Gli stati di vita del cristiano |
Per sapere dove l'uomo ha da stare e dove ottiene stabilità ( Stand ), ci si deve chiedere dove Dio lo ha collocato.
« Dio disse: facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza ( … ) così Dio creò l'uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò » ( Gen 1,26-27 ).
« Allora il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente » ( Gen 2,7 ).
« Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse » ( Gen 2,15 ).
Così l'uomo è immagine e somiglianza di Dio; secondo la materia della sua origine però egli è polvere e terra.
Secondo la sua destinazione egli è ciò che v'è di più alto, di più vicino a Dio; secondo la sua provenienza è ciò che v'è di più basso.
Ciò che giace dietro di lui, la polvere da cui proviene, resta per lui perpetuo ammonimento a non scambiare immagine originaria ( Urbild ) e copia ( Abbila ), ma la copia che egli è lo invita ad orientarsi sempre secondo l'immagine originaria che è la misura del suo essere.
Così il suo primo stato è una doppia distanza:1 da Dio e dal nulla.
Poiché egli origina dal nulla, nella sua pur così grande somiglianza con l'immagine originaria mantiene sempre l'ineliminabile e ancor più grande dissomiglianza rispetto a Dio.
Non può diventare più simile a Dio dimenticandosi vieppiù della sua provenienza per assumere sempre più il modo d'essere di Dio; egli adempie invece la sua destinazione nella misura in cui tende ad essere immagine e somiglianza restando nella distanza.
Se ha l'umiltà di non dimenticare o rinnegare per alcun istante il suo non esser Dio, la sua provenienza dal nulla, otterrà il massimo della sua somiglianza con Dio.
Ogni tendere all'identità di immagine originaria e copia significherebbe la sua subitanea distruzione.
La grazia che lo ha posto nell'esistenza gli ha contemporaneamente donato, in forza della distanza dall'immagine originaria che è il Creatore, la grazia della somiglianza.
Proprio perché egli non è Dio, ma prende le distanze da Dio come qualcosa di sempre altro, può partecipare all'autonomia, unicità, personalità e libertà del Creatore.
Se uno specchio volesse avvicinarsi a ciò che rispecchia sino al punto di coincidere con esso, l'immagine nello specchio verrebbe eliminata.
E se due amanti volessero tentare di possedersi l'un l'altro al punto da fondersi l'un con l'altro, l'amore verrebbe, se ciò fosse possibile, annientato.
L'amante, per poter mettere in atto il movimento dell'amore, abbisogna della non rimuovibile stabilità ( Stand ) del suo proprio essere.
In base a questo mistero, che cioè proprio la distanza creaturale da Dio è quella condizione in cui la creatura può maggiormente avvicinarsi a Dio, la vocazione dell'uomo all'amore acquista un nuovo volto.
Egli è chiamato ad esso, ma in modo tale che con ciò egli adempie perfettamente la sua condizione di creatura.
Non solo egli può, ma egli deve tendere al massimo dell'amore; ma questo massimo coinciderà con la più alta realizzazione della verità del suo stato di creatura.
Ciò però significa che il suo amore deve possedere la forma interna della dipendenza e della sottomissione, dev'essere una cosa sola con la glorificazione dell'eterna immagine originaria nella forma di un servizio pieno di riverenza ( Ehr-furcht ).
« Immagine e somiglianza » non significa dunque per la creatura il compito di un'illusoria imitazione del modello ( Vorbild ) che è Dio ( in modo che un osservatore sarebbe tentato di scambiare l'uno con l'altro ), ma « immagine e somiglianza » significa invece sottolineatura della distanza, affinché diventando essa ben visibile si evidenzi tanto maggiormente anche l'inconfondibilità e unicità dell'immagine originaria.
La ricezione dei tratti di somiglianza con Dio nella creatura presuppone che questa si distingua sempre più umilmente da Lui, per far spazio in sé all'accoglimento dei raggi divini.
Questo atteggiamento non significa affatto annullamento dell'io autonomo-simile annullamento starebbe soltanto di nuovo segretamente a servizio di un farsi uguali a Dio, di una fusione mistica, ma assunzione della somiglianza nell'espressa distanza della riverenza e del servizio; non tende a cancellare una volontà propria, personale, ma ad assumere la volontà divina nella volontà propria con la chiara coscienza che in tal modo la volontà del signore viene accolta nella volontà del servo e da lui realizzata.
