Pensieri sulle Regole e Costituzioni 1949 |
I catechisti che si trovano nell'opulenza e nell'elevazione non solo riguardo ai beni temporali ma anche per qualsiasi altro bene (ingegno, autorità ricevuta, influenza esercitata per qualunque preminenza ecc.) devono evitare con molta cura la superbia e l'accidia.
La superbia, che guasta ogni ricchezza e ogni grandezza col tendere ad esaltare l'io e portarlo ad attribuirsi ingiustamente i doni di Dio temporali e spirituali e ad amare se stessi fino a disprezzare Dio.
È il peccato di Lucifero.
L'accidia che porta a far nulla o cose da nulla, trascina alla perdita del tempo e al rilassamento dell'anima sorgente di cattivo esempio e occasione ad ogni sorta di tentazione.
Non dimentichiamo che la legge del lavoro s'impone a tutti e che è la nostra penitenza principale.
Chi non lavora non ha diritto di mangiare ( 2 Ts 3,10 ).
Tali catechisti devono applicarsi specialmente all'umiltà e alla carità nei rapporti che nella loro condizione hanno col prossimo.
"L'umiltà è la verità" dice S. Teresa.
Un'anima umile conosce se stessa e conoscendosi si disprezza.
Essa riconosce che ogni grandezza è in Dio, che tutti i beni vengono da Lui, che Lui solo merita d'essere onorato, amato, glorificato.
È il sentimento che ha fatto dire alla SS. Vergine:
"Egli ha rivolto lo sguardo alla bassezza della sua serva".
È pure la grande lezione di Nostro Signore e l'esempio della sua vita:
"Imparate da me che sono mansueto e umile di cuore".
Dobbiamo dunque riconoscere il nostro nulla, avere umili sentimenti di noi stessi e abbassarci in proporzione della posizione elevata alla quale la volontà di Dio e i suoi doni ci hanno portati.
L'umiltà genera la carità, distaccandoci da noi stessi e riempiendoci di Dio che è carità.
Umile carità, carattere distintivo dei discepoli di Nostro Signore, paziente, indulgente, pronto a dimenticar se stesso, a non pensare che agli altri, a profittare di tutte le occasioni specie le più nascoste e note solo a Dio, per dedicarsi al bene del prossimo e dare a Dio una dimostrazione sincera d'amore.
I catechisti che si trovano nella dipendenza sia per la loro condizione nel mondo, sia per quella dipendenza generale che per motivi di fede conduce ciascuno a considerarsi come servo di tutti senza tener conto di qualsiasi autorità apparente ( "Chi è il primo si faccia servo di tutti": Lc 22, 26 ), sia per la dipendenza propria della vita religiosa, essi dovranno stare in guardia e difendersi dall'impazienza e dal cattivo umore, tentazioni inerenti ad ogni forma di dipendenza.
L'amor proprio non vuol sopportare neppure le più piccole contrarietà, si irrita e mormora.
Questo stato dell'anima mesta e nella irritazione ostacola la grazia di Dio e danneggia grandemente la buona edificazione.
Bisogna in tali circostanze ricordarsi della soavità di Nostro Signore "mansueto e umile di cuore" ricevere dalla mano di Dio ciò che ci è sgradevole alla natura:
è il segreto della pazienza, della calma e anche della gioia in mezzo alle circostanze più irritanti.
Tutti i catechisti, qualunque sia la loro condizione, la loro età, la loro sfera di azione, il loro impiego devono "affezionarsi all'obbedienza" ( R. e C. art. 71,2º ) cioè amare con amore di volontà, se non spontaneo, "l'obbedienza" ricordandosi che essa è il mezzo per effettuare l'intero sacrificio di se stessi e l'olocausto perfetto che è dimostrazione autentica dell'amore e del fine ultimo della propria vocazione.
Tutti i catechisti devono pure amare e "praticare l'umiltà di cuore" ( R. e C. art 12,6º ) per rimanere nella verità per mettersi in condizione di ricevere maggiori grazie e per imitare Nostro Signore che per primo ha scelto la povertà e l'umiltà.
Tutto ciò dev'essere un'applicazione pratica nei particolari della vita quotidiana:
bisogna rinunciare a se stesso, dimenticare sé e lasciarsi dimenticare, accettare generosamente le contrarietà, le contraddizioni, le noie d'ogni genere, e qualche volta, secondo l'ispirazione e la misura della grazia, andare incontro a tali sacrifici per amore di Nostro Signore e perché il suo Spirito regni sempre più in noi.
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