L'apologetico |
Confutazione delle accuse concernenti i delitti manifesti d'irreligiosità, di empietà.
Tertulliano dimostra che non sono dei quelli che dai Pagani sono ritenuti tali.
Anche secondo la credenza loro, essi furono un tempo uomini.
1. Voi dite: « Non onorate gli dei e i sacrifici non offrite per i nostri imperatori ».
Ne segue che noi non sacrifichiamo per gli altri per il fatto che nemmeno sacrifichiamo per noi stessi, una volta per tutte non onorando gli dei.
Perciò veniamo processati come rei di empietà e lesa maestà.
Questo è il punto capitale della nostra causa, anzi tutta la causa: in verità degna di essere conosciuta, se non è la presunzione o l'ingiustizia che giudica, l'una disperando, l'altra rifiutandosi di mettere in chiaro la verità.
2. Noi di onorare gli dei vostri abbiamo smesso da quando abbiamo conosciuto quelli non essere dei.
Codesto pertanto esigere dovete, che noi si provi non essere dei quelli, e perciò non degni di essere onorati, per il fatto che solo allora avrebbero dovuto essere onorati, se fossero stati dei.
Allora anche dovrebbero i Cristiani essere puniti, se quelli che essi non onorano, perché non li ritengono dei, constasse che sono dei.
3. « Ma per noi - voi dite - sono dei ».
Ci appelliamo da voi ricorrendo alla vostra coscienza: quella ci giudichi, quella ci condanni, se negare potrà che tutti codesti vostri dei sono stati degli uomini.
4. Se essa pure negherà, confutata verrà in base ai suoi documenti attinti all'antichità, dai quali essa la loro conoscenza derivò.
Di ciò testimonianza rendono, fino al dì d'oggi, le città in cui quegli dei sono nati, le regioni nelle quali di qualche loro operazione vestigi lasciarono, in cui anche si dimostra che sono stati sepolti.
5. Or dunque dovrei io passare in rassegna uno per uno tanti e svariati dei, nuovi e antichi, barbari e greci, romani e forestieri, captivi e adottivi, propri e comuni, maschi e femmine, rustici e urbani, nautici e militari?
6. Un perditempo sarebbe enumerarne anche solo le denominazioni.
Per riassumere in breve - e codesto non per farvelo conoscere, ma per richiamarvelo a mente, ché certo la figura fate degli smemorati: - prima di Saturno non c'è tra voi nessun dio; da lui l'inizio perfino di ogni più importante e più nota divinità.
Perciò quello che risulterà nei riguardi dell'origine, anche si converrà alla discendenza.
7. Dunque di Saturno, stando a quanto i monumenti letterari attestano, né il greco Diodoro o Tallo, « né Cassio Severo o Cornelio Nepote, né alcun trattatista di antichità del genere pubblicarono altro, se non che fu un uomo; quanto alle prove dei fatti, in nessun luogo ne trovo di migliori che in Italia stessa, nella quale Saturno, dopo molte spedizioni e il soggiorno ospitale nell'Attica, si stabilì, accolto da Giano, o Giane, come vogliono i Salii.
8. Il monte, che egli aveva abitato, fu detto Saturnio, la città, che egli aveva fondato, è Saturnia, fino al dì d'oggi; in fine l'Italia tutta, dopo essere stata chiamata Enotria, aveva l'appellativo di Saturnia.
Da lui primamente la tavoletta per scrivere e la moneta con impressa un'immagine: e perciò presiede all'erario.
9. Pertanto, se Saturno fu un uomo, certo da un uomo la sua origine: e poiché da un uomo, certo non dal cielo e dalla terra.
Ma un uomo, i cui genitori erano sconosciuti, fu facile chiamarlo figlio di coloro, di cui anche tutti possiamo sembrare figli.
Chi, infatti, il cielo e la terra non chiamerebbe padre e madre a motivo di venerazione e di onore, o per conformarsi a una consuetudine umana, per cui esseri sconosciuti o comparsi tutto a un tratto si dicono essere arrivati dal cielo?
10. Perciò a Saturno, che repentinamente da per tutto compariva, di essere chiamato figlio del cielo toccò: e invero anche figli della terra chiama il volgo coloro, la cui origine è incerta.
Taccio il fatto che gli uomini erano così rozzi ancora, da commuoversi alla vista di qualunque uomo nuovo, come di un essere divino: mentre oggi, ormai civili, fra gli dei coloro consacrano, di cui pochi giorni prima con pubblico lutto hanno confessato la morte.
11. Ma basta ormai di Saturno, se pur poco.
Anche Giove essere stato dimostreremo tanto uomo, quanto nato da uomo; e in seguito tutto lo sciame della famiglia tanto mortale, quanto pari al suo capostipite.
