L'azione |
É comparso il desiderio ovvero l'immagine.
Non affiora nessun bisogno, non si dà nessun mezzo per sapere da dove, o come, si è manifestato il pungolo dell'istinto o il chiarore dell'idea.
La nascita di ciò che vi è di più mirabile e di meno ammirato, la luce interiore, rimane impenetrabile.
Come quelle piante che per dieci anni assorbono i profumi e i succhi preziosi di cui nutrono l'unico fiore che le esaurisce in un giorno, un oscuro lavoro drena tutte le forze della vita per alimentare la sorgente della coscienza.
Non c'è acqua che contribuisca a ingrossarla senza aver seguito quelle vie sotterranee dove non penetra la conoscenza.
E quando sgorga lo fa assolutamente con un impeto fresco e una purezza incontaminata, come se non dovesse nulla se non a se stessa.
Qual è la sua virtù? E dove si distribuisce?
I.
Niente agisce su di noi o tramite noi che non sia veramente soggettivo, che non sia stato digerito, vivificato, organizzato in noi stessi.30
Non è certo una rappresentazione astratta che basti a mettere in moto l'automatismo psicologico.
La coscienza è un mondo chiuso.
Essa si apre solo grazie alla mediazione degli influssi inconsci della vita.
Per questo le suggestioni hanno bisogno di essere comprese per essere seguite, e gli stessi insegnamenti non danno gli stessi frutti ovunque vengono a cadere.31
Perché qualsiasi pensiero è autoctono; e solo le verità indigene sono vere per noi.
I nostri desideri sono e valgono per quello che noi siamo e per come noi li plasmiamo.
Se non passa attraverso il sentimento l'ìdea rimane lettera morta.
Pertanto la luce intellettuale porta in se e sfrutta la forza vitale.
Infatti il motivo è solamente l'eco e la sintesi di mille attività sorde; ecco la ragione della sua efficacia naturale.
Esso non spunta, diciamo così, all'improvviso e come per generazione spontanea.
È il deputato di una folla di tendenze elementari che lo sostengono e lo sospingono.
È il risultato di cause più remote e più generali.
È la conclusione di tutto un sistema anteriore, e funge da intermediario tra le disposizioni abituali e le circostanze particolari che ne sono l'occasione.
Al momento della nascita ha un profumo di novità, una freschezza e una grazia magica, perché è interamente un atto, ispirato segretamente com'è e quasi imbevuto delle feconde energie di cui è un primo risultato e un commento vivente.
Il fascino efficace gli proviene quindi dal fatto di esprimere e di rappresentare proprio ciò che esso mette in moto.
E la potenza tramite cui sorge alla coscienza è esattamente quella tramite cui è anche capace di agire sulle forze inconsce da cui emerge.
Questa magia naturale che nell'animale conferisce all'istinto, e nel sonnambulo all'immagine onirica, il suo fascino straordinario, è parimenti quella che vivifica l'idea più astratta con un sentimento senza il quale resterebbe inerte.
- Un motivo non è motivo senza un movente.
- Ma a sua volta un movente senza un motivo non è un movente.
Che cosa vuoi dire? Che per diventare un principio efficace di azione, le energie diffuse hanno bisogno di essere raccolte in una sintesi mentale, e rappresentate sotto la forma unica di un fine da realizzare.
Esse si corroborano e si ravvivano con lo stesso sforzo che le esprime, come l'attenzione si rafforza con la tensione degli organi.
Senza dubbio per se stessi gli stimoli dei sensi esaltano la potenza di chi li subisce, e accrescono l'intensità della sua forza nervosa.
Ma quest'influsso dinamogenetico si esercita solo prendendo corpo in una
rappresentazione precisa e persino in un movi
mento determinato, sicché la causa finale diventa causa motrice, e le idee o i
segni sono le condizioni indispensabili delle disposizioni che essi manifestano.
