Il potere della croce |
Un uomo, che era anche un credente e un poeta, ha raccontato così, in terza persona, la storia del più grande atto di fede della sua vita.
Un uomo - dice - ( e si sa che quest'uomo era lui stesso ) aveva tre figli e un giorno essi si ammalarono.
Sua moglie aveva una tale paura, che aveva lo sguardo fisso al di dentro e la fronte sbarrata e non diceva più una parola.
Ma lui era un uomo; non aveva paura di parlare.
Aveva capito che le cose non potevano andare avanti cosi.
Allora aveva fatto un colpo di audacia.
Per esso si ammirava anche un po' e bisogna dire che era stato un colpo ardito.
Come si prendono tre bambini da terra e si mettono tutti e tre insieme, contemporaneamente, quasi per gioco, nelle braccia della loro madre o della loro nutrice che ride e da in esclamazioni, perché le se ne mettono troppi e non avrà la forza di portarli, così lui, ardito come un uomo, aveva preso - con la preghiera - i suoi bambini nella malattia e tranquillamente li aveva messi nelle braccia di Colei che è carica di tutti i dolori del mondo ( aveva fatto un pellegrinaggio da Parigi a Chartres per affidare i suoi bambini alla Madonna ).
« Vedi - diceva - te li do e mi voltò e scappo perché tu non me li renda. Non li voglio più, lo vedi bene! ».
Come si applaudiva di aver avuto il coraggio di fare quel colpo.
Da quel giorno, tutto andò bene, naturalmente, poiché era la Santa Vergine a occuparsene.
È perfino curioso che non tutti i cristiani facciano altrettanto.
È così semplice; non si pensa mai a ciò che è semplice.
Insomma si è sciocchi, tanto vale dirlo subito.1
Ho iniziato, in modo un po' insolito, con questa storia di un « colpo di mano », perché, in questo giorno, siamo invitati, dalla parola di Dio, a fare anche noi un colpo simile.
Gesù, spiegando in anticipo il significato della sua morte di croce, disse un giorno: « Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna » ( Gv 3,14 ).
Credere è dunque la grande opera da compiere, il Venerdì Santo, davanti a Gesù crocifisso.
Egli è stato « innalzato » sulla croce ed è, misteriosamente, lì, fino alla fine del mondo ( anche se risorto ), perché l'umanità, contemplandolo, creda.
Ma che cosa dobbiamo credere? San Paolo, nell'epistola ai Romani, scrive: « Ora … si è manifestata la giustizia di Dio, per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono.
E non c'è distinzione. Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio ».
Tutti, senza distinzione; l'unica distinzione è che alcuni sanno questo, altri lo ignorano ancora, altri lo hanno dimenticato.
Tutti, dunque, hanno peccato.
« Ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, in virtù della redenzione operata da Cristo Gesù.
Dio lo ha prestabilito a servire come strumento di espiazione, per mezzo della fede nel suo sangue » ( Rm 3,21-25 ).
Ecco cosa dobbiamo credere: che, in Cristo, Dio ci offre la possibilità di essere giustificati mediante la fede, cioè resi giusti, perdonati, salvati, fatti creature nuove.
Questo è il significato di « giustizia di Dio ».
Dio si fa giustizia, usando misericordia.
In questa nuova creazione, si entra mediante la fede.
« Convertitevi e credete », andava dicendo Gesù all'inizio del suo ministero ( Mc 1,15 ): convertitevi, cioè credete, convertitevi credendo!
Entrate nel regno che è apparso tra voi!
Ora, dopo la Pasqua, la stessa cosa ripetono gli apostoli, riferendosi al regno che è definitivamente venuto e che è Cristo Gesù crocifisso e risorto.
La prima, fondamentale conversione è la fede stessa.
È la fede la porta per cui si entra nella salvezza.
Se ci fosse detto: la porta è l'innocenza, la porta è l'osservanza esatta dei comandamenti, è la tale o tal' altra virtù, avremmo potuto dire: Non è per me! Io non sono innocente, non ho tale virtù.
Ma ci viene detto: la porta è la fede. Credi!
Questa possibilità non è troppo alta per te, ne troppo lontana da te; non è al di là del mare; al contrario, « vicino a te è la parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore, cioè la parola della fede.
Poiché se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo! » ( Rm 10,8-9 ).
Ma ci sono tanti tipi di fede: la fede-assenso, la fede-fiducia, la fede-obbedienza.
Di quale fede si tratta ora, per noi? Si tratta di una fede tutta speciale: la fede-appropriazione.
La fede che fa il colpo di mano.
« Io - è san Bernardo che parla - quanto mi manca, me lo approprio con fiducia dal cuore del Signore, perché è pieno di misericordia.
