costruita ci mostra che col nome di città designa il complesso degli edifici.
E siccome l'edificio spirituale ha una certa somiglianza con l'edificio materiale, per questo dice che [ quella Gerusalemme ] è costruita in forma di città.
Ma ci dica pure le parole successive e così ci tolga ogni dubbio, confermandoci che non dobbiamo intendere in senso materiale l'affermazione: Gerusalemme è edificata in forma di città.
La sua partecipazione così continua - è nell'Assoluto.
Suvvia, fratelli! Chiunque è in grado di indirizzare a cose alte l'acume della mente, chiunque deponendo l'opacità della carne ha purificato l'occhio del cuore, lo elevi quanto può e cerchi di vedere l'Assoluto.
Cos'è l'assoluto? Come lo definirò, se non l'assoluto?
Se ne siete in grado, fratelli, capite cosa sia l'assoluto, poiché, quanto a me, qualunque altra parola volessi aggiungere, non direi più ciò che è assoluto.
Facciamo insieme, comunque, lo sforzo per condurre la mente di chi è più debole a pensare all'Assoluto.
Ci serviremo di parole e di concetti che gli siano vicini.
Cos'è l'assoluto? È ciò che rimane sempre lo stesso, ciò che non è adesso una cosa e poi un'altra.
Cos'è, quindi, l'assoluto se non ciò che è? Che significa " ciò che è "? Ciò che è eterno.
Difatti ciò che cambia continuamente il suo modo di essere, non è, poiché non è stabile.
Non che non esista proprio per nulla, ma non ha l'essere in sommo grado.
Ma allora cosa sarà che esiste pienamente se non colui che, inviando Mosè, gli disse: Io sono colui che sono? ( Es 3,14 )
Che cosa sarà questo essere? Si presentò un giorno a lui il suo servo e gli osservò: Ecco, tu mi mandi; ma se il popolo mi domanderà chi mi abbia inviato, cosa dovrò rispondergli?
Non gli volle dire altro nome all'infuori di: Io sono colui che sono; anzi, proseguendo gli ribadì: Dirai pertanto ai figli d'Israele: Colui che è mi ha inviato a voi.
Ecco l'Assoluto! Io sono colui che sono; Colui che è mi ha inviato a voi.
Non potrai certo capire; è già molto che vi intravveda qualcosa; è molto che ne intenda [ il fatto ].
Di colui che [ altrimenti ] non avresti potuto capire per nulla conserva nella mente ciò che è diventato per amor tuo.
Conservati attaccato alla umanità di Cristo, a cui fosti sollevato quand'eri infermo, anzi mezzo morto a causa delle ferite che t'avevano inferto i predoni. ( Lc 10,30 )
Per essa fosti condotto all'ospizio e là ottenesti la guarigione.
Corriamo, dunque, alla casa del Signore e cerchiamo di giungere alla città dove stiano fermi i nostri piedi, alla città che è costruita in forma di città e nella quale [ c'è ] la partecipazione all'Assoluto.
A che cosa dunque dovrai tenerti aggrappato? A ciò che Cristo è diventato per te, ricordando che quell'Assoluto è Cristo, al quale, in quanto è nella natura divina, si riferiscono giustamente le parole: Io sono colui che sono.
Egli è, in realtà, l'Assoluto per quel che di lui si afferma: Non ritenne una appropriazione indebita l'essere uguale a Dio. ( Fil 2,6 )
Affinché però tu diventassi partecipe del suo essere Assoluto, egli per primo si rese partecipe della tua condizione; il Verbo si fece carne ( Gv 1,14 ) perché la carne divenisse partecipe del Verbo.
Per farsi, poi, carne ed abitare fra noi, il Verbo venne dalla stirpe di Abramo, come era stato promesso ad Abramo, Isacco e Giacobbe che dalla loro stirpe sarebbero state benedette tutte le genti: ( Gen 22,18 ) ne sarebbe cioè scaturita la Chiesa, diffusa, come costatiamo, per tutta la terra.
Così Dio adatta il suo parlare a chi è debole.
Dicendo: Io sono colui che sono, saggiava la saldezza del [ tuo ] cuore; la stessa saldezza del cuore e inoltre il vigore della tua mente eretta nella contemplazione saggiava quando ti diceva: Colui che è mi ha mandato a voi.
Ma forse tu non hai ancora l'attitudine a contemplare.
Ebbene, non smarrirti, non disperarti.
Colui che è volle diventare un uomo come sei tu.
