L'apologetico |
Divinità della Scrittura Santa, provata in base all'avverarsi delle profezie in quella contenute.
1. Io offro ora di più in compenso di questa dilazione: la maestà delle Scritture, se non la loro antichità; le provo divine, se se ne pone in dubbio l'antichità.
Né codesto più tardi o da altra fonte apprenderlo occorre: davanti a noi sta quello che ce lo dimostrerà, il mondo, la generazione e il compiersi degli eventi.
2. Quanto si fa, era preannunziato, quanto si vede si udiva: il fatto che le terre divorano le città, che i mari involano le isole, che guerre esterne e interne dilaniano, che i regni contro i regni cozzano, che la fame, la peste e tutte le calamità locali e le mortalità spesso frequenti la devastazione recano, il fatto che gli umili il posto prendono dei sublimi, i sublimi quello degli umili;
3. che la giustizia si fa rara, l'iniquità frequente, l'amore per tutte le buone discipline s'intorpidisce; il fatto che gli uffici pure delle stagioni e le funzioni degli elementi sgarrano, che da fatti mostruosi e prodigi l'aspetto della natura è sconvolto: tutto ciò è stato scritto prevedendolo.
Mentre lo subiamo, lo si legge; mentre ne prendiamo conoscenza, ne abbiamo la prova.
Testimonianza sufficiente, penso, di carattere divino l'avverarsi della profezia.
4. Da ciò pertanto tra noi anche sicura diviene la credenza dell'avverarsi del futuro, ormai - è chiaro - provato, in quanto predetto veniva insieme con quei fatti che quotidianamente si verificano: le stesse voci risuonano, la stessa scrittura lo annota, la stessa inspirazione lo pervade: uno solo è il tempo per la profezia di predire il futuro;
5. tra gli uomini, se mai, viene distinta, man mano che si avvera, mentre dal futuro il presente, indi dal presente si separa il passato.
Che torto abbiamo - domando a voi - se nel futuro anche crediamo, noi che attraverso due gradi abbiamo già imparato a credervi?
In che la religione cristiana differisce dalla giudaica, con cui pure ha tanto in comune: Cristo, il Verbo e Figlio di Dio, fattosi uomo per la nostra salvezza.
1. Ma poiché ho esposto che cotesta nostra setta - che i più sanno essere alquanto recente, come quella che è del tempo di Tiberio ( e noi anche lo ammettiamo ) - su gli antichissimi documenti dei Giudei si appoggia, forse la sua condizione potrebbe essere messa in discussione con questo pretesto, che essa sotto l'ombra, per così dire, di una religione quant'altra mai insigne, certamente permessa, una parte di credenze sue proprie nasconde:
2. o perché, a parte l'età, né sul conto delle astinenze dal mangiare, né dei giorni solenni, né dello stesso contrassegno del corpo, né della comunanza del nome abbiamo nulla che fare con i Giudei, mentre tutto codesto dovrebbe in verità essere comune, se al servizio del medesimo Dio fossimo.
3. Oltre a ciò il volgo ormai conosce Cristo come un uomo, quale i Giudei lo giudicarono; onde più facilmente qualcuno di un uomo adoratori ritenerci potrebbe.
Sennonché né arrossiamo di Cristo, quando, invece, essere accusati e condannati nel suo nome ci torna gradito; né sul conto di Dio avere un'opinione differente da quella dei Giudei pretendiamo.
É necessario dunque che poche parole io dica di Cristo, come Dio.
4. Sotto ogni rispetto i Giudei grazia godevano presso Dio, tra i quali una insigne giustizia perdurava e la fede dei primi fondatori: onde tra essi la grandezza della razza fiorì e la potenza del regno e tanto felice condizione, da essere preammoniti dalle voci di Dio, dalle quali erano istruiti circa i mezzi per meritarsi il favore di Dio e per non offenderlo.
5. Ma in quante colpe essi siano caduti, dalla fiducia nei loro padri gonfiati a sviarsi, in modo empio dalla legge allontanandosi, anche se essi noi confessassero, la riuscita loro odierna lo proverebbe.
Dispersi, errabondi, dal suolo e dal cielo loro banditi, errando vanno per il mondo, senza un uomo, senza Dio per loro capo; nemmeno a titolo di stranieri ad essi salutare è permesso, sia pure per un istante, la patria terra.
6. Mentre a loro codeste sventure le sante voci preannunciavano, del pari tutte sempre aggiungevano che verso l'estremo scorcio dell'età Dio da ogni gente e popolo e luogo ormai degli adoratori si sceglierebbe molto più fedeli, nei quali la sua grazia trasferirebbe in misura in vero più abbondante, per la loro capacità di accogliere una legge più completa.
7. Venne dunque Colui che era da Dio preannunciato che venuto sarebbe a rinnovare e illustrare quella legge, quel Cristo, figlio di Dio.
Dunque l'arbitro di questa grazia e maestro di questa legge, illuminatore e guida del genere umano, come figlio di Dio era annunziato; in verità non così generato, da dover arrossire del nome di figlio o del seme del padre.
8. Non sopportò quale padre, tale divenutogli in seguito a un incesto compiuto su la sorella o la fornicazione con la figlia o con una moglie altrui, un dio squamoso o cornuto o pennuto o, come l'amante di Danae, mutato in oro.
Codeste sono prodezze del vostro Giove.
9. Invece il Figlio di Dio non ha nessuna madre in seguito a un atto impudico: anche quella che vediamo ch'Egli ha, non era sposata.