Che, se le misericordie del Signore sono molte ( Sal 119,156 ), io pure abbonderò di meriti.
E che ne è della mia giustizia? O Signore, mi ricorderò soltanto della tua giustizia; infatti essa è anche la mia, perché tu sei per me giustizia da parte di Dio ».2
È scritto, infatti, che Cristo Gesù è diventato, per noi, « sapienza, giustizia, santificazione e redenzione » ( 1 Cor 1,30 ).
Tutte queste cose sono "per noi", cioè sono nostre.
L'obbedienza realizzata da Gesù sulla croce è mia, il suo amore per il Padre è mio.
La sua morte stessa ci appartiene, è il nostro più grande tesoro, un titolo di perdono che nessun nostro peccato, per quanto grande, può annullare.
È come se fossimo morti noi stessi, distruggendo così in noi « il corpo del peccato ».
« Uno è morto per tutti, dunque tutti sono morti » ( 2 Cor 5,14 ).
Davvero non si pensa mai alla cosa più semplice!
Questa è la cosa più semplice, più chiara, del Nuovo Testamento, ma prima di giungere a scoprirla, quanta strada bisogna fare!
È la scoperta che si fa, di solito, al termine, non all'inizio, della propria vita spirituale.
In fondo, si tratta di dire semplicemente un « si » a Dio.
Dio aveva creato l'uomo libero, perché potesse accettare liberamente la vita e la grazia; accettare se stesso come creatura beneficata, graziata, da Dio.
Aspettava solo il suo « sì ».
Invece, ricevette da lui un « no ».
Ora Dio offre all'uomo una seconda possibilità, come una seconda creazione, un nuovo inizio.
Gli presenta Cristo sulla croce come sua "espiazione" e gli chiede: « Vuoi vivere in grazia di lui, in lui? »
Credere, significa dirgli: « Sì, lo voglio! », ed essere, così, una creatura nuova, « creato in Cristo Gesù » ( Ef 2,10 ).
Questo è quel "colpo di mano", di cui si diceva, e c'è veramente da stupirsi al vedere come pochi lo fanno.
Un Padre della Chiesa - san Cirillo di Gerusalemme - così esprimeva, in altre parole, questa idea del colpo di audacia della fede: « O bontà straordinaria di Dio verso gli uomini! I giusti dell'Antico Testamento piacquero a Dio nelle fatiche di lunghi anni; ma quello che essi giunsero a ottenere, attraverso un lungo ed eroico servizio accetto a Dio, Gesù te lo dona nel breve spazio di un'ora.
Infatti, se tu credi che Gesù Cristo è il Signore e che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo e sarai introdotto in paradiso da quello stesso che vi introdusse il buon ladrone ».3
Immagina - diceva un altro scrittore antico - che si sia svolta, nello stadio, un'epica lotta.
Un valoroso ha affrontato il tiranno e con immane fatica e sofferenza lo ha vinto.
Tu non hai combattuto, non hai né faticato né riportato ferite; ma se ammiri, dagli spalti, il valoroso, se ti rallegri per lui per la sua vittoria, se gli intrecci corone, provochi e scuoti per lui l'assemblea, se ti inchini con gioia al trionfatore e gli baci il capo; insomma, se tanto deliri per lui, da considerare come tua la sua vittoria, tu avrai parte certamente al premio del vincitore.
Ma c'è di più: supponi che il vincitore non abbia nessun bisogno, lui, del premio che ha conquistato, ma desideri, più di ogni altra cosa, vedere onorato il suo fautore e consideri come premio del suo combattimento l'incoronazione dell'amico, in tal caso quell'uomo non otterrà forse la corona, anche se non ha né faticato, né sudato? Così avviene tra noi e Cristo.
Pur non avendo ancora faticato e lottato ( cioè, pur non avendo ancora dei meriti ), tuttavia per mezzo della fede, noi ( come stiamo facendo in questa liturgia ) inneggiamo alla lotta di Cristo, ammiriamo la sua vittoria, onoriamo il suo trofeo e per lui, valoroso, mostriamo veemente e ineffabile amore; facciamo nostre quelle ferite e quella morte.4
Nell'Antico Testamento, nel libro delle Cronache, si legge che, nell'imminenza di una battaglia decisiva per la sopravvivenza del popolo d'Israele, Dio pronunciò, per bocca di un profeta, queste parole: « Non toccherà a voi combattere in tale momento; fermatevi bene ordinati e vedrete la salvezza che il Signore opererà per voi » ( 2 Cr 20,17 ).
Queste parole hanno trovato il pieno compimento in questa suprema battaglia della storia, la battaglia combattuta da Gesù contro il principe del mondo.
