L'azione

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La ragione dell'azione

Capitolo II

Dal momento in cui il concepimento di un atto è accompagnato da concepimenti contrari, e in cui, grazie all'antagonismo di queste forze rivali, è comparsa la riflessione, la semplicità dell'automatismo primitivo è perduta.

Messa in evidenza dallo stesso funzionamento del determinismo interno, una nuova potenza mantiene in sospeso tutto il movimento della spontaneità.

Ora qual è questo potere di comprendere a un tempo un sistema di idee complementari e di paralizzarne l'influsso immediato, per riflettervi e per deliberare tra esse?

È quello che comunemente si chiama la ragione.

E l'atto che procederà da questo lavoro interiore è quell'atto che di solito, senza distinguere a sufficienza ciò che meriterebbe di essere distinto, si chiama l'atto umano,35 l'atto ragionevole, l'atto volontario, l'atto libero, l'atto o l'azione tout court.

Ma come è possibile che vi sia, malgrado ciò che la riflessione sembra avere di paralizzante per l'attività, un'energia veramente riflessa?

Come viene generata la ragione?

E come è possibile che essa sia titolare di un'azione propria, senza essere separata dalle sue condizioni, un'azione necessaria, senza essere necessitante, un'azione decisiva, senza essere determinata?

I.

In che modo la ragione si costituisce in rapporto alla coscienza?

E in che modo essa fornisce l'idea necessaria di libertà, insieme alle nozioni regolatrici della vita riflessa?

Che questa idea compaia fatalmente in noi è certo, e non ci si è mai sognato di spiegarlo.

Che essa compendi e rappresenti da sola tutta la storia anteriore del determinismo, è una verità altrettanto misconosciuta e altrettanto essenziale.

Infatti da questo deriva che l'agente ( a torto o a ragione, - in effetti poco importa il valore assoluto dei fenomeni di cui qui si tratta di studiare semplicemente le mutue relazioni ), sostituendosi a tutte le condizioni antecedenti della sua azione, se ne attribuisce la paternità.

I - Se i motivi e i moventi costituiscono in noi l'eco del mondo intero e l'espressione della nostra natura, la coscienza che li percepisce costituisce, da un punto di vista particolare, la percezione dell'universo e della solidarietà totale.

Ora per conoscere l'universo è necessario che una nuova relazione si stabilisca grazie a questa stessa conoscenza.

Più comprendiamo la grandezza del mondo e quest'immensa durata in cui siamo quasi smarriti, più siamo grandi al di sopra di essi.

Conoscere significa possedere e dominare.

Intellectus fit omnia, sed, ut fiat, superai.36

Per cogliere il proprio oggetto, l'intelletto lo trasforma nella propria sostanza.

In effetti si possono comprendere le parti solo con l'idea del tutto; si conosce il tutto solo distinguendosi dall'universo con la percezione dell'universale.

La coscienza di un motivo non era esente dalla presenza di altri motivi.

La coscienza dei molteplici motivi per agire non è stata immune dalla visione, almeno confusa, di una loro opposizione e del sistema che essi formano.

La coscienza di questi contrasti in seno a una unità organica non è immune dal pensiero di ciò che è inaccessibile alla relazione e alla limitazione, dalla presenza conosciuta e posseduta di un assoluto, dall'idea regolatrice dell'infinito.

Non è possibile dubitare della presenza di queste nozioni razionali nella coscienza, del ruolo che esse svolgono nel modo stesso in cui noi consideriamo la nostra condotta personale.

Se alcuni le hanno negate, lo hanno fatto per timore della realtà assoluta che potremmo essere tentati di attribuire loro immediatamente.

Ora qui non avviene niente di simile.

Si tratta semplicemente di determinare la generazione reciproca di queste idee, e di spiegarne l'apparizione nella coscienza.

La nostra preoccupazione è tanto poco quella di conferire loro un valore oggettivo, che, lungi dall'elevarle all'assoluto, ci accingiamo a definirne le relazioni reciproche e gerarchiche.