Illogicità e contraddizioni multiformi per chi ammetta che gli dei siano diventati tali da uomini.
1. Ora poiché, come negare non osate che coloro furono uomini, così avete presa l'usanza di affermare che dei sono stati fatti dopo la morte, esaminiamo le cause che codesto hanno richiesto.
2. Anzi tutto è necessario che concediate che esiste un qualche dio più alto, e, per così dire, in possesso della divinità, che da uomini li ha fatti dei.
E invero né essi assumersi una divinità, che non possedevano, avrebbero da sè potuto, né altri a chi non la possedeva, fornirla, se non uno che la possedesse in proprio.
3. Del resto, se nessuno ci fosse che gli dei creasse, inutilmente pretendete che quelli siano stati fatti dèi, togliendo di mezzo il fattore.
Certo si è che, se farsi dei da se stessi avessero potuto, non sarebbero mai stati uomini, avendo la facoltà di crearsi, è chiaro, una condizione migliore.
4. Dunque, se v'è chi gli dei crea, ritorno all'esame delle cause, per cui da uomini si creano dei: e non ne trovo alcuna, tranne che quel dio grande il bisogno sentisse di ministri e di aiuti per i suoi uffici divini.
Prima di tutto è sconveniente che egli il bisogno sentisse dell'opera di
qualcuno, per di più di un morto, mentre più degno sarebbe stato ch'egli
dall'inizio un dio facesse, egli che dell'opera di un morto doveva aver
bisogno.
5. Ma nemmeno vedo che ci fosse posto per quest'opera.
E invero tutto il corpo di questo mondo o non nato e increato, stando a Pitagora, o nato e creato, stando a Platone, è certo che in codesta costruzione e disposizione e ordinamento con ogni razionale reggimento, una volta per sempre venne a trovarsi.
Imperfetto non poté essere l'essere, che ogni cosa con perfezione creò.
6. Nulla un Saturno attendeva o una gente saturnia.
Sciocchi saranno gli uomini, se certi non si terranno che fin dai primordi cadde dal cielo la pioggia e le stelle raggiarono e la luce fiorì e i tuoni muggirono e che Giove stesso paura ebbe dei fulmini, che nella sua mano collocate; che, del pari, ogni frutto prima di Libero e Cerere e Minerva, anzi prima di quel qualche primo uomo, dalla terra in abbondanza uscì; poiché nulla di quanto per il sostentamento e la conservazione dell'uomo fu provveduto, dopo l'uomo essere introdotto potè.
7. In fine si dice che gli dei abbiano scoperto, non instituito codeste cose necessarie alla vita.
Or quello che scoperto viene, c'era; e quello che c'era, non si riterrà di colui che l'ha scoperto, ma di colui che l'ha instituito: infatti esisteva prima di essere scoperto.
8. Del resto, se Libero per questo fu fatto dio, perché la vite fece conoscere, male si agì con Lucullo, che, primo, le ciliege provenienti dal Ponto all'Italia rese comuni, per non averlo per questo divinizzato quale autore del nuovo frutto, in quanto rivelatore.
9. Perciò, se fin dall'inizio l'universo di tutto risultò provveduto e ordinato secondo determinati modi di adempiere ai propri uffici, vien meno per codesto rispetto il motivo di associare l'umanità alla divinità: poiché quegli uffici e quei poteri, che avete tra quegli dei distribuito, furono fin dall'inizio; a quel modo che sarebbero esistiti, anche se voi codesti dei creati non aveste.
10. Ma voi vi volgete a un'altra causa, rispondendo che il conferimento della divinità fu una maniera di ricompensare delle benemerenze.
Dopo di che voi concedete - credo bene - che quel dio creatore di dei si distingua per giustizia, così che non a caso né indegnamente né senza misura un tanto premio abbia dispensato.
11. Voglio, pertanto, questi meriti passare in rassegna, se siano tali da averne elevati gli autori al cielo o non piuttosto nell'imo Tartaro sprofondati, che affermate, quando volete, essere il carcere delle pene dell'inferno.
12. Colà infatti essere cacciati sogliono tutti gli empi contro i genitori e gl'incestuosi con le sorelle e gli adùlteri con le spose e i rapitori di vergini e i corruttori di fanciulli e quelli che inferociscono e quelli che uccidono e quelli che rubano e quelli che ingannano e quanti sono simili a qualcuno dei vostri dei, nessuno dei quali puro da delitto o da vizio potrete provare, a meno che non neghiate che sia stato un uomo.
