Teologia dei Padri |
La carità spirituale è al di sopra di ogni amore, come una regina che domina i suoi sudditi e si manifesta in tutto il suo splendore; nulla di terreno la produce, come avviene per l'amore naturale: non la convivenza, non i benefici, non la natura, non il tempo; ma scende dall'alto, dal cielo.
E perché ti meravigli che i benefici non siano necessari a metterla in atto, dato che neppure viene travolta se subisce del male?
Che sia superiore all'amore naturale, odilo da Paolo, che dice: Desidererei essere io stesso riprovato dal Cristo per i miei fratelli ( Rm 9,3 ).
Che padre mai desidererebbe ciò, essere cioè infelice?
E ancora: Esser sciolto e stare con Cristo sarebbe molto meglio, ma che resti nella carne è più necessario per voi ( Fil 1,23-24 ).
Che madre mai vorrebbe fare questo discorso, perché venga trascurato tutto ciò che la riguarda?
Odilo ancora; egli dice: Siamo stati privati di voi per lo spazio di un'ora, ma alla vista, non al cuore ( 1 Ts 2,17 ).
Quaggiù un padre oltraggiato pone fine ai suoi rapporti d'amore; là non così: va incontro a coloro che lo lapidano per beneficarli.
Nulla, davvero nulla, è tanto possente come il legame dello spirito.
Chi si è fatto amico per i benefici, se questi non continuano incessantemente, si fa nemico; chi per la continua convivenza è addirittura inseparabile, se la convivenza cessa, si raffredda completamente nell'amore.
E così la moglie se sorge un dissidio, abbandona il marito e ne perde completamente l'amore; il figlio, se vede che il padre vive troppo a lungo, ne sente un gran peso.
Ma nell'amore spirituale non vi è nulla di ciò: nessuna di queste cose lo spegne, perché non sussiste per esse; né il tempo, né la distanza, né la sofferenza, né la detrazione, né l'ira, né gli oltraggi possono, sopraggiungendo, farlo cessare.
E perché tu lo comprenda: Mosè stava per essere lapidato dal popolo e pregava per esso.
Quale padre mai avrebbe fatto ciò per il figlio che lo lapidava e non l'avrebbe piuttosto annientato?
Queste amicizie coltiviamo, che provengono dallo spirito: sono salde e indissolubili; non quelle che provengono dalla tavola, perché ci è vietato di allacciarle.
Odi infatti il Cristo che dice nel Vangelo: Non invitare i tuoi amici né i tuoi vicini se fai un banchetto, ma gli storpi e i mutilati ( Lc 14,12 ).
E giustamente: grande ne è la mercede.
Ma tu non puoi, non ce la fai a pranzare con gli zoppi e i ciechi: lo ritieni gravoso e molesto, e te ne rifiuti?
Certo, non dovresti comportarti così, tuttavia ciò non è necessario: se non li fai sedere a mensa con te manda loro il cibo della tua tavola.
Chi invita gli amici non fa nulla di grande: ne ha già ricevuto la ricompensa; chi invece invita lo storpio e il povero, ha Dio per debitore.
Non inquietiamoci dunque se non otteniamo quaggiù la ricompensa, bensì inquietiamoci se la otteniamo quaggiù, perché non l'otterremo lassù.
Così, se l'uomo restituisce, Dio non restituisce; e se l'uomo invece non restituisce, allora restituisce Dio.
Non cerchiamo dunque di beneficare quelli che possono ricompensarci, e non facciamolo con questa speranza: è un pensiero ben freddo!
Se inviti un amico, la sua riconoscenza dura fino alla sera; perciò questa amicizia occasionale si esaurisce prima delle spese.
Ma se inviti il povero e lo storpio, la riconoscenza non cesserà mai, perché avrai per tuo debitore Dio stesso, che si ricorda sempre e non dimentica mai.
Giovanni Crisostomo, Commento alla lettera ai Colossesi, 1,3
Il vero gnostico nei suoi rapporti col prossimo, anche se schiavo, anche se avversario secondo la legge o chiunque mai sia, lo si trova sempre uguale: infatti, come vuole la legge divina non disprezza il fratello, figlio dello stesso padre e della stessa madre, certamente egli solleva chi è tribolato consolandolo, esortandolo e procurandogli il necessario per vivere, dà a tutti i bisognosi, ma non a tutti nello stesso modo; bensì secondo la giustizia e i meriti; e anche a colui che lo perseguita e odia, se ne ha bisogno; e si cura ben poco di chi dice che egli fa ciò per paura, ammesso che non agisca così appunto per paura, ma per soccorrere.
Chi dunque è tanto liberale e condiscendente verso i nemici, quanto più amore avrà verso i suoi.
Con questo comportamento, un tale uomo giungerà a saper molto bene a chi in primo luogo, quanto, quando, in che modo dare.
Chi potrà ragionevolmente essere nemico di un uomo che non porge assolutamente mai nessun pretesto di inimicizia?
Diciamo che Dio non avversa nessuno e non è nemico di nessuno, perché è il creatore di tutto e perché tutto ciò che sussiste egli lo vuole; ma diciamo, d'altra parte, che sono suoi nemici quelli che non gli obbediscono, che non osservano i suoi precetti e sono avversari dichiarati del suo patto.
Non troveremo lo stesso anche nel cristiano illuminato?
Egli non diventerà mai e in nessun modo nemico di nessuno; dovranno invece esser considerati suoi nemici quelli che si volgono a una strada opposta alla sua.
D'altronde, se tra noi l'attitudine a distribuire viene detta giustizia, l'attitudine a giudicare secondo il merito il più o il meno, dato che ciò si deve fare con intelligenza, è la forma suprema della giustizia.
Clemente Alessandrino, Stromata, 7, 69,1-7
Noi formiamo un solo corpo per mezzo della nostra comunità di fede, per la nostra unità di disciplina e la comunione di speranza.
Camminiamo insieme come un solo esercito per assediare Dio e forzare la sua mano con le nostre preghiere.
Questa violenza è gradita a Dio.
Preghiamo anche per gli imperatori e per i loro ministri, per il secolo presente e per la pace.
Ci raduniamo per ricordarci le sacre Scritture in cui, secondo le circostanze, troviamo luce o avvertimento.
Queste parole sacre nutrono la nostra fede, innalzano la nostra speranza, affermano la nostra fiducia, rinsaldano la nostra disciplina.
Là si fanno le esortazioni, le correzioni e i giudizi divini.
In realtà si giudica con molta ponderazione, per la certezza della presenza di Dio; e pregiudica terribilmente il giudizio futuro l'aver meritato di essere allontanati dalla comunione delle preghiere e da ogni contatto con le cose sante.
Coloro che presiedono le nostre assemblee sono anziani provati; ottengono questo onore non a prezzo di denaro, ma per la testimonianza della loro condotta, perché non si può comprare nulla di ciò che appartiene a Dio.
C'è una specie di cassa comune, ma non è formata da un insieme di onorari, come se la religione fosse oggetto di commercio.
Ognuno dà ogni mese un modesto contributo, nel giorno che vuole, nella misura che ritiene possibile.
Nessuno è obbligato; si porta spontaneamente la propria parte.
É una specie di deposito della pietà.
Non viene speso in festini né per bere o per vuote baldorie, ma per nutrire e seppellire i poveri, per soccorrere i ragazzi e le fanciulle che non hanno né genitori né beni, i servi divenuti vecchi, come pure i naufraghi.
Se alcuni soffrono nelle miniere, nelle isole, nelle prigioni, per la causa del nostro Dio, questi divengono « lattanti » della religione che hanno confessato.
Questa pratica della carità è ciò che ci distingue di più secondo alcuni che dicono: « Guardate come si amano! ».
Essi invece si detestano cordialmente.
« Vedete, dicono, come sono pronti a morire gli uni per gli altri! ».
Infatti essi sono molto più pronti ad uccidersi a vicenda.
Quanto al nome di fratelli con cui noi ci chiamiamo, essi se ne fanno un'idea falsa unicamente perché per loro i nomi di parentela sono soltanto espressioni bugiarde di attaccamento.
Per diritto di natura, che è nostra madre comune, siamo anche vostri fratelli … ma ben a maggior ragione sono chiamati fratelli e considerati tali quelli che riconoscono Dio come loro unico Padre, che si sono abbeverati allo stesso Spirito di santità e che, usciti dallo stesso seno dell'ignoranza, sono rimasti abbagliati di fronte alla stessa luce di verità.
Tertulliano, L'apologetico, 39,1-9
Il sentimento mi spinge a fuggire tra i monti e nel deserto, per trovare pace al corpo e allo spirito.
Esso consiglia la mia mente a ritirarsi, a liberarsi da ciò che è sensibile in modo che - quando le realtà sporche, terrene non si frammischiano e non possono disturbare la luce divina - noi possiamo, puri da ogni macchia, intrattenerci con Dio e lasciarci illuminare dai raggi dello spirito, senza impedimento alcuno fino a quando giungiamo alla fonte dello splendore terreno, e il sentimento e le brame si acquietano, perché vediamo la verità non più in uno specchio.