Per questo anche continuò a parlare con Mosè che s'era come spaventato di fronte a un tal nome.
Qual nome? Il nome Colui che è.
Così il racconto: Il Signore disse allora a Mosè: Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe.
Questo è in eterno il mio nome. ( Es 3,15 )
Non disperarti se ti ho detto: Io sono colui che sono, e: Colui che è mi ha mandato a voi.
Se adesso tu ondeggi e per la mutabilità delle cose e l'instabilità della tua condizione mortale, in cui come uomo ti trovi, non puoi penetrare cosa sia l'Assoluto, ecco io scendo a te, perché tu non sei in grado di giungere a me.
Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe.
Nel discendente di Abramo spera di trovare qualcosa che ti irrobustisca per vedere chi sia colui che è venuto a te [ prendendo la carne ] nella stirpe di Abramo.
Egli è quell'Assoluto di cui fu detto: Tu le muterai ed esse muteranno; tu invece sei sempre lo stesso, il medesimo, e i tuoi anni non verranno meno. ( Sal 102,27-28 )
Ecco l'Assoluto: colui i cui anni non verranno meno.
Fratelli, non è forse vero che i nostri anni ogni giorno vengono meno, senza mai arrestarsi?
Quelli che sono passati non ci sono più, quelli che debbono venire non ci sono ancora: i primi sono svaniti, gli altri verranno ma per svanire anch'essi.
Fermiamoci, fratelli, a quest'unico giorno di oggi.
Ecco, noi ora parliamo e la cosa avviene nel succedersi dei momenti.
Le ore passate sono fuggite, quelle future non sono giunte ancora; e quando giungeranno, anch'esse voleranno via e scompariranno.
Quali sono gli anni che non vengono meno, se non gli anni che rimangono fermi?
Ma se c'è un luogo in cui gli anni stanno fermi, questi stessi anni, appunto perché sempre fermi, costituiscono un unico anno; anzi quest'anno, che non passa mai, è un unico giorno.
Di più: quest'unico giorno che non ha né aurora né tramonto, che non comincia con la scomparsa del giorno precedente né viene cacciato via dal giorno seguente, è un giorno che sta sempre fisso.
Un tal giorno, chiamalo pure come ti pare.
Se ti pare, è un anno; se ti pare, è un giorno.
Pensa quel che ti pare: esso resta immutabile.
Ebbene, della sua stabilità partecipa quella città la cui partecipazione è nell'Assoluto.
Con fondatezza, quindi, quest'uomo, divenuto partecipe della sua stabilità, può dire mentre corre verso di lei: I nostri piedi stavano negli atri di Gerusalemme.
Ogni cosa infatti è stabile lassù, nulla vi è di transitorio.
Vuoi anche tu avere stabilità e non essere soggetto a mutamenti? Corri lassù.
L'immutabilità nessuno la possiede per se stesso. Capitemi, fratelli!
Ciò che è corporeo non è immutabile, perché non ha in sé stabilità: cambia con il succedersi delle età, cambia con le mutazioni di luogo e di tempo, cambia a causa delle malattie e delle miserie fisiche.
Non è quindi stabile in se stesso.
Non sono stabili in se stessi nemmeno i corpi celesti: anch'essi sono soggetti a delle mutazioni, per quanto a noi occulte.
È tuttavia certo che si spostano da luogo a luogo: ascendono dall'oriente verso l'occidente, per continuare poi il loro giro verso l'oriente.
Non sono quindi stabili; non sono l'immutabile.
La stessa anima umana non gode stabilità.
Quante sono le mutazioni che determinano varietà nel pensiero!
Quanti i cambiamenti causati dai piaceri!
Quante le brame che la flagellano e mettono a soqquadro!
La stessa mente dell'uomo, cioè la sua parte razionale, è mutevole; non è l'assoluto.
Ora vuole, ora non vuole; ora sa, ora ignora; ora ricorda, ora dimentica.
Nessuno quindi trova in se stesso l'immutabilità.
Ci fu una volta un essere che volle trovare in se stesso l'immutabilità - pretese cioè in certo qual modo d'essere lui stesso l'assoluto - ma decadde [ dal suo ruolo ]: era un angelo, ma cadde e divenne diavolo.
Egli inoculò nell'uomo la sua stessa superbia, e nella sua invidia fece cadere con sé anche colui che [ fino ad allora ] era rimasto stabile. ( Gen 3,1 )
Vollero anche gli uomini essere l'assoluto; pretesero di essere padroni e arbitri di se stessi.