Così lo studio delle combinazioni e delle compensazioni mentali nell'automatismo dell'ipnosi mostra che qualsiasi sensazione ( per esempio, un'impressione tattile ), mentre in apparenza viene distrutta dall'anestesia provocata, cerca di esprimersi in un sistema di immagini e di idee analoghe ( per esempio, delle rappresentazioni visive ), e tende per trasposizione a mettere in moto un altro apparato sensoriale, sotto il dominio di un'allucinazione che è a un tempo corrispettiva ed estranea all'impulso primitivo.
Quindi la diffusione dei riflessi non sfocia nell'azione che a condizione di essere tradotta in una sintesi ideale.
Questa trasformazione necessaria, di cui certi casi eccezionali consentono di analizzare il meccanismo, si realizza sempre anche nel gioco normale delle funzioni psicologiche.
Le forze oscure della vita sensibile ottengono tutta la loro efficacia solo dal momento in cui sorge, come per illuminarle e fissare loro un fine, una rappresentazione che sembra scorporarsi e distaccarsi da esse.
Così la finalità dapprima non è altro che l'espressione soggettiva di necessità antecedenti.
Ma dal momento che gli impulsi confusi e incoerenti del desiderio hanno preso forma nell'immagine istintiva, o nel concepimento di un atto, devono all'unità sistematica della rappresentazione interna una fermezza, una precisione, un'efficacia del tutto nuove.
Sempre, a ogni istante, nella coscienza si producono stati legati tra loro e uniti in sistemi organici.
E ciò che ne opera la sintesi è ciò che conferisce al sistema una potenza originale.
L'analisi introspettiva dunque conferma ciò che, dal punto di vista delle scienze positive, si è dimostrato vero di ciascuna sintesi irrIducibile ai suoi elementi e padrona delle proprie condizioni.
- I moventi servono unicamente per il motivo che essi preparano e che si propongono.
- Ma il motivo dal canto suo non è più un motivo, se non diventa a sua volta un movente.
E questo che cosa vuol dire? Che fin dal momento in cui le cause profonde dell'emozione motrice si sono date il fine della loro tendenza, cessano di confondersi con la corrente globale della vita, per costituire un fine specifico.
Esse erano noi stessi; adesso diventano semplicemente nostre.
E il motivo rimarrebbe come il termine astratto e ideale, come l'unica produzione oggettiva della loro azione, se non racchiudesse nulla più che il compendio completo del determinismo subalterno che esso ha portato alla luce della coscienza.
È dunque necessario che questo motivo per essere efficace, per esistere, per operare la concentrazione delle energie diffuse e lanciarle all'attacco, apporti qualche prospettiva nuova, e la promessa di un ignoto da conquistare.
Quando agiamo senza sapere del tutto perché ( ed è sempre così ), quando le motivazioni che diamo a noi stessi non sono né le sole né le più vere, significa senza dubbio che in questa spiegazione approssimativa della nostra condotta esiste sempre, accanto a idee chiare, un sentimento indistinto in cui si ricapitolano le inclinazioni naturali, le abitudini ereditarie, i desideri costruiti a poco a poco, tutto l'organismo e tutto l'universo.
Ma ciò avviene soprattutto perché il motivo conosciuto, dominando tutte le energie antecedenti, le sfrutta per fini ulteriori che vanno sempre oltre l'esperienza e persino la previsione.
Ma più ancora, il motivo attuale del nostro atto non è mai lo stesso che sussisteva all'origine della scelta che inclinava verso tale atto.
Non esiste mandato imperativo: il deputato non è un semplice portavoce.
Se ha il potere dei membri, ha l'iniziativa e la direzione del capo, ha lo slancio dell'improvvisatore.
Perché al momento decisivo è sempre un imprevisto che ci trascina.
Così, scaturita dalla forza, la luce interiore è un'origine di forza.
L'immagine che risulta dai movimenti è causa di movimenti, e il pensiero fecondato incessantemente dalla natura la feconda a sua volta, come un organismo che digerisce e vivifica tutto ciò che assume.
