La storia della Chiesa

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§ 8. Il Cristianesimo etnico

Nonostante la lunga formazione degli Apostoli curata dal Signore stesso, e benché essi fossero stati costituiti Sacerdoti della Nuova Alleanza da Gesù nell'Ultima Cena, benché il Risorto li avesse mandati in tutto il mondo e a tutte le genti, la concezione nazionalistico-giudaica del regno del Messia non era stata ancora da essi superata.

Essi aspettavano ancor sempre la ricostruzione del regno nazionale d'Israele da parte del Signore ( At 1,6 ).

Perciò non si rendevano ancora conto che anche i pagani, cioè gli « impuri », potessero essere accolti nella Chiesa.

Il racconto degli Atti degli Apostoli sulla visione di san Pietro relativa agli animali puri e impuri, il rapporto che Pietro ne fece davanti alla comunità di Gerusalemme ( At 11,1-18 ) assieme allo stupore dei giudei venuti a Cesarea con Pietro di fronte all'azione della grazia divina nei pagani ( At 10,45 ), ci fanno sentire chiaramente quali gravi ostacoli interni vi fossero da superare prima che Pietro accogliesse nella Chiesa di Cesarea il centurione pagano Cornelio.

Basti pensare che, nonostante le straordinarie manifestazioni divine che condussero a questo passo, la opposizione dei circoli giudeo-cristiani rimase molto forte anche in seguito.

I. Paolo

1. L'uomo, il cui poderoso lavoro doveva rompere tali resistenze, la cui vita fu tutta una lotta per liberare il Cristianesimo dal peso della legge giudaica e guadagnare così tutti gli uomini a Cristo, fu Paolo.

Egli era un giudeo puro sangue; e tuttavia fu proprio lui a staccare il Cristianesimo dalla sua matrice giudaica, la cui ristrettezza minacciava di soffocarlo, e a lanciarlo sulla scena storica mondiale della civiltà greco-romana e dell'Impero romano e a impiantarlo in questo terreno universale.

L'immenso mutamento nella posizione del Cristianesimo, avvenuto tra l'anno della morte di Gesù e il 67 ( martirio di Paolo ), è essenzialmente opera sua; un lavoro gigantesco sotto ogni riguardo, e tanto più se si pensa che tale lavoro Paolo dovette compiere lottando contro un corpo malato e contro una schiera di falsi fratelli, che dappertutto insidiavano la sua semina.

2. Paolo nacque nella città ellenistica di Tarso, in Cilicia nell'Asia Minore, da genitori giudaici che avevano la cittadinanza romana.

Sotto la guida del fariseo Gamaliele, a Gerusalemme, si avviò a divenire, lui bruciante di viva passione per la legge dei padri, dottore fariseo della legge.

Si guadagnava la vita, come tutti i mèmbri delle fraternità fariseo, con le sue mani ( del resto anche più tardi, come Apostolo, cosa che egli con compiacenza metterà in risalto ), lavorando come costruttore di tende.

Sulla via di Damasco la grazia di Dio lo chiamò dalla persecuzione della Chiesa a diventare servitore speciale di Gesù Cristo, del Kyrios, del Signore ( At 9,1ss ).

Un soggiorno di tre anni in Arabia e a Damasco lo fece interiormente maturare per la sua nuova vocazione di Apostolo delle Genti.

Sebbene il Vangelo che egli andava predicando gli fosse stato rivelato da Gesù ( Gal 1,12 ), tre anni dopo la sua conversione, si recò a Gerusalemme da Pietro, dove egli, durante un soggiorno di due settimane, vide anche Giacomo, il « fratello » del Signore ( Gal 1,18s ).

Dopo quattordici anni andò nuovamente a Gerusalemme per confrontare il suo Vangelo con quello degli Apostoli e in questa occasione Giovanni, Pietro e Giacomo gli confermarono il mandato per la missione tra i gentili ( Gal 2,1-9 ).

3. Paolo era dunque giudeo, romano e ( anche ) ellenista.

Egli è quindi ( anche se in misura diversa ) per nascita, educazione e modo di vivere un rappresentante delle tre grandi civiltà con le quali il Cristianesimo dovette entrare in contatto e contrasto nell'antichità.