Esse si richiamano a vicenda, e si producono nel pensiero del soggetto come semplici fenomeni solidali.

Come aveva osservato Leibniz a proposito delle matematiche, nel dinamismo mentale vi sono « parecchi gradi di infinito ».

Idee regolative37 della ragione e libertà sono i nomi di due di questi piani graduati.

Pertanto rendere conto della generazione di queste nozioni razionali significherà allo stesso tempo spiegare la produzione della coscienza del nostro libero volere.

A In due parole: la coscienza dell'azione implica la nozione di infinito; e questa nozione d'infinito spiega la coscienza dell'azione libera.

Infatti che cosa significa agire, secondo l'idea comune che ce ne facciamo?

Significa inserire e aggiungere qualcosa di se nell'immensità delle cose che avvolgono ovunque e sempre un infinito attuale, in seno al determinismo che abbraccia tutta la complessità dei fenomeni.

Nessuno pensa di agire, se non si attribuisce il principio della propria azione, e se non crede di essere qualcuno o qualche cosa, come un impero in un impero.

Questa persuasione intima non fa che tradurre e confermare la definizione scientifica di ciò che è propriamente soggettivo data in precedenza.

Non vi è sintesi effettiva, non vi è atto interno, non vi è stato di coscienza, per quanto oscuro, che non sia trascendente in rapporto alle sue condizioni, e in cui non sia presente l'infinito, - l'infinito, ossia in questo caso ciò che trascende ogni rappresentazione distinta e ogni motivo determinato; ciò che è senza comune misura con l'oggetto della conoscenza e con gli stimoli della spontaneità.

La luce di ciascuna idea compendia tutto un sistema di forze; e con l'azione ideale che esercitano gli uni sugli altri i motivi travolgono le potenze che rappresentano.

È così che possiamo trasformare in libertà interna le necessità esterne del mondo.

La riflessione non è sterile, è la forza delle forze; e come una leva appoggiata sull'idea dell'infinito, essa può sollevare l'universo.

Ecco perché la teoria agisce sulla pratica; perché il pensiero è una forma dell'azione di cui istituisce una volontà libera.

È anche per questo che le dottrine speculative dei moralisti costituiscono degli eventi nella formazione della morale generale.

Quindi la ragione decisiva di un atto non ci sembra mai risiedere in nessuna delle tendenze parziali che hanno contribuito a renderlo possibile.

Ai nostri occhi essa sta in questo potere, che nessuna delle determinazioni particolari potrebbe esaurire e che, assorbendo tutte le ragioni particolari, sembra naturalmente capace di dominare l'insieme delle forze definite: energie fisiche, appetiti, tendenze, motivi, determinismo della natura e dello spirito.

L'azione cosciente trova la sua spiegazione e la sua ragione totale solo in un principio irriducibile ai fatti di coscienza come ai fenomeni sensibili.

Essa è cosciente della propria iniziativa solo in quanto si attribuisce un carattere di infinitezza e di trascendenza.

Ora è proprio della riflessione di disporre per proprio conto delle risorse della spontaneità.

Ciò che l'agente ha fatto d'istinto può, facendo leva sull'invenzione, rinnovarlo ad arte.

Ciò che era compreso nell'espansione naturale della propria energia può essere dominato e sfruttato dall'agente.

Ciò che risultava da una forza non deliberata, egli sa farne lo scopo di uno sforzo nuovo.

E imitando se stesso, egli impiega al servizio di una causa finale tutta la potenza delle cause efficienti che porta in sé.

Dal momento in cui l'azione cosciente gli appare come un risultato irriducibile alle condizioni determinate da cui procede, egli fa di questo stesso risultato il principio di sue eventuali decisioni.

E la virtualità infinita celata nella natura del soggetto agente diventa sentimento della volontà libera.

È dunque perché troviamo nei nostri atti una specie di sovranità creatrice che abbiamo la coscienza di noi e la ragione.