Partito da un'origine impenetrabile, l'atto concepito attraversa dunque il campo illuminato della coscienza, per tendere a uno scopo anch'esso impenetrabile.
Come si dice, non si vive che di speranza, non si lavora che in prospettiva del meglio.
Noi apparteniamo, ne abbiamo una lucida consapevolezza o meno, a un mondo superiore ai fenomeni sensibili e alla scienza dei fatti.
Niente di ciò che è esteriore ci determina, e in quello che desideriamo al di fuori di noi cerchiamo sempre noi stessi.
Se l'idea è niente senza il sentimento, neppure il reale ha alcuna presa su di noi senza l'ideale.
E noi non agiamo, se non ricaviamo da noi stessi il principio della nostra azione, se questo principio non oltrepassa le esperienze passate, se non vi pronostichiamo qualcosa d'altro, se non ne facciamo una sorta di realtà trascendente.
Uno si interessa ai propri atti solo se sono fermentati di passione ideologica.
L'idea chiara è inerte; tutto ciò che è dimostrato e stabilito come certezza matematica non fa appello alla dedizione attiva.
Non si muore, come non si vive, che per una credenza, - quando in ciò che sappiamo ci aspettiamo più di quello che sappiamo, quando abbiamo messo noi stessi come posta in gioco, quando amiamo questo misterioso termine conosciuto sia per ciò che contiene sia per ciò che promette.
È cosi che l'istinto stesso sembra lavorare in vista di fini estranei all'individuo di cui stritola la vita; è così che nell'incertezza attuale del suo destino l'uomo talvolta ha l'oscuro e prepotente, sentimento che, tra le mani di una cieca fatalità, o di un'astuzia onnipotente o di una provvidenza insondabile, egli contribuisce alla grande opera che ignora.
Quindi per il gioco stesso del determinismo interno l'azione è sospesa a una finalità effettiva.32
E lungi dal ridurre il dinamismo soggettivo al meccanismo delle forze brute, proprio l'attività inconscia serve a sostenere la vita nascente della coscienza.
Dunque lo studio della dinamogenesi mentale assoda, precisamente in nome del determinismo, queste conclusioni legate tra loro:
- la coscienza risulta da una serie di atti elementari e inconsci, e non soltanto dall'ultimo di essi;
- essa costituisce una sintesi e un atto distinto;
- essa prepara e abbozza una serie di atti nuovi di cui non prevede il termine, ma che si propone come fine almeno provvisorio.
Concepire significa aver agito, agire tuttora, e dover agire ulteriormente.
Prima di ogni riflessione questi diversi momenti che l'analisi riesce a distinguere sono confusi insieme, per esempio nell'istinto, o nella passione.
Quando un'idea s'impossessa all'improvviso di una testa calda o di un cuore ardente, non vi sono ostacoli che tengano, non vi sono indugi, non v'è persino coscienza, tanto l'esecuzione segue immediatamente la concezione!
Quanto prontamente l'opera si stacca dall'operaio!
E con quale rapidità l'azione, che forse è stata elaborata lentamente ed è venuta alla coscienza a poco a poco, ne esce in seguito a qualche fenomeno di rifrazione e di amplificazione mentale!
E se il nostro genio francese è più attivo di ogni altro, più dedito alle idee, più pronto a vivere di esse e a definirle attraverso la pratica, questo non è un tratto singolare o anormale, ma è la legge del carattere veramente umano: non si pensa ( è normale ) che dopo aver agito, agendo e per agire.
Tuttavia rimane vero il proverbio: tra il dire e il fare ( il concepire e l'eseguire ) c'è di mezzo il mare.
Perché? E per quale ragione di solito esitiamo, deliberiamo, sembra che scegliamo, mentre dovrebbe essere sufficiente che noi fossimo portati a fare una cosa con assoluta semplicità, con la certezza immediata dell'istinto, senza imbarazzo e senza contraccolpi?