Essendo tale, possedeva i requisiti necessari per condurre il Cristianesimo alla vittoria su tutte e tre le civiltà o per preparare questa vittoria; un lavoro, che fu determinante per tutta la storia della Chiesa.

a) Paolo era dottore della legge.

Aveva appreso i metodi della teologia giudeo-farisaica.

Per questo era preparato a diventare il primo teologo cristiano e particolarmente a creare le basi per l'intera teologia cristiana.

Questo fatto è di importanza straordinaria.

Esso condiziona parti determinanti dell'intera storia ecclesiastica.

Questo vale anche per le tensioni che proprio gli insegnamenti e le formulazioni paoline provocarono, nel corso dei secoli, nell'ambito della teologia e della Chiesa cristiana.

Nella sua casa patema, oltre all'ebraico e all'aramaico, Paolo aveva studiato il greco; nella sua città natale aveva fatto conoscenza anche con la cultura ellenistica; conosceva sommariamente la ( tarda ) filosofia stoica del tempo.

Poté così diventare, col suo discorso all'Areopago ( At 17,22 ), un precursore e un modello per quegli uomini che avrebbero dovuto poi annunziare il Cristianesimo ai rappresentanti della cultura ellenistica servendosi degli stessi mezzi di questa cultura ( gli Apostoli del II secolo, § 14 ).

Ma per questo la predicazione paolina di Gesù Cristo, il Kyrios della croce e della sua stoltezza, e della fede che sola giustifica, non ne risultò affatto attenuata; essa costituì sempre il centro possente del suo insegnamento.

Paolo era cittadino romano.

Egli era cosciente dei privilegi che gli dava la cittadinanza romana.

Se ne valse quando appellò all'imperatore ( At 25,11 ); egli riconobbe anche con un certo vigore il diritto dello stato come di ogni autorità ( Rm 13,1 ).

b) Paolo è quindi da intendersi alla lettera quando dice che per guadagnare tutti, si è fatto tutto a tutti, pagano per i pagani, greco per i greci, giudeo per i giudei: l'Apostolo delle Genti ( 1 Cor 9,20ss ).

Paolo era un uomo « cattolico ».

La legge fondamentale del Cristianesimo di essere servitore ( il comandamento fondamentale dell'amore « il quale è il compimento di tutta la legge » ( Rm 13,8-10 ); Sia fatta la tua volontà! ( Mt 6,10 ) ), ha raggiunto in lui piena attuazione.

L'alta coscienza di sé che l'animava era solo la coscienza del compito affidategli da Dio che egli doveva eseguire disinteressatamente, e della forza datagli da Dio con la quale egli doveva operare.

« Guai a me se non annunciassi il Vangelo! » ( 1 Cor 9,16 ).

Per questo v'era in lui nello stesso tempo una grande umiltà in quanto sapeva che in lui personalmente c'era soltanto debolezza, ma anche una smisurata fiducia che la grazia divina si sarebbe tanto più manifestata nella debolezza ( 2 Cor 12,10 ): « Ogni cosa concorre al bene di coloro che amano Dio » ( Rm 8,28 ).

Dal momento della sua conversione gli rimase la coscienza di profonda colpa che egli confessava, in toccante pentimento ( 1 Cor 15,9 ).

4. a) Noi possediamo 14 lettere di s. Paolo.

( La critica testuale tuttavia non gli riconosce la diretta composizione della lettera agli Ebrei ).

Esse costituiscono la letteratura cristiana più antica.

Contengono, come già notava la seconda lettera di san Pietro ( 2 Pt 3,15s ), talune difficoltà; ma anche una quantità inesauribile di pensieri sublimi.

Esse riflettono in maniera viva l'anima infuocata dell'Apostolo delle Genti e uno sforzo commovente, quasi titanico, per conoscere gli ineffabili misteri di Dio.

Traspare in esse una fede vittoriosa nella irresistibile forza di verità della rivelazione cristiana.

Questa verità Paolo, attingendo dall'inesauribile ricchezza delle rivelazioni a lui partecipate, annunciava in formulazioni vive, sempre nuove, nelle quali puntava palesemente non tanto su una terminologia esattamente formulata, meno ancora sulla lettera, ma esclusivamente sulla forza e sulla pienezza della vita in Gesù Cristo: il concetto di pienezza ( πλήρωμα ) è un concetto centrale per Paolo e per la sua predicazione.