Ma lo spirito vuole che io viva in pubblico, che io porti frutti per il bene comune, che mi dia al servizio del prossimo, che faccia della gloria un bene per la comunità, che conduca un grande popolo, una stirpe santa, un sacerdozio regale ( 1 Pt 2,9 ), alla immagine di Dio meglio restituita.
Il giardino è migliore e più grande della singola pianta; il cielo con tutta la sua bellezza, più di una sola stella; il corpo più di un solo arto; così è meglio, è più grande guadagnare a Dio tutta la Chiesa che consacrare solamente se stessi a lui.
Non ci si deve preoccupare solo di sé, ma anche del mondo intero; infatti Cristo, pur potendo restare nel suo splendore e nella sua divinità, si umiliò fino allo stato di schiavo; e senza badare all'umiliazione, prese su di sé la croce, per togliere con le sue sofferenze i peccati e per uccidere con la sua morte la morte.
Gregorio di Nazianzo, Dopo il suo ritorno dalla campagna, 4
Così era la santa anima di Paolo: abbracciava il mondo intero e portava tutti in sé, ritenendo che la parentela più forte fosse quella secondo Dio; e come se avesse generato tutti, così li amava e più di ogni padre casuale mostrava tenerezza.
Così è la grazia dello Spirito: vince il parto carnale e mostra un affetto più infiammato.
Questo soprattutto possiamo vedere nell'anima di Paolo che, come un uccello foggiato dall'amore, vola continuamente intorno a tutti e mai si posa, e mai si ferma.
Aveva infatti udito Cristo dire: Pietro, mi ami? Pasci le mie pecore ( Gv 21,15 ) e lo aveva sentito proporre ciò come termine supremo dell'amore; e questo egli mostrò in sommo grado.
Imitiamo dunque lui anche noi; e se non il mondo intero, e se non grandi città e popoli, almeno indirizziamo sulla retta via i nostri familiari: la moglie, i figli, gli amici, i vicini.
E non mi dica nessuno: « Sono inesperto e rozzo ».
Nessuno era meno istruito di Pietro, nessuno era più rozzo di Paolo: anche questo egli confessa, e non si vergogna di dire: E se sono rozzo nel parlare, non certo nella scienza ( 2 Cor 11,6 ).
Eppure questo rozzo, e quello ignorante hanno vinto mille filosofi, hanno chiuso la bocca a mille oratori, tutto operando con il loro ardore e con la grazia di Dio.
Che scusa avremo dunque noi, che non bastiamo a dodici persone e non siamo utili neppure a quelli che con noi convivono?
Questa è una scusa e un pretesto; non è la mancanza di istruzione o di formazione che ci impedisce di ammaestrarli, ma la nostra infingardaggine e sonnolenza.
Scuotiamo dunque questo sonno e con ogni cura dedichiamoci ai nostri intimi, perché ci sia dato di godere quaggiù una grande pace indirizzando i nostri cari, col timore di Dio, sulla retta via e ci sia dato di conseguire lassù mille doni; per la grazia e la benignità del nostro Signore Gesù Cristo; per lui e con lui al Padre, insieme con lo Spirito Santo, sia gloria ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Amen.
Giovanni Crisostomo, Commento alla lettera ai Romani, 1,2
Più di noi stessi, se lo volete, voi potete beneficarvi a vicenda: passate più tempo insieme, conoscete meglio di noi le vostre relazioni reciproche, non vi sono nascoste le vostre mancanze vicendevoli, avete più franchezza, più amore, più consuetudine reciproca: questi non sono piccoli vantaggi per ammaestrare, anzi ne offrono una possibilità grande e opportuna; e più di noi potete rimproverare ed esortare.
E non solo questo, ma io sono solo, e voi molti; e tutti potete, quanti siete, essere maestri.
Perciò vi scongiuro: non trascurate questa grazia!
Ciascuno ha una moglie, ha un amico, ha un servo, ha un vicino: questi ammonisca, quelli esorti.
Non è un assurdo? Per il cibo si fanno banchetti e simposi, vi sono giorni stabiliti per riunirsi e quello in cui uno manca personalmente, viene compiuto dalla società, come ad esempio se si debba partecipare a un funerale, o a un banchetto, o si debba aiutare in qualcosa un prossimo.
E, invece, per ammaestrare alla virtù non si fa nulla di ciò!
Sì, vi scongiuro! Nessuno lo trascuri! Riceverà da Dio una grande ricompensa!
E perché tu comprenda bene, colui al quale furono affidati cinque talenti è un maestro; colui a cui ne fu affidato uno è un discepolo.
Ma se il discepolo dicesse: « Sono un semplice discepolo, non corro pericoli », e nascondesse la parola, comune e spoglia, ricevuta da Dio, e non pensasse di ammonire, di parlar con franchezza, di rimproverare, di correggere, se possibile, ma la nascondesse in terra: è davvero terra e cenere questo cuore che seppellisce la grazia di Dio!
Se dunque la nascondesse per pigrizia o per malvagità, non lo scuserebbe nulla il dire: « Ho un solo talento ».
Hai un solo talento? Dovevi aggiungerne un altro e raddoppiare il tuo talento; se ne avessi aggiunto un altro, non saresti rimproverato.
A colui che presentò due talenti, infatti, non fu detto: « Perché non ne porti cinque? », ma fu ritenuto degno degli stessi premi dati a colui che ne presentò cinque.
E perché? Perché fece fruttare ciò che aveva e pur avendo ricevuto meno di quello che ne aveva avuti cinque, non per questo si abbandonò all'infingardaggine usando il poco che aveva per ozieggiare.
Non dovevi guardare i due talenti; piuttosto dovevi guardare a lui che, avendone due, imitò quello che ne aveva cinque, e così tu devi imitare quello che ne aveva due.
Se per chi è ricco e non fa parte delle sue ricchezze sta già preparato il castigo, per chi può esortare quanto vuole e non lo fa, non ci sarà forse un castigo maggiore?
In quel caso si nutre il corpo, in questo l'anima: ivi si impedisce la morte temporanea, qui la morte eterna.
« Ma non so parlare » si dice.
Non c'è bisogno di saper parlare né d'eloquenza.
Se vedi un tuo amico che si abbandona all'impudicizia, digli: « Ciò che fai è un'azione cattiva; non ti vergogni? Non arrossisci? É male! ».
Ma lui non sa che è male? si obietta. Certo, lo sa, ma la passione lo trascina.
Anche gli ammalati sanno che una bevanda fredda fa loro male, e tuttavia c'è bisogno di chi glielo impedisca.
Chi soffre, non facilmente sa dominarsi, se è ammalato.
C'è bisogno di te, che sei sano, per curarlo; e se non riesci a persuaderlo a parole, osserva dove va e impedisciglielo, forse se ne vergognerà.
« Ma che giova se agisce così per me, se solo per me se ne trattiene? ».
Non sottilizzare troppo: intanto distoglilo in qualsiasi modo dall'azione cattiva; si abitui a non precipitarsi in quel baratro sia per te, sia per qualsiasi altro impedimento: è già un guadagno.
E quando si sarà abituato a non recarsi più là, allora, dopo che si sarà un po' riavuto, potrai riavvicinarlo e insegnargli che bisogna evitare ciò per Dio e non per gli uomini.
Non pretendere di correggerlo tutto in una volta, perché non ci riuscirai; bensì piano piano, un po' alla volta.
E se lo vedi andare a bere, se lo vedi recarsi a banchetti dove ci si ubriaca, comportati nello stesso modo.
Anzi, supplicalo di aiutarti a correggerti se vede che tu hai qualche difetto.
In tal modo rivolgerà in sé il rimprovero, vedendo che anche tu hai bisogno di ammonizione, e che lo aiuti non perché sei il correttore di tutti, o il maestro, ma sei un amico e un fratello.
Digli: Ho giovato a te ricordandoti qualcosa di utile; anche tu, se vedi in me qualche difetto, prendimi per i capelli e raddrizzami: se mi vedi irascibile, o avaro, frenami e legami con le tue ammonizioni.
Questa è l'amicizia, così il fratello viene aiutato dal fratello e diventa una città fortificata ( Pr 18,19 ).
Non è il mangiare o il bere insieme che crea l'amicizia: così l'hanno anche i ladri e gli assassini; ma se siamo amici, se veramente ci diamo pensiero l'uno dell'altro, ci dobbiamo anche accordare.
E questo ci porta a un'amicizia utile e ci impedisce di precipitare nella geenna.
D'altra parte chi viene rimproverato non si turbi, siamo uomini e abbiamo difetti; e chi rimprovera non lo faccia pubblicamente, insultando e facendo mostra di sé, ma a quattr'occhi e con dolcezza; ha bisogno di tanta dolcezza colui che ammonisce, se vuole che sia ben accolto il suo discorso tagliente.
Non vedete i medici, quando bruciano o quando tagliano, con quanta dolcezza applicano la loro terapia?
E molto più lo deve fare chi ammonisce, perché il rimprovero è più violento del ferro e del fuoco, e fa sobbalzare.