È perché siamo ragionevoli e coscienti di noi stessi che ci riteniamo capaci di iniziativa volontaria.

Così nell'intimità della ragione si elucida questa reciprocità dei mezzi e dei fini che già si era manifestata, in maniera ancora estrinseca, nel dinamismo della natura.

Come in quest'ultimo contesto le sintesi superiori hanno spiegato le forme inferiori che, beninteso, ne sono le condizioni antecedenti, così qui le relazioni tra il determinismo immanente e la finalità trascendente.

La ragione non sarebbe in noi, non vi si riconoscerebbe senza tutto questo ritmo della vita inconscia o spontanea di cui abbiamo seguito fin qui le leggi necessarie.

E tutto questo processo organico non esisterebbe, non si svilupperebbe senza l'intervento latente di un'idea regolativa, perché proprio sotto l'influsso segreto di questa finalità tutti i motivi e gli stati di coscienza, richiamandosi, associandosi, opponendosi, hanno fatto nascere la riflessione, e con essa la coscienza di un potere libero.

Dunque il ruolo dell'azione nella costituzione della ragione e nell'idea di libertà è tanto essenziale quanto poco evidenziato.

Che cos'è infatti che rivela alla coscienza questo infinito apparente di un potere proprio dell'agente?

È l'azione stessa che si compie in lui e per mezzo di lui.

E che cosa gli ispira il desiderio e il sentimento di un potere proprio?

È l'idea di questo infinito dell'azione che pone all'origine delle sue decisioni volontarie.

La riflessione e la libertà sarebbero impossibili presso colui che invece di agire fosse agito.

Perché c'è ragione e coscienza riflessa c'è sentimento di infinito solo là dove c'è attività libera, e c'è attività libera solo là dove c'è coscienza di agire.

Se si prendono i fenomeni così come sono, senza aggiungere e senza togliere niente, vi è solidarietà tra la ragione e la libertà, tra la coscienza e la potenza dell'infinito.

L'idea reale non diventa ideale, ossia riflessa, che grazie a questa mediazione.

Perché se l'infinito è presente a ogni soggetto, non ogni soggetto è presente all'infinito e sa fruirne.

Dunque l'atto volontario va dall'infinito all'infinito, perché in esso l'infinito è la causa efficiente e la causa finale.

La libertà, lungi dall'escludere il determinismo, ne scaturisce e ne fa uso; il determinismo, lungi dall'escludere la libertà, la prepara e la produce.

Poco importa l'ordine cronologico; il tempo è solo un modo di rappresentare l'unità soggettiva dell'azione nella molteplicità dei fenomeni subordinati, e la necessità immanente al concatenamento di questi fenomeni non è che la proiezione obiettiva, e per così dire il progetto, della finalità trascendente cui si ispira la ragione.

In tal modo la riflessione, percorrendo in tutti i sensi la serie delle cause efficienti e delle cause finali, e vedendo da dove scaturisce l'atto, sa ritornarvi e riprodurlo.

Essa discende o risale ugualmente la doppia sequenza delle operazioni spontanee di cui è a volta a volta il termine e il punto di partenza.

Essa va a riprendere nella natura la trafila delle cause che sfociano nel suo fine, e predetermina il concatenamento dei mezzi appropriati ai suoi scopi.

Al determinismo della forza bruta o dell'istinto animale o della spontaneità mentale si aggiunge, non per abolirlo ma per impiegarlo, la determinazione volontaria dell'atto.

Insomma, per agire bisogna partecipare a una potenza infinita; per avere coscienza di agire bisogna avere l'idea di questo potere infinito.

Ora è nell'atto razionale che c'è sintesi tra la potenza e l'idea di infinito.

E questa sintesi è ciò che si chiama la libertà.

II - Ecco dunque che la libertà, questo scandalo per la scienza, è stata affermata dalla stessa scienza, da una scienza più completa e conseguente alla legge del suo progresso.