Ricusarono d'aver sopra di sé colui che veramente è signore, colui che è veramente l'assoluto, essendo stato detto a lui: Tu li muterai ed essi muteranno; ma tu sei sempre lo stesso e medesimo. ( Sal 102,27-28 )
Ebbene, dopo tante miserie, malattie, difficoltà e stenti, l'anima mediante l'umiltà torni a chi è l'Assoluto, per aver posto in quella città la cui partecipazione è nell'Assoluto.
Là infatti ascesero le tribù.
Ci stavamo infatti proprio domandando dove salisse colui che era caduto, poiché la voce [ che udiamo ] è - come si diceva - voce di uno che sta salendo, è la voce della Chiesa in atto di ascendere.
Ebbene, dove crediamo che ascenda? dove va? dove si innalza?
Dice: Là ascesero le tribù. Dove ascesero le tribù? Nella città la cui partecipazione è nell'Assoluto.
È là che si ascende: in Gerusalemme.
Scendeva un giorno un uomo da Gerusalemme a Gerico e si imbatté nei briganti. ( Lc 10,30 )
Se non ne fosse disceso, non vi si sarebbe imbattuto.
Orbene, se durante la sua discesa si imbatté nei briganti, si decida a salire e raggiungerà gli angeli; ma salga davvero, poiché le tribù già sono salite.
Cosa sono queste tribù? Molti lo sanno, molti no.
E tocca a noi che lo sappiamo abbassarci al livello di coloro che non lo sanno, affinché anche loro possano salire insieme con noi là dove sono salite le tribù.
Con nome diverso la tribù può essere chiamata "curia", ma non è una designazione appropriata.
In realtà per indicare con precisione cosa sia una tribù non c'è altro nome all'infuori di quello di " tribù "; con termine approssimativo potremmo chiamarle "curie".
Non che fossero curie in senso proprio, poiché allora dovremmo pensare alle " curie " che sono in ogni città, da cui poi derivano i nomi " curiale" e " decurione ", cioè la gente che fa parte della curia o della decuria.
A questo riguardo, voi sapete che oggi ogni città ha una curia di questo genere, ma ci sono anche, o almeno ci furono un tempo, nelle nostre città delle curie formate da popoli; e si dà anche il caso che una città abbia parecchie curie, come Roma, che ha trentacinque curie popolari.
Curie di questo tipo vengono chiamate tribù, e il popolo d'Israele ne aveva dodici, quanti erano i figli di Giacobbe.
Dodici erano le tribù del popolo d'Israele, e in quelle tribù c'erano persone cattive e persone buone.
Quanto cattive non furono infatti quelle tribù che crocifissero il Signore, e quanto buone quelle che lo riconobbero!
Certamente le tribù che crocifissero il Signore sono tribù del diavolo; per cui, dicendo in quel luogo il salmo che là ascesero le tribù, affinché tu non riferissi le sue parole a tutte quante le tribù, soggiunse: Le tribù del Signore.
Che significa: Le tribù del Signore? Le tribù che riconobbero il Signore.
Difatti, dalle dodici tribù di per sé cattive vennero fuori degli individui buoni, nati da tribù buone, che riconobbero il Costruttore della città [ superna ]: erano i grani [ del buon frumento ] che, nati in seno a quelle tribù, rimasero frammisti alla paglia.
[ Quando fu l'ora di ascendere ], ascesero non insieme alla paglia ma purificate, selezionate, come tribù del Signore.
Là infatti ascesero le tribù, le tribù del Signore.
Che significa: Le tribù del Signore? La testimonianza per Israele.
Significa che in loro si riconosce che sono veramente un Israele.
Cos'è Israele? Il significato della parola è stato già spiegato ma occorre ripeterlo, e anche di frequente: difatti, per quanto ne abbiamo parlato da poco, può essere passato di mente a qualcuno.
Quanto a noi, a forza di ripeterlo dobbiamo far sì che non lo dimentichino coloro che non sanno leggere o non ne hanno voglia: a costoro noi dobbiamo fare da codice. Israele, tradotto, significa " colui che vede Dio ".
Anzi, andando più a fondo nell'esame della parola, Israele significa esattamente questo: " Egli è, è uno che vede Dio ".
Due cose dunque: Egli è, ed è uno che vede Dio.
Di per se stesso, infatti, l'uomo non è, tant'è vero che è mutevole e soggetto a variabilità, se non diviene partecipe di colui che è l'Assoluto.