13. Sennonché a mettervi in condizione di non poter negare che quelli siano stati uomini, si aggiungono ancora le seguenti osservazioni, che nemmeno di credere permettono che siano stati fatti dei in seguito.
Se, infatti, voi presiedete alla punizione di persone tali, se quanti siete onesti il commercio rifiutate, il colloquio, la convivenza dei tristi e dei disonesti, se dei pari a costoro quel dio alla partecipazione associò della sua maestà, perché allora coloro condannate, dei quali i colleghi adorate?
14. É un marchio d'infamia per il cielo la vostra giustizia.
Fate piuttosto dei tutti i più grandi criminali, per piacere agli dei vostri: è un onore per essi la divinizzazione dei loro uguali.
15. Ma per lasciar da parte l'esame di questa indegnità, che siano stati probi ammettiamo, integri, buoni: quanti uomini di essi più eccellenti nell'Inferno non avete tuttavia lasciati: un Socrate per la sapienza, un Aristide per la giustizia, un Temistocle per la bravura militare, un Alessandro per la grandezza d'animo, un Policrate per la felicità, un Creso per la ricchezza, un Demostene per l'eloquenza.
16. Chi fra quei vostri dei più autorevole e saggio di Catone, più giusto e valoroso di Scipione?
Chi di Pompeo più grande, di Silla più felice, di Crasso più opulento, di Tullio più eloquente?
Quanto più degnamente quel dio avrebbe aspettato costoro per associarseli come dei, preconoscendo certo i migliori! Ebbe fretta, penso, e il cielo chiuse una volta per sempre; ed ora certamente arrossisce che i migliori all'inferno mormorino.
I vostri dei sono materia inerte, insensibile.
Voi stessi mostrate di riconoscerlo nel modo con cui li fabbricate.
1. Ma la smetto su codesto punto, ché so bene che, quando dimostrato avrò che cosa i vostri dei sono, in base appunto a questa verità, dimostrerò che cosa non sono.
Orbene, quanto ai vostri dei, vedo che sono soltanto nomi di certi antichi morti; e ascolto delle favole e da queste favole generato ne riconosco il culto.
2. Quanto poi ai loro stessi simulacri, null'altro avverto se non che la materia, onde risultano, è a quella dei vasi e degli arnesi comuni sorella, o dai medesimi vasi e arnesi proviene, mutando in certo modo destino con la consacrazione, per opera dell'arte, che liberamente li trasfigura, per di più, nel modo più ingiurioso e sacrilego durante l'opera stessa: talché particolarmente per noi, che proprio a causa di essi dei veniamo puniti, può essere veramente un conforto nel castigo il fatto che essi pure, per venire all'esistenza, lo stesso nostro trattamento patiscono.
3. Su croci e su pali voi i Cristiani ponete.
Quale simulacro l'argilla non forma sovrapposta prima su una croce o un palo?
Sopra un patibolo il vostro dio viene in un primo tempo consacrato.
4. Con unghie voi i fianchi dei Cristiani dilaniate.
Ma su gli dei vostri, per tutte le membra, con più forza accette lavorano e pialle e lime.
Noi veniamo decapitati.
Ma prima del piombo, della colla, dei perni, senza testa sono i vostri dei.
Noi veniamo alle belve esposti.
Certo a quelle che voi accanto a Libero e a Cibele e a Celeste collocate.
5. Siamo dalle fiamme arsi.
Codesto essi pure in verità patiscono, mentre ancora si trovano nella massa primiera.
Siamo alle miniere condannati.
Da queste traggono i vostri dei origine.
Veniamo in isole relegati.
Anche qualche vostro dio in un'isola nascere o morire suole.
Se per queste vie un qualche carattere divino risulta, allora coloro che vengono puniti, vengono divinizzati, e i suppliziati chiamarsi dei dovranno.
6. Ma certo queste ingiurie e contumelie della loro fabbricazione i vostri dei non sentono, come nemmeno gli atti di ossequio.
« O parole empie! o oltraggi sacrileghi! » rispondete voi.
Ebbene, digrignate i denti, schiumate.
Siete gli stessi che un Seneca con più numerose e amare parole a discorrere della vostra superstizione cogliete.
7. Perciò se le statue e le immagini fredde noi non adoriamo, somigliantissime ai morti che esse rappresentano, cui sparvieri e topi e ragni mostrano di comprendere, non meriterebbe lode, piuttosto che castigo, il rifiuto di un errore riconosciuto?
Possiamo infatti aver l'aria di offendere coloro che siamo certi non esistono affatto?
Ciò che non esiste, nulla patisce da nessuno, per il fatto che non esiste.
