Gli stati di vita del cristiano |
Cristo non volle, nel suo stato unitario che riassume in sé i due stati della Chiesa ventura e li fa prender le mosse dalla sua unità, essere solo.
Egli volle farvi partecipare sua madre ( che come Chiesa sarà la sua sposa ), affinché anch'ella fosse insieme a lui a fondamento dei due stati, in una analoga trascendenza nei loro confronti.
Maria è madre e vergine allo stesso tempo; ella può perciò venir rivendicata da ambedue gli stati di vita come modello e patrona.
E tuttavia ella non è da subordinare né all'uno né all'altro stato; ella sta, come suo figlio, al di sopra di entrambi, anche se li attraversa entrambi passando dall'uno all'altro, e con il suo « stare al di sopra » ( Darubersfehen ) aiuta il figlio nella fondazione degli stati stessi.
Ella è la sorgente della natura umana del Redentore, non solo in base al suo corpo, ma ancor più in base al suo spirito.
Dio infatti non violenta l'uomo; per diventare uomo egli voleva il consenso dell'umanità, e questo « sì » della madre detto in rappresentanza per tutti ( loco totius generi humani ) era condizione perché ella venisse adombrata dallo Spirito Santo.
Un così sconfinato « sì » poteva però venir pronunciato solo a partire da una totale purezza dell'anima, cosicché l'immacolata concezione era condizione previa per l'incarnazione.
Essendo preservata dalla corruzione del genere umano - a motivo di una speciale grazia del Dio trino meritata anch'essa sulla croce - Maria sta al di là del mondo decaduto, in una integrità che è paragonabile a quella di Adamo ed Eva prima della caduta.
Per questo non è internamente toccata dalla divisione degli stati.
Essa collaborerà a fondarli, passerà attraverso le forme di vita in maniera sua, ma in modo tale che facendo ciò ella persevera in un'incomparabile unità della sua intera esistenza.
In questa unità ella, in quanto vergine e madre, farà irradiare sul mondo ( in maniera per noi uomini quasi ancora più chiara che il Figlio ) la gloria originaria dell'idea dell'uomo inondato di grazia.
Come concepita senza peccato, il suo spirito è da sempre completamente rivolto a Dio e posto a sua disposizione.
Così nel suo più intimo ella è nello stesso stato del Figlio: ella sta nel volere, nella disposizione del Padre.
Ma nel « come » di questo stare si differenzia, in quanto donna creata, in doppia maniera da suo figlio.
Il Figlio, che è Dio, sta attualmente in questo « sì » alla volontà paterna sin dall'eternità.
La madre, che è creatura umana, cresce nel tempo e partendo dalla mancanza di consapevolezza della sua infanzia va incontro a questa volontà attuale, ma in maniera tale che anche ciò che in ella era sopito e poi diviene cosciente non era mai nient'altro che un sì a Dio.
E inoltre il Figlio, in quanto uomo, assume attivamente la volontà del Padre, mentre ella, in quanto donna, deve aspettare finché non è da Lui afferrata e presa in possesso.
Così fino all'incontro con l'angelo ella sta certo a disposizione, ma nel modo dell'attesa, che non conosce ancora la sua vera missione.
Questa attesa della manifestazione della volontà di Dio su di lei sta precisamente ancora prima della scelta cristiana dello stato di vita.
Nella misura in cui nell'Antico Testamento non c'è ancora nessuna alternativa teologica fra matrimonio e verginità e il matrimonio è il modo normale in cui un credente vive proteso alle promesse di Dio, la illimitatezza della sua disponibilità non viene limitata dal suo esser fidanzata a Giuseppe.
Ella non abbisogna nemmeno di prendere internamente le distanze da ciò, per perseverare nella piena indifferenza.
Esteriormente la sua attesa è uguale a quella di una qualsiasi ragazza che cresce, che nell'indifferenza attende con costanza il segno di Dio per sapere quale dei due stati ella deve prendere per sé.
E tuttavia diventa già qui chiara la differenza che la separa dalle altre creature umane.
Maria è non soltanto innocente nel senso che non conosce ancora le cose riguardanti il sesso, come lo possono essere giovani ragazze prima del matrimonio, che in tutta ingenuità si offrono ad entrambe le possibilità di « convento » e « matrimonio », senza prendere da queste due possibilità nulla in anticipo.