Egli è, quando vede Dio.
In altre parole, egli è quando vede Colui che è; o meglio, vedendo colui che è, riesce anche lui ad essere, nella misura che gli è consentita.
Un uomo siffatto è un Israele, cioè uno che è [ e ] che vede Dio.
Il superbo al contrario non è un Israele, perché in lui non c'è partecipazione con l'Assoluto, in quanto lui stesso pretende d'essere il [ suo ] assoluto.
Chiunque voglia far di se stesso il suo proprio principio non è un Israele.
Conseguentemente, neppure l'uomo amante della finzione può essere un Israele, poiché nell'uomo superbia e finzione vanno necessariamente insieme.
Ve lo ripeto, fratelli. Il superbo necessariamente smania d'apparire diverso da quello che è.
Non può, fratelli miei, fare altrimenti.
E magari smaniasse, questo superbo, d'apparire quel che non è fingendo, ad esempio, d'essere un flautista mentre non lo è.
Lo si potrebbe subito smascherare.
Basterebbe dirgli: Suona e facci vedere se davvero sei flautista.
Non sapendo suonare, si scoprirebbe subito che egli si è spacciato per ciò che non è.
Se dicesse di essere una persona eloquente, gli si potrebbe dire: Parla e dacci prova [ della tua eloquenza ].
Dal suo parlare si scoprirebbe subito che egli non è ciò che [ di sé ] aveva affermato.
Nel caso del superbo c'è di peggio.
Egli vuol apparire giusto mentre non lo è, e, siccome è difficile discernere la [ vera ] giustizia, è anche difficile identificare i superbi.
Resta comunque vero che i superbi vogliono apparire quel che non sono; pertanto non hanno partecipazione con l'Assoluto, non sono dalla parte di Israele, cioè dell'uomo che vede Dio.
Chi è invece dalla parte di Israele? L'uomo partecipe dell'Assoluto.
E chi partecipa dell'Assoluto? Colui che riconosce di non essere ciò che è Dio e di avere da lui ogni bene che può riscontrare in se stesso; colui che riconosce di non essere di per se stesso altro che peccato, mentre da Dio gli è derivata la giustizia.
Un tale uomo è un uomo senza inganno.
E cosa disse il Signore quando vide Natanaele? Ecco davvero un israelita, in cui non c'è inganno! ( Gv 1,47 )
Se pertanto è un vero israelita l'uomo esente da inganni, a Gerusalemme salgono le tribù di coloro in cui non c'è inganno.
E le stesse tribù sono una testimonianza per Israele.
Cioè: attraverso di loro si costata che fra la paglia c'erano dei chicchi di buon grano, mentre, a guardare superficialmente l'aia, sembrava tutto paglia.
Ma c'era davvero del buon grano, e quando quei chicchi saliranno verso lo splendore delle sommità celesti, quando l'aia sarà nettata col ventilabro, ( Mt 3,12 ) allora saranno testimonianza per Israele.
Allora i cattivi diranno: C'erano davvero dei giusti fra i cattivi! anche se noi credevamo che tutti fossero cattivi, anche se noi credevamo che tutti fossero come eravamo noi …
Testimonianza per Israele. Dove salgono? Con che propositi salgono?
Vengono a confessare il tuo nome, Signore.
Non si poteva dire con espressione più stupenda.
Come la superbia è presuntuosa, così l'umiltà confessa.
Come è presuntuoso l'uomo che vuol comparire per quel che non è, così è devoto sincero colui che non brama comparire per quel che è personalmente ma ama ciò che è Dio.
Ecco la meta a cui ascendono gli israeliti in cui non c'è inganno: coloro cioè che sono davvero israeliti e nei quali c'è la testimonianza per Israele.
Ascendono con questo proposito: confessare il tuo nome, Signore.
Poiché là si sedettero i seggi per il giudizio.
Se non se ne comprende il senso, è questo uno strano rebus, una questione che lascia stupiti.
Chiama seggi ciò che i greci chiamano troni, così appunto chiamati perché sedili cui si deve - come dire - rispetto.
Pertanto, miei fratelli, nulla di strano che in questi seggi o sedili seggano gli uomini; ma come si fa a trovare un senso ragionevole quando ci si dice che a sedersi sono gli stessi seggi?
È come se si dicesse: Seggano ora le cattedre ovvero i sedili!
Il sedile è fatto per sedervi, e così pure il seggio e la cattedra: l'uomo vi si mette seduto, non si siede la seggiola.