Per questo motivo anche i medici si esercitano molto per riuscire a incidere con calma, e lo fanno con dolcezza, in quanto è possibile, e incidono un poco e poi permettono di riprendere il fiato.
Così si devono fare anche i rimproveri, perché chi viene ammonito non se ne sottragga.
E se fosse necessario venire insultati e anche schiaffeggiati, non ricusiamolo; anche quelli infatti che subiscono un intervento urlano mille cose contro coloro che li operano, però essi non guardano a nulla di ciò, ma solamente alla salute dei pazienti.
Così, anche nel nostro caso, si deve fare di tutto perché il rimprovero risulti utile, e si deve sopportare tutto guardando il premio che c'è preparato.
É detto: Portate i pesi gli uni degli altri e così adempirete la legge del Cristo ( Gal 6,2 ).
Così, ammonendoci e sopportandoci a vicenda, potremo completare l'edificazione del Cristo.
Giovanni Crisostomo, Omelie sulla lettera agli ebrei , 30,2
Se riconoscete di essere avanzati nella via della salvezza, trascinate anche gli altri con voi.
Desiderate sempre di avere intorno a voi dei compagni di viaggio sulla strada che conduce a Dio.
Fratelli, se qualcuno di voi va al mercato o ai bagni, invita coloro che, privi di impegni, trova sulla strada: cerca compagnia.
Questo vostro comportamento esteriore deve ammaestrarvi: se volete giungere a Dio, dovete non meno preoccuparvi di giungervi in compagnia, non da soli.
Per questo sta scritto: Chi ascolta, dica: Vieni! ( Ap 22,17 ).
Chi cioè ha già accolto nel suo intimo la voce dell'amore divino, la deve far risuonare anche esteriormente, tra il prossimo, con parole edificanti.
Forse ha bisogno di pane da poter distribuire al prossimo bisognoso; ma non ha bisogno di nulla, se ha una lingua con cui si possono distribuire doni ben più importanti.
E vale sempre molto più saziare di nutrimento celeste l'anima immortale, che saziare la carne mortale con pane terreno.
Fratelli, non negate dunque al vostro prossimo il dono di una parola edificante!
Gregorio Magno, Omelia per la II domenica di avvento
In due modi si pecca contro l'uomo: primo, se si danneggia; secondo, se non lo si aiuta quando si può.
Questo è il comportamento proprio degli uomini che diciamo cattivi, e nessuno si comporta così con chi ama.
Penso che quello che intendiamo sia dimostrato chiaramente da questo detto: L'amore del prossimo non compie il male ( Rm 13,10 ).
Così non possiamo giungere al bene senza cessare di compiere il male; ma questa è quasi la cuna della carità di Dio, con la quale amiamo il prossimo; infatti da « l'amore del prossimo non opera il male » ascendiamo a ciò che sta scritto: Sappiamo che a chi ama Dio tutto procede nel bene ( Rm 8,28 ).
Ma non so se questi due elementi sorgano contemporaneamente nella pienezza della perfezione, oppure se prima incominci l'amore di Dio o giunga prima alla perfezione l'amore del prossimo.
Incominciando, forse ci attrae prima a sé l'amore divino, però compiamo più facilmente ciò che è più facile.
In qualsiasi modo, tuttavia, stia la questione, dobbiamo soprattutto tenere fermo questo: nessuno si creda, disprezzando il prossimo, di giungere alla beatitudine e al Dio che ama.
Questo è certo: come è facile amare il prossimo per chi è ben fortunato e d'animo benigno, così dovrebbe essere facile interessarsi del prossimo o almeno non nuocergli.
A ciò non è sufficiente la buona volontà, ma è necessaria una grande intelligenza e prudenza, e nessuno può averle se Dio, fonte prima di ogni bene, non gliela concede.
E di questo argomento difficilissimo, a mio avviso, tenteremo di dire qualcosa in questa nostra opera, ponendo tutta la speranza in colui dal quale solo derivano questi doni.
L'uomo dunque, come si presenta all'uomo, è un'anima razionale che usa di un corpo mortale e terreno.
Dunque, chi ama il prossimo, in parte ne benefica il corpo e in parte invece ne benefica l'anima.
La cura rivolta al corpo viene detta medicina; quella rivolta all'anima, educazione.
Ma qui chiamo medicina tutto ciò che difende o giova alla salute corporea.
Ad essa dunque riferisco non solo l'arte di coloro che vengono detti propriamente medici, ma anche il cibo e la bevanda, il vestito e l'alloggio, e tutto ciò che difende e preserva il nostro corpo contro i casi e gli attacchi esterni: infatti la fame, la sete, il freddo, il caldo e tutto ciò che dall'esterno ci affligge non permettono che resti in noi la salute di cui ora trattiamo.
Perciò tutti quelli che con impegno e umanità porgono agli altri quanto serve a combattere questi mali e questi incomodi, vengono detti misericordiosi, anche se sono tanto sapienti da non lasciarsi turbare da nessun dolore dell'animo.
Chi non sa infatti che la misericordia viene detta così perché rende misero il cuore di colui che si addolora per il male degli altri?
E chi non ammetterà che il sapiente deve essere libero da ogni miseria, anche quando aiuta il povero, quando dà il cibo all'affamato o la bevanda all'assetato, quando veste il nudo, quando accoglie il pellegrino in casa, quando libera l'oppresso, quando spinge la sua umanità fino a procurare la sepoltura ai morti?
Anche se fa ciò a mente tranquilla, non sotto lo stimolo di dolore alcuno, ma mosso solo dal suo impegno di bontà, lo dobbiamo nondimeno chiamare misericordioso.
Agostino, I costumi della Chiesa cattolica, 26-27
Se vuoi come condensare in una frase il succo dei consigli del Vangelo, devi cogliere e scolpire nel tuo cuore quella massima uscita dalla bocca del Signore e che è la sintesi di tutta la giustizia: Tutte quelle cose che vorreste che gli altri uomini facessero a voi, fatele voi ad essi. Qui, infatti, sta tutta la legge e i profeti ( Mt 7,12 ).
In verità, le specie e le parti della giustizia sono infinite, ed è assai difficile non solo analizzarle per iscritto, ma anche coglierle col pensiero.
Tutte, comunque, sono racchiuse in quell'unica e scheletrica massima, che o assolve o condanna - in base a un tacito giudizio dell'anima - la coscienza intima e nascosta degli uomini.
Prima d'ogni azione, prima d'ogni parola e prima ancora d'ogni pensiero, ritorna con la mente a questa massima.
É come uno specchio che ti sta di fronte e che puoi sempre avere sottomano, in grado di riflettere la moralità delle tue decisioni nonché di accusarti per le azioni ingiuste o darti gioia per quelle fatte secondo giustizia.
In realtà, ogni volta che verso gli altri ti comporti con quei sentimenti che desidereresti anche tu che gli altri avessero per te, sei sulla strada della giustizia; quando invece nei riguardi degli altri ti comporti in un modo che non vorresti che nessuno usasse verso di te, rispetto alla giustizia sei fuori strada.
Sta qui tutta la durezza della legge divina, tutta la difficoltà che comporta; ed è questo il motivo che ci fa protestare col Signore che i suoi ordini sono ostici, e che ci fa dire di sentirci schiacciati dai suoi comandamenti in quanto sono difficili o inattuabili.
Ma c'è di più: quando non osserviamo i comandamenti e ci lamentiamo che l'autore stesso della giustizia ci ha comandato cose non solo dure e difficili, ma impossibili, affermiamo implicitamente che il legislatore oltre tutto è ingiusto.
« Tutto quello che vorreste che le altre persone facessero a voi, fatelo anche voi ad esse », dice.
Vuole unirci l'un l'altro, che sia la carità sotto forma di dono scambievole a cementarci, e che tutti gli uomini si facciano uno in un reciproco amore di servizio.
Così, se ognuno dona all'altro ciò che desidera che tutti gli altri donino a lui, tutta la giustizia viene osservata, e questo precetto di Dio porta un vantaggio comune agli uomini.
Senza contare che - vedi un po' com'è meravigliosa la clemenza di Dio e ineffabile la sua bontà! - ci promette anche una ricompensa se ci amiamo vicendevolmente, vale a dire se c'è fra noi comunione di quei beni di cui tutti, rispettivamente, abbiamo bisogno.
E noi? Con un animo a un tempo superbo e ingrato ci opponiamo alla sua volontà, mentre anche solo il suo comando costituisce già un suo dono per noi.
Girolamo, Le Lettere, IV, 148,14-15 ( a Celanzia )
Amore, parola dolce, ma realtà ancora più dolce.
Non possiamo parlare sempre di essa.
Noi infatti siamo occupati in molte cose e svariate attività ci impegnano ovunque, così che la nostra lingua non ha tempo sempre di parlare dell'amore: anche se non c'è cosa migliore che parlare di tale argomento.
Ma quella carità della quale non è sempre possibile parlare, sempre è possibile custodire.
Così l'alleluia che ora cantiamo, viene forse da noi sempre cantato?