Maria è innocente nel senso dell'immacolata concezione: una grazia quindi che le permette di non essere toccata dalla sfera della natura decaduta e dunque anche dalla sfera della sessualità così come essa si presenta dopo il peccato originale.
La sua indifferenza, la sua offerta per ogni disposizione di Dio, esclude dunque, consciamente o inconsciamente, tutto quanto costituisce possibilità della natura decaduta.
Ella è per questo non di meno, ma di più aperta a Dio; la limitazione apparente è, vista da Dio e dall'ideale originario dell'uomo, non restrizione, ma allargamento.
Ella è infatti, senza poterlo intuire, aperta a Dio per possibilità che solo Dio conosce e che Dio custodisce nel suo segreto per sorprendere così la persona che si affida totalmente a lui.
La sua è un'indifferenza dell'amore perfetto, che si piega solo verso l'amore divino e non può includere le possibilità imperfette della vita mondana terrena.
E il fatto che ella possa dimostrare a Dio questo amore di indifferenza è il segno che Dio l'ha già dotata di una grazia unica, alla quale egli conta di rispondere con la sua sovrabbondante grazia dell'Incarnazione.
Grazie alla forma della sua indifferenza ella è già, prima ancora di pronunciare il suo sì all'angelo, posta al di sopra degli stati di vita della Chiesa; e la sua indifferente attesa ha già internamente un'altra struttura rispetto a quella che può avere la più perfetta indifferenza di un cristiano speciale.
Il cristiano normale è col Battesimo chiamato fuori dal mondo del peccato e sino alla scelta del suo stato sta obbediente davanti a Dio aspettando in quale stato egli possa venir posto.
Due possibilità circoscritte stanno davanti al suo sguardo, ed egli aspetta con impazienza l'ora in cui una speciale chiamata lo trasferirà forse nello stato d'elezione oppure la mancanza di questa chiamata lo lascerà nello stato mondano.
Maria, sebbene sia già fidanzata, non è indifferente ad alcuna possibilità circoscritta.
L'angolo d'apertura del suo amore che attende è illimitato.
Ella non anticipa nessuna forma di vita nota, ma è pronta per possibilità che Dio solo concede e che Dio solo conosce.
Ella sta in Dio al punto tale che il suo status può essere scelto e determinato solo a partire da Dio.
Nell'attesa perfetta ella ottiene in dono da Dio la perfetta risposta: quella Parola che era stata il motivo della sua attesa e che con la sua venuta adempie così se stessa.
E tuttavia il sì della madre non rimane semplicemente esteriore; esso viene assunto per grazia fra le condizioni interne dell'Incarnazione.
D'ora innanzi ella possiede in sé un nuovo centro: la stessa eterna Parola di Dio.
Il suo essere madre si avvolge attorno a questo centro ( a lei estraneo che la supera infinitamente e che tuttavia le è donato sino a diventare completamente suo proprio ) come un velo, di più: come pura disponibilità, che si lascia usare e aprire in direzione di questo centro.
Se il suo stato era da sempre in Dio, esso è adesso adempiuto dal fatto che il centro divino della sua esistenza è trasferito dentro di lei.
Con ciò essa si conforma, per quanto lo può una creatura, al modello del suo figlio, che nel centro della sua persona possiede la volontà del Padre.
In lei viene percettibilmente presentato che una simile estasi di tutto l'essere nella volontà divina non è affatto una possibilità assurda, che elimina l'armonia umana, ma in questa equiparazione del proprio punto centrale con la volontà divina sta ogni adempimento, ogni fecondità e felicità dell'uomo.
Mai una vita fu, anche umanamente, più realizzata di questa, che Dio ha colmato di ogni grazia dal cielo in virtù del perfetto sì donatole.
Ma l'unico status di Maria, in cui ella è allo stesso tempo vergine e madre, rispecchia tuttavia, sebbene esso sia superiore ad ambedue, il preciso ordine degli stati.
È il suo assenso nello spirito che diventa causa della sua fecondità corporale.
La sua verginità, nella quale ella si pone interamente a disposizione di Dio, sta al punto di partenza della sua maternità.