Ma prima ne esporrò la natura, e così la qualità si comprenderà del suo nascere.
10. Già ho esposto come Dio questo mondo universo con la parola, la ragione, la potenza sua creò.
Anche presso i vostri Sapienti consta che il « Logos », vale a dire la parola e la ragione, quale artefice appare dell'universo.
Questo infatti Zenone stabilisce essere il creatore, che ogni cosa formò e dispose; e che esso si chiama anche fato e dio e anima di Giove e necessità di tutte le cose.
Questo concetto Cleante raccoglie nell'idea di spirito, che afferma permeare l'universo.
11. Noi pure alla parola e ragione e del pari virtù, per cui abbiamo detto avere Dio creato ogni cosa, attribuiamo una sostanza spirituale propria, in cui è la parola quando pronunzia, cui assiste la ragione, quando dispone, guida la virtù, quando attua.
Questa parola abbiamo compreso essere stata da Dio proferita e, nel proferirla, generata; e perciò Figlio di Dio e Dio essere stata chiamata per l'unità della sostanza.
Ché anche Dio è spirito.
12. Or quando il raggio viene emesso dal sole, è parte di un tutto; ma nel raggio ci sarà il sole, ché al sole appartiene il raggio, né la sostanza subisce una separazione, ma si estende.
Così da spirito spirito e da Dio Dio, come lume acceso da lume.
Integra rimane e senza perdite la materia matrice, sebbene più di una propaggine qualitativa tu di li tragga.
13 Così ciò che è partito da Dio è Dio e Figlio di Dio e un Dio unico entrambi: secondo nell'ordine, costituì numero per grado, non per condizione, e dalla matrice non si distaccò, ma emanò.
14. Orbene questo raggio di Dio, come per l'addietro era sempre preannunziato, in una vergine disceso e presa nel suo grembo forma di carne, nasce uomo unito a Dio.
La carne, plasmata di spirito, si nutre, cresce, parla, ammaestra, opera: è Cristo.
Accettate per ora questa leggenda ( è simile alle vostre ), mentre vi dimostro come Cristo si provi; e chi siano coloro che tra voi hanno in precedenza leggende del genere, ostili a questa, somministrato, per distrugger di questa la verità.
15. Anche i Giudei sapevano che sarebbe nato Cristo, come quelli ai quali parlavano i profeti.
E invero anche ora la sua venuta aspettano; né v'è altro contrasto fra noi e loro più grande di questo, che essi non credono che Egli sia già venuto.
Infatti essendo state annunziate due sue venute, una, che già s'è verificata nell'umiltà della condizione umana, l'altra, che alla chiusura del mondo sovrasta, nella sublimità della divinità manifestantesi, non comprendendo la prima, attendono la seconda, che, più chiaramente predetta, hanno creduto unica.
16. Che non comprendessero la prima ( vi avrebbero creduto, se l'avessero compresa, e la salvezza avrebbero conseguito, se vi avessero creduto ) fu delle loro colpe conseguenza.
Essi leggono scritto codesto: che essi sono stati puniti nel senno, nell'intelligenza, nel bene degli occhi e delle orecchie.
17. Colui, pertanto, che essi unicamente uomo, per la sua umiltà, avevano presunto, ne segui che essi lo stimassero un mago per la sua potenza: ché egli con la parola i demoni cacciava dagli uomini, la vista ai ciechi riaccendeva, i lebbrosi purificava, i paralitici rinvigoriva, in fine con la sola parola i morti alla vita restituiva, gli elementi stessi a servirlo costringeva, le procelle arrestando, camminando sul mare, di essere dimostrando quel Verbo primordiale di Dio, primogenito, da potenza e ragione accompagnato e dallo Spirito sorretto, quello stesso che con la parola tutto creava e aveva creato.
18. In presenza della sua dottrina, da cui venivano soprafatti, i maestri e i maggiorenti dei Giudei si esasperavano al punto ( tanto più che un'immensa moltitudine piegava a lui ), che alla fine davanti a Ponzio Pilato lo trassero, il quale allora la Siria per parte dei Romani governava; e con la violenza dei loro consensi gli estorsero che fosse loro consegnato per essere crocifisso.
Lo aveva predetto egli pure che così avrebbero fatto: questo sarebbe poco, se predetto non lo avessero precedentemente anche i profeti.
19. E tuttavia, confitto in croce, molti prodigi, propri di quella morte, manifestò.
Ché lo spirito emise da sé con la parola, l'ufficio prevenendo del carnefice.
Nello stesso istante il giorno, mentre il sole a mezzo il suo giro segnava, fu sottratto.
É vero, la stimarono un'eclisse coloro che non seppero che codesto, anche, sul conto di Cristo era stato predetto.
Con tutto ciò quell'avvenimento mondiale registrato lo trovate nei vostri archivi.
20. Allora i Giudei, calatolo e ripostolo in un sepolcro, di una forte guardia di soldati anche lo circondarono, diligentemente custodendolo: affinché, avendo egli predetto che da morte il terzo giorno sarebbe risorto, i discepoli, furtivamente il cadavere sottraendo, non deludessero i loro sospetti.
21. Ma ecco il terzo giorno improvvisamente la terra si scuote, la pietra pesante, che il sepolcro chiudeva, viene rovesciata, la guardia per lo spavento si disperde; e senza che nessun discepolo si mostrasse, nient'altro fu entro il sepolcro trovato che le spoglie di un sepolto.
22. Con tutto ciò i maggiorenti, cui a cuore stava divulgare la presenza di un delitto, e il popolo, loro tributario e soggetto, distogliere dal credere, la voce sparsero che era stato dai suoi discepoli sottratto.