L'inesistenza dei vostri dei mostrate di riconoscere anche dal trattamento che loro usate, mettendone in vendita le immagini, equiparandoli nelle onoranze ai morti.
1. « Ma per noi sono dei » dici.
Come mai allora, per contro, voi vi fate cogliere empi e sacrileghi e irreligiosi verso gli dei vostri, voi che dei trascurate, dei quali l'esistenza presumete, voi che distruggete dei che temete, voi che anche dei deridete, di cui vi fate vindici?
2. Esaminate, se dico il vero.
Anzi tutto, quando chi l'uno chi l'altro dio onorate, indubbiamente fate torto a quello che non onorate.
La preferenza di uno non può andare senza offesa di un altro, ché non ha luogo scelta di una delle parti senza rifiuto dell'altra.
3. Senz'altro, dunque, voi disprezzate quelli che rifiutate, in quanto, rifiutandoli, non esitate a offenderli.
E invero, come sopra abbiamo accennato, la condizione di ogni divinità dall'apprezzamento del senato dipendeva.
Non era dio quello, che un uomo, consultato, non avesse voluto e, non volendo, avesse condannato.
4. Gli dei domestici, che chiamate Lari, trattate in base all'autorità domestica, impegnandoli, vendendoli, mutando talora in una pentola un Saturno, talora in una ciotola una Minerva, secondo che ciascuno per il lungo culto è consumato o ammaccato, secondo che ciascun padrone di casa ha più venerabile riscontrato la necessità domestica.
5. Ugualmente in base all'autorità pubblica gli dei pubblici profanate, che considerate come tributari mettendoli nel protocollo dei pubblici appalti.
Così al Campidoglio, così al mercato dei legumi si accede: sotto la medesima voce del banditore, sotto la stessa asta, sotto la stessa registrazione di un questore la divinità viene appaltata e aggiudicata.
6. Sennonché i terreni da un tributo gravati meno sono apprezzati, le persone, all'imposta del capo soggette, meno sono stimate, ché codeste sono note di servitù.
Gli dei, invece, più pagano di tributo, più sono venerabili.
Anzi, più sono venerabili, più pagano di tributo.
La maestà diventa oggetto di lucro: per le bettole gira la religione mendicando.
Esigete un compenso per l'accesso, per la dimora nel tempio.
Conoscere gratis gli dei non lice: sono in vendita.
7. Che altro assolutamente fate per onorare gli dei, che interamente non compiate anche per i vostri morti?
Ugualmente templi, ugualmente altari.
Lo stesso abbigliamento, le stesse insegne nelle statue: quale fu l'età, l'arte, l'attività del morto, tale è, una volta divenuto nume.
In che differisce dal banchetto di Giove quello funerario, la libazione sacrificale da quella fatta per il morto, il becchino dall'aruspice?
E invero anche l'aruspice è al servizio dei morti.
8. Ma opportunamente agli imperatori morti l'onore attribuite della divinità, ai quali l'attribuite pure da vivi.
L'avranno a guadagno i vostri dei, anzi si dimostreranno lieti vedendo a sé parificati i loro padroni.
9. Ma quando tra le Giunoni, le Cereri, le Diane adorate una Larentina, pubblica meretrice ( preferirei almeno una Laide o una Frine ): quando a un Simone mago una statua consacrate con un'inscrizione al dio Santo, quando non so quale giovinetto, proveniente dal collegio dei paggi di corte, partecipe fate del concilio degli dei, gli dei più antichi, se pur non siano più nobili, tuttavia vi conteranno come una ingiuria che sia stato concesso anche ad altri l'onore che ad essi soli l'antichità conferì.
Il modo stesso come vengono i vostri dei rappresentati nelle tradizioni letterarie e trattati nei loro riti, ne dimostra la inesistenza.
1. Anche i vostri riti voglio passare in rassegna.
Non dico come vi comportate nel sacrificare, quando solo animali mezzi morti e putrefatti e rognosi immolate, quando di quelli ben grassi e sani non troncate che tutte le parti inutili, teste e unghie, che in casa vostra anche avreste destinati agli schiavi o ai cani; quando della decima, sacra ad Ercole, nemmeno la terza parte collocate sul suo altare.
Loderò anzi, piuttosto, il vostro buon senso, che almeno una parte sottraete a quello che va perduto.
2. Ma se mi volto alla letteratura vostra, da cui alla saggezza e al compimento dei doveri liberali venite educati, che specie non trovo di ridicolaggini!