Appena la durata di un'ora, anzi a mala pena per una breve frazione noi cantiamo alleluia; poi ci occupiamo di altro.
Alleluia, come già sapete, significa: Lodate Dio.
Chi loda Dio con la lingua, non sempre può farlo; chi invece lo loda con la vita, può sempre farlo.
Sempre bisogna attuare opere di misericordia sentimenti di carità, pietà religiosa, castità incorrotta, sobrietà modesta, sia che siamo in pubblico o in casa, in mezzo agli uomini, nella nostra stanza, quando parliamo e quando taciamo, quando siamo impegnati in qualche lavoro o siamo liberi da impegni; sempre bisogna osservare quei doveri; perché queste virtù che ho nominato sono dentro di noi.
E potrei mai nominarle tutte? Esse sono come un esercito di un generale che ha il suo comando dentro la tua mente.
Come il generale, per mezzo del suo esercito, attua ciò che più gli piace, così il Signore nostro Gesù Cristo, incominciando ad abitare nell'intimo dell'uomo, cioè nella nostra mente per mezzo della fede ( Ef 3,17 ), usa di queste virtù come di suoi ministri …
Dunque, o fratelli, questo io ho voluto dirvi, questo vi dico, questo, se potessi, non vorrei mai cessare di dire: fate l'una o l'altra opera secondo le circostanze, le ore, i tempi.
Forse che si può sempre parlare? Sempre tacere? Sempre mangiare?
Sempre digiunare? Sempre dare pane al povero? Sempre vestire gli ignudi?
Sempre visitare gli ammalati? Sempre pacificare i litiganti? Sempre seppellire i morti?
Ora si fa una cosa, e ora un'altra.
Questi atti vengono iniziati e poi sospesi: ma il principe che li comanda non ha inizio né deve cessare di esistere.
La carità non venga interrotta nell'animo: le opere di carità vengano invece attuate secondo l'opportunità.
Rimanga, come è stato scritto, la carità fraterna ( Eb 13,1 ).
Agostino, Commento alla prima lettera di san Giovanni, 8,1-3
A questo segno sono riconoscibili i figli di Dio e i figli del diavolo.
Chi non è giusto, non viene da Dio, e altrettanto chi non ama il proprio fratello ( 1 Gv 3,9-10 ).
É ormai certo chiaro del perché l'Apostolo dica: « Chi non ama il proprio fratello ».
Solo l'amore distingue i figli di Dio dai figli del diavolo.
Se tutti si segnassero con la croce, se rispondessero amen e cantassero tutti l'alleluia; se tutti ricevessero il battesimo ed entrassero nelle chiese, se facessero costruire i muri delle basiliche, resta il fatto che soltanto la carità fa distinguere i figli di Dio dai figli del diavolo.
Quelli che hanno la carità sono nati da Dio, quelli che non l'hanno non sono nati da Dio.
É questo il grande criterio di discernimento.
Se tu avessi tutto, ma ti mancasse quest'unica cosa, a nulla ti gioverebbe ciò che hai; se non hai le altre cose, ma possiedi questa, tu hai adempiuto la legge.
Chi infatti ama il prossimo - dice l'Apostolo - ha adempiuto la legge; e il compimento della legge è la carità ( Rm 13,8.10 ).
La carità è, a mio parere, la pietra preziosa, scoperta e comperata da quel mercante del Vangelo, il quale, per far questo, vendette tutto ciò che aveva ( Mt 13,46 ).
La carità è quella pietra preziosa, non avendo la quale nessun giovamento verrà da qualunque cosa tu possegga, se invece possiedi soltanto la carità, ti basterebbe essa sola.
Adesso vedi nella fede, ma un giorno vedrai direttamente.
Se noi amiamo fin da adesso il Signore che non vediamo, come l'ameremo quando lo vedremo direttamente?
Ma in quale campo dobbiamo esercitare quest'amore?
In quello della carità fraterna.
Potresti dirmi che non hai mai visto Dio; non potrai mai dirmi che non hai visto gli uomini.
Ama dunque il tuo fratello.
Se amerai il fratello che tu vedi, potrai contemporaneamente vedere Dio, poiché vedrai la carità stessa, e Dio abita nella carità.
Agostino, Commento alla prima lettera di san Giovanni, 5,7
Nei primi tempi lo Spirito Santo scendeva sopra i credenti; ed essi parlavano in varie lingue che non avevano appreso, così come lo Spirito dava loro di pronunziare.
Quei segni miracolosi erano opportuni a quel tempo.
Era infatti necessario che in tutte le lingue si venisse a conoscenza dello Spirito Santo, perché il Vangelo di Dio doveva raggiungere tutte le lingue esistenti nel mondo intero.
Quel segno fu dato e passò e non si ripeté.
Forse che oggi da coloro cui si impongono le mani perché ricevano lo Spirito Santo, ci si aspetta che parlino lingue diverse?
Quando noi imponemmo le mani a questi fanciulli, ciascuno di voi si aspettava forse che parlassero in varie lingue?
E quando ci si accorse che non parlavano queste varie lingue, ci fu forse qualcuno di voi tanto perverso da dire: costoro non hanno ricevuto lo Spirito Santo, perché se l'avessero ricevuto parlerebbero diverse lingue, come avvenne a suo tempo?
Se dunque adesso la prova della presenza dello Spirito Santo non avviene attraverso questi segni, da che cosa ciascuno arriva a conoscere di aver ricevuto lo Spirito Santo?
Interroghi il suo cuore: se egli ama il fratello, lo Spirito di Dio rimane in lui.
Esamini e metta alla prova se stesso davanti a Dio; veda se c'è in lui l'amore della pace e dell'unità, l'amore alla Chiesa diffusa in tutto il mondo.
Non si limiti ad amare quel fratello che gli si trova vicino, ci sono molti nostri fratelli che non vediamo, eppure siamo a loro uniti nell'unità dello Spirito.
Che meraviglia se essi non si trovano accanto a noi?
Siamo nello stesso corpo e abbiamo in cielo un unico capo.
Fratelli, i nostri occhi non vedono se stessi e quasi non si conoscono.
Ma forse che con la carità che li unisce al corpo non si conoscono?
Infatti, perché sappiamo che essi si conoscono nell'unione della carità, quando ambedue stanno aperti non può avvenire che l'occhio destro fissi un punto, senza che il sinistro faccia altrettanto.
Prova, se puoi, a indirizzare l'occhio destro a un punto senza il concorso dell'altro.
Ambedue vanno insieme, e insieme muovono nella stessa direzione; una sola la loro direzione, anche se da luoghi diversi.
Se dunque tutti quelli che con te amano Dio hanno con te la stessa aspirazione, non badare se col corpo sei lontano; insieme avete puntato la prora del cuore verso la luce della verità.
Se dunque vuoi conoscere se hai ricevuto lo Spirito, interroga il tuo cuore, per non correre il rischio di avere il sacramento ma non l'effetto di esso.
Interroga il tuo cuore e se là c'è la carità verso il fratello, sta' tranquillo.
Non può esserci l'amore senza lo Spirito di Dio, perché Paolo grida: L'amore di Dio è stato diffuso nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che fu dato a noi ( Rm 5,5 ).
Agostino, Commento alla prima lettera di san Giovanni, 6,10
Amiamo in questo mondo anche quelli che ci sono contrari; ma non amiamo neppure il nostro parente più stretto, se questo c'è d'impaccio sulla strada della salvezza.
Colui infatti che aspira bramoso ai beni eterni, non deve badare, nell'opera di Dio che ha intrapreso, né al padre né alla madre, né alla moglie né ai figli né agli amici e neppure a se stesso, per poter giungere così a una conoscenza di Dio tanto più pura, quanto minore è in quest'opera di Dio la considerazione da lui rivolta all'uomo.
Certo, le affezioni della carne e del sangue dividono il cuore, impediscono lo slancio e l'acutezza dello spirito, quantunque non danneggino molto se si sa reprimerle e tenerle in ordine.
Si deve dunque amare il prossimo e si deve estendere questo amore a tutti, ai parenti e agli estranei; ma non si deve mai per amore del prossimo allontanarsi dall'amore di Dio.
Gregorio Magno, Omelia per la festa di un santo martire
Se tu pure desideri questa fede cristiana, impara anzitutto a conoscere il Padre.
Dio amò gli uomini e per loro creò il mondo, a loro sottomise tutte le cose terrene e donò loro la parola e la ragione.
Solo a loro permise di guardare in alto verso lui, li plasmò a sua immagine, per loro mandò il suo Figlio unigenito, promise loro il regno dei cieli e lo darà a chi avrà amato lui.
E quando l'avrai conosciuto, di quale gioia sarai ricolmo!
E come amerai colui che per primo ti ha amato!
E amandolo, sarai imitatore della sua bontà.
Non meravigliarti che un uomo possa diventare imitatore di Dio: lo può perché Dio lo vuole.
Non si è felici dominando il prossimo, o cercando di possedere più degli altri, o arricchendosi o tiranneggiando gli inferiori: con queste cose non si imita Dio: sono lontane dalla sua grandezza!