E invero nemmeno egli uscì tra la moltitudine, affinché gli empi non si liberassero dall'errore, e perché la fede, a un non piccolo premio destinata, costasse difficoltà.
23. Ma con alcuni discepoli visse in Galilea, regione della Giudea, circa quaranta giorni, loro insegnando quello che insegnare avrebbero essi dovuto.
Quindi, dopo averli delegati all'ufficio di predicare per il mondo, da una nube circonfuso, fu accolto in cielo, molto più veracemente di quanto tra voi i Proculi di Romolo affermare sogliono.
24. Tutti questi avvenimenti riguardanti Cristo, Pilato, egli pure dentro di sé cristiano, al Cesare di allora, Tiberio, annunziò.
Ma anche i Cesari avrebbero in Cristo creduto, se o i Cesari non fossero necessari al mondo, o i Cesari essere anche cristiani avessero potuto.
25. Inoltre i discepoli, sparsisi per il mondo, in conformità del comando del maestro Dio, obbedirono; e dopo aver molto sofferto essi pure per parte dei Giudei, che li perseguitavano, da ultimo, a causa della crudeltà di Nerone, per la fede nella Verità ben volentieri in Roma sangue cristiano seminarono.
26. Ma vi mostrerò dei testimoni degni di Cristo proprio in coloro, che voi adorate.
Gran cosa è se, per farvi credere ai Cristiani, mi valgo di quelli, per opera dei quali ai Cristiani non credete.
Per ora questa è la cronologia della nostra instituzione, questa della setta l'origine e del nome, che insieme col suo autore vi ho dichiarato.
27. Nessuno più ci diffami, nessuno ad altra cosa pensi, ché a nessuno mentire è lecito sul conto della propria religione.
E invero col fatto che egli dice di adorare altro da quello che adora, rinnega quello che adora; e l'adorazione e il culto trasferisce in altro, e, in altro trasferendolo, non adora più quello che ha rinnegato.
28. Lo diciamo e apertamente lo diciamo; e dilaniati e insanguinati a voi che ci torturate lo gridiamo: « adoriamo Dio per mezzo di Cristo ».
Ritenetelo pure un uomo: per mezzo di Lui e in Lui Dio essere conosciuto e adorato vuole.
29. Per rispondere ai Giudei, affermo che essi pure ad adorare il Signore per mezzo di un uomo appresero, Mosè; per fronteggiare i Greci, dico che Orfeo nella Piena, Museo in Atene, Melampo in Argo, Trofonio in Beozia gli uomini obligarono per mezzo di iniziazioni; per guardare anche a voi, dominatori dei popoli, fu un uomo, Numa Pompilio, che i Romani gravò di penosissime superstizioni.
30. Può essere stato lecito anche a Cristo inventare una divinità, come sua proprietà: non per disporre a umanità uomini zotici e ancora barbari, sbalordendoli con una moltitudine di tanti dei da doversi propiziare, come fece Numa; ma per illuminare con essa divinità e condurre alla conoscenza della verità uomini ormai civilizzati e dalla stessa loro civiltà ingannati.
Cercate, dunque, se codesta divinità di Cristo è vera.
31. Se è tale che uno, conosciutala, si rinnova alla pratica del bene, ne segue che si palesi e dichiari con ogni ragione falsa, anzi tutto, quella che, nascondendosi sotto nomi e immagini di morti, per via di certi segni e miracoli e oracoli la credenza produce nella sua divinità.
Origine, natura e attività dei demoni.
1. Appunto noi affermiamo esistere certe sostanze spirituali.
Il nome non n'è nuovo: i filosofi conoscono i demoni, ché Socrate stesso in attesa stava della volontà di un demone.
Come no? dal momento che si dice che anche a lui un demone fin dalla fanciullezza si fosse messo ai fianchi, per dissuaderlo, è chiaro, dal bene.
2. Tutti i poeti sanno che i demoni esistono; anche il volgo indotto entrare li fa sovente nell'uso delle maledizioni.
E invero anche il nome di Satana, principe di questa mala genia, con la voce stessa pronuncia dell'esecrazione, come per una consapevolezza propria dell'anima.
Quanto anche agli angeli, nemmeno Platone ne negò l'esistenza.
L'uno e l'altro nome perfino i Maghi sono lì ad attestarlo.
3. Ma come da certi angeli, per loro volontà corrotti, la gente più corrotta dei demoni sia derivata, da Dio condannata insieme con gli autori della loro razza e con quel loro principe che ho nominato, per ordine si conosce nella Scrittura santa.
4. Per ora parlare basterà intorno alla loro attività.
L'attività loro è dell'uomo il pervertimento: così di quegli spiriti la perversità fin dai primordi s'iniziò, a rovina dell'uomo.
Pertanto ai corpi malattie invero arrecano e casi dolorosi; all'anima, invece, turbamenti repentini e straordinari, violentandola.
Li soccorre, per arrivare all'una e all'altra sostanza dell'uomo, la loro sottigliezza e tenuità.
5. Molto lice a delle forze spirituali, talché, invisibili e impercettibili, piuttosto nei loro effetti si rivelano, che nei loro atti: qualora i frutti o le biade non so quale vizio dell'aria occulto distrugga in fiore o uccida in germe o ferisca nel loro sbocciare; e qualora un'aria viziata in maniera inesplicabile dei suoi soffi pestilenziali li investa.