E dopo aver agito con questa unità imperturbabile come sotto il dominio di una suggestione, perché, se ci capita di accorgercene, crediamo di essere stati determinati, mentre nel corso stesso dell'azione abbiamo potuto ritenerci liberi?
II.
Un motivo non è tale se è solo.
Se è solo, è un desiderio animale, un'immagine istintuale.
Se affiora da solo alla coscienza, è un impulso della spontaneità o dell'abitudine meccanica, un delirio da malato o da demente, una suggestione da sonnambulo, un automatismo da distratto o da sognatore; è un'idea fissa, non un'idea.
Ogni idea, ogni stato di coscienza distinto implica un contrasto, un'opposizione interna.
Come l'occhio suscita spontaneamente il colore complementare a quello che si stanca di percepire, per farli vivere l'uno per mezzo dell'altro, allo stesso modo l'organismo mentale è cosiffatto che ogni rappresentazione evoca le rappresentazioni contrarie e antagonistiche, come altrettante enarmoniche destinate a metterle in rilievo con un accompagnamento in sordina.
Come si è ricordato, la coscienza nasce solo da una discriminazione; essa si sviluppa sotto il dominio di una legge di relatività.
Lo studio di quello che si chiama polarizzazione psichica mostra che sotto ogni percezione in apparenza semplice e schietta si nasconde l'immagine di un'altra percezione fittizia, pronta a soppiantare la prima.
In questo modo altresì nell'isteria si può spiegare il bisogno di simulazione e quell'appetito di menzogna, che peraltro ha ossessionato certe complessioni delicate ma ancora sane.
Perché accanto ai ricordi reali compare e cresce un sistema di associazioni opposte; e trascinati da una strana vertigine, si arriva nostro malgrado a dire il contrario di quello che si pensava, a sdoppiare la vita cosciente, a cadere nell'illusione, come se le rappresentazioni menzognere, proprio perché sono tutte soggettive, avessero maggiore autorità sul soggetto di quelle di cui ha subito l'impressione reale.
Allo stesso modo il meccanismo normale della negazione mette in moto una coppia di affermazioni contrarie, di cui l'una riesce a escludere l'altra, ma senza mai distruggerla.
Da ciò deriva lo spirito di contraddizione, e il rischio di risvegliare nel bambino il dubbio o la disobbedienza con qualche domanda prematura.
Da ciò viceversa deriva l'utilità della tentazione vinta, proprio per confermare il vigore del senso morale.
Insomma concepire nettamente un atto significa immaginare al tempo stesso la possibilità almeno vaga di atti differenti, i quali svolgono una funzione di contrasto, e servono a precisare per eliminazione e per approssimazione la concezione primitiva.
Ogni concezione quindi è come una frazione che ha senso solo se rapportata all'unità totale, e richiede il complemento di un'altra frazione.
Ecco i fatti: l'automatismo animale dell'uomo e il determinismo della sua vita, insieme fisiologico e psicologico, è permeato da questa legge di contrasti simultanei o alternativi.33
Il meccanismo interno è tale, fin nelle viscere stesse della nostra vita animale, che l'unità monocorde e inavvertita del processo organico è incessantemente attraversata, divisa, lacerata da lotte intestine.
In questo modo dunque, se è vero come abbiamo visto studiando la spontaneità soggettiva, che ogni atto di coscienza e una sintesi di forze, e un nuovo principio di forza, è altrettanto vero che ogni coscienza di un atto ( idea o sentimento ) risulta da un conflitto, da un guasto e da un arresto nel dinamismo mentale, da una « inibizione » almeno parziale.
Di questo fenomeno è necessario studiare le cause e gli effetti.
Man mano che le immagini e le idee affiorano con maggiore abbondanza, si aprono all'attività sbocchi più numerosi.
Perché il lavoro inconscio della vita psicologica si traduce spontaneamente sotto forma di fini da realizzare.
Il determinismo progetta il fine che si assegna, e con l'aiuto delle condizioni antecedenti costruisce l'ideale da perseguire.