Ma chi prende su di sé il fardello del prossimo; chi vuole aiutare l'inferiore in ciò che a lui è superiore; chi, donando ai bisognosi ciò che gli fu dato diventa quasi un Dio per i suoi beneficati, costui è imitatore di Dio.
Allora, già da questa terra contemplerai Dio che regna nei cieli, allora comincerai a parlare dei misteri, allora ammirerai e amerai quelli che si lasciano condurre a morte per non voler rinnegare Dio.
Tu condannerai l'errore e l'inganno del mondo quando conoscerai la vera vita del cielo; disprezzerai quella che a noi pare morte e temerai la morte vera, riservata per i dannati al fuoco eterno, che tormenta sino alla fine.
Quando avrai conosciuto un tale fuoco, ammirerai e invidierai i martiri che, per amore della giustizia, affrontano il nostro fuoco quaggiù, che poco dura.
Lettera a Diogneto, 10
Il Signore ha detto: Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori ( Mt 9,13 ).
A nessun cristiano è dunque permesso di odiare il suo prossimo.
Nessuno può salvarsi se non mediante il perdono dei peccati; e noi non conosciamo il momento in cui lo Spirito Santo può dare la sua grazia in premio a coloro che la saggezza del mondo disprezza.
Sia dunque il popolo di Dio santo e buono: santo, al fine di tenersi lontano da ciò che è proibito; buono, per agire secondo i comandamenti. Per quanto grande sia avere una fede retta e una dottrina sana, e per quanto degne di lode siano la sobrietà, la dolcezza e la purezza, tuttavia tutte queste virtù sono vane senza la carità.
Né si può dire che una condotta esemplare sia feconda, se non è determinata dall'amore.
I credenti facciano dunque l'esame critico della particolare disposizione del proprio animo ed esaminino attentamente i sentimenti più intimi del loro cuore.
Se trovano nel fondo della propria coscienza qualche frutto della carità, non dubitino che Dio è in loro.
E, per divenire sempre più capaci di accogliere un ospite così grande, cerchino di perseverare e di crescere nella misericordia, compiendo buone azioni.
Se infatti l'amore è Dio, la carità non deve conoscere nessun limite, poiché nessun confine può racchiudere e limitare la divinità.
É quindi vero, fratelli, che tutti i tempi sono adatti per tradurre in atto questo bene della carità, e proprio ad essa ci esortano in modo particolare i giorni che viviamo.
Coloro che desiderano accogliere la Pasqua del Signore santi nello spirito e nella carne, devono sforzarsi, prima di ogni altra cosa, di acquistare questa grazia, la quale assomma in sé tutte le virtù « e copre un gran numero di peccati » ( 1 Pt 4,8 ).
Prossimi dunque a celebrare il più grande di tutti i misteri, quello in cui il sangue di Gesù Cristo ha cancellato le nostre iniquità, prepariamo prima di tutto il sacrificio della misericordia.
Ciò che la bontà di Dio ci ha dato, noi lo ricambieremo a coloro che ci hanno offeso.
Siano dunque le ingiustizie gettate nell'oblio, gli sbagli non conoscano ormai le torture, e tutte le offese siano liberate del timore della vendetta!
Nessuno sia più tenuto rinchiuso nelle prigioni e le tetre segrete non odano più i tristi gemiti degli imputati!
Qualora qualcuno dovesse detenere dei prigionieri a causa di un qualsiasi crimine, sappia questi che anch'egli è un peccatore e che, per ottenere il perdono, egli deve rallegrarsi di aver trovato a chi perdonare.
Così quando noi diremo, secondo l'insegnamento del Signore: Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori ( Mt 6,12 ), nel formulare la nostra preghiera, non dubiteremo d'ottenere il perdono di Dio.
Noi dobbiamo pure mostrare una bontà più generosa verso i poveri « e coloro » che soffrono per diverse miserie, affinché voci più numerose possano rendere grazie a Dio e i nostri digiuni contribuiscano al conforto di coloro che sono nel bisogno.
Nessun sacrificio dei credenti è più gradito al Signore di quello di cui beneficiano i suoi poveri: là dove Dio trova la preoccupazione della misericordia, ivi egli riconosce l'immagine della sua bontà.
Leone Magno, Sermoni, 48,2-5
Sebbene la vera compassione stia nell'usare le proprie ricchezze per le sofferenze del prossimo, talvolta però, quando uno ha grande disponibilità di mezzi, può avvenire che la mano sia più pronta a dare che il cuore a compatire.
In realtà chi vuol dare perfettamente, oltre al porgere aiuto all'afflitto, fa suo anche il suo stato d'animo, e prima prende su di sé la sofferenza del paziente e poi somministra il rimedio al suo dolore.
Poiché spesso i soccorsi provengono solo dal fatto dell'abbondanza di mezzi e non da virtuosa compassione.
Infatti chi perfettamente compatisce l'afflitto spesso soccorre l'indigente mettendo se stesso nelle difficoltà.
Allora è piena la compassione del nostro cuore quando per amore del prossimo non temiamo di accettare la povertà per liberarlo dalla sua sofferenza.
Questo modello di pietà ce l'ha dato il Mediatore fra Dio e gli uomini.
Egli poteva salvarci anche senza morire, ma preferì soccorrerci morendo, perché ci avrebbe amato di meno se non avesse preso su di sé le nostre ferite; né ci avrebbe dimostrato l'intensità del suo amore se non avesse sostenuto temporaneamente lui quel male che voleva togliere a noi.
Ci trovò passibili e mortali, ma lui che ci aveva creati dal nulla, avrebbe potuto liberarci dai patimenti anche senza morire.
Invece per mostrare quanto era grande la forza della sua compassione, si degnò di diventare lui quello che non voleva fossimo noi, e sostenne in sé la morte temporale per espellere da noi la morte eterna.
Forse che restando invisibile a noi, con le ricchezze della sua divinità, non avrebbe potuto arricchirci con le sue meravigliose risorse?
Ma per far riavere all'uomo le ricchezze interiori, Dio si degnò di apparire povero all'esterno.
Perciò il grande predicatore Paolo, per accenderci in cuore una generosa compassione, disse: « Si fece povero per noi, sebbene fosse ricco … ».
Talvolta diciamo che vale di più la compassione del cuore che il dono materiale, perché chi perfettamente compatisce l'indigente, dà meno importanza a tutto quello che dà.
Gregorio Magno, Commento a Giobbe, 19,68-69
Chi nel soccorrere il prossimo si dà aria d'importanza, commette internamente un peccato di superbia che vince in proporzione il merito della buona opera esteriore, e resta lui nudo al di dentro mentre disprezza il nudo che riveste al di fuori, e diventa peggiore di prima col credersi migliore del prossimo indigente.
Infatti è meno povero chi è senza vestito, che chi è senza umiltà.
Perciò quando vediamo la miseria esteriore dei nostri fratelli, dobbiamo riflettere quanto sia grande la nostra miseria interiore, e allora non ci verrà da insuperbire su di loro, vedendo chiaro che al di dentro noi siamo realmente più miserabili di loro.
Gregorio Magno, Commento a Giobbe, 21,30
Fratelli, voi sapete qual è la perfezione della carità.
Il Signore stesso nel Vangelo ce ne mostra il grado più alto e il modo di arrivarci: Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici ( Gv 15,13 ).
Nella sua lettera, san Giovanni ci invita a raggiungere questa perfezione.
Ma voi vi interrogate e dite: Quando potremo avere tale carità?
Non disperare troppo in fretta di te stesso: forse la carità è già in te, anche se ancora imperfetta; nutriamola perché non resti soffocata.
Ma come farò a saperlo?, mi dirai.
San Giovanni dice: Se uno ha ricchezze di questo mondo e vedendo il suo fratello in necessità gli chiude il proprio cuore, come dimora in lui l'amore di Dio? ( 1 Gv 3,17 ).
Ecco dove comincia la carità.
Se non sei ancora capace di morire per il tuo fratello, sii almeno capace di renderlo partecipe dei tuoi beni.
La carità muova il tuo cuore e ti faccia agire non per ostentazione, ma per sovrabbondanza di misericordia venuta dal fondo di te stesso e ti renda attento alla miseria del tuo fratello!
Se non puoi dare del superfluo al tuo fratello, come potrai dare la vita per lui?
Il denaro che porti con te può essere rubato dai ladri e, se non verranno i ladri, la morte ti separerà da esso, se non te ne separi da vivo.
Che cosa devi farne? Il tuo fratello ha fame, è nel bisogno: forse attende ansiosamente, messo alle strette da un creditore.
Non possiede nulla, tu invece possiedi; è tuo fratello, siete stati redenti insieme, entrambi al medesimo prezzo, entrambi salvati dal sangue di Cristo: abbi compassione di lui, tu che possiedi i beni di questo mondo.
Forse dirai: questo non mi riguarda.
Devo dunque dare i miei beni per trarre quest'uomo dalle difficoltà?
Se il tuo cuore risponde così, l'amore del Padre non dimora in te.