Dei che, a causa di Troiani e Achei, come paia di gladiatori, sono venuti a zuffa tra loro e a combattimento; Venere dalla saetta di un uomo ferita, perché il figlio suo Enea, in procinto di essere ucciso, al medesimo Diomede sottrarre voleva;
3. Marte quasi morto durante tredici mesi di prigionia, Giove, liberato dal subire la stessa violenza per parte degli altri Celesti, per opera di un mostro: ed ora in atto di piangere la morte di Sarpedone, ora vergognosamente in fregola verso la sorella, mentre le amiche precedenti ricorda non così ardentemente amate.
4. Continuando, quale poeta, di su l'esempio del suo capo, disonoratore non si rivela degli dei?
Questo Apollo al servizio mette del re Admeto, per pascolarne le greggi; quello il lavoro da muratore di Nettuno al salario pone di Laomedonte.
5. V'è anche un famoso fra i lirici ( voglio dire Pindaro ), che Esculapio canta giustiziato col fulmine per colpa d'ingordigia, perché la medicina disonestamente esercitava.
Malvagio Giove, se a lui il fulmine appartiene; empio verso il nipote, invidioso verso il professionista.
6. Codesto né essere tramandato doveva, se fosse vero, né, se falso, inventato tra persone religiosissime.
Nemmeno i tragici o i comici di raccontare omettono nei prologhi le disgrazie o gli errori di qualche membro della famiglia di un dio.
7. Mi taccio dei filosofi, e mi accontento di Socrate, che, in disprezzo degli dei, per la quercia giurava, per il capro, per il cane.
« Ma Socrate per questo fu condannato, perché distruggeva gli dei ».
Certo da un pezzo, voglio dire da sempre, la verità è odiata.
8. Vero è che avendo gli Ateniesi, pentiti della sentenza, gli accusatori di Socrate più tardi punito e una statua di lui in bronzo in un tempio collocato, l'annullamento della condanna all'incolpabilità di Socrate rese testimonianza.
Ma anche Diogene si prende non so qual gioco di Ercole, e il cinico romano, Varrone, trecento Giovi introduce o Giuppitri, se così s'ha da dire, senza testa.
Lo scempio e la profanazione della divinità si compie anche nel modo più ripugnante su la scena e nell'interno degli stessi templi.
1. Anche le altre licenziose fantasie servono al vostro divertimento attraverso al dileggio degli dei.
Considerate le arguzie dei Lentuli e degli Ostilii e, vedete un po' se ridete dei mimi, oppure degli dei vostri in quegli scherzi e burle: un Anubi adultero, una Luna maschio, una Diana staffilata, la lettura del testamento di Giove morto, i tre Ercoli affamati burlati.
2. Ma pur le parti degli attori esprimono tutta la sconcezza degli dei.
Piange il figlio precipitato giù dal cielo il Sole, mentre voi vi divertite; Cibele per un pastore sospira, che non vuol saperne di lei, senza che voi ne arrossiate; e sopportate che le birbanterie si declamino di Giove, e che Giunone, Venere e Minerva giudicate siano da un pastore.
3. Col fatto stesso che una testa ignominiosa e famigerata la figura di un vostro dio rivesta, che un corpo impuro e a codesta arte educato con una vita effeminata una Minerva o un Ercole rappresenti, non si viola e contamina, tra i vostri applausi, la maestà divina?
4. Più religiosi senza dubbio siete nell'anfiteatro, dove sopra il sangue umano, sopra i cadaveri di sozzi giustiziati ugualmente i vostri dei istrioneggiano, argomenti di storie somministrando a dei criminali, se pur spesso i criminali proprio la figura degli dei vostri non rivestono.
5. Ho veduto io stesso una volta un Atti evirato, quel famoso dio di Pessinunte, e uno il quale aveva la parte di Ercole assunto e ardeva vivo.
Ho riso, assistendo anche agli svaghi atroci dei ludi meridiani, davanti a un Mercurio, che i morti col cauterio esaminava; ho veduto anche il fratello di Giove che, armato di martello, i cadaveri dei gladiatori trascinava via.
6. Tutti codesti fatti, e quanti altri ancora avrebbe uno potuto investigare, se l'onore scuotono della divinità, se gli attributi della maestà divina disonorano, hanno certo origine dal disprezzo in cui sono tenuti tanto gli dei che li compiono; quanto gli spettatori, per il cui divertimento li compiono.
7. Ma sia pure: codesti sono passatempi.
Ma se io aggiungessi quello che la coscienza di tutti non meno riconoscerà vero, cioè che nei templi si combinano adulteri, che fra gli altari ruffianerie si compiono, che spesso proprio nelle celle dei custodi e dei sacerdoti, proprio sotto le bende e i berretti e le porpore, tra il fumo degli incensi si dà sfogo alla libidine, non so se gli dei vostri, più che dei Cristiani, abbiano di che lamentarsi di voi.