Così tra le diverse tendenze che si manifestano in noi per una necessità ignota si formano contrastanti sistemi di fini conosciuti, ciascuno dei quali porta in sé un potere di realizzazione.
E grazie all'attrazione dei diversi motivi coscienti le forze sparse della vita interiore si raccolgono, sotto una legge di finalità, in sintesi antagonistiche.
Ora, come è possibile che vi sia opposizione tra questi gruppi eterogenei?
Come è possibile che da questa lotta intestina scaturisca una conoscenza più lucida e un nuovo potere d'attenzione?
Come è possibile che dalla stessa coscienza nasca la riflessione?
Come è possibile che la divergenza di tendenze normalmente ineguali e sproporzionate vada a sfociare nell' « inibizione »? Ecco come.
Se i sistemi antagonistici si oppongono nella coscienza, ciò avviene perché, malgrado questo stesso antagonismo, essi sono compresi nell'unità complessa di un solo organismo; perché dipendono ugualmente da una potenza superiore ai contrari; perché invece di essere frammenti isolati sono parti di un tutto.
La molteplicità delle immagini e dei motivi prepara senza dubbio, ma prima suppone un'unità capace di comprenderli e di produrli tutti.
Così in presenza di motivi avversi c'è come un terzo che interviene per opporli.
Anche di fronte a un motivo unico, dal momento in cui è concepito distintamente, lo si considera come una soltanto delle soluzioni possibili, nella sua relazione con l'insieme delle impressioni e delle tendenze attuali.
Questo rapporto nella coscienza delle parti in contrasto tra loro e col tutto costituisce propriamente la riflessione.
Essa risulta dal carattere parziale degli stati antagonistici.
Ma questa pluralità degli stati solidali e opposti è possibile solo grazie all'azione immanente di una potenza capace di abbracciare tutta la molteplicità dei contrari in un'unità superiore, potenza che bisogna chiamare senz'altro ragione.
Pertanto dato che vi sono contrasti interiori e arresto di tendenze, la coscienza, scoprendo in sé una forza in più, diventa riflessione.
Dal conflitto delle energie e dei desideri in sospeso nascono gli stati affettivi che fungono da materia e da alimento per gli stati intellettivi nuovi.
Anziché restare oscuri e incoerenti, i diversi motivi d'azione si mettono a confronto.
È la Ragione che abbraccia in sé il sistema totale delle ragioni contrarie.
Essa non è nessuna di queste in particolare.
Le contiene tutte, si distingue da tutte, e le mette tutte in bilancio, perché vede che ciascuna di esse, parte in un tutto, non è che un motivo tra gli altri e come altri, una e multis.
Ecco perché, quale che sia l'inuguaglianza delle forze in campo, la riflessione le paralizza ugualmente.
Perché essa suppone non soltanto la potenza di una delle frazioni ostili, ma il riaccorpamento di tutte le energie virtuali.
Essa sottrae a queste energie spontanee tutta la forza di promozione che posseggono, e si serve di esse per bloccarle.
Anche qui si scopre la maniera in cui si forma in noi la coscienza del determinismo.
Noi infatti concepiamo la necessità di un atto sotto l'influsso allettante di una rappresentazione mentale solo immaginando che il sistema di motivi vittoriosi ha eliminato ogni tendenza contraria, diventando, per così dire, una parte totale.
In altre parole, quando consideriamo per astrazione questo motivo dominante come il solo reale ed effettivo, per comprenderne la forza determinante manteniamo ferma nei suoi confronti l'idea che potrebbe essere soltanto una parte in un tutto.
Sicché il determinismo è conosciuto solo in quanto troviamo in noi le risorse per oltrepassarlo.
Questa analisi consente in ultima istanza di spiegare perché viceversa certe suggestioni che sfociano nell'atto sotto il dominio di una fatalità lasciano all'agente l'illusione della libertà.
Infatti quando l'azione suggerita compare con tutto il seguito dei motivi che possono suffragarla, la suggestione medesima produce l'effetto di eliminare dal campo della coscienza gli ostacoli e le velleità contrarie.