E se l'amore del Padre non dimora in te, non sei nato da Dio.
Come puoi allora vantarti di essere cristiano?
Ne porti il nome, ma non ne compi le opere.
Ma se le tue opere si accordano con il nome, potranno trattarti da pagano, ma mostrerai con i fatti di essere cristiano.
Se invece non ti mostri cristiano con le opere, anche se tutti ti chiamassero cristiano, a che cosa serve il nome, dove non c'è la realtà?
Se uno ha ricchezze di questo mondo e vedendo il suo fratello in necessità gli chiude il proprio cuore, come dimora in lui l'amore di Dio?
E san Giovanni prosegue: Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità ( 1 Gv 3,17-18 ).
Agostino, Commento alla prima lettera di san Giovanni, 5,12
Se sei sano e ricco, allevia il bisogno di chi è ammalato e povero; se non sei caduto, soccorri chi è caduto e vive nella sofferenza, se sei lieto, consola chi è triste; se sei fortunato, aiuta chi è morso dalla sventura.
Da' a Dio una prova di riconoscenza, perché sei uno di quelli che possono beneficare e non di quelli che hanno bisogno d'essere beneficati; perché non guardi le mani altrui, ma gli altri guardano le tue.
E sii ricco non solo di beni, ma anche di pietà; non solo d'oro, ma anche di virtù, o meglio, di questa sola.
Supera la fama del tuo prossimo mostrandoti più buono di tutti; renditi un Dio per lo sventurato, imitando la misericordia di Dio.
Nulla infatti nell'uomo è tanto divino come il beneficare; e se Dio benefica di più, e l'uomo di meno, tutt'e due, credo, lo fanno secondo le proprie forze.
Lui creò l'uomo e dopo averlo cacciato lo raccolse nuovamente; tu non disprezzare chi è caduto; lui ne ebbe pietà in sommo grado, dandogli fra il resto la legge, i profeti e, prima ancora, la legge naturale non scritta, giudice delle azioni: ammonendolo, così, esortandolo ed educandolo.
E poi, diede se stesso quale riscatto per la vita del mondo; e donò gli apostoli, gli evangelisti, i maestri, i pastori, e le guarigioni, i prodigi, la strada alla vita e la distruzione della morte, il trionfo sul vincitore, il testamento che era un'ombra e il testamento che è la verità; e i doni dello Spirito Santo e il mistero della nuova salvezza.
E tu, se sei capace delle opere migliori con cui si benefica l'anima ( Dio ti ha fatto ricco anche di ciò, se lo vuoi ) non cessare di beneficare in questo modo i bisognosi: prima di tutto e soprattutto fa' questi doni a chi te li chiede, anzi prima ancora che te li chiedano; tutto il giorno usa misericordia e presta la tua parola, ed esigine senza stancarti il capitale e l'interesse cioè il continuo aumento di dottrina che l'interessato gode, sviluppando in sé, a poco a poco, i semi della pietà.
Ma se non sei capace, porgi doni secondari e inferiori, che hai certo in tuo potere: soccorri, offri cibo, porgi un panno usato, procura medicine, fascia le ferite, interessati delle disgrazie, esorta alla sopportazione, fatti coraggio, avvicinati: non diventerai per questo inferiore a te stesso, non sarai contagiato dalle malattie, anche se lo credono quelli che sono troppo deboli, ingannati da ragionamenti vuoti; o piuttosto accampano questo pretesto a difesa della loro paura o della loro empietà, rifuggendosi nella propria debolezza fisica, come fosse qualcosa di grande o di saggio.
Lasciati persuadere invece dalla ragione, dai medici, da chi convive con gli ammalati: nonostante che li curino, finora nessuno di loro ha corso mai pericolo.
Ma anche se fosse giusto nutrire paura e sospetti, tu però, o servo di Cristo, tu che ami Dio, tu che ami gli uomini, non turbarti e non scoraggiarti; abbi coraggio nella fede: la compassione vinca la viltà, il timor di Dio la debolezza, la pietà superi i pretesti della carne.
Non disprezzare il fratello, non passar oltre, non allontanartene, quasi fosse una maledizione, un vituperio, un oggetto da fuggire e detestare.
É un tuo membro, anche se è curvo sotto la sventura; il povero è stato abbandonato a te, come a Dio, anche se tu te ne passi oltre, pieno di boria.
Forse con queste parole ti faccio arrossire: ti viene proposto un modello di amor del prossimo, anche se l'avversario ti avversa perché tu non ne tragga beneficio.
Chiunque naviga è sempre vicino al naufragio, e tanto più, quanto più naviga con audacia; e chiunque porta addosso questo corpo, è sempre vicino alla sofferenza fisica, e tanto più, quanto più avanza ritto e non guarda a quelli che giacciono davanti a lui.
Fino a quando navighi con vento favorevole, porgi la mano a chi ha fatto naufragio; fino a quando sei sano e ricco, aiuta chi soffre!
Non aspettare di esperimentare in te stesso quanto sia male essere disumano, e quanto sia bene aprire le proprie viscere ai bisognosi.
Non voler fare prova di come Dio stende la sua mano contro i superbi, contro coloro che passano oltre non curandosi dei poveri.
Impara questo nelle calamità altrui; da' anche poco a chi è nelle necessità: non è poco per chi ha bisogno di tutto; e non è poco neppure per Dio, se pur è dato secondo le proprie forze.
Al posto di una grande somma da' tutto il tuo cuore; e se non hai nulla, piangi: è una grande medicina per chi è disgraziato la compassione che esce proprio dall'anima: la sincera partecipazione ai dolori allevia in gran parte la sventura.
Non devi stimare meno di un animale l'uomo, o uomo; e se un animale cade in un fosso o si smarrisce, la legge ti impone di rizzarlo o ricercarlo ( Dt 22,1ss ); e se pur essa cela in ciò qualcosa di più occulto e profondo - spesso nella legge vi sono sensi molteplici e duplici -, non sta a me saperlo, ma allo Spirito che tutto conosce e tutto scruta; per quanto io la percepisco, per quanto si presenta alla mia ragione, essa ci vuole condurre dalla bontà espressa in cose piccole a una bontà perfetta e maggiore.
Se la bontà è richiesta perfino per gli animali privi di ragione, quanto maggiore deve essere l'amore verso chi è partecipe della nostra stirpe e del nostro onore!
Questo ci suggeriscono la ragione, la legge e gli uomini più equilibrati, che ritengono più beato il dare che il ricevere e che si preoccupano più della misericordia che del guadagno.
Che dovrei dire dei saggi nostri?
Tralascio di parlare dei sapienti pagani, che hanno escogitato di porre gli dèi a patroni dei loro vizi, e offrono le primizie al Guadagno; anzi, cosa ben peggiore di questa, tra alcune genti si ritiene che sia lecito sacrificare gli uomini ad alcuni idoli, reputando la crudeltà un costituente della pietà; e di questi sacrifici essi ne godono e credono che gli dèi facciano altrettanto; malvagi iniziati e malvagi sacerdoti della malvagità.
Ma vi sono alcuni dei nostri - fatto degno di pianto - tanto lontani dal compatire e aiutare i tribolati, che addirittura li vituperano amaramente e non cessano di insultarli, adducendo ragionamenti vuoti e sciocchi, con parole veramente terra terra.
Parlano all'aria e non a orecchie intelligenti, abituate ad ascoltare gli insegnamenti divini!
Hanno il coraggio di dire: « Viene da Dio la loro sofferenza e anche il mio benessere; e chi sono io che posso disfare i giudizi di Dio e mostrarmi più buono di lui?
Se ne restino nella malattia, nell'afflizione e nella disgrazia: così è sembrato bene a Dio ».
Mostrano amore di Dio solo quando si deve salvare l'obolo e maltrattare gli infelici.
Che poi, in realtà, non ritengano provenire da Dio il loro benessere, lo tradiscono chiaramente dalle loro parole.
Chi potrebbe mai giudicare così i bisognosi, se riconosce veramente che Dio gli ha elargito ciò che possiede?
Chi ha ricevuto da Dio, usa secondo Dio ciò che ha.
Gregorio di Nazianzo, L'amore ai poveri, 26-29
Siete fratelli, vuol dire Paolo, vi ha partorito lo stesso seno materno.
Per questo avete un reciproco debito d'amore.
Mosè diceva ai giudei in Egitto, quando litigavano tra di loro: Ma siete fratelli; perché vi offendete l'un l'altro? ( Es 2,13 ).
L'Apostolo, riferendosi ai non cristiani ammonisce: Se è possibile, per quanto sta in voi, vivete in pace con tutti gli uomini ( Rm 12,18 ); parlando invece dei suoi dice: Siate pieni di affetto reciproco, per amore fraterno ( Rm 12,10 ).
Nel primo caso richiede che non si faccia guerra, non si odi e non si avversi, nel secondo, invece, che anche si ami; anzi, non che semplicemente si ami, ma che si ami con affetto.
L'amore, egli dice, non solo deve essere sincero, ma anche denso, caldo, infiammato.
Che giova se ami con sincerità, ma non ami con calore?