Certo i sacrileghi sempre tra i vostri sono còlti: ché i Cristiani i templi nemmeno di giorno conoscono.
Li spoglierebbero, forse, anch'essi, se anch'essi li venerassero.
8. Orbene, che è quello che onorano coloro che tali cose non onorano? è facile senz'altro intendere che della verità sono cultori coloro che non sono cultori della menzogna, che più non errano in ciò, in cui riconoscendo di avere errato, hanno cessato di errare.
Codesto prima comprendete; e di qui tutto il seguito del nostro culto apprendete, dopo, per altro, che confutate saranno le false opinioni vostre in merito.
Stupida e falsa è l'accusa che i Cristiani adorino una testa d'asino.
Adoriamo una croce? Non sono forse di croci e sopra croci fabbricati i vostri dei?
1. E invero, come ha scritto un tale, avete sognato che una testa d'asino è il nostro dio.
Codesto tale sospetto l'ha introdotto Cornelio Tacito.
2. Costui, infatti, nel libro quinto delle sue Storie, prendendo a raccontare la guerra giudaica dall'origine della gente, dopo aver anche congetturato quello che ha voluto, tanto su l'origine stessa, quanto sul nome e la religione della gente, narra che i Giudei, liberati dall'Egitto o, com'egli credette, banditine, trovandosi nelle vaste località dell'Arabia, quanto mai prive di acqua, tormentati dalla sete, su l'indizio di onagri, che si credeva si recassero, per avventura, dopo il pasto, a bere, poterono far uso di sorgenti; e per questo beneficio la figura di una bestia simile consacrarono.
Così di qui si presunse, penso, che anche noi, come parenti della religione giudaica, all'adorazione della medesima immagine venissimo iniziati.
Vero è che il medesimo Cornelio Tacito, pur essendo quel gran chiacchierone di menzogne, nella stessa Storia racconta che Gneo Pompeo, presa Gerusalemme ed entrato perciò nel tempio allo scopo di osservare gli arcani della religione giudaica, nessun simulacro colà trovò.
3. E in verità, se si onorava cosa, che per via di qualche figura era rappresentata, in nessun luogo, meglio che nel suo sacrario, avrebbe potuto essere esposta, tanto più che quel culto, pur vano, presenza di estranei non temeva.
Infatti solo ai sacerdoti era lecito entrare; anche la vista ne era impedita agli altri da un velo disteso.
4. Tuttavia voi non negherete di adorare tutte le razze di giumenti e muli tutt'interi con la loro Epona.
Ma forse per questo ci si muove rimprovero, perché tra gli adoratori di bestiame e di belve d'ogni sorta, di asini soltanto adoratori siamo.
5. Ma anche chi ci crede adoratori di una croce, sarà nostro correligionario.
Quando si adora un legno, poco importa il suo aspetto, essendo la stessa la qualità della materia; poco importa la forma, quando proprio codesto legno sia il corpo di un dio.
E tuttavia quanto poco si differenzia dal legno di una croce Pallade attica e Cerere faria, che senza figura si presentano, rozzo palo e legno informe!
6. Parte di una croce è ogni legno, che piantato viene in posizione verticale.
Noi, se mai, adoriamo un dio intero e completo.
Ho detto che, quale forma iniziale degli dei vostri, i modellatori abbozzano una croce.
Ma anche le Vittorie adorate nei trofei, mentre dei trofei le croci formano le parti interiori.
7. Tutta la religione romana degli accampamenti venera le insegne, giura per le insegne, le insegne antepone a tutte le divinità.
Tutta quella congerie di immagini su le insegne, sono monili apposti a croci; quei veli degli stendardi e delle bandiere, di croci sono rivestimento.
Lodo la vostra diligenza: consacrare non avete voluto delle croci disadorne e nude.
8. Altri, indubbiamente con un concetto di noi più umano e verisimile, credono che il sole sia il nostro dio.
Se mai, saremo messi fra i Persiani, sebbene non il sole dipinto in un lenzuolo adoriamo, avendolo, esso proprio, dovunque, nel suo disco.
9. Di qui in fin dei conti un tale sospetto: è noto che noi si prega rivolti dalla parte d'oriente.
Ma anche molti di voi, affettando di adorare qualche volta pur cose celesti, le labbra muovete volti dove sorge il sole.
10. Del pari, se il giorno del sole concediamo alla gioia per un ben altro motivo che per il culto del sole, veniamo al secondo posto dopo coloro che il giorno di Saturno all'ozio e alla crapula dedicano, differenziandosi essi pure dal costume giudaico, che ignorano.