Cosa significano allora le parole: Poiché ivi si sedettero i seggi per il giudizio? Senza dubbio vi risuonano frequenti all'orecchio le parole dette da Dio: Il cielo mi fa da trono, la terra è lo sgabello dei miei piedi.
In latino la frase è resa così: Il cielo mi fa da seggio. ( Is 66,1; At 7,49 )
E chi sono tali persone, se non i giusti? Chi sono i cieli, se non giusti?
Essi sono insieme il cielo e i cieli: la stessa cosa è l'unica Chiesa e le varie chiese.
Come la Chiesa è molteplice pur restando una, così i giusti.
Essi sono il cielo e insieme i cieli. In questi cieli siede e giudica Dio.
Non fu detto invano, infatti, che i cieli narrano la gloria di Dio. ( Sal 9,2 )
Così per gli Apostoli: i quali divennero altrettanti cieli.
E come ci divennero? Mediante la giustificazione.
Come il peccatore diviene terra - tant'è vero che gli si poté dire: Sei terra e alla terra ritornerai ( Gen 3,19 ) - così il giustificato diviene cielo.
E furono gli Apostoli a portarci Dio: da loro Dio folgorava con i miracoli, tuonava incutendo terrore, mandava la pioggia delle consolazioni.
Essi dunque erano il cielo e narravano la gloria di Dio.
E per convincerci che proprio a loro si dà il nome di cielo, così è detto in quello stesso salmo: Per tutta la terra si propagò il loro rimbombo e fino ai confini del mondo le loro parole. ( Sal 19,5 )
Domandi: Ma di chi? Eccotelo subito scoperto: Dei cieli.
Se dunque seggio di Dio è il cielo e gli Apostoli sono il cielo, sono gli stessi Apostoli che costituiscono il seggio di Dio e il suo trono.
Si dice in un altro passo [ scritturale ]: L'anima del giusto è il trono della sapienza. ( Sap 12, 13 )
Grande, grandissima affermazione questa: Trono della sapienza [ è ] l'anima del giusto.
E significa: Nell'anima del giusto risiede la sapienza come nel suo proprio seggio, nel suo proprio trono, e da lì giudica ogni cosa che giudica.
Costoro dunque erano i troni della sapienza e per questo diceva loro il Signore: Sederete su dodici troni per giudicare le dodici tribù d'Israele. ( Mt 19,28 )
In tal modo le stesse persone sederanno su dodici seggi, mentre sono già seggi di Dio.
Di loro infatti era stato detto: Là si sedettero i seggi.
Poiché là si sedettero i seggi. Chi si sedette? I seggi.
E chi sono questi seggi? Coloro dei quali fu detto: L'anima del giusto è la sede della sapienza. ( Sap 12, 13 )
E chi sono questi seggi? I cieli. E i cieli chi sono?
Lo stesso che il cielo. E il cielo cos'è? Ciò di cui parla il Signore: Il cielo è la mia sede. ( Is 66,1; At 7,49 )
Pertanto, i giusti sono seggi e hanno dei seggi; e così in quella Gerusalemme ci saranno dei seggi che staranno seduti.
E perché sederanno? Per [ fare ] il giudizio.
Dice: Voi, che siete i seggi, sederete su dodici seggi per giudicare le dodici tribù d'Israele.
Chi dovranno giudicare? Quelli che sono giù in basso, sulla terra.
E chi sono i giudici? Coloro che sono diventati cielo.
Riguardo ai giudicati si sa, poi, che saranno divisi in due gruppi: uno si troverà a destra e l'altro a sinistra.
Con Cristo anche i santi staranno a giudicare, come dice Isaia: Egli verrà a giudicare con gli anziani del suo popolo. ( Is 3,14 )
Ci sono dunque certuni che insieme con lui giudicheranno, mentre altri saranno da lui giudicati: da lui e da quegli altri che con lui faranno da giudici.
Quanto poi ai giudicandi, essi saranno divisi in due gruppi: il primo sarà posto alla destra e sentirà elencarsi le opere di misericordia che ha compiute, l'altro sarà posto alla sinistra e gli verranno elencati i tratti della sua durezza d'animo e la sua sterilità in fatto di misericordia.
A quelli che si trovano alla destra verrà detto: Venite, o benedetti dal Padre mio; possedete il regno che vi è stato preparato fin dalla fondazione del mondo.
Perché? Risponde: Avevo fame e mi deste da mangiare.