Una grande quantità di espressioni che parlano di « ricchezza », di « edificazione », di « conoscenza approfondita » e dell'« afferrare le indescrivibili ricchezze di Dio », gli servono a illustrare, in maniera inesauribilmente varia, questa pienezza.

Le lettere di Paolo per la maggior parte sono dirette alle comunità che egli stesso aveva fondato o anche, come quella ai Romani, a quelle comunità della cui fede aveva con gioia sentito parlare e che desiderava personalmente conoscere ed evangelizzare.

Queste lettere venivano lette durante il servizio divino e le comunità se le scambiavano fra loro.

b) Paolo ha compiuto tre grandi viaggi missionari.

Nonostante sapesse che era inviato in modo particolare ai gentili ( Rm 11,13; Gal 2,9 ), tanto lui quanto i suoi accompagnatori, per esempio Barnaba, si rivolgevano sempre innanzitutto alla sinagoga.

Dopo il primo viaggio missionario ( durante il quale già a Pafo di Cipro convertì un alto ufficiale, il governatore Sergio Paolo ) ritornò a Gerusalemme, dove ( verso il 50 ) prese parte al Concilio degli Apostoli ( At 15,6-29 ).

Il secondo viaggio apostolico lo condusse nuovamente in Europa.

Il soggiorno ad Atene e Corinto rafforzò il suo contatto con l'ellenismo.

Ripetutamente minacciato di morte dai giudei ( come già all'inizio della sua missione, a Damasco e a Gerusalemme, At 9,23 ss.29 ) e da essi accusato, fu portato a Cesarea dalle truppe romane d'occupazione; lì denunciato dai giudei al Governatore Felice come capo dei Nazzareni, tenuto prigioniero per due anni, accusato nuovamente al Governatore Pesto, appellò all'imperatore in Roma ( At 25,11 ).

Fu trasferito colà e visse, sorvegliato da un solo soldato, in libertà vigilata.

Da Roma passò poi, probabilmente, fino in Ispagna ( Rm 15,24.28 ).

A Roma, sulla via Ostiense, Paolo fu decapitato nel 67.

5. L'oggetto fondamentale della fede e della predicazione era per Paolo Cristo il Crocifisso e il Risorto, il Signore esaltato, il Kyrios.

Noi, che nelle nostre membra avvertiamo la potenza della legge del peccato ( Rm 7 ), attraverso il Signore siamo giustificati dalla fede ( Rm 5,1 ).

Paolo fu quindi, innanzitutto, predicatore della Grazia, più esattamente della grazia della redenzione, meritataci da Gesù con la morte in croce, con la quale ha posto fine alla legge.

Paolo però era anche consapevole della necessità della collaborazione dell'uomo con la grazia immeritata e donata gratuitamente.

La lotta instancabile per comprendere in maniera sempre più profonda i misteri di Dio e della grazia della redenzione, in essi gratuitamente donata, rientra in pieno e immancabilmente nella lotta per il premio ( 1 Cor 9,24 ).

Paolo trattò duramente se stesso per non venir riprovato ( 1 Cor 9,27 ).

Voleva perfino completare quello che manca ai patimenti di Gesù ( Col 1,24 ).

Egli aspettava per sé la ricompensa celeste ( 2 Tm 4,8 ), non altrimenti di quanto lo aveva annunciato Gesù stesso, esempio nella sua risposta alla domanda di Pietro ( Mt 19,27s ).

Paolo, che era così cosciente della legge del peccato che pervade le membra degli uomini, confessava al tempo stesso che non era più lui che viveva, ma Cristo che viveva in lui ( Gal 2,20 ).

Nonostante il grido commovente « Chi mi libererà da questo corpo di morte! » ( Rm 7,24 ) egli non viveva affatto con una coscienza disperata, ma con sorprendente naturalezza confessava di sé: « Io fino ad oggi mi sono comportato dinanzi a Dio con tutta buona coscienza » ( At 23,1 ).

L'insegnamento di Paolo, nel corso della storia, è diventato spesso il punto di partenza per le eresie.

Ne è stato sempre causa lo stesso equivoco: non si è tenuto conto di tutte le sue formulazioni, che talvolta sono volutamente portate sino al limite, ma se ne sono assolutizzate alcune in maniera del tutto arbitraria.

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