11. Ma una nuova rappresentazione del dio nostro è stata già recentemente in codesta città divulgata, dacché un criminale, assoldato per frustrare l'assalto delle bestie, espose un dipinto con una scritta di questo tenore: « il dio dei Cristiani, razza di asino ».
Questo dio aveva orecchie d'asino e un piede munito di zoccolo e recava un libro e la toga.
Ridemmo e del nome e della figura.
12. Sennonché essi, gl'inventori della rappresentazione, senz'altro adorare avrebbero dovuto il nume biforme, dacché dei con testa di cane e di leone, con corna di capro e di ariete, becchi a partire dai lombi, serpenti nell'ima parte e alati nelle piante e nel tergo promiscuamente accolsero.
Tutto codesto per abbondare, al fine di non aver omesso, in certo modo scientemente, nessuna diceria, senza averla confutata.
Di tutto ciò ci scolperemo nuovamente, volgendoci senz'altro alla esposizione della religione nostra.
Il Dio dei Cristiani.
1. Ciò che noi adoriamo, è un Dio unico, che tutta codesta mole, insieme a tutto il corredo di elementi, corpi, spiriti, con la parola con cui comandò, con la ragione con cui dispose, con la virtù con cui poté, dal nulla trasse fuori a ornamento della sua maestà; onde anche i Greci all'universo dettero il nome di « kòsmos ».
2. Esso è invisibile, sebbene si veda; inafferrabile, sebbene per grazia si renda presente; incomprensibile, sebbene si lasci dalle facoltà umane comprendere: per questo è vero e così grande.
Il resto che comunemente si può vedere, afferrare, comprendere, minore è degli occhi da cui è abbracciato, della mano con cui viene a contatto, dei sensi da cui viene scoperto.
3. Invece ciò che è incommensurabile, solo a se stesso è noto.
Questo è ciò che Dio fa comprendere, il fatto che di essere compreso non cape; così l'immensità della sua grandezza agli uomini lo presenta noto e ignoto.
E in questo sta la colpa principale di coloro che riconoscere non vogliono Colui, che ignorare non possono.
4. Volete che lo proviamo dalle di Lui opere, tante e tali, onde siamo circondati, sostentati, allietati, spaventati anche?
Volete che lo proviamo in base alla testimonianza dell'anima stessa?
5. La quale, pur nel carcere del corpo serrata, pur da insegnamenti pravi circondata, pur da passioni e concupiscenze svigorita, pur a false divinità asservita, tuttavia, quando ritorna in sé come dopo l'ubriachezza o un sonno o qualche malattia, e il possesso riprende della sua condizione sana, fa il nome di Dio, con questa sola parola, poiché è propria del Dio vero: e « Dio buono e grande », e « quello che a Dio piacerà » sono le parole di tutti.
6. Anche quale giudice lo attesta: « Dio vede » e « a Dio mi affido » e « Dio me lo renderà ».
O testimonianza dell'anima naturalmente cristiana!
In fine, pronunciando queste parole, non al Campidoglio, ma al cielo volge lo sguardo.
Conosce infatti la sede del Dio vivente: da Lui e di là essa è discesa.
Divina missione dei profeti del popolo ebreo; e della Santa Scrittura.
1. Ma, affinché più completamente ed a fondo sia alla conoscenza di Lui, che delle sue disposizioni e volontà arrivassimo, il mezzo Egli aggiunse del documento scritto, qualora uno intorno a Dio indagare voglia e, indagatolo, trovarlo e, trovatolo, credere e, credutolo, servirlo.
2. E invero fin dai primordi uomini mandò nel mondo per la loro intemerata giustizia degni di conoscere e manifestare Dio, di spirito divino inondati, affinché predicassero che un Dio unico esiste, il quale l'universo creò e l'uomo fabbricò di terra ( questo infatti è il vero Prometeo che il mondo con determinate disposizioni e successioni di stagioni ordinò );
3. inoltre, quali segni della maestà sua giudicatrice abbia con piogge e fulmini manifestato, quali leggi fissate per bene meritare di Lui, quali retribuzioni destinate all'ignoranza, al disconoscimento e all'osservanza di queste: come Colui che, compiuta codesta età, sarà per giudicare i suoi cultori, retribuendoli con la vita eterna, gli empi con il fuoco ugualmente perpetuo e continuo, dopo avere risuscitati, rinnovati e passati in rassegna tutti, quanti dall'inizio del mondo sono morti, per valutarne il merito e il demerito.
4. Anch'io ho riso un tempo di ciò. Provengo dai vostri. Cristiani si diventa, non si nasce.
5. Quei predicatori, di cui ho parlato, dal loro ufficio di predire si chiamano profeti.
Le parole loro e, del pari, i prodigi che compivano per far fede della loro missione divina, si conservano nel deposito della letteratura; né questa è nascosta.