Essa esiste, perché il movimento della scienza e della coscienza non si spiega senza di essa.

Esiste, perché dal determinismo si evade attraverso la breccia in cui si pone ciò che esso ha di vero.

Ma intendiamoci bene sul senso e sulla portata di questa affermazione.

Essa comprende una triplice verità:

1) nulla nel determinismo della natura e del pensiero, nei fenomeni come nella scienza dei fenomeni, contraddice la coscienza di una forza immune dalla necessità, immunitas a necessitate;

2) il movimento della spontaneità e il progresso del determinismo produce la coscienza necessaria e inevitabile della libertà, necessitas libertatis;

3) il gioco stesso di questo determinismo è spiegato e consacrato dalla libertà, necessitas a liberiate.

Soprattutto su quest'ultimo punto è importante prevenire ogni malinteso.

Ogni nostra azione personale sembra poggiare su un fondo ultimativo di passitivà, e sarebbe assurdo pretendere che dipenda da noi aver attraversato tutte le forme della vita inconscia per giungere infine all'alba della riflessione e alla luce della ragione.

Invece di provare che noi siamo padroni di essere ragionevoli e liberi, abbiamo appena visto al contrario perché lo siamo inevitabilmente.

Ciò vuol forse dire che questa libertà necessaria è assorbita nel determinismo? Non del tutto.

Pertanto bisogna salvare insieme queste due asserzioni: da una parte il determinismo è sfociato necessariamente nella coscienza della libertà; dall'altra la libertà, prendendo coscienza di se stessa, ratifica tutto quello che precede, e vuole tutto ciò che le consente di volere.

Dal momento in cui l'agente ragionevole si attribuisce una potenza superiore alle condizioni da cui derivano la sua coscienza, la sua ragione e la sua libertà, non potrebbe, neanche volendolo, smentire queste origini della volontà.

E se potesse scoprire un motivo per rinnegare ciò che è, non lo troverebbe certo negli antecedenti del suo atto.

In tal modo è legittimato tutto questo processo che sembrava estraneo al volere umano, e si vede che tutto il movimento della scienza poggia su una volontà profonda.

Pertanto, quando con una decisione che poteva sembrare artificiale e arbitraria abbiamo optato per questo qualcosa, per questo fenomeno di cui si dà intuizione immediata e conoscenza scientifica, esprimevamo con una forma linguistica estrinseca questa verità essenziale, che cioè tutto il sistema dei fenomeni oggettivi e soggettivi, tutto l'organismo delle conoscenze positive, è subordinato e sospeso al fenomeno della libertà.

In effetti si deve dire il fenomeno della libertà, per mettere bene in evidenza ancora una volta che qui non si pregiudica nessun problema ulteriore.

Se talvolta il determinismo della natura e del pensiero è sembrato contraddire la libertà, è stato unicamente perché vi si annetteva un valore ontologico, e perché si trattavano i fatti positivi e gli stati di coscienza come esseri assoluti ai quali applicare il principio di contraddizione.

D'ora in poi nessuna obiezione della meccanica, della fisica, della psicofisica, della psicologia sperimentale contro questo libero arbitrio ha senso.

Perché le affermazioni scientifiche, avanzate sempre da visuali differenti, non potrebbero scontrarsi e urtarsi, dato che tra i fenomeni vi è eterogeneità, nonostante quella stessa solidarietà che abbiamo riconosciuto dappertutto.

È una deformazione ottica, nettamente contraria allo spirito della scienza, la convinzione che, affermando la verità del determinismo, si neghi la libertà, come se non fossero compatibili diverse forme di fenomeni, o come se, per esempio, le leggi di gravita potessero escludere la spontaneità delle funzioni vitali!

Qui dunque bisogna recidere decisamente il reticolo di radici invisibili che ci raccorda alle origini sotterranee della nostra condotta.

L'azione ha la sua linfa propria. Essa è sempre un al di là.