In questa forma di servizio il dono dell'amore viene consegnato da Dio alla creatura.
Se essa fa ciò che deve ( amare Dio e il prossimo ), allora adempie la sua vocazione, adempiendo la volontà di Dio e non la propria.
Il suo amore, che venga prestato volentieri o no, con fatica o in maniera facile, è in ogni caso un servizio e in questo senso un « obbligo » ( « debitum », S Th II II q 44 a 1 ) che la creatura ha assunto da Dio nel momento in cui ha assunto da Lui la propria essenza.
Se qui si parla di « obbligo » è solo nel senso che l'amore della creatura intimamente ha questa forma e destinazione.
Poiché Dio è il Signore, la cui parola, in qualunque modo possa risuonare, è necessariamente comando, l'esecuzione di essa è per il servo a cui è rivolta un obbligo.
Il carattere di obbligo non esprime nient'altro che il rapporto tra creatore e creatura, l'analogia entis naturale.
Tutto l'amore che la creatura deve prestare al creatore e per suo volere anche alle altre creature, quell'amore con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze, quell'amore dunque che è il massimo dono di Dio alla sua creatura e che può da questa venir sperimentato solo come un potere, un avere il permesso, quest'amore ha, in base all'infinita distanza fra Dio e creatura, il carattere del dovere ( Sollen ).
Questa necessità, che si esprime nel carattere di comando, non ha niente a che fare, come già abbiamo verificato, con quel carattere di obbligo come costrizione, quale fu descritta come prodotto dell'allontanamento dal nucleo incandescente dell'amore.
Allora il concetto di obbligo veniva circoscritto nei confronti di quello di poter fare, aver il permesso; era un prodotto di scarto dell'amore raffreddato.
L'amore vivo non domandava a cosa era obbligato per non peccare e quali azioni e manifestazioni d'amore avrebbe anche potuto tralasciare senza venir punito.
Esso conosceva solo l'unico movimento dell'offerta completa di tutte le energie del cuore e della mente nel servizio dell'amore.
E solo l'amore toccato dal peccato e ammalatesi giungeva all'idea priva d'amore di distinguere ciò a cui poteva ( ex iustitia ) venir costretto e ciò che poteva forse ancora prestare volontariamente ( ex caritate).
Se invece il concetto di « obbligo » viene a introdursi nella relazione d'amore sulla base della distanza creaturale, allora ciò avviene solo in modo tale che l'intero amore indiviso assume per la creatura il carattere di una glorificazione di Dio nel servizio necessariamente collegato all'essenza della creatura stessa.
La creatura, qualunque cosa essa possa di per sé essere, è presa e collocata a servizio dell'amore, e questo fonda il suo stato originario.
Lo stato dell'uomo, il luogo in cui Dio lo pone, è apparentemente dapprima distinguibile da lui stesso, nella misura in cui egli è una « natura »: Dio ha dapprima formato l'uomo come ente vivente, per poi collocarlo nel giardino dell'Eden che aveva preparato per lui ( Gen 2,7-8 ).
« Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse » ( Gen 2,15 ).
Ma questa prima collocazione e questo cambiamento del suo posto, questa prima distinzione tra essenza ( naturale ) e vocazione ( per grazia ) scompare immediatamente, giacché solo con questa vocazione viene per così dire insufflata all'uomo la sua anima più intima, il senso definitivo della sua esistenza.
Se si vuole comprendere la sua essenza bisogna in primo luogo non tanto guardare all'indietro verso la sua provenienza, il suo esser stato formato dalla polvere della terra, quanto piuttosto in avanti, al suo destino di essere immagine e somiglianza di Dio.
Ciò che egli può essere per natura si rapporta al suo essenziale destino così come la complicata anatomia di un occhio si rapporta al semplice atto del vedere.
L'atto del vedere si serve di infinitamente complessi procedimenti fisici, chimici e fisiologici, senza che questi però siano degni di salire alla sua coscienza; egli si serve di essi per poter eseguire ciò che è necessario, il semplice, chiaro, trasparente atto del vedere.
Tutti quei procedimenti non hanno altro senso esistenziale che quello di servire a rendere possibile la vista, la quale senza di essi non avverrebbe, ma che non è in nessun modo deducibile da essi né rappresenta la somma delle loro parti.