6. Orbene con la medesima forma occulta di contagio, dei demoni-angeli l'inspirazione anche le corruttele produce della mente, con furori e follie sconce o libidini crudeli accompagnate da errori vari, dei quali il principale è questo, con cui alle menti ingannate e soprafatte degli uomini il culto raccomanda di codesti vostri dei, per procurare a sé il pasto loro proprio, vale a dire il profumo delle vittime e il sangue offerti ai simulacri e alle immagini.
7. E quale pasto più squisito v'è per essi, che la mente dell'uomo dal pensiero della vera divinità stornare con fallacie ingannatrici?
Come codeste appunto riescano a compiere, esporrò.
8. Ogni spirito è alato: codesta qualità possiedono gli angeli-demoni.
Perciò in un istante sono da per tutto.
Tutto il mondo è per essi un luogo solo: quanto e dove si compia, con la stessa facilità sanno, con cui lo annunziano.
Questa velocità loro si ritiene divina, perché se ne ignora la natura.
Così talora anche apparire vogliono autori di quanto annunziano.
9. E indubbiamente autori sono di mali, talora: di beni, però, mai.
Anche le disposizioni di Dio colsero un tempo, quando i profeti le rivelarono al pubblico, e colgono ora, quando si leggono ad alta voce.
Così di qui certi pronostici desumendo del tempo futuro, di emulare tentano la divinità, mentre rubano la divinazione.
10. Con quale abilità, poi, negli oracoli le ambiguità adattino agli eventi, lo sanno i Cresi, lo sanno i Pirri.
Del resto che si stava cuocendo una testuggine con carne di agnello, il Pitio lo annunziò nel modo sopra detto: in un attimo era stato in Lidia.
Hanno anche mezzo di conoscere le condizioni del cielo, per via del loro abitare nell'aria, del trovarsi in vicinanza degli astri e in contatto con le nubi, così da promettere piogge, di cui già hanno sentore.
11. É vero, benefici anche sono nei riguardi delle cure delle malattie.
Infatti in un primo tempo danneggiano, poi, per ottenere il miracolo, rimedi strani o contrari prescrivono: dopo di che di danneggiare cessano e che abbiano guarito si crede.
12. Che dire, dunque, delle altre ingegnosità o anche capacità di questi spiriti fallaci? dei fantasmi dei Castori, dell'acqua recata entro uno staccio e della nave fatta avanzare con un cinto e della barba fatta rossa col contatto, affinché delle pietre fossero credute numi e il Dio vero non fosse cercato?
Demoni sono gli dei adorati dai Pagani, come confessano quegli stessi dei, quando vi sono costretti dallo scongiuro dei Cristiani
1. Inoltre, se anche i Maghi creano dei fantasmi e le anime dei defunti perfino disonorano, se bimbi trucidano, per trarre la rivelazione di un responso, se con fallacie ingannatrici molti miracoli si divertono a operare, se anche sogni inspirano, in loro assistenza avendo il Potere degli angeli-demoni, una volta per tutte invitati, per opera dei quali capre e mense hanno per costume di divinare: quanto più quel potere per proprio conto e per proprio interesse non dovrebbe con tutte le forze studiarsi di operare quello che al servizio mette di un interesse altrui!
2. Oppure, se gli angeli-demoni quello stesso operano che anche i vostri dei, dov'è in tal caso la superiorità della divinità, che certamente credere si deve essere superiore ad ogni potere?
Non sarà dunque più conveniente presumere essere essi, i demoni, che si fanno dei, quando le medesime cose operano che li fanno passare per dei, piuttosto che ritenere che gli dei pari siano agli angeli-demoni?
3. Si fa distinzione e differenza, penso, fra i luoghi, di modo che nei templi ritenete dei quelli, che altrove dei non chiamate; talché diversamente sembri fare il pazzo uno che le sacre torri trasvola, e diversamente quello che i tetti dei vicini attraversa; e che un'altra potenza si riveli in colui che i genitali o le braccia, e in colui che la gola si sega.
Pari le conseguenze della pazzia furiosa, uno è il genere dell'instigazione.
4. Ma basta con le parole. D'ora in avanti dimostrazione proprio di fatti, con cui vi proverò essere la stessa la qualità di entrambi i nomi.
Si mostri qui, proprio davanti ai vostri tribunali, uno che sotto l'azione di un demone essere risulti: all'imposizione di parlare, fattagli da un cristiano qualsivoglia, quello spirito veracemente confesserà di essere un demone, come altrove falsamente confessò di essere un dio.
5. Ugualmente si conduca innanzi uno di quelli che sono ritenuti subire l'influenza di un dio, di coloro che, sopra le are alitando, la divinità aspirano dal profumo, coloro, che a furia di rutti guariscono, che ansimando profetizzano.
6. Codesta stessa vergine Celeste, di pioggia promettitrice, codesto stesso Esculapio, di rimedi rivelatore, somministratore della vita a un Socordio, a un Tenatio, a un Asclepiodoto, destinati a morire l'indomani: se di essere demoni non confesseranno, a un cristiano mentire non osando, lì stesso il sangue di quel cristiano sfrontatissimo versate.
7. Che di più chiaro di un tale procedimento?
Che di più fedele di una tale prova?
La verità semplice è nel mezzo, la sua virtù l'assiste: non sarà permesso aver sospetti.
Direte che codesto per virtù di magia avviene o per un imbroglio del genere, se i vostri occhi o le vostre orecchie ve lo permetteranno.
8. Ma che si può obiettare contro ciò che nella nuda sincerità si mostra?
Se, d'altra parte, sono veramente dei, perché di essere demoni, mentendo, dicono?
