Imitazione di Cristo |
« Andrò dal Signore a confessare il mio peccato » ( Sal 32,5 ); confesserò a te, Signore, la mia debolezza.
Spesso è una cosa da poco quella che mi deprime e mi contrista.
Propongo di agire da forte, ma appena sorge una lieve tentazione, la mia angustia, si fa grande.
Alle volte da un motivo assai lieve proviene un grave turbamento.
E mentre mi stimo un tantino sicuro, non accorgendomi del pericolo, ecco che un filo di brezza quasi mi rovescia.
« Vedi, Signore, la mia sventura e la mia pena » ( Sal 25,18 ); la mia fragilità è a te nota in tutta la sua estensione.
Abbi pietà di me, « tirami su dal pantano, ch'io non affondi » ( Sal 69,15 ) e non vi rimanga sommerso per sempre.
È questo che frequentemente mi avvilisce e mi confonde dinanzi a te, il vedermi tanto cedevole e fiacco nella resistenza alle passioni.
Benché non arrivino fino a strapparmi il consenso, tuttavia quella persecuzione mi è fastidiosa; mi è greve e di tanto tediò vivere quotidianamente in lotta con me stesso.
E ho conoscenza della mia debolezza, perché le abbominevoli fantasie irrompono sempre più facilmente che non se ne partano.
Fortissimo Dio di Israele, difensore delle anime fedeli, vorrei che tu guardassi alla fatica e all'afflizione del tuo servo e lo assistessi in tutte le cose che sto per intraprendere.
Corroborami con la celeste fortezza perché non predomini il vecchio uomo, cioè la misera carne non ancora pienamente sottomessa allo spirito; contro di essa bisognerà sempre combattere fino a quando c'è fiato in questa infelicissima vita.
Ahimè, che vita è mai questa, sempre intessuta di dolori e di miserie, dove tutto è popolato di insidie e di nemici?
Una tentazione o una tribolazione se ne va e ne viene un'altra, anzi mentre dura ancora il conflitto con la prima, all'improvviso ne sopraggiungono altre.
E come si può amare questa vita, colma di tante amarezze, soggetta a tante sventure e calamità?
Che anzi, come si può chiamar vita una vita che genera tante morti e rovine?
Tuttavia è amata e molti ripongono in essa la loro felicità.
Si rimprovera sovente il mondo d'essere fallace e vano, tuttavia non lo si abbandona facilmente, perché si è troppo dominati dai desideri del senso.
Senonché altre ragioni inducono ad amare il mondo, altre a disprezzarlo.
Traggono ad amarlo la febbre della carne, la cupidigia degli occhi e la superbia della vita; mentre i castighi e le miserie che giustamente ne conseguono producono l'odio e il disgusto.
Ma purtroppo i piaceri malvagi vincono l'anima schiava del mondo, la quale « stima delizia lo stare fra le ortiche » ( Gb 30,7 ), perché non conobbe e non gustò mai la soavità di Dio e l'interno godimento della virtù.
Quelli invece che totalmente disprezzano il mondo e si studiano di vivere per Iddio con una regola santa non ignorano le divine dolcezze promesse ai saggi rinunciatari; essi vedono con tutta chiarità quanto gravemente il mondo erri e in quanti modi s'inganni.
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