Gesù Cristo rivelazione dell'uomo |
È un fatto acquisito: grazie al progresso tecnico, in pochi decenni, l'uomo ha decuplicato i suoi mezzi di produzione e, di conseguenza, prodigiosamente accresciuto lo sviluppo dell'umanità.
Pensiamo all'elettronica e a quello che permette, alla televisione, per esempio, il più importante prodotto della tecnica: nello stesso istante l'umanità è presente ai gesti, agli sguardi, alle parole del Papa, nel Messico, in Polonia, in Africa, in Brasile, nelle Filippine, in Giappone.
Si pensi al progresso realizzato nel mondo delle comunicazioni ( radio, telefono, telex, aereo, satelliti, navicelle spaziali ), ai prodigi della medicina dovuti alla scoperta degli antibiotici, allo slancio scientifico provocato dalle ricerche spaziali.
D'altra parte, inevitabilmente, una tale crescita, così accelerata, ha colto l'uomo di sorpresa e lo ha messo in crisi.
« Questo progresso è meraviglioso, dice Giovanni Paolo II, ed è difficile non scoprire in esso anche autentici segni della grandezza dell'uomo …; tuttavia questo stesso progresso non può non generare molteplici inquietudini.
La prima inquietudine riguarda la questione essenziale e fondamentale: questo progresso il cui autore e fautore è l'uomo, rende la vita umana sulla terra, in ogni suo aspetto, più umana?
La rende più degna dell'uomo?
… L'uomo, nel contesto di questo progresso, diventa veramente migliore, cioè più maturo spiritualmente, più responsabile, più aperto agli altri, in particolare verso i più bisognosi e i più deboli, più disponibile a dare e a portare aiuto a tutti »6
Notiamo che l'umanità stessa, una volta passato il brivido dell'esaltazione, prova già il brivido della paura.
L'uomo ha paura dei congegni che ha costruito e dell'autodistruzione che possono provocare in un momento di panico.
Nel contempo, una coscienza più acuta dell'interdipendenza delle nazioni, nell'ordine economico e militare, li obbliga, per interesse, se non per virtù, a dialogare, a sedersi allo stesso tavolo per discutere, concludere accordi, o almeno porre le premesse che un giorno li renderanno possibili.
La grande impresa stessa rende più agili le sue strutture.
Lo prova la creazione di associazioni di padroni-operai, di governanti-sindacati, la presenza, in seno all'impresa, di responsabili di pubbliche relazioni, la previsione dei tempi di divertimento, l'assicurazione contro i rischi della disoccupazione, della malattia, degli infortuni; il frammentare la grande impresa in filiali di dimensioni più umane, la rotazione dei compiti per dare all'operaio il senso della sua partecipazione al prodotto completo.
La società tecnologica non è quindi necessariamente distruggitrice, anche se può facilmente diventarlo.
Tenuto conto dei suoi aspetti positivi e degli ammorbidimenti che sta attuando, il regime attuale del lavoro nella società tecnologica pone problemi inediti, a motivo soprattutto del contesto in cui è nato.
1. Si ha l'impressione, in un mondo scrupolosamente secolarizzato, che i gesti del lavoro, della ricerca, della tecnica, siano paralleli ai gesti religiosi e non abbiano alcun legame tra loro.
Da una parte vi è il reale, tangibile, verificabile, che utilizza le risorse della tecnica; dall'altra vi sono le ideologie, la fede, universo senza dubbio reale, ma che sfugge alla verifica.
Si giunge così allo scisma interiore, che è il dramma del nostro tempo.
Come pensare che Dio abbia il suo posto in questo mondo dell'acciaio, del cemento armato, dei computers, del laser?
Mondo del lavoro e mondo della fede evolvono parallelamente.
Quindi, se Dio è assente dalla nostra presenza quotidiana al mondo, perché tenerne conto?
Progressivamente, osservava già Teilhard de Chardin, la ricerca e la tecnica bloccano la visione di Dio, e si sostituiscono a lui.