Forse per fare piacere a noi?
Allora senz'altro la vostra divinità ai Cristiani è soggetta.
Ma non è da stimarsi divinità quella che a un uomo è soggetta e, ciò che torna a disdoro, a un suo nemico.
9. Se, d'altra parte, sono vuoi demoni, vuoi angeli, perché altrove di agire in qualità di dei rispondono?
E invero, come quelli che sono ritenuti dei chiamarsi demoni non avrebbero voluto, se veramente fossero dei - è chiaro, per non rimetterci della loro maestà -, così anche questi, che positivamente conoscete essere demoni, altrove agire in qualità di dei non oserebbero, se effettivamente degli dei esistessero, dei cui nomi abusano: avrebbero, infatti, timore di abusare della maestà di esseri a loro senza dubbio superiori, e tali da doversi paventare.
10. Così non esiste affatto codesta divinità, che ritenete esistere; perché, se esistesse, né i demoni confesserebbero di simularla, né gli dei la rinnegherebbero.
Poiché dunque l'una e l'altra parte in una confessione si accordano, l'esistenza negando degli dei, riconoscete che esiste un'unica genia, quella dei demoni, dall'una parte e dall'altra realmente.
11. Ora cercate degli dei: ché quelli che tali avevate presunti, conoscete essere demoni.
Ugualmente per opera mia, per bocca dei medesimi dei vostri rivelanti, non solo non essere dei essi e nemmeno nessun altro, ma anche codesto contemporaneamente verrete a conoscere, chi sia veramente Dio, se quello e unico che i Cristiani confessano; e se creduto e adorato essere debba così, come la fede dispone e la disciplina dei Cristiani.
12. Diranno in pari tempo anche chi sia quel Cristo con la sua leggenda: se un uomo di condizione comune, se un mago, se dopo la morte dai discepoli sottratto al sepolcro; se ora finalmente si trovi tra gl'inferi, se non piuttosto in cielo, destinato a venire di là tra il sommovimento di tutto l'universo, tra l'orrore del mondo, tra il pianto universale, non però dei Cristiani; quale possanza di Dio e spirito di Dio e parola e sapienza e ragione e figlio di Dio.
13. Si provino a ridere anch'essi con voi di tutto quanto ridete voi; si provino a negare che Cristo ogni anima restituita dall'inizio dei tempi al corpo giudicherà; si provino a dire davanti a questo tribunale se per avventura codesto ufficio Minosse e Radamanto hanno sortito, secondo la concorde opinione di Platone e dei poeti.
14. Si provino almeno a respingere il marchio della loro vergognosa condanna; neghino di essere spiriti immondi, cosa che anche dalle loro pasture si sarebbe dovuta comprendere, dal sangue e dal fumo e dai puzzolenti roghi degli animali e dalle lingue impurissime degli stessi vati; neghino di essere stati per la loro malizia in precedenza condannati per il giorno medesimo del giudizio con tutti i loro adoratori e le loro operazioni.
15. Sennonché tutto codesto dominio e potestà nostra su di loro la sua forza trae dal pronunciare il nome di Cristo e dal ricordare quello che secondo il volere di Cristo loro da parte di Dio sovrasta e attende.
Cristo temendo in Dio e Dio in Cristo, ai servi di Dio e di Cristo si assoggettano.
16. Così per il solo contatto e soffio nostro, dalla vista afferrati e dalla rappresentazione di quel fuoco, al nostro comando anche si allontanano dai corpi, di malavoglia e dolenti e vergognosi per la vostra presenza.
Credete loro, quando sul proprio conto il vero parlano, voi che loro credete quando mentiscono.
17. Nessuno a proprio disdoro mentisce; sì bene, invece, per averne onore.
Più manifesta è la credibilità in coloro che a proprio danno confessano, che in coloro che a proprio vantaggio negano.
18. In fine codeste testimonianze dei vostri dei sogliono creare dei Cristiani; il più spesso credendo ad essi, crediamo in Cristo Signore.
Essi la fede accendono nelle nostre Scritture, essi la fiducia in quello che speriamo costruiscono.
19. Voi li onorate a quanto mi consta, anche col sangue dei Cristiani.
Non vorrebbero, dunque, perdere voi tanto utili, tanto servizievoli verso di essi - non fosse altro, per non essere un giorno messi in fuga da voi divenuti Cristiani -, se ad essi, davanti a un Cristiano che vuole provare a voi la verità, mentire fosse lecito.
Non dunque meritano i Cristiani di essere accusati di lesa religione per non adorare dei demoni.
Inoltre è ingiusto negare ai Cristiani quella libertà religiosa, che è concessa a tutti i popoli.
1. Tutta codesta confessione di quei demoni, con cui di essere dei negano e con cui rispondono non esservi altro dio tranne quell'unico, cui noi serviamo, è sufficientemente idonea a respingere l'accusa di lesa religione, specialmente romana.
E invero, se non esistono per certo dei, nemmeno esiste per certo una religione; se una religione non esiste, perché non esistono dei, per certo nemmeno noi, per certo, rei siamo di lesa religione.
2. Per contro, invece, su di voi la rampogna rimbalzerà, che, di culto la menzogna onorando, e la vera religione del vero Dio non solo trascurando, ma per di più impugnando, commettete contro la verità un delitto di vera irreligiosità.
3. Orbene, ammesso che risultasse essere quelli dei, non concederete, in base all'opinione comune, esservi un dio più alto e potente, come dire un dio principe dell'universo, di assoluta maestà?