Per questo egli dice: « Pieni di affetto reciproco », cioè: ama con calore.
E non aspettare di essere amato dall'altro, ma tu fatti avanti e incomincia: così infatti raccoglierai la ricompensa del suo amore.
Dopo aver detto dunque il motivo per cui dobbiamo amarci a vicenda, ci dice come l'amore diventa incrollabile.
Prosegue dunque: Prevenendovi gli uni gli altri nel rendervi onore ( Rm 12,10 ).
In questo modo l'amore sorge e resta saldo.
Nulla crea tanti amici come la cura di vincere il prossimo nel rendergli onore; e ne sorge non solo l'amore, ma anche una stima maggiore.
Ciò che abbiamo detto sopra, nasce dall'amore; ma l'amore nasce dalla stima, come la stima nasce dall'amore.
Paolo, inoltre, ci chiede non solo d'aver stima, ma anche qualcosa di più; dice infatti: Non siate pigri nello zelo ( Rm 12,11 ).
Anche questo produce amore: se, con la stima porgiamo anche il nostro aiuto.
Nulla suscita tanto l'amore quanto la stima e l'interessamento; anche questo bisogna aggiungere, non basta l'amore; o meglio anche l'interessamento sorge dall'amore, e per l'interessamento l'amore più si accende: l'uno e l'altro si rafforzano a vicenda.
Vi sono però molti che amano nell'anima, ma non porgono le mani.
Per questo l'Apostolo ci stimola da ogni parte all'amore.
E come eviteremo la pigrizia nello zelo? Se « ferventi di spirito ».
Vedi come ci richiede continuamente il fervore?
Non dice solo: « date », ma « date con larghezza »;
e non « aiutate » solo, ma « con sollecitudine »;
né solo « fate opere di misericordia », ma « con allegrezza »;
e non solo « rendetevi onore », ma « prevenitevi nel farlo »;
né solo « amate», ma « con sincerità »;
né « astenetevi dal male », ma « odiatelo »;
né « attenetevi al bene », ma « aderitevi »;
né « amate », ma « abbiate affetto »,
e neppure solo « siate solleciti », ma anche « senza pigrizia ».
Così non dice solo « abbiate lo spirito » ma « lo spirito fervente », cioè siate infiammati ed eccitati.
E se possiedi tutto ciò che abbiamo detto, attrai su di te lo Spirito; e se questi resta presso te, ti renderà diligente in tutto questo, e tutto ti sarà facile per lo spirito e per l'amore: se sarai acceso cioè da queste due fiamme.
Non vedi che i tori quando portano fiamme sul dorso non possono essere fermati da nessuno?
E neppure ti potrà fermare il diavolo se porterai in te queste due fiamme.
Applicati al servizio del Signore ( Rm 12,11 ).
Tramite tutto ciò, ti sarà possibile servire il Signore.
Quello infatti che farai al fratello passerà al Signore, e la ricompensa ti sarà computata come se lui l'avesse ricevuto.
Giovanni Crisostomo, Commento alla lettera ai Romani, 22,2-3
Forse qualcuno obietta che oggi non è più il tempo in cui ci sia dato di sopportare per Cristo ciò che gli apostoli sopportarono ai loro giorni.
É vero: non vi sono imperatori pagani, non vi sono tiranni persecutori; non si versa il sangue dei santi, la fede non è messa alla prova con i supplizi.
Dio è contento che gli serviamo in questa nostra pace, che gli piacciamo con la sola purità immacolata delle azioni e la santità intemerata della vita.
Ma per questo gli è dovuta più fede e devozione, perché esige da noi meno, pur avendoci elargito di più.
Gli imperatori, dunque, sono cristiani, non c'è persecuzione alcuna, la religione non viene turbata, noi non veniamo costretti a dar prova della fede con un esame rigoroso: perciò dobbiamo piacere di più a Dio almeno con gli impegni minori.
Dimostra infatti di essere pronto a imprese maggiori, se le cose lo esigeranno, colui che sa adempire i doveri minori.
Omettiamo dunque ciò che sostenne il beatissimo Paolo, ciò che, come leggiamo nei libri di religione scritti in seguito, tutti i cristiani sostennero, ascendendo così alla porta della reggia celeste per i gradini delle loro pene, servendosi dei cavalletti di supplizio e dei roghi come di scale.
Vediamo se almeno in quegli ossequi di religiosa devozione che sono minori e comuni e che tutti i cristiani possono compiere nella pace più stabile e in ogni tempo, ci sforziamo realmente di rispondere ai precetti del Signore.
Cristo ci proibisce di litigare. Ma chi obbedisce a questo comando?
E non è un semplice comando, giungendo al punto di imporci di abbandonare ciò che è lo stesso argomento della lite pur di rinunciare alla lite stessa; dice infatti: Se qualcuno vorrà citarti in giudizio per toglierti la tunica, lasciagli anche il mantello ( Mt 5,40 ).
Ma io mi chiedo chi siano coloro che cedano agli avversari che li spogliano, anzi, chi siano coloro che non si oppongano agli avversari che li spogliano?
Siamo tanto lontani dal lasciare loro la tunica e il resto che, se appena lo possiamo, cerchiamo noi di togliere la tunica e il mantello all'avversario.
E obbediamo con tanta devozione ai comandi del Signore, che non ci basta di non cedere ai nostri avversari neppure il minimo dei nostri indumenti, che anzi, se appena ci è possibile e le cose lo permettono, strappiamo loro tutto!
A questo comando ne va unito un altro in tutto simile: disse infatti il Signore: Se qualcuno ti percuoterà la guancia destra, tu offrigli anche l'altra ( Mt 5,39 ).
Quanti pensiamo che siano coloro che porgano almeno un poco le orecchie a questo precetto o che, se pur mostrano di eseguirlo, lo facciano di cuore?
E chi vi è mai che se ha ricevuto una percossa non ne voglia rendere molte?
É tanto lontano dall'offrire a chi lo percuote l'altra mascella, che crede di vincere non solo percuotendo l'avversario, ma addirittura uccidendolo.
Ciò che volete che gli uomini facciano a voi - dice il Salvatore - fatelo anche voi a loro, allo stesso modo ( Mt 7,12 ).
Noi conosciamo tanto bene la prima parte di questa sentenza che mai la tralasciamo, la seconda, la omettiamo sempre, come se non la conoscessimo affatto.
Sappiamo infatti benissimo ciò che vogliamo che gli altri ci facciano, ma non sappiamo ciò che noi dobbiamo fare agli altri.
E davvero non lo sapessimo!
Sarebbe minore la colpa dovuta ad ignoranza, secondo il detto: Chi non conosce la volontà del suo padrone sarà punito poco.
Ma chi la conosce e non la esegue, sarà punito assai ( Lc 12,47 ).
Ora la nostra colpa è maggiore per il fatto che amiamo la prima parte di questa sacra sentenza per la nostra utilità e il nostro comodo; la seconda parte la omettiamo per ingiuria a Dio.
E questa parola di Dio viene inoltre rinforzata e rincarata dall'apostolo Paolo, il quale, nella sua predicazione, dice infatti: Nessuno cerchi ciò che è suo, ma ciò che è degli altri ( 1 Cor 10,24 ); e ancora: I singoli pensino non a ciò che è loro, ma a ciò che è degli altri ( Fil 2,4 ).
Vedi con quanta fedeltà abbia egli eseguito il precetto di Cristo: il Salvatore ci ha comandato di pensare a noi come pensiamo agli altri, egli invece ci comanda di badare più ai comodi altrui che ai nostri.
É il buon servo di un buon Signore e un magnifico imitatore di un Maestro unico: camminando sulle sue vestigia ne rese, quasi, più chiare e scolpite le orme.
Ma noi cristiani facciamo ciò che ci comanda Cristo o ciò che ci comanda l'Apostolo? Né l'uno né l'altro, credo.
Siamo tanto lungi tutti noi da offrire agli altri qualcosa con nostro incomodo, che badiamo sommamente ai nostri comodi, scomodando gli altri.
Salviano di Marsiglia, Il divino governo del mondo, 3,5-6
Spezza a chi ha fame il tuo pane e accogli in casa tua i poveri, i senzatetto ( Is 58,7 ).
É grande la moltitudine dei nudi, dei senzatetto che i nostri tempi ci hanno portato.
Una quantità di prigionieri sta davanti alla porta di ciascuno.
Non mancano gli stranieri, gli esuli, e ovunque si vedono mani tese a supplicare.
Per costoro, la casa è il cielo, è l'aria aperta; l'alloggio sono i portici, gli incroci, gli angoli isolati delle piazze.
Come gufi e civette si appiattano nelle spelonche.
Il loro vestito, sono panni laceri; il loro vettovagliamento, la buona volontà dei misericordiosi; il loro cibo, ciò che dà loro il caso; la loro bevanda, le sorgenti, come per gli animali; il loro bicchiere, il cavo delle mani, il loro magazzino, le vesti, se non sono troppo lacere e coprono ciò che vi è riposto; loro tavola, le ginocchia unite; loro letto, il suolo, loro bagno il fiume o il lago, che Dio ha elargito a tutti come bene comune, non artificiale.