Dio è il Progresso.
2. La posta in gioco è importante, perché il senso del lavoro è il punto d'incontro del cristianesimo e del marxismo.
L'uomo contemporaneo, credente o no, è convinto che il suo destino è di trasformare il mondo e di contribuire così al bene dell'umanità.
È appunto questa convinzione che rende così seducente ai suoi occhi la visione marxista del mondo.
L'atteggiamento escatologico dell'esistenza, fondamentale nel cristianesimo, gli appare come un'alienazione, perché la vede come una fuga dall'impegno essenziale dell'uomo.
Nel dialogo tra cristianesimo e marxismo, è dunque capitale riflettere sul significato del lavoro e del progresso umano.7
3. Se si chiede a un cristiano di oggi: « Perché lavori? », risponderà nella migliore delle ipotesi: « Per guadagnarmi da vivere, per costruirmi una casa, per assicurare l'avvenire della mia famiglia e dei miei figli, per guadagnare il paradiso ».
Tutte queste risposte sono esatte, persino nobili.
Ma sono sufficienti? È vero che il lavoro è soltanto un modo per guadagnarsi il pane in maniera meritoria per via dell'intenzione che lo anima?
Basterebbe allora dire: ciò che conta è l'intenzione, l'oggetto fabbricato essendo solo l'occasione di fare gesti meritori.
Se si aggiunge che l'uomo è il sacerdote della creazione, incaricato di offrirla a Dio, come lo propone Teilhard nella sua Messa sul mondo, ci si trova sempre in una spiritualità dell'intenzione: il mondo è dato all'uomo perché egli possa offrirlo a Dio.
Questa prospettiva ci sembra ugualmente incompleta.
Si deve aggiungere che il mondo e il lavoro hanno un senso che preesiste al gesto dell'uomo.
Dio è già presente e attivo nel cuore dell'universo, perseguendo il suo disegno di salvezza.
È dunque compito della fede decifrare e mettere in risalto il significato, anzi i diversi livelli di significati che conferiscono alle realtà terrene un'espressione religiosa autentica.
Il cristiano deve raggiungere un'ermeneutica, una scoperta del significato divino delle attività umane.
Il conflitto che l'uomo contemporaneo percepisce tra fede nel progresso e fede in Cristo, è soltanto apparente.
Fin dalle prime rotazioni della nebulosa primitiva, il mondo è destinato all'uomo; ma attraverso l'incarnazione e la redenzione, tutta l'evoluzione del mondo, tutto il lavoro dell'uomo è assunto, elevato e finalizzato per mezzo di Cristo.
L'errore del marxismo è di « concludere » l'avventura umana richiudendo su se stesso il cerchio del progresso terreno, ed esclusivamente terreno.
Emancipandosi dal Dio creatore, il marxismo si costituisce solo creatore di se stesso e dell'universo.
Il cristianesimo, al contrario, conclude « sfociando » su un Assoluto che assume, eleva e completa tutto il progresso umano.
Non vi è fede cristiana reale, infatti, se non raggiunge e non solleva la totalità del dinamismo umano.
E, d'altra parte, non vi è fede nell'uomo e nel suo progresso, se l'avvenire dell'uomo socializzato, planetizzato, non raggiunge un Centro trascendente, irreversibile, di personalizzazione e d'amorizzazione.8
In breve, è impossibile progredire in-avanti, senza andare anche verso l'in-alto.
È questo significato, meglio questa molteplicità di significati che occorre svelare per capire il lavoro e la ricerca.
Ora questo significato non può essere percepito ne approfondito senza una teologia della creazione, dell'incarnazione, della redenzione, dell'escatologia.
Indice |
6 | Giovanni Paolo II, Redemptor hominis, n. 15. |
7 | J. ALFARO, Cristologia e antropologia, Cittadella, Assisi, 1973, pp. 588-592. |
8 | TEILHARD DE CHARDIN, Sur la valeur religieuse de la recherche, 20 agosto 1947, Oeuvres 9, pp. 257-263. |