E invero così anche molti la divinità stabiliscono, da volere che l'impero e la dominazione somma presso uno solo si trovi, e i suoi uffici presso molti.
Così Platone un Giove grande nel cielo descrive, da un esercito accompagnato di dei, e, in pari tempo, di demoni:
4. doversi perciò venerare del pari anche i suoi procuratori e prefetti e governatori.
E tuttavia qual colpa commette chi l'opera sua, in cui spera, indirizza a guadagnarsi piuttosto il favore del Cesare, e l'appellativo di dio, come quello di imperatore, ad altri non attribuisce che a chi tiene il primo posto, giudicandosi delitto capitale altri, tranne Cesare, chiamare tale e obbedirgli come tale?
5. Uno onori Dio, un altro Giove; uno le mani supplici verso il cielo tenda, altri verso l'ara della Fede; uno, se credete, conti, pregando, le nuvole, un altro le travi del soffitto; uno al proprio Dio voti l'anima propria, altri quella di un caprone.
6. Badate, infatti, che non concorra anche questo al delitto di irreligiosità, togliere la libertà di religione e la scelta interdire della divinità, così che non mi sia permesso onorare chi voglio, ma sia costretto a onorare chi non voglio.
Nessuno vorrà essere onorato da chi non vuole farlo, nemmeno un uomo.
7. E per vero agli Egiziani è data la facoltà di praticare una così vana superstizione, col divinizzare uccelli e bestie e condannare nel capo chi qualcuno di questi dei abbia ucciso.
Inoltre ogni provincia e città ha un suo dio, come la Siria Astarte, l'Arabia Dusare, il Norico Beleno, l'Africa Celeste, la Mauritania i suoi principi.
8. Ho nominato, credo, province romane, né tuttavia sono romani i loro dei; ché non sono in Roma onorati più che non siano quelli, che anche attraverso l'Italia stessa hanno il loro riconoscimento per un culto municipale: Deluentino fra quei di Cassino, Visidiano fra quei di Narni, Ancaria fra quelli di Ascoli, Norzia fra quelli di Volsinio, Valenzia fra quelli di Ocricoli, Ostia fra quelli di Sutri, tra i Falisci Giunone, che in onore del padre Curis anche ne prese l'appellativo.
9. Invece a noi soli di professare è impedito una religione propria.
Offendiamo i Romani e non siamo ritenuti Romani, noi che una divinità non propria dei Romani onoriamo.
10. Per fortuna che c'è un Dio di tutti, a cui tutti, si voglia o non si voglia, apparteniamo.
Ma tra voi onorare di culto è lecito qualunque cosa, tranne il Dio vero: quasi che questo non sia piuttosto il Dio di tutti, a cui tutti apparteniamo.
Non all'opera degli dei è debitrice Roma della sua grandezza, ché l'origine di quelli è posteriore alla origine di Roma.
La quale, inoltre, distrusse le città, dove vigeva il culto di quelli.
1. Ma abbastanza prove della falsa e della vera divinità sembrami avere addotto, dimostrando come le prove non solo su ragionamenti si fondino, né solo su argomenti, ma anche su testimonianze di quelli stessi, che ritenete dei; talché di ritornare non c'è bisogno più sopra questa questione.
2. Ma poiché interviene la menzione particolarmente della gente romana, non tralascerò la discussione provocata dalla presunzione di coloro, che affermano i Romani per merito della loro religiosità diligentissima essere tanto in alto saliti, da occupare il mondo; ed essere tanto vero che gli dei esistono, che più degli altri prosperano coloro, che più degli altri sono verso di essi riguardosi.
3. Già: codesta ricompensa è stata alla gente romana per gratitudine pagata dagli dei romani!
É stato Sterculo e Mutuno e Larentina ad estendere l'Impero!
Ché non vorrei credere che degli dei forestieri abbiano voluto che codesto a una gente straniera capitasse, piuttosto che alla propria; e che il patrio suolo, in cui sono nati, cresciuti, nobilitati e sepolti abbiano ceduto a gente d'oltremare.
4. Se la veda Cibele, se alla città romana si è affezionata, in ricordo della gente troiana, da essa protetta contro le armi degli Achei, in quanto, si capisce, del suo paese: voglio dire, se provvide a passare dalla parte dei vendicatori, cui sapeva che avrebbero la Grecia soggiogato, debellatrice della Frigia.
5. Essa, dunque, trasportata nell'urbe, una grande prova della sua maestà anche ai nostri giorni rivelò: quando, essendo stato Marco Aurelio strappato allo Stato a Sirmio il 17 marzo, quell'archigallo veneratissimo il 24 dello stesso mese, in cui di sangue impuro faceva libagioni, incidendosi anche le braccia, i soliti ordini di pregare ugualmente diede per la salute dell'imperatore Marco, già morto.
6. O messi tardi, o dispacci sonnolenti, per cui colpa Cibele la morte dell'imperatore prima non conobbe, per impedire che i Cristiani di una tale dea ridessero!
7. Ma nemmeno Giove avrebbe dovuto senz'altro permettere che la sua Creta dei fasci romani il colpo subisse, dimenticando quell'antro dell'Ida e i bronzi dei Coribanti e quel dolcissimo odore colà della sua nutrice!
Non avrebbe egli dovuto preferire quel suo sepolcro a tutto il Campidoglio, affinché sul mondo quella terra piuttosto dominasse, che le ceneri coperse di Giove?
8. Avrebbe mai potuto Giunone volere che distrutta fosse la città punica, da lei amata e preposta a Samo, proprio dal popolo degli Eneadi?