Vi è un'anestesia soggettiva, senza rimozione reale delle tendenze antagonistiche.
Poco fa, con una finzione, immaginavamo che un motivo parziale aveva assorbito l'attività totale, e concludevamo al determinismo.
Adesso, al paziente che esegue la suggestione sembra che in assenza di ogni altro motivo gli si prospetti uno scopo e, tendendovi, si crede libero, come lo sarebbe se agisse con l'abituale pienezza del discernimento.
La conoscenza riflessa è dunque come una sintesi di secondo grado, una rappresentazione della rappresentazione.
Essa compendia ciò che è in noi, e ciò che è in noi compendia tutto il resto.
Ma dopo che siamo saliti, con un progresso necessario, a questo secondo piano graduato, se ci voltiamo indietro, come spiegare che in questo modo il più sembra risultare dal meno?
Perché questa potenza vittoriosa degli stati derivati?
Come mai la riflessione, proprio mentre restringe l'ampiezza della vita spontanea introducendovi limiti e contrasti, amplia la potenza dei motivi particolari, rendendo capace uno qualsiasi tra loro di mettere in scacco tutti gli altri?
Perché il movimento ascendente è esso stesso predeterminato da una segreta aspirazione, la quale fin dall'origine ha gettato il seme di queste crescite impreviste.
Visto dal basso in alto, secondo la serie dei mezzi, tutto sembra necessario; ma la costrizione è solo nelle apparenze.
Visto dall'alto in basso, se così si può dire, e nell'ordine dei fini perseguiti, tutto nasce da un'iniziativa che ogni nuovo sforzo deve rivelare sempre meglio.
Ecco perché ciascuna sintesi ulteriore contiene più dei suoi antecedenti già determinati; ecco perché la trascrizione nella coscienza degli stati inconsci crea un'energia nuova; ecco anche perché la riflessione, focalizzando su un punto la luce diffusa, la moltiplica in qualche modo; ecco infine perché questa luce, anche se intensificata, già non è più sufficiente per indurci all'azione, se non vediamo altresì, al di là, l'attrattiva dell'ombra e dell'incognito.
Non è dunque possibile, se ci collochiamo nello spazio di un solo momento della vita interiore, risolvere in un solo colpo il problema della libertà e del determinismo.
Infatti ciò che in un primo tempo è necessitante diventa a sua volta necessitato.
Solo al termine, se lo raggiungiamo, scopriremo il vero carattere di questo movimento totale della vita.
È dunque sufficiente indicare, a ogni grado di crescita dell'atto, la sequenza obbligata di questo stesso sviluppo, e la vittoria del nuovo stato sulle sue condizioni.
Ma bisogna stare attenti a non invertire o a non confondere i gradi di questa progressione rigorosa, altrimenti si misconosce il carattere scientifico di questo concatenamento, e ci si espone a scambiare la produzione necessaria della libertà34 ( è questo un aspetto del problema che si solito viene trascurato ) per un assorbimento della stessa libertà nella necessità.
Ecco la genesi, ecco l'efficacia della riflessione.
Essa deriva dalla spontaneità, e se ne libera spiegandola; procede dal determinismo, e lo trascende per conoscerlo.
Nata da una differenziazione interna e da una inibizione, è essa stessa ( come giustamente aveva notato il Positivismo ) questo potere di inibizione e di sconvolgimento.
Dal momento in cui compare, ogni tendenza viene tenuta a bada.
La riflessione sospende non la conoscenza, che invece fissa, ma l'attività immediata, grazie a un potere che mutua dalle diverse tendenze antagonistiche, e che è superiore a ciascuna e a tutte.
Infatti non si è spesso rilevato che un'attenzione troppo concentrata disturba la naturalezza e impedisce la disinvoltura dei movimenti più abituali, che l'analisi minuziosa ed erudita paralizza lo slancio, il sentimento ingenuo della felicità, la fecondità della vita e persino l'amore?