Quest'ultima deriva dalla prima come una conseguenza, certamente non come una conseguenza naturale, ma come una conseguenza soprannaturale donata per grazia.
L'assenso che ella attraverso l'angelo dà a Dio è il riassunto di tutta la sua persona, offerto in un voto totale: « Ecco la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua parola » ( Lc 1,38 ); e all'interno di questa disponibilità illimitata avviene il miracolo della maternità.
Ciò che essa possiede in comune con lo stato mondano, il frutto corporale, è esso stesso un frutto di ciò che ella ha in comune con lo stato d'elezione: la fecondità spirituale del suo sì nella grazia.
Così si ripete in lei quello che già avevamo visto nel Figlio; lo stato nella volontà del Padre si manifesta nell'incarnazione primariamente come stato d'elezione, anche se questo stato temporalmente è secondario, velato dapprima in uno « stato mondano ».
Dove, detto comunemente, si rafforza l'affermazione, a partire da Cristo e da Maria, che lo stato d'elezione è forma sui et totius.
Così risultava dall'ordine paradisiaco, in cui ogni fecondità nel mondo derivava dal primato dello spirito e dell'amore, così viene adesso riprodotto nell'ordine della redenzione, mentre nell'incarnazione del Figlio vengono allo stesso tempo messe allo scoperto le più profonde radici intradivine di questo ordine.
Maria non è dunque madre e vergine allo stesso titolo.
Ella diventa madre perché è e rimane vergine, perché è colei che è completamente consacrata a Dio.
In lei diviene leggibile il primato dello stato d'elezione sullo stato mondano.
Ma d'altra parte la méta a cui tutta la sua esistenza tende è la maternità.
Ella è vergine per poter diventare madre.
Nell'eterna previsione della sua incarnazione Dio ha formato nel tempo questo essere senza macchia, che doveva servirgli per la sua offerta come perfetto recipiente per le sue finalità spirituali e materiali.
E così viene consolidata qui anche l'altra verità: che il secondo stato di vita nella Chiesa non è finalizzato a se stesso, ma è ordinato al primo, come tutto quello che nella Chiesa è più in alto solo per questo e grazie a questo sta più in alto, se più serve ed è pronto a servire.
Anzi, questa prontezza ad abbassarsi di più è il punto più alto, poiché l'unico valore che può valere come un "di più" è l'amore, ma un amore che è sempre pronto a servire e ad offrirsi.
Questo servizio del secondo stato al primo è un servizio reale; esso non è limitato ad esempio solo ad un lontano modello all'interno di una sfera chiusa in sé, inaccessibile
È già stato mostrato come il Figlio nella sua incarnazione, sebbene non abbandonò il suo stato nel centro del Padre, entrò tuttavia nella piena realtà dell'esser uomo, acquistò anzi la completa esperienza di tutte le altezze e le profondità della vita e della coscienza umana.
Lo stato in Dio, proprio perché esso è in Dio, non è chiuso verso l'esterno, ma procura l'apertura al mondo più grande possibile: l'apertura a partire dal Creatore stesso.
Nella stessa maniera Maria con la chiusura della sua immacolata verginità non è bandita in una sfera che non permetta alcun accesso verso il di fuori, verso il mondo reale e realistico.
La sua illibatezza non è assenza di esperienza, non è mancanza di intima partecipazione.
Al contrario, niente apre così tanto alla partecipazione alle vicende del prossimo come l'amore altruista, mentre invece le esperienze di egoismo e di bramosìa chiudono gli uomini l'uno all'altro.
Maria è la prova che non è necessario aver « vissuto » ogni esperienza per essere esperti del mondo; ella, sede della sapienza, sperimenta tutta la verità del mondo decaduto guardando la sua vera e propria efficacia e realtà nel corpo straziato e nel dolore spirituale del suo figlio.
Niente di più di questo è vero e degno di essere saputo circa il peccato nel modo in cui Dio lo conosce.
Maria non deve abbandonare la contemplazione del suo figlio, per essere colei che su tutte le vie del mondo ama, aiuta e fa da mediatrice.
Ella lo è perché per primo lo fu il Figlio nella sua profusione eucaristica, e come lui anch'ella non ha bisogno di spostare il suo stato per chinarsi compassionevolmente e operativamente su ogni dolore e ogni colpa del mondo.
