Gesù Cristo rivelazione dell'uomo

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Capitolo sesto - I

Cristo e le nostre solitudini

I. Solitudine e alterità

Può sembrare strano parlare di « solitudine » in una società che parla continuamente di comunicazione, di condivisione, di dialogo.

Nella Chiesa non siamo forse all'ora della collegialità, dei sinodi, delle conferenze episcopali, dei consigli presbiterali, delle comunità di base, delle comunità di preghiera, dei gruppi carismatici, delle omelie partecipate?

Nella società civile non si parla che di sindacati, di riunioni di partito, di meetings, di clubs, di pranzi di lavoro tra uomini d'affari.

Nelle università, è il girotondo dei consigli d'amministrazione, dei consigli di facoltà, dei consigli di studenti, dei laboratori di lavoro, delle équipes di ricercatori, mentre negli ospedali, si pratica la terapia di gruppo.

Il tempo della solitudine è diventato anacronistico.

Si pensa in gruppo, si lavora in gruppo, si vive in gruppo.

D'altra parte quest'uomo della comunicazione ha un bei vivere in seno alla moltitudine, inondato di discorsi; egli aspira alla tranquillità, alla pace, se non alla solitudine.

Aspira al week-end, agli uffici chiusi, ai telefoni finalmente ridotti al silenzio.

Evade dalle città, in ricerca di un'oasi di verde, vicino al lago.

Ma, nuovo paradosso, appena arrivato, appena fermo, si annoia; si chiede che cosa farà, dove potrebbe andare, chi potrebbe invitare.

Apre la radio, accende il televisore, mette in moto il giradischi ad alto volume, corre al club di golf.

Soffre di star solo.

È il paradosso dell'uomo contemporaneo.

Vive in gruppo, parla di comunicazione, ma il discorso non giunge a salvarlo dal suo isolamento.

Aspira alla tranquillità, ma non è capace di rientrare in se stesso.

Desidera la folla, ma soffre dell'anonimato che lo dissolve.

Desidera la pace, ma teme di ritrovarsi solo.

Risente dolorosamente l'impossibilità di comunicare con gli altri, come pure la sua impotenza a rientrare in se stesso.

In fondo è incapace di vivere con gli altri, così come è incapace di vivere solo.

Non più di quanto si sopporta, sopporta gli altri.

Solitudine e alterità: la riuscita o il fallimento della nostra vita dipendono dall'equilibrio più o meno riuscito tra questi due poli.

Noi passiamo dalla tristezza di sentirci incompresi, respinti, abbondonati, sepolti, alla gioia di essere accolti, capiti, chiamati a condividere.

Una parola d'amicizia ci sembra più preziosa di una fortuna: ma se questa amicizia si rompe, subito noi sentiamo il morso della solitudine, dell'isolamento.

La nostra esistenza si tesse così attraverso un'alternanza di solitudine e di comunione, che ci fa soffrire, ma nello stesso tempo ci purifica e ci approfondisce.

Solitudine e alterità essendo a tal punto legate, conviene studiare l'una e l'altra, in una prospettiva cristiana.

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