Non diversamente si comportano nella creatura la sua natura ( corpo e anima ) e la sua vocazione: l'amore.
La creatura non è essa stessa l'amore, poiché « Dio è l'amore ».
Essa è una natura che sta a servizio dell'amore.
Questa natura viene allora interpretata giustamente nel suo senso inteso da Dio solo quando la si comprende e la si interpreta come uno strumento dell'amore.
In se stessa essa può essere un'opera meravigliosa di organi appartenenti al corpo e all'anima, di rapporti, di sentieri e di fili, il cui complesso intrico può certo far stupire, come un profano resterebbe ammirato davanti ad una centrale telefonica, ma il cui senso rimane incomprensibile finché non si presta attenzione alla sua vocazione ( Bestimmung ).
Nel caso di qualsiasi altro servizio nel mondo resta la possibilità di distinguere fra l'essere occupati nel servizio del padrone e la restante sfera privata della propria libertà.
Il servizio non riempie ogni minuto di colui che presta la sua opera di servizio e non assorbe le sue emozioni più interne, i sentimenti, le idee.
Tuttavia anche nel caso di un vero servizio umano è già evidente che il valore, anzi il senso di una vita può essere misurato secondo la funzione che esegue.
Il grande artista è come uomo solo lo strumento della sua arte; la sua natura è come una miniera che lascia che si utilizzi la materia preziosa che essa contiene, e che ha tanto più valore quanto più è in grado di fornire il prodotto ricercato.
Dei rifiuti che rimangono dopo che si è scavato, della fatica, delle privazioni, delle lacrime, di tutta la tragicità delle fatalità esterne, dell'inadeguatezza di questa vita da artista all'ambiente nessuno si cura.
Ci sono anche quei servitori nelle antiche famiglie che sono cresciuti in esse insieme ai loro figli e che per così dire fanno parte della casa, e ciò che essi sono si è a poco a poco identificato con la loro funzione mentre la loro anima ha forse trovato proprio così la sua chiarificazione ultima.
Ma questi esempi umani rimangono insufficienti, poiché il servizio terreno non può mai riempire ed assorbire fino alle ultime pieghe dell'anima.
Ciò che qui non è raggiungibile corrisponde proprio all'esigenza essenziale del servizio all'amore divino.
Ciò che l'uomo è al di fuori di questa funzione, il cui adempimento lo fa essere ciò che egli è, non viene affatto chiesto.
Tutti gli enti vengono ultimamente interpretati secondo il loro fine e il loro destino, e nel caso dell'uomo questo destino non è altro che l'amore.
Il resto è mezzo, esso solo è scopo.
Ma poiché l'uomo non è egli stesso l'amore, poiché questo destino gli è dato da Dio come una grazia che fa dirigere tutta la sua natura, come un magnete, al di là di sé verso un fine ultimo, per questo la destinazione all'amore acquista per l'uomo la forma di un servizio.
Egli può prestarlo, e niente nobilita il servo così tanto come un tale servizio.
Egli è libero di prestarlo, poiché niente libera così profondamente come l'amore.
Ma egli non può mai intendere se stesso nella sua natura umana come identico col suo destino: per questo il suo amore rimane un servizio.
Ed è questo che è alla base del concetto di stato di vita.
Stato deriva dal verbo stare e significa all'interno del mondo il perdurante esser posto di un ente in una determinata situazione corporale o spirituale.
All'interno della vita civile lo stato si fonda su una durevole « obbligazione della persona, a seconda che un uomo possa determinare se stesso oppure no; ( … ) perciò gli stati si distinguono secondo l'angolo visuale di libertà e servitù » ( S Th II II q 183 a 1e ).2
Ciò che nella vita civile si esprime sulla base di un durevole esser posto in una di queste due forme di vita ha la sua prima, più profonda, comune radice nell'essere posto da Dio al servizio dell'amore, che è per lui tanto un'esigenza quanto una liberazione: « Ora invece, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, voi raccogliete il frutto che vi porta alla santificazione e come destino avete la vita eterna » ( Rm 6,22 ).
Indice |
1 | L'Autore sfrutta qui efficacemente l'assonanza tra Stand (stato) e Abstand (distanza), (ndt) |
2 | Cercheremo in seguito di ampliare il limitato concetto tornano di stato partendo dallo "stato di Cristo" |