La loro vita è errabonda e selvatica, tale non dall'inizio, ma per la sventura e la necessità.
A costoro, o tu che digiuni, provvedi.
Sii generoso verso le sventure dei fratelli.
Ciò che sottrai al tuo ventre, porgilo a chi ha fame.
Il timore di Dio diventi un giusto eguagliatore.
Con una saggia temperanza cura due esperienze contrarie: la tua sazietà e la fame del fratello.
Fanno così anche i medici: uno vogliono che evacui, l'altro che si riempia, affinché l'aggiunta o la sottrazione conservino la salute di ciascuno.
Lasciati persuadere da una giusta esortazione: questa parola apra le porte dei ricchi, questo consiglio introduca il povero da chi ha.
Non sia un solo discorso ad arricchire i bisognosi, ma la parola eterna di Dio dia loro e casa e letto e mensa.
Con una buona parola, provvedi loro il necessario dai tuoi beni.
Oltre a questi, vi sono altri poveri che giacciono languenti.
Ciascuno si dia da fare per i suoi vicini.
Non lasciare che un altro curi quelli che sono presso di te, non sia un altro a sottrarti il tesoro per te preparato.
Accaparra per te gli infelici come se fossero oro.
Abbraccia la salute dei bisognosi, come se fosse la salute tua, come se fosse la salvezza di tua moglie, dei tuoi figli, dei tuoi domestici, di tutta la tua casa.
Il povero ammalato è doppiamente povero.
Quelli infatti che sono sani girano di porta in porta e avvicinano i ricchi; oppure, seduti al crocicchi invocano tutti i passanti.
Ma quelli che sono impediti dalla malattia, rinchiusi in uno stretto alloggio, in un angolo angusto, come Daniele nella fossa, aspettano te, timorato e misericordioso, come tu fossi Abacuc.
Con l'elemosina, mostrati amico del profeta; avvicinalo presto, senza indugio e porgi il cibo a lui che ha bisogno.
La tua elargizione, non è certo una perdita.
Non temere: il frutto dell'elemosina germoglia rigoglioso.
Semina le tue elargizioni e riempirai la tua casa di bei covoni.
Gregorio di Nissa, L'amore per i poveri, 1
Fa' questo e vivrai ( Lc 10,28 ).
Quando però il dottore della Legge, prendendo a pretesto il desiderio di istruirsi, interrogò di nuovo Gesù, gli pose questa domanda: « Chi dobbiamo considerare come quel prossimo che la Legge comanda a tutti di amare come se stessi? ».
Allora il nostro Salvatore diede questa risposta sotto forma di parabola: « Un uomo andava da una città a un'altra. Assalito dai briganti, fu preso, spogliato dei suoi vestiti e ferito.
Era ormai tutto una piaga e giaceva mezzo morto.
Lo vide un sacerdote, volse altrove lo sguardo e se ne andò.
Anche un levita lo vide, ma no se ne prese cura: anziché commuoversi e provare dolore, non si fermò davanti a questo spettacolo che pure avrebbe dovuto suscitare in lui grandissima compassione.
Alla fine un samaritano, che passava per quella strada, si trovò davanti a quell'uomo disteso a terra: non lo guardò solo con gli occhi, ma lo fissò con la preoccupazione misericordiosa del cuore.
Inginocchiandosi davanti a lui, curò le sue piaghe con i rimedi convenienti: vi versò sopra vino e olio e le fasciò con amorosa diligenza.
Lo mise poi su un asino e lo condusse a un albergo, dove chiese che fosse trattato con grande sollecitudine ».
Dimmi ora, dottore della Legge, senza scrutarmi con quello sguardo cattivo, chi è il prossimo per te?
Ma per colui che aveva bisogno di essere assistito, chi è mai divenuto il prossimo se non l'uomo che si è dimostrato tale per il suo comportamento?
Tu pensi spesso, nella tua ignoranza, che il tuo prossimo sia colui che condivide la tua stessa religione o la tua stessa nazionalità.
Io invece dico e definisco come prossimo chi partecipa alla tua stessa natura ed è uomo come te.
Come vedi, infatti, colui che se ne andava a testa alta a motivo della sua dignità di sacerdote, e l'altro che si vantava del suo titolo di levita e compiva le funzioni del ministero sacerdotale secondo la Legge, tutti e due ostentavano, come fai anche tu, di conoscere i comandamenti divini.
E tuttavia non pensarono neppure lontanamente che quel poveretto che apparteneva alla loro razza ed era là nudo, coperto di gravissime ferite, steso a terra quasi sul punto di morire, era un uomo come loro: lo disprezzarono come se fosse una pietra o un pezzo di legno abbandonato.
Il samaritano invece, che non conosceva i comandamenti della Legge e che da voi è considerato pazzo e ignorante - perché addirittura un saggio ha parlato così: Gli abitanti della montagna di Samaria, i filistei e il popolo stupido che abita a Sichem ( Sir 50,26 ) - il samaritano riconobbe la natura umana e comprese chi è il prossimo.
Così colui che voi giudici considerate tanto lontano, si è fatto vicinissimo per chi aveva bisogno di rimedio.
Non restringere dunque in una meschinità giudaica e in una misura limitata la definizione di « prossimo »; non pensare che solo gli uomini della tua razza siano il tuo prossimo: il prossimo infatti è ogni persona su cui si riversa il tuo spirito di carità.
Severo di Antiochia, Omelia 89
Così agiscono quelli che attraversano il mare grande e spazioso: se la loro nave viene sospinta da venti favorevoli, si allietano di tanta pace, ma se vedono da lontano un'altra imbarcazione in difficoltà, non trascurano la sfortuna di quegli estranei, badando solo al proprio utile: fermano la nave, gettano le ancore, calano le vele, lanciano tavole, gettano corde, affinché chi sta per essere sommerso dalle onde aggrappandosi a una di queste possa sfuggire il naufragio.
Imita dunque anche tu i naviganti, o uomo; anche tu navighi un mare grande e spazioso; l'estensione della vita presente: un mare pieno di animali e pirati, pieno di scogli e picchi, un mare agitato da molti marosi e tempeste.
E anche in questo mare molti spesso fanno naufragio.
Quando dunque vedi qualche navigante che per qualche accidente diabolico sta per perdere il tesoro della sua salvezza, è agitato tra i flutti, sta per sommergersi, ferma la tua nave; anche se ti affretti altrove, preoccupati della sua salvezza, trascurando le tue cose.
Chi sta per annegare non può ammettere dilazione o lentezza.
Accorri dunque velocemente, strappalo subito dai flutti, metti tutto in movimento per tirarlo su dal profondo della rovina.
Anche se mille occupazioni ti sollecitassero, nessuna ti sembri più necessaria della salvezza di un misero, se volessi differirla anche un poco, la violenta tempesta lo perderebbe.
In queste disgrazie, dunque, è necessaria molta prontezza; molta prontezza e molta cura sollecita.
Ascolta come Paolo si preoccupa e sollecita molti altri, vedendo un uomo in pericolo di affogare.
Dice: L'amore verso di lui perché quel tale non sia ingoiato da una tristezza esagerata ( 2 Cor 2,7 ).
Comanda dunque di porgere subito la mano, perché non succeda che, mentre noi indugiamo e dilazioniamo, quello non sia ingoiato dalla sventura.
Siamo dunque pieni di premura verso i nostri fratelli.
Questo è il punto principale della nostra vita cristiana, questo è il distintivo che non solo fa vedere la nostra realtà, ma anche corregge e purifica le nostre membra pervertite.
Questa è la prova più grande della fede: Da questo infatti tutti conosceranno che siete miei discepoli - è detto - se vi amerete l'un l'altro ( Gv 13,35 ).
L'amore sincero si dimostra non mangiando insieme, non parlandosi alla buona, non lodandosi a parole, ma osservando e preoccupandosi di ciò che è utile al prossimo, sorreggendo chi è caduto, tendendo la mano a chi giace incurante della propria salvezza e cercando il bene del prossimo più del proprio.
L'amore non guarda ai propri interessi, ma prima che ai propri guarda a quelli del prossimo, per vedere, attraverso quelli, i propri.
Giovanni Crisostomo, Omelia sul nome di Abramo, 2
É dunque possibile a noi, seguendo ciò che sta scritto: Siate miei imitatori, come io lo sono di Cristo ( 1 Cor 4,16 ), imitare Cristo e avere pietà degli uomini « caduti nelle mani dei briganti », e avvicinarci a loro, fasciare le loro ferite, versarvi olio e vino, caricarli sulla nostra cavalcatura e portare i loro pesi.
É proprio per esortarci a questo che il Figlio di Dio non si rivolge soltanto al dottore della legge, ma anche a tutti noi dicendo: Va' e anche tu fa' altrettanto ( Lc 10,37 ).
Se noi ci comportiamo così, otterremo la vita eterna in Cristo Gesù.
Origene, Commento al Vangelo di san Luca, 34,9
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