Ed essi: Ma quando ti abbiamo visto affamato? E lui: Tutte le volte che l'avete fatto a uno dei miei fratelli, anche dei più piccoli, l'avete fatto a me. ( Mt 25,34 )
Cosa mai significa questo, fratelli? [ Significa ] che faranno da giudici [ anche ] coloro, di cui fu detto che occorre farseli amici mediante l'iniquo mammona, affinché essi a loro volta - dice - vi accolgano nelle tende eterne. ( Lc 16,9 )
Sì, insieme col Signore staranno assisi [ in trono ] anche i santi, aspettando coloro che compirono opere di misericordia.
Dopo averli collocati alla destra, separandoli dagli altri, li accompagneranno nel regno dei cieli, e sarà questa la pace di Gerusalemme.
Qual è la pace di Gerusalemme? Si uniscano le opere di misericordia corporali alle opere spirituali della predicazione, e si instauri la pace mediante lo scambio nel dare e nel ricevere.
Così infatti si esprime l'Apostolo che considera queste opere di misericordia come un rapporto fra il dare e il ricevere.
Dice: Se noi abbiamo seminato fra voi beni spirituali, è gran cosa se veniamo a mietere i vostri proventi materiali? ( 1 Cor 9,11 )
E in un altro passo sullo stesso argomento: Chi ne raccolse molto non ne ebbe d'avanzo, e chi poco non ne rimase senza. ( 2 Cor 8,15 )
Perché chi ne raccolse molto non ne ebbe d'avanzo?
Perché l'avanzo lo diede a chi si trovava sprovvisto.
E perché chi ne raccolse poco non soffrì penuria? Perché ne ricevette da colui che ne aveva in abbondanza.
È in tal modo - dice - che si ha da ottenere un'equa ripartizione, ( 2 Cor 8,14 ) la quale poi è quella pace di cui è detto: Si faccia la pace mediante il tuo vigore. ( Sal 122,7 )
Ciò è tanto vero che, appena affermato che là si sedettero i seggi per il giudizio, i seggi sulla casa di David - cioè sulla famiglia di Cristo alla quale nel tempo fornirono i mezzi di sostentamento - subito, come rivolgendosi agli stessi seggi, dice: Chiedete le cose che contribuiscono alla pace di Gerusalemme.
Voi, seggi che ormai siete seduti in giudizio e siete divenuti trono del Signore che giudica, chiedete - dice - quali cose contribuiscano alla pace di Gerusalemme.
Tocca infatti a chi giudica interrogare, mentre chi è giudicato deve rispondere alle interrogazioni.
Ebbene, ponendosi a interrogare cosa trovano?
Che alcuni hanno esercitato la misericordia, altri no; e quindi alla Gerusalemme chiameranno [ solo ] coloro che constateranno aver esercitato la misericordia, poiché le opere di misericordia contribuiscono alla pace di Gerusalemme.
Fratelli, grande forza è l'amore, grande davvero!
Volete vedere che gran forza è l'amore? Se uno viene a trovarsi in una qualche necessità che gli impedisca d'osservare uno dei comandamenti di Dio, ami colui che l'osserva e, nella persona dell'altro che l'osserva, lo osserva lui stesso.
Mi stia attenta la vostra Carità! Ecco un esempio.
Uno è sposato: non può divorziare da sua moglie ma deve obbedire all'Apostolo che gli comanda: Il marito renda il debito [ coniugale ] a sua moglie, e ancora: Sei legato alla moglie?
Non cercare lo scioglimento ( 1 Cor 7,3.27 ) [ del tuo matrimonio ].
Ora a quest'uomo viene in mente che c'è un genere di vita più eccellente [ della sua ], a proposito della quale dice il medesimo Apostolo: Desidererei che tutti fossero come me stesso. ( 1 Cor 7,3.7 )
Mira quei tali che hanno attuato questo consiglio e li ama.
Amandoli adempie in essi ciò che non può adempiere in se stesso.
Grande la forza dell'amore! E questo amore è la nostra forza, al segno che, se non fossimo radicati in esso, a nulla ci varrebbero tutte le altre risorse che potessimo avere.
Dice l'Apostolo: Se io parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, e non avessi amore, non sarei che un bronzo risonante, o un cembalo squillante.
E aggiunge una cosa sensazionale: E se anche sbocconcellassi a favore dei poveri tutto quello che ho, e dessi il mio corpo per essere arso, e non avessi amore, non ne avrei alcun giovamento. ( 1 Cor 13, 1.3 )
Si abbia invece la carità, essa sola.