Che io sappia, « Là erano le sue armi. Là il suo cocchio: che qui l'impero fosse sopra le genti, Se i fati lo permettessero, già fin d'allora essa tendeva e si sforzava ».
Quella povera sposa e sorella di Giove forza non ebbe contro i destini.
É vero: Giove stesso sottostà al fato.
9. Ma tuttavia i Romani non attribuirono ai fati, che loro consegnarono Cartagine contro la decisione e i desideri di Giunone, tanto onore, quanto a quella prostitutissima meretrice di Larentina.
10. è sicuro che parecchi dei vostri dei furono re.
Orbene, se il potere possiedono di conferire un regno, quando regnarono essi, da chi quel beneficio ricevettero?
Chi Saturno e Giove avevano venerato? Uno Sterculo, penso.
Sennonché questa divinità, insieme con le relative formule di preghiere, venne in Roma più tardi.
11. Ma anche se alcuni non furono re, tuttavia erano sotto il regno di altri non ancora loro adoratori, da poiché non ancora dei erano essi ritenuti.
Dunque ad altri si appartiene concedere il regno, giacché molto prima si regnava che di questi dei si scolpissero le immagini.
12. Ma quanto vano non è mai la grandezza della gente romana attribuire al merito della religiosità, dal momento che dopo la costituzione dell'impero - o meglio tuttora del regno - si sviluppò la religione!
Infatti, sebbene da Numa la mania delle pratiche superstiziose sia stata concepita, tuttavia il culto tra i Romani non ancora di simulacri o di templi risultava.
13. Religione frugale e riti poveri e nessun Campidoglio dagli edifici in gara di toccare il cielo; ma altari casuali, fatti di zolle, e vasi ancora di Samo e un fumo sottile: in nessun luogo la persona stessa del dio.
Non ancora infatti a quel tempo ingegni di Grecia e di Toscana avevano l'urbe inondata con la fabbrica di loro simulacri.
Perciò i Romani non furono religiosi prima che grandi; perciò non per questo grandi, perché religiosi.
14. Anzi come mai grandi per la loro religiosità essi, cui per la loro irreligiosità derivò la grandezza?
Se non m'inganno, infatti, ogni regno o impero con le guerre si conquista e con le vittorie si estende.
D'altra parte guerre e vittorie di città prese e abbattute per lo più risultano.
Codesta faccenda senza offesa degli dei non torna: le stesse le distruzioni di mura e di templi, pari di cittadini e di sacerdoti le stragi, e non dissimili delle ricchezze sacre e profane le rapine.
15. Pertanto tanti i sacrilegi dei Romani, quanti i trofei; tanti i trionfi sopra gli dei, quanti sopra i popoli; tante le prede, quanti i simulacri, che tuttora rimangono, degli dei tratti in prigionia.
16. Orbene, tollerano di essere dai loro nemici adorati, anzi un impero senza termine concedono a coloro, di cui le offese, più che le adulazioni, avrebbero dovuto rimunerare?
Vero è che esseri, i quali nulla sentono, altrettanto impunemente offendere si lasciano, quanto inutilmente adorare.
17. Certo non si può convenientemente prestar fede che appaiano essere per merito di loro religiosità cresciuti coloro, che, come abbiamo esposto, offendendo la religione crebbero o crescendo la offesero.
Anche quei popoli, i cui regni nel complesso dell'impero romano confluirono, quando questi regni perdettero, senza instituzioni religiose non erano.
Chi i regni dispensa è Dio, che fu prima di tutti i tempi e alla cui volontà tutto è sottoposto.
1. Vedete dunque se i regni non dispensi Colui, a cui si appartiene anche il mondo, sul quale regna, e l'uomo stesso, che regna; se non abbia nei tempi le successioni delle dominazioni ordinato nel mondo Colui, che prima di ogni tempo fu, e il mondo, quale corpo fatto di tempi, creò; se non sia Colui, che le città innalza o deprime, sotto il quale si trovò un tempo, senza città, il genere umano.
2. Perché vivete nell'errore?
La Roma delle selve prima viene di alcuni suoi dei; prima regnò che costruisse tanta ampiezza di Campidoglio.
Avevano i Babilonesi regnato prima che ci fossero i pontefici, e i Medi prima che ci fossero i quindecemviri; e gli Egiziani, prima che ci fossero i Salii, e gli Assiri, prima che ci fossero i Luperci, e le Amazoni, prima che ci fossero le vergini Vestali.
3. In fine, se sono le religioni romane che dànno i regni, mai per l'addietro non avrebbe regnato la Giudea, di codeste divinità comuni sprezzatrice; la Giudea, il cui Dio, anche, di vittime e il tempio di doni e il popolo di patti voi Romani avete per qualche tempo onorato: su la quale mai dominato non avreste, se, da ultimo, colpevole davanti a Dio resa non si fosse, mettendosi contro Cristo.
I Cristiani potrebbero fingere di prestarsi ai riti pagani.
Non lo fanno perché non vogliono rinnegare nemmeno apparentemente la loro fede; e sacrificandosi per essa riportano sul potere demoniaco la vittoria più splendida.
1. Ma basti codesto contro l'accusa intentataci di lesa divinità, per difenderci dalla parvenza di offendere una divinità, che abbiamo dimostrato non esistere.
Perciò invitati a sacrificare, ci rifiutiamo per serbar fede alla nostra coscienza, in base alla quale con sicurezza sappiamo a chi codesti servizi arrivino sotto le immagini esposte e sotto nomi di uomini deificati.