Il più erudito dei Tolomei, quello che soprannominano Filadelfo, perspicacissimo conoscitore di ogni letteratura, emulando, penso, Pisistrato nella passione delle biblioteche, fra gli altri documenti storici, con cui veniva raccomandata alla fama o l'antichità o qualche curiosità, per suggerimento di Demetrio Falereo, fra i grammatici di allora lodatissimo, al quale aveva affidato un governo, richiese libri anche ai Giudei, documenti letterari propri e scritti nella loro lingua, che essi solo possedevano.
6. Da essi, infatti, provenendo, ad essi, anche, sempre i profeti avevano parlato, vale a dire, come a un popolo della Casa di Dio, per grazia ottenuta dai loro padri.
Prima d'ora si chiamavano Ebrei, quelli che ora Giudei; perciò ebrea la letteratura e la parlata.
7. Orbene, perché non mancasse di quei libri la conoscenza, codesta anche fu dai Giudei a Tolomeo accordata, con la concessione di settantadue interpreti, cui anche Menedemo filosofo, assertore della Provvidenza, per la comunanza delle idee ammirò.
Affermò a voi codesto anche Aristeo.
8. Così quei documenti in lingua greca tradotti, nella biblioteca di Tolomeo oggi si esibiscono nel Serapeo, insieme con gli originali ebraici.
9. Ma i Giudei anche li vanno pubblicamente leggendo.
Libertà pagata con un'imposta: tutti comunemente vi si recano il sabato.
Chi ascolterà ( quella lettura ) troverà Dio; chi anche si studierà di comprendere, si sentirà costretto a credere.
L'autorità della Santa Scrittura è provata dalla sua antichità: maggiore di qualsivoglia documento pagano.
1. A questi documenti l'autorità rivendica anzi tutto la somma loro antichità.
Anche tra voi il lungo tempo, assunto a sostenere la credibilità, tiene luogo di un valore religioso.
2. Pertanto tutta la sostanza e tutti i materiali, le origini, le date, le fonti di qualsivoglia vostra antica scrittura, la più parte anche delle nazioni e città famose nella storia e le memorie vetuste: in fine, le forme stesse dell'alfabeto, indici e custodi dei fatti, e - credo di dire ancora poco - gli stessi vostri dei, i templi stessi, dico, e gli oracoli e i riti sorpassa, pur di secoli lo scrigno racchiudente alle volte, un solo profeta, nel quale collocato si vede il tesoro di tutta la religione giudaica e, in seguito, pur della nostra.
3. Se mai avete sentito, talora, nominare un Mosè, esso è dell'argivo Inaco contemporaneo: precede di quasi 400 anni ( ne mancano 7 ) lo stesso Danao, anch'esso tra voi antichissimo; e precede di circa mille anni la rovina di Priamo: potrei pure aggiungere, di più di 500 anni anche Omero, avendo autori cui attenermi.
4. Anche gli altri profeti, sebbene a Mosè posteriori, tuttavia gli ultimissimi di loro non si scoprono forse anteriori ai vostri primi sapienti, legislatori e storici?
5. In base a quali dati tutto ciò possa provarsi non è tanto difficile per me esporlo, quanto fuor di proposito; non tanto arduo, quanto, per ora, lungo.
Bisognerebbe su molti documenti, con gesti calcolatori delle dita, intrattenersi, inoltre gli archivi dischiudere delle genti più antiche, degli Egiziani, dei Caldei, dei Fenici;
6. fare intervenire i loro connazionali, per opera dei quali la notizia è stata somministrata: un Manetone egiziano e un Beroso caldeo e, inoltre, Ieromo fenicio, re di Tiro; ed anche altri che li seguirono, Tolomeo di Mendes e Menandro di Efeso e Demetrio Falereo e il re Giuba e Apione e Tallo e il giudeo Giuseppe, che costoro approva o confuta, delle antichità giudaiche rivendicatore indigeno.
7. E s'avrebbero pure a confrontare i cronografi greci, e quello che è avvenuto e quando, per scoprire le concatenazioni dei tempi e, per mezzo di queste, le date storiche mettere in luce: si dovrebbe peregrinare attraverso la storia e la letteratura mondiale.
Tuttavia abbiamo già recato in certo modo una parte della dimostrazione, avendo accennato con quali mezzi la dimostrazione si possa ottenere.
8. Ma è meglio differire, per non correre pericolo di esporre, per la fretta, meno di quanto si dovrebbe, o di vagabondare troppo lontano per volerlo compiutamente esporre.
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