Se era indispensabile, per non lasciare che qualche intelligenza si attardasse in sterili difficoltà, determinare gli antecedenti della decisione razionale e libera, ormai bisogna partire da essa come dalla vera e salda origine del movimento che veicola l'uomo verso fini conosciuti e voluti.

Da quando agisce, il soggetto, che sa e vuole, di solito non si preoccupa affatto delle cause efficienti della sua decisione; e ha ragione.

Perché egli si sostituisce realmente a qualsiasi meccanismo della vita inconscia.

La luce non lo rischiara di meno, se non indaga da dove viene.

E d'altra parte non è certo guardando da dove viene che egli scopre la ragione decisiva della propria risoluzione, perché non ha mai coscienza di agire, senza aver trasformato la necessità immanente in finalità trascendente.

Egli domina tutto ciò che precede, senza aver bisogno di conoscerlo distintamente, perché gli è sufficiente conoscere dove tende.

Infatti, in ciò che sa, comprende e supera ciò che in tal modo ignora, in ciò che vuole, ratifica ciò che non aveva potuto volere ancora.

Ecco perché la riflessione analitica dello psicologo, guardando retrospettivamente alle condizioni dell'atto, è esposta al rischio di snaturare quello che pretende studiare.

L'autentica conoscenza è quella riflessione che dirige in avanti lo sguardo interiore, verso i fini che sollecitano la volontà, perché là soltanto c'è la ragione sufficiente delle determinazioni libere.

Chiunque è nato per l'azione, guarda davanti a sé; oppure se cerca da dove viene, lo fa soltanto per meglio sapere dove va, senza mai rinchiudersi nella tomba di un passato morto.

In avanti e in alto: l'azione non è tale che per questo.

È pacifico che la causa finale è più che la causa efficiente.

E proprio per mostrarlo era necessario definire il rapporto che le unisce.

Troviamo così che il sentimento popolare è d'accordo con le conclusioni della scienza soggettiva.

La nozione scientifica della libertà è assai prossima alla coscienza ingenua e all'esperienza pratica.

L'azione volontaria appare come una creazione nella creazione.

È un infinito ammassato in un punto; esso trionfa sull'oppressione universale e solleva il mondo, perché nel soggetto vi è una potenza in confronto alla quale il peso di tutto l'oggetto espresso dalla conoscenza non conta più.

Per muovere di mia iniziativa il dito mignolo, è necessario che scuota l'intero sistema dei fenomeni.

Certo, nell'istante in cui ne subisco l'impressione, bisogna che sia più forte di tutto ciò che mi è noto: io cammino sotto il peso dell'infinito.

Infatti concepire l'unità dell'universo, affermare che questo universo non è un sistema chiuso, non significa forse ammettere che lo spirito in confronto al mondo è come un infinito capace di dominare tutte le forze naturali?

Non sentiamo forse, non abbiamo forse osservato cento volte che siamo più forti di tutto, non sempre per il vigore dell'animale umano, ma per la direzione della volontà, per l'energia intima e l'azione centrale dello spirito?

L'affrancamento grazie alla scienza sarà sempre incompleto; la liberazione grazie all'iniziativa morale, alla pazienza, alla stessa morte, affrontata eroicamente o accettata, rimane sempre possibile.

La conoscenza scientifica non ci scioglie mai dai vincoli; viceversa grazie a questo semplice sentimento siamo liberati dalla conoscenza scientifica.

Indubbiamente, accanto alla potenza misteriosa che sperimenta in sé, l'uomo si sente assalito e spesso vinto da oscure tirannie.

Il grande enigma della sua natura è proprio questo estremo miscuglio di forza e di debolezza.

Ma se talvolta è come un giocattolo in mani ignote, in ogni caso niente minaccia la sua sovranità, né dal lato delle scienze positive né nell'ambito del determinismo dei fenomeni.