2. Ma alcuni reputano pazzia il fatto che, potendo per il momento sacrificare e andarcene illesi, il nostro proposito nell'animo conservando, l'ostinazione preferiamo alla salvezza.
3. Voi, è chiaro, un consiglio ci date, con cui illudervi; ma noi conosciamo onde codesti inviti provengano, chi tutto codesto diriga: e come, ora con l'astuzia del persuadere, ora con la durezza dell'incrudelire, lavori per abbattere la nostra costanza.
4. É chiaro: è quello spirito di costituzione demoniaca e, a un tempo, angelica, che, divenuto nostro nemico per la sua rivolta, e invidioso per la grazia di Dio a noi concessa, contro di noi lotta servendosi delle vostre menti, con occulta inspirazione regolandole e subornandole ad ogni perversità di giudizio e iniquità di sevizie, come da principio abbiamo premesso.
5. E invero, sebbene sia a noi sottoposta totalmente la potenza dei demoni, voglio dire di tali spiriti, tuttavia, come servi tristi, talvolta alla paura mescono la ribellione e di offendere bramano quelli, che in altri momenti temono.
Ché anche la paura inspira l'odio.
6. Senza dire che la loro condizione disperata, in seguito alla condanna in precedenza pronunciata, considera un conforto quello di trarre frattanto un profitto maligno dall'indugio del castigo.
E tuttavia, messi alle strette, soggiogare si lasciano e soggiacciono alla loro condizione: e quelli, che da lontano combattono, da vicino supplicano.
7. Pertanto, quando a mo' di quello che negli ergastoli ribellantisi avviene o nelle carceri o nelle miniere o in stati di schiavitù penale del genere, irrompono contro di noi, in cui potere si trovano, pur sicuri di essere impari e perciò maggiormente disperati, di mala voglia resistiamo loro come uguali, e per forza lottiamo persistendo in quello che essi attaccano; ma di essi mai maggiormente trionfiamo, come quando per la nostra fermezza nella fede veniamo condannati.
Il culto prestato per costrizione, quale si esige dai Cristiani, è un non senso.
1. Ma poiché sembrerebbe facilmente ingiusto che uomini liberi venissero costretti a sacrificare contro lor voglia - ché anche in altri casi si prescrive un animo volonteroso per compiere un rito divino: certo sarebbe ritenuto sciocco, se uno costringesse un altro a onorare quegli dei, che il dovere avrebbe di placare spontaneamente nel proprio interesse; se non vuole, com'è naturale, sentirsi dire in nome della libertà: « Non voglio che Giove mi sia propizio; tu chi sei? Giano mi si rivolga, adirato, con la faccia che vuole: che hai tu da fare con me? » -, è certo che per influsso dei medesimi spiriti voi siete indotti a costringerci a sacrificare per la salute dell'imperatore; ed è stata a voi imposta la necessità di costringerci, come a noi l'obbligo di affrontare la prova.
2. Eccoci dunque alla seconda imputazione arrivati, quella di offendere una maestà più augusta, dacché con maggiore paura e più astuto timore rispettosi vi mostrate verso Cesare, che verso Giove stesso dell'Olimpo.
E giustamente, se siete in grado di capire.
Chi, infatti, qualsiasi fra i vivi, non è a un morto preferibile?
3. Ma voi nemmeno questo in seguito a un ragionamento fate: sì, piuttosto, per un riguardo a un potere di efficacia immediata.
Così anche in questo vi fate cogliere irreligiosi verso i vostri dei, dal momento che un timore maggiore a un padrone umano dedicate.
In somma tra voi più facilmente per tutti quanti gli dei si spergiura, che per il solo Genio di Cesare.
Gli dei non sono in grado di proteggere l'imperatore.
Sono essi, invece, e il loro culto alle dipendenze dell'imperatore.
1. Risulti, dunque, prima, se questi dei, cui si fa sacrificio, di largire siano in grado la salute all'imperatore o a qualsiasi uomo; e poi sotto accusa metteteci di lesa maestà; se vuoi angeli, vuoi demoni, sostanze spirituali pessime, un qualche beneficio operano; se degli esseri perduti conservano, se degli esseri dannati liberano, se, in fine, per quanto siete consci, dei morti proteggono dei vivi.
2. E invero non v'è dubbio che le loro statue e immagini e templi anzi tutto gli dei proteggerebbero, la cui incolumità, penso, garantiscono invece i soldati di Cesare con le loro guardie.
Se non erro, poi, quegli stessi materiali dalle miniere di Cesare provengono, e i templi per volontà di Cesare interamente sussistono.
3. In fine molti dei Cesare adirato ebbero: fa al mio proposito anche se l'hanno favorevole, quando usa ad essi qualche liberalità o privilegio.
Così coloro che in potere sono di Cesare, al quale anche interamente appartengono, come avranno la salute di Cesare in loro potere, così da apparire di poterla garantire, mentre, invece, essi più facilmente da Cesare la ottengono?
4. Per questo, dunque, noi verso la maestà degl'imperatori colpevoli ci rendiamo, perché non li mettiamo al di sotto delle cose loro, perché non ci prendiamo gioco dell'obbligo di pensare alla loro salute, che non crediamo si trovi in mani saldate col piombo?
5. Voi, invece, irreligiosi siete, che quella salute cercate dove non è, domandate a chi darla non la può, da parte lasciando Colui, in cui potere quella si trova: e per di più coloro perseguitate, che la sanno domandare, che in grado sono anche d'impetrarla, mentre sanno domandarla.
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