E se non si trova alcunché da distribuire ai poveri, si dia loro l'amore: si dia magari un bicchiere d'acqua fresca. ( Mt 10,42 )
Si otterrà la stessa ricompensa di Zaccheo che donò ai poveri la metà del suo patrimonio. ( Lc 19,8 )
Perché questo? L'uno ha dato così poco, l'altro così tanto; perché al primo la [ stessa ] ricompensa? Sicuro! la stessa.
Differenti erano in effetti le disponibilità, ma non differente la carità.
Essi dunque vi interrogano; voi pensate cosa siete.
Ecco, ci è stato già detto: Andremo nella casa del Signore. ( Sal 122,1 )
Certo ci siamo rallegrati in [ mezzo a ] coloro che ci dicevano: Andremo nella casa del Signore.
Controllate dunque se davvero camminiamo, poiché non si cammina con i piedi ma con gli affetti.
Controllate se camminiamo.
Ciascuno di voi si esamini sul proprio comportamento verso i santi poveri, verso i fratelli bisognosi, sul comportamento verso il bisognoso e il mendicante.
Veda un po' ciascuno se il suo cuore non sia troppo angusto, poiché verranno i seggi seduti in giudizio e ti interrogheranno e dovranno trovare in te le cose che concorrono alla pace di Gerusalemme.
E in che veste ti interrogheranno? Come seggi di Dio.
È Dio stesso che giudica e, solo se a Dio può sfuggire qualcosa, potrà sfuggire a quei seggi quando inizieranno l'interrogatorio.
Chiedete le cose che contribuiscono alla pace di Gerusalemme.
Ma quali cose contribuiscono a questa pace?
E l'abbondanza per coloro che ti amano, dice rivolgendo il discorso direttamente a Gerusalemme.
Per chi la ama c'è l'abbondanza: un'abbondanza dove prima c'era scarsità.
Qui infatti si è nella penuria, là nell'abbondanza; qui si è deboli, là robusti; qui poveri, là ricchi.
Ma come avranno fatto [ gli amici di Gerusalemme ] per diventare ricchi?
Hanno dato quaggiù ciò che avevano ricevuto da Dio per un uso temporaneo e di là hanno ricevuto i beni che Dio ha promesso per l'eternità.
Miei fratelli, anche i ricchi in questo mondo sono poveri!
Buon per il ricco se si riconoscerà povero!
Se al contrario si considerasse colmo [ di beni ], sarebbe gonfiezza, non pienezza, la sua.
Si riconosca vuoto, per poter così essere riempito.
Cos'ha infatti adesso? Dell'oro.
Cosa non ha ancora raggiunto? La vita eterna.
Osservi ciò che possiede e rifletta su quel che gli manca.
Fratelli, dia agli altri attingendo a ciò che possiede, se gli sta a cuore ottenere ciò che ancora non possiede.
Con ciò che ha comperi ciò che non ha. E l'abbondanza per coloro che ti amano.
Si faccia la pace mediante il tuo vigore.
O Gerusalemme, o città costruita in forma di città, la cui partecipazione è nell'Assoluto, si faccia la pace mediante il tuo vigore!
Si faccia la pace mediante il tuo amore, poiché la tua forza è il tuo amore.
Ascolta il Cantico dei Cantici: L'amore è forte come la morte. ( Ct 8,6 )
Grande affermazione, fratelli! L'amore è forte come la morte.
Ma non si sarebbe potuto descrivere in maniera più efficace quanto grande sia la forza dell'amore, che ricorrendo all'espressione: L'amore è forte come la morte?
O c'è forse qualcuno, fratelli, che possa opporre resistenza alla morte?
Si resiste al fuoco, alle inondazioni, al ferro; si resiste alle autorità e magari ai re; arriva la morte: è sola, ma chi può resisterle?
Non c'è nulla più forte di lei. E proprio per questo alla sua forza è stata paragonata la carità quando fu detto: L'amore è forte come la morte.
Inoltre, siccome la carità uccide in noi ciò che fummo un tempo per farci essere ciò che non eravamo, si può dire che l'amore opera in noi una specie di morte.
Una tal morte aveva assaporato colui che diceva: Il mondo è a me crocifisso e io al mondo; ( Gal 6,14 ) e altrettanto era capitato a coloro a cui egli diceva: Voi siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio. ( Col 3,3 )
L'amore è forte come la morte. Se dunque l'amore è forte, è anche robusto e dotato di grande vigore; anzi è lo stesso vigore, quel vigore per cui i deboli sono sostenuti dai robusti, la terra dal cielo, la gente comune dai seggi.