E se è vero che spesso il suo sforzo naufraga contro scogli fatali, ciò non avviene mai per cause che la scienza possa definire, né in nome delle leggi generali della natura o del pensiero.

Era dunque essenziale, nella confusione in cui ci getta la vaga coscienza della nostra forza e della nostra sudditanza, sceverare questa libertà ultimativa, e difenderla contro le obiezioni non pertinenti con cui spesso la scienza positiva ha preteso tempestarla, approfittando del groviglio dei nostri vincoli reali.

Infatti esistono abbastanza ostacoli all'esercizio di questa libertà, come vedremo studiando l'espansione naturale dell'azione volontaria.

Pertanto queste conclusioni vanno tenute strettamente legate.

La libertà è postulata dalla scienza.

Essa affiora alla coscienza grazie al gioco stesso del determinismo.

Non si dà coscienza del determinismo che grazie alla libertà.

La libertà assume tutte le sue condizioni antecedenti.

Ma non vi trova la sua ragion d'essere.

La ragione vera dell'azione va ravvisata in un fine trascendente la natura o la scienza.

II.

Prodotta necessariamente in ordine alla coscienza, la libertà si esercita necessariamente.

È chiara la latitudine di questo nuovo determinismo che abbraccia non più soltanto tutto il passato, ma vale per tutto l'avvenire?

Da quando questa ragione liberante è rifulsa insieme con la riflessione, è fatta per sempre; essa è rifulsa.

Ma stiamo attenti: questa necessità ulteriore è ancora avvolta nella determinazione attuale.

Adesso dunque, con l'attenzione rivolta a questa duplice relazione, è necessario indagare come la libertà ha un influsso inevitabile, e come tuttavia essa non ripudia ne quest'uso inevitabile ne nulla di quanto può derivarne.

Essa non evade dalla necessità di essere e di restare la ragione dell'azione; e nel fondo della sua sincerità vi acconsente.

I - Non possiamo impedirci di aver visto quello che abbiamo visto.

Quando la riflessione ha risvegliato il sentimento di un libero potere presente in noi, e ci ha consegnato nelle mani del nostro proprio consiglio, è troppo tardi: non volerne usare significa ancora farne uso.

La libertà non è, come troppo spesso è stata rappresentata e a torto, un semplice potere d'arbitrio, sempre padrone di offrire o di rifiutare la mediazione della ragione.

Essa è scaturita dal dinamismo dell'azione spontanea, e per questo tende necessariamente al dinamismo dell'azione riflessa.

In ciò porta il segno indelebile della sua origine, e continua in qualche modo il movimento, beninteso accettato e legittimato, del determinismo.

Quindi non voler volere significa sempre volere.

E quando, sottraendosi in apparenza alle circostanze difficili in cui è chiamata a militare, la volontà si allontana dal raggio importuno che turba la sua quiete, non cessa di essere complice delle tendenze che la trascinano mentre da a credere di essere neutra.

Le sarebbe comodo lavarsi le mani di tutto!

Ma ciò che si fa davanti a essa senza di essa si fa grazie a essa, poiché, pur avendo coscienza di non trovare che in sé la vera ragione dell'atto, la pone non in sé ma altrove.

Adversus rationem, non absque ratione velie est.

E quando in effetti non si vuol volere, significa che agendo ci si vuole astenere dal volere, significa che si vuole agire.

Quindi l'azione cosciente attinge sempre alla volontà, senza dubbio non tutte le condizioni da cui ricava la sua linfa, ma questa causa « incondizionata » senza la quale non sussisterebbe.

Per meglio capire questa complicità dell'astensione pensiamo all'invincibile forza della resistenza; perché la libertà di non fare è infinita, sovrana e definitiva fin dal primo istante.

Per far sì che un uomo agisca non c'è potere esteriore o violenza intima che faccia presa sulla sua ragione integra.

Si arriverà forse a ucciderlo, ma proprio in ciò trionfa questa volontà di non agire, poiché la morte, distruggendo la libertà di fare, sancisce la libertà di non fare.