Per la fede, noi raccogliamo dove non abbiamo seminato; non siamo stati noi a sostenere la battaglia, eppure siamo noi che otteniamo il premio.
Questa incredibile possibilità Dio offre all'uomo in Cristo.
Essa costituisce l'unico vero "affare" della vita, perché dura in eterno, ci fa "ricchi" per l'eternità.
E non è questo un inaudito colpo di fortuna?
San Paolo dice: « Ora si è manifestata la giustizia di Dio ».
Quell'« ora » significa, anzitutto, l'ora storica in cui Cristo morì sulla croce; significa, poi, l'ora sacramentale del nostro battesimo, quando fummo « lavati, santificati e giustificati » ( 1 Cor 6,11 ); e significa, infine, l'ora presente, Poggi della nostra vita.
Quest'ora che stiamo vivendo.
C'è, dunque, qualcosa che va fatto ora, subito; che io - non un altro al posto mio - devo fare e senza cui tutto resta come sospeso nel vuoto.
La giustificazione mediante la fede è, sì, l'inizio della vita soprannaturale, ma non un inizio presto superato da altri atti e doveri, ma un inizio sempre attuale, da porre o ristabilire sempre di nuovo, come ogni inizio da cui nasce una vita.
Dio è sempre colui che ama per primo e che giustifica per primo, gratuitamente; perciò l'uomo deve essere sempre colui che si lascia giustificare gratuitamente mediante la fede.
« Per ogni uomo - si legge in un'omelia antica attribuita a san Giovanni Crisostomo - il principio della vita è quello, a partire dal quale Cristo è immolato per lui.
Ma Cristo è immolato per lui nel momento in cui egli riconosce tale grazia e diventa cosciente della vita procuratagli da quell'immolazione ».5
Ora stesso, dunque, Cristo è immolato per noi; tutto diventa vero, attuale e operante per noi se noi prendiamo coscienza di ciò che Cristo ha fatto per noi, se lo ratifichiamo con la nostra libertà, se esultiamo e ringraziamo per ciò che si è compiuto sulla croce.
Io posso tornare a casa, questa sera, con il bottino più prezioso che ci sia; posso fare un colpo di mano tale da congratularmi, per esso, in eterno con me stesso.
Posso mettere di nuovo i miei peccati tra le braccia di Cristo sulla croce, come fece quell'uomo che mise i suoi tre bambini malati tra le braccia della Santa Vergine e poi scappò, senza voltarsi indietro, per paura di doverli riprendere.
Quindi, posso presentarmi con fiducia al Padre celeste e dirgli: « Ora guardami, guardami, Padre, perché adesso io sono il tuo Gesù!
La sua giustizia è su di me; egli mi ha rivestito delle vesti di salvezza, mi ha avvolto con il manto della giustizia » ( Is 61,10 ).
Poiché Cristo si è addossato la mia iniquità, io ho indossato la sua santità.
Mi sono « rivestito » di Cristo ( Gal 3,27 ).
« Gioisca Dio nelle sue creature - Laetetur Dominus in operibus suis » ( Sal 104,31 ).
Nel sesto giorno della nuova settimana creatrice, quello della morte di Cristo; Dio torna a guardare la sua creazione e vede che essa è, di nuovo, « molto buona ».
Dove sta il vanto? Esso è escluso, dice l'Apostolo ( Rm 3,27 ).
Non c'è più posto per questo terribile tarlo che ha guastato la prima creazione.
Tutto è grazia! « Nessuno può riscattare se stesso o pagare a Dio il suo prezzo » ( Sal 49,8 ).
È Dio che ci ha riscattati con il sangue di Cristo.
Il vanto dunque è escluso.
Eppure c'è qualcosa di cui l'uomo può vantarsi: può vantarsi « della croce del Signore nostro Gesù Cristo »; « Chi si vanta si vanti nel Signore! » ( 1 Cor 1,31 ).
Potersi vantare di Dio! Quale vanto ci può essere, in cielo e in terra, più bello di questo?
Chi sarà ancora così stolto da voler cambiare questo oggetto di vanto con la propria giustizia.
Oh, sì, noi ci vanteremo di tè, Signore.
In eterno!
Indice |
1 | Ch. Péguy, Il portico della seconda virtù, in Oeuvres poétiaues complète; (ed. Gallimard, Parigi 1975, pp. 536 ss) |
2 | Bernardo di Chiaravalle, Omelie sul Cantico, 61,4-5 (FL 183, 1072) |
3 | Cirillo di Gerusalemme, Catechesi, 5, 10 (PG 33, 517) |
4 | N. Cabasilas, Vita in Cristo, I, 5 (PG 150, 517) |
5 | Antica omelia, attribuita a Giovanni Crisostomo (SCh 36, p. 60 s) |