Per questo, si faccia la pace mediante il tuo vigore, è lo stesso che: Si faccia la pace nel tuo amore.
E con tale vigore, con tale amore, con tale pace venga l'abbondanza nelle tue torri, cioè nelle tue alture.
Se infatti saranno in pochi a sedere in qualità di giudici, saranno molti coloro che verranno collocati alla destra e che formeranno il popolo di quella città.
Saranno molti quelli che verranno ascritti al gruppo di ciascuno di quei notabili, dai quali saranno introdotti nei padiglioni eterni.
Così ci sarà abbondanza nelle sue torri.
Quanto al godimento, di cui si avrà la pienezza, e alla ricchezza, che sarà quale, ciascuno può esserne capace tutto questo sarà Dio stesso, lo stesso Assoluto, egli col quale la città ha la partecipazione nell'Assoluto.
Ed egli sarà ancora la nostra abbondanza. Ma come? Mediante la carità, cioè mediante il vigore.
E chi sarà, o fratelli, ad avere questa carità? Colui che in questa vita non cerca il proprio tornaconto. ( Fil 2,4-21 )
Ascolta l'Apostolo, quest'uomo pieno di carità! Dice: Rendetevi accetti a tutti e in ogni cosa, così come anch'io cerco di piacere a tutti in tutto. ( 1 Cor 10,33 )
Ma allora, dove sono andate a finire quelle tue parole: Se io cercassi ancora di piacere agli uomini non sarei servo di Cristo? ( Gal 1,10 )
Come fai a dire adesso che cerchi di piacere a loro e ad esortare gli altri a fare lo stesso?
Ma il senso ultimo della frase non è che si debba piacere alla gente per ambizione personale, ma per la carità.
Ora chi cerca la propria gloria non cerca la salvezza altrui, mentre l'Apostolo dice: Così come anch'io cerco di piacere a tutti in tutto, non cercando ciò che è utile a me ma alle moltitudini, affinché siano salve. ( 1 Cor 10,32-33 )
Non è senza motivo che anche il salmista, parlando della carità, dice: Per amore dei miei fratelli e dei miei vicini io parlavo della pace [ che viene ] da te.
O Gerusalemme, città la cui partecipazione [ è ] nell'Assoluto, in questa vita e in questa terra io, povero e pellegrino, vado gemendo poiché non godo ancora della tua pace; tuttavia voglio farmi araldo della tua pace e predicarla [ a tutti ].
Non per un attaccamento a me stesso, come fanno gli eretici, i quali, perché ambiscono la propria gloria, dicono ( è vero ): La pace sia con voi!, ma non posseggono loro stessi quella pace che augurano agli altri.
Se infatti possedessero la pace, non lacererebbero l'unità.
Io viceversa - dice il salmo - parlavo della pace [ che viene ] da te.
Ma con quali mire? Per amore dei miei fratelli e dei miei vicini.
Non in vista del mio onore e della mia ricchezza, e nemmeno per amore della mia vita.
Difatti, per me vivere è Cristo e il morire un vantaggio.
Se parlavo della pace [ che viene ] da te, [ era ] per amore dei miei fratelli e dei miei vicini.
È vero infatti che egli personalmente desiderava essere liberato [ dal corpo ] ed essere con Cristo, tuttavia, al fine di annunziare ai vicini e ai fratelli [ la verità ], diceva: È però necessario al vostro bene che io rimanga fra voi. ( Fil 1,21.23-24 )
Per amore dei miei fratelli e dei miei vicini io parlavo della pace [ che viene ] da te.
14 - [v 9.] Per amore della casa del Signore mio Dio io ho chiesto per te i beni.
Non te li ho chiesti per avvantaggiarmene io stesso.
In tal caso infatti non li avrei chiesti per te ma per me, con la conseguenza che, non avendoli chiesti per te, non li avrei avuti per niente.
Te li ho chiesti, invece, per la casa del Signore mio Dio, cioè per la Chiesa, per i santi, per i pellegrini, per i bisognosi, affinché possano ascendere secondo quel che loro diciamo: Andremo alla casa del Signore.
Proprio per amore di questa casa del Signore mio Dio io ho chiesto per te i beni.
Da tutto questo discorso, piuttosto lungo, attingete le cose necessarie, e fatene vostro cibo e bevanda.
Rimettetevi in buona salute e correte e conquistate [ la palma della vittoria ].
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