Ciò che in tal modo l'eroica libertà di morire affida per sempre al passato, il potere uguale e contrario di vivere e di agire lo semina nell'avvenire in eterno.

Anche quando la volontà sembra attenersi alle occasioni prossime e ai moventi transitori, per conservarli in sé senza abbandonar visi, è essa che si mette in quelli, e invece di servirsene li serve.

Qualsiasi motivo che abbia efficacia su di noi è più che questo motivo.

Chi ad esempio si propone la scienza come scopo della sua vita ne fa già un fine trascendente la scienza, una realtà morale.

Allo stesso modo il determinismo universale non è oggetto di scienza.

Quindi si potrebbe far ricorso a esso per scusare un atto solo in forza di una fede, e di una fede illegittima.

L'atto voluto oltrepassa sempre infinitamente ciò che è conosciuto, analizzato, determinato.

Al di sopra di ciò che brama l'uomo si interessa a ciò che in lui brama e gode.

Egli si preferisce al mondo, perché di fatto vale più del mondo.

E quindi agisce secondo l'idea che ha dell'azione solo in quanto è principio e fine dei suoi atti.

II - La volontà libera è sorta necessariamente in noi, e ha fatto proprie tutte le sue origini.

- La volontà libera è necessariamente impegnata nei nostri atti riflessi, e ratifica tutti i risultati del suo intervento e della sua astensione.

Essa non è solo una possibilità necessaria, è un fatto necessario.

È un compito delicato quello di mostrare che la libertà, esercitandosi necessariamente, conserva la proprietà volontaria di tutto questo retaggio forzato di cui la carica il futuro.

Sembra che il determinismo la preceda, la accompagni e la segua, poiché essa germina, cresce e fruttifica per forza di cose.

E tuttavia, acconsentendo essa alla necessità di volere e di agire, ratifica questa nuova necessità che da essa risulta.

O meglio questa doppia costrizione non è altro che la forma nella quale essa si rivela a se stessa e si impone le proprie condizioni.

Perché, dato che trova soltanto in sé la ragione sufficiente della propria condotta, non potrebbe mai prendersela con altri se non con se stessa per le conseguenze che derivano direttamente da ciò che ha voluto o ha escluso.

È precisamente questo determinismo che legittima la scienza dell'azione libera, o meglio ne costituisce l'oggetto.

Perché nell'infinita varietà delle decisioni e degli atti possibili il pensiero si perde come in un caos.

Non si dà scienza del particolare.

Ma se questa facoltà indeterminata si definisce solo in base al fatto che essa vuole, e non in base a ciò che vuole; se, meglio ancora, nel solo atto del volere si deve rivelare il fine cui tende e i mezzi di cui si serve, allora questo concatenamento rigoroso comporta una determinazione scientifica.

Si dà una logica necessaria della libertà.

Il nostro compito ormai è quello di svolgere il contenuto della volontà che è coerente con il movimento stesso che essa si imprime nel suo primo slancio.

Precisamente grazie a questa espansione, e grazie a un metodo la cui originalità è incomparabile, essa scoprirà se ha una norma da osservare, un'operazione da eseguire, delle relazioni morali e sociali da istituire.

Infatti proprio l'iniziativa a priori di questa libera attività deve ricostituire, nel suo dispiegamento, la necessità alla quale è assoggettata, per così dire, a posteriori.

In tal modo l'eteronomia della sua legge corrisponderà alla sua autonomia interiore.

Sicché quando facciamo veramente quello che vogliamo in tutta sincerità, noi obbediamo a un'obbligazione che, lungi dal dipendere dalla nostra decisione, è per noi un fine imperativo.

In ciò sta il carattere unico della sperimentazione nella prassi: l'azione volontaria provoca in qualche modo la risposta e gli insegnamenti dal di fuori; e questi insegnamenti che si impongono alla volontà sono tuttavia avvolti in questa stessa volontà.

Tutto quanto si argomenterà in seguito illustrerà e giustificherà questa visione.

In riferimento alla coscienza la ragione dell'atto non potrebbe risiedere che in una libertà capace di compendiare, sfruttare e trascendere tutto il determinismo da cui è sorta e che essa accetta.

E questa facoltà non è padrona di sottrarsi al proprio ruolo; essa non può, non vuole sottrarvisi.

È sempre essa che rimane la vera ragione dell'atto riflesso e che ne sostiene legittimamente il peso.

Ma non scorgete questo doppio scoglio su cui minacciano di infrangersi tutte queste prime parvenze di libertà?

- Essendo prodotta necessariamente, costituendo essa necessariamente un agente, e un agente efficace, la libertà non è forse un altro nome del determinismo, un semplice automatismo spirituale la cui molla, invece di essere una forza cieca, sarebbe un'idea, la più forte delle forze?

- Essendo inevitabilmente sovrana, e sola capace di decidere l'atto, di deciderlo da sola, non è forse l'arbitrio per antonomasia?

L'alternativa che mi si presenta è questa: o l'indifferenza pura o un determinismo che, pur sembrando meno brutale, non è meno assoluto.

Schiava o despota, niente o tutto, a seconda del punto di vista da cui si guarda a questa libertà nascente: sta forse qui tutta la ragione dell'azione?

* * *

La libertà, prodotta necessariamente ed esercitata necessariamente in noi, si conserva libera solo sotto forma di una determinazione, di un'obbligazione e di un'azione.

In tal modo perché la volontà resti sincera, occorre passare dall'autonomia all'eteronomia, e dal formalismo dell'intenzione alla produzione dell'azione, con la quale essa trascende l'ambito della coscienza.

L'accertamento di tutto ciò è compito del prossimo capitolo.

- Qui si indaga anzitutto come la libertà, invece di avere un'efficacia certa e di dominare sovranamente tutti i motivi subalterni, si mescola a essi e ha bisogno di determinarsi in seno a loro.

- Poi si definisce il carattere del fine che in tal modo la libera volontà si assegna, e si mostra come questo fine che la volontà si propone è irriducibile a questa stessa volontà, e le appare come una legge obbligante.

- Infine si vede che questa concezione del dovere riveste una forma pratica, ossia che l'intenzione è completa e sincera solo nella misura in cui si traduce in azione.

Insomma una volta che la volontà si è interiorizzata nella coscienza riflessa, non può rimanervi confinata; avendo attinto dal di fuori i propri alimenti, essa ritorna al di fuori per operarvi.

- Eviteremo pertanto ad un tempo la concezione chimerica di una libertà di indifferenza, l'illusione contraria di un determinismo del bene, e l'errore del formalismo morale.

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35 Sono note le differenze assai precise che gli scolastici segnalano tra l'atto dell'uomo e l'atto umano, e anche tra volontario e libero.
L'atto è più che altro (salvo usi particolari) l'iniziativa primordiale dello sforzo interno, sia che per natura tutto debba limitarsi a questa operazione spirituale, sia che si tenga presente nell'opera stessa la parte assolutamente soggettiva dell'agente.
La parola azione denota invece il passaggio dall'intenzione all'esecuzione che la incarna, e spesso, per conseguenza, il risultato o l'opera stessa di questa operazione transeunte. Dunque tra atto e azione sussiste una differenza analoga, ma contraria, a quella che c'è tra opera e operazione [nda].
36 Questo adagio è coniato da Blondel sulla base di un notissimo assioma scolastico, per evidenziare il carattere di trascendimento-superamento che appartiene in proprio alla ragione.
37 Le idee regolative sono, nel contesto della dialettica trascendentale della Critica delia ragion pura, dei contenuti ideali privi di valenza conoscitiva ma gravidi di valenza orientativa, soprattutto in ordine alla comprensione del mondo noumenico della libertà.
È in questo senso che qui il termine viene ripreso.