E non vediamo talvolta gli istinti e i costumi tradizionali soccombere davanti al progresso di questa forza dissolvente, la riflessione?
Dunque dal determinismo dei moventi e dei motivi sorge una potenza che lo tiene in scacco.
Grazie a essa nessuna suggestione della natura conserva il fascino magico che la rendeva imperiosa.
Di fronte a essa nulla ha un'influenza decisiva, un valore assoluto; nulla, per così dire, vale la pena di essere fatto.
C'è arresto, indifferenza.
Non è forse la morte dell'azione?
La quale non è forse concepita se non per abortire?
* * *
L'intento del capitolo secondo è di mostrare come il potere di inibizione, che è sufficiente a tenere a bada tutto il gioco delle tendenze spontanee, è per forza di cose titolare di un'azione propria.
Dapprima studio la genesi necessaria della libertà ( perché non dipende da noi di essere, ai nostri occhi, liberi o di non esserlo ); e faccio vedere come, grazie a questa credenza popolare e inevitabile, ciascuno ratifichi e riprenda per proprio conto tutte le condizioni antecedenti di questa libertà almeno apparente, convincendosi di essere in qualche modo il proprio punto di partenza.
Poi, dall'idea necessaria, passo a mostrare l'esercizio necessario della libertà in seno ai fenomeni interni e il ruolo non più solamente inibitorio, ma attivo e propulsivo, della riflessione liberante; e faccio osservare come questo atto di libera volontà abbracci tutto il seguito delle conseguenze, anche impreviste e in apparenza involontarie, che dovranno risultarne.
Qui dunque siamo al punto culminante, che funge da spartiacque tra le acque affluenti del determinismo e le acque emissarie della determinazione personale; ma in tale contesto si vede che, nel passato o nell'avvenire, questo duplice movimento di concentrazione e di espansione ha la sua ragione nel volere attuale.
Indice |
30 | Questa espressione ricorda molto da vicino talune espressioni di Hegel relative al soggetto, ovvero al principio della soggettività così come è enunciato nel § 7 dell' Enciclopedia. |
31 | L'espressione allude alla parabola del seminatore ( Mt 13,1-9; Mc 4,2-9 ). |
32 | Senza dubbio non tutti i movimenti della vita in noi sfociano nella coscienza, ne la coscienza, una volta risvegliata, adegua tutti i suoi antecedenti. Da una parte vi sono reazioni riflesse, e una diffusione che adopera nella sua traiettoria una parte dell'energia inconscia. Dall'altra, come si vedrà nello studio degli ostacoli che si frappongono all'azione voluta, tutte le energie diffuse non sono sistematizzate dalla riflessione, anche quella più comprensiva. Ma in questa sede si tratta anzitutto di far vedere come l'intervento della causa cosciente è un elemento integrante e vitale di certe azioni, proprio mentre queste azioni procedono al tempo stesso da potenze ignorate che contribuiscono a determinarle [nda]. |
33 | Ecco perché la vita animale e istintiva dell'uomo non è come quella dell'animale. L'intelligenza si manifesta non dove l'automatismo viene prolungato dall'istinto, ma dove ci sono una scelta dei mezzi e un discernimento dell'ambiente favorevole. La sicurezza con cui l'istinto risolve problemi insolubili con il ragionamento dimostra che, se le rappresentazioni inconsce sono un'immagine fedele del mondo, le rappresentazioni coscienti ne sono un'immagine deformata per le esigenze del contrasto. La coscienza riflessa è lo stato di massimo contrasto con le rappresentazioni inconsce [nda]. |
34 | Come prima ho parlato di fenomeni oggettivi o di vita soggettiva senza annettere a queste parole alcuna portata idealistica, realistica o fenomenistica, così tratterò della libertà senza preoccuparmi di sapere se parlo di una realtà, di un'idea o di un'illusione. Non è qui che si decide la questione, ma ben più in là di quanto abbiano intravvisto i deterministi o i loro avversari [nda]. |