Ella è così pura e così amorosa che non necessita di clausura alcuna per non venir contaminata dal mondo.
Laddove essa va, porta con sé la purezza, l'amore, il cielo; il suo amore è per se stesso clausura, e ogni muro di separazione fra mondo e convento, terra e cielo, cade, dove ella sopraggiunge.
Ella insegna ai cristiani ad essere senza paura nella sequela di Cristo, il quale non teme di mandare i suoi in mezzo ai lupi e di esperii senza protezione alle ingiurie del mondo.
La clausura, laddove è richiesta, non è un'invenzione dell'angoscia, ma ha di nuovo, come tutto lo stato d'elezione, una funzione rappresentativa: raffigurare percettibilmente l'intimo distacco dal mondo e lo stare in Dio.
Qui si può vedere anche che Maria non ripete semplicemente la sintesi paradisiaca, ma ha in modo assoluto il suo posto nell'onnicomprensiva sintesi cristologica.
La prova di sopportazione del peso, che la sua libertà deve subire quando ella ha da dire sì ad ogni abbandono patito dal Figlio o dal Figlio imposto a lei, è maggiore rispetto a quanto poteva venir richiesto all'uomo edenico.
Questa libertà dell'amore ha sin da principio un sostegno dalla croce.
Esclusività dello stato in Dio e apertura al mondo sono, come mostra la Madre, concetti complementari.
Che questa apertura si presenti in una missione visibile come quella degli Apostoli o degli ordini religiosi attivi, oppure nella invisibilmente efficace corrente dei contemplativi, la legge rimane in entrambi i casi la stessa.
Occasionalmente, come nel caso della piccola Teresa, l'intima energia d'irraggiamento della contemplazione può esser resa visibile nel mondo - ella fu poi insediata infatti come patrona di tutte le missioni -, ma nella maggioranza dei casi questa energia rimane nascosta o al massimo diventa in piccole parti percepibile per alcuni credenti.
L'unità nella missione della Madre fra esclusivo stare in Dio e fecondità di questo stare per il mondo è garanzia per tutta la Chiesa che una fecondità dell'apostolato interno ed esterno non può mai venir cercata in un « avvicinamento allo spirito di questo mondo » ( Rm 12,2 ), ma unicamente nel radicalismo dello stare in Dio.
Tutti i metodi di attirare il mondo per guadagnarlo a Cristo rimangono subordinati a questo principio primo.
Anche la madre vive, come il figlio, lo scorrere dal primo al secondo stato, quando ella viene dapprima indirizzata dalla legge dell'Antico Testamento verso la comunità di vita naturale con Giuseppe, poi dal mistero del Figlio crocifisso verso la soprannaturale comunità d'elezione con Giovanni.
Ma come il Figlio vive lo stato mondano non solo nello spirito ma nella verità del voto di offerta al Padre, e così prefigura il successivo stato d'elezione, così Maria vive il matrimonio non solo « come se non fosse sposata » ( 1 Cor 7,29 ), ma nella piena verità di povertà, verginità e obbedienza.
E tuttavia questa vita e il successivo periodo di stato vedovile, dalla morte di Giuseppe fino alla Croce, è ancora autentica vita nel mondo.
È vita all'interno delle leggi e dei legami della famiglia, del governo della casa, dell'educazione dei figli, delle mille piccole preoccupazioni che una famiglia povera conosce.
Poveri essi lo erano già perché la chiamata del Signore li spinse sempre via dal loro possesso e li costrinse ad impiantare altrove il loro piccolo artigianato; vergini, perché il tenero amore che legava Maria a Giuseppe includeva per lui una vera rinuncia all'interno di un matrimonio vero e non soltanto apparente; obbedienti, perché Maria seguiva immediatamente i messaggi di Dio al suo sposo altrettanto come quelli che la voce dell'angelo aveva fatto giungere personalmente a lei.
In questa famiglia i voti non stanno a fianco della vita familiare, ma sono totalmente impiantati al centro di essa.
E Maria cerca di attenervisi in nessun altro luogo che in quello dell'adempimento delle faccende e degli obblighi imposti a lei dall'ambito della famiglia.
Quanto in questa prima fase ella fondi lo stato di vita nel mondo, lo si vede dal già menzionato rifiuto da parte del Figlio.
Egli, che è già oltrepassato nell'altro stato, si distacca da lei, che deve qui impersonare la « carne e il sangue » da Cristo abbandonati.
Apparentemente il Figlio la lascia dietro di sé, in questo primo stadio della sua vita.
Egli la lascia espressamente rimaner fuori, non la riceve e si dice libero da lei in quanto madre carnale, indicando i discepoli e i credenti come sua madre e suoi parenti spirituali.
Ma proprio in questa amarissima esperienza del venir abbandonata, il Figlio la prende già con sé in maniera nascosta e la fa passare dall'altra parte.
Lasciandola egli la obbliga ad essere da lui lasciata, e precisamente senza che ella afferri e comprenda questo abbandono.
Ciò che qui è cominciato troverà il suo compimento sulla croce, dove il Figlio, che pende egli stesso nell'estremo abbandono dal Padre, non può far parte alla madre del suo mistero altrimenti che abbandonandola altrettanto e come definitivamente, per indirizzare la sua maternità verso un nuovo figlio, Giovanni.
Come il Figlio nella Passione va a finire nella passività del venir sacrificato, poiché il Padre si vela a lui e gli sottrae così la sua vita più intima, in modo che egli non può far altro che sprofondare nell'abisso della morte, così anche il Figlio sottrae alla madre nella Passione quel luogo dove ella ha il suo stato: se stesso, per farla partecipare a questa morte, che è la nascita del nuovo mondo.
Nella vita di Maria niente è forse più incomprensibile e più soprannaturale di questo: che la madre non sia morta insieme col Figlio; giacché è pur vero che in fondo ella viveva di lui, non meno di quanto egli viveva di suo Padre.
Il Padre e lo Spirito la mantengono soprannaturalmente in piedi, come un involucro, mentre il contenuto, il punto centrale della sua anima, il Figlio, le viene strappato per tre giorni.
Ma nel frattempo Giovanni - e con lui l'insieme degli amici del Signore, anzi l'insieme dei credenti - ha cominciato a occupare questo posto: là dove sinora stava Dio, il suo Dio in figura d'uomo, là sta adesso l'amico del suo Dio e attraverso lui ogni uomo nel quale ella riconosce l'amore del suo figlio.
Così si compie sulla croce il mistero dell'identità fra interno ed esterno, fra chiusura in Dio e apertura al mondo.
Questa volta non più in maniera tale che una esclusività verso Dio viene da lui premiata con una fecondità nel mondo, ma in maniera che Dio stesso mette al posto di Dio il mondo, che deve venire amato al posto di Dio con amore divino.
Questo scambio non avviene però in una sintesi facilmente eseguibile di amore a Dio e amore al mondo, ma accade piuttosto sotto la croce, sulla vetta dello stato d'elezione, laddove anche alla Madre nella passività della Passione viene sottratto tutto ciò che ella è ed ha: non solamente lei stessa, ma ciò che in lei è più di lei stessa, il suo centro più intimo, il Figlio.
E solo perché la Madre si presta a questo estremo atto di violenza della Passione, diventa madre di tutta la cristianità.
Il mistero della sua verginità ed esclusività deve andare sino all'ultimo svuotamento di tutto, attuabile solo da Dio, per pervenire alla nuova fecondità, ancora una volta possibile solo a partire da Dio, al di là di ogni fecondità mondana.
Lo stato in cui Maria grazie al suo essersi offerta per il compimento del sacrificio è stata collocata, questo stato, che in maniera latente era già presente nel suo stato matrimoniale, ma che poi nei crescenti atti di congedo da parte del Signore - dalla fuga del dodicenne alla dipartita del trentenne, al pronunciamento della differenza di compiti a Cana, al non accoglimento della madre coi parenti, alla sottrazione di sé del figlio sulla croce - si manifestò sempre più apertamente, rimane il definitivo e irreversibile stato di Maria.
La sua vita con Giovanni è perciò necessariamente vita nello stato puramente soprannaturale: vita comune di verginali, ognuno dei quali è consacrato esclusivamente al Signore, ma vita comune su espresso comando del Signore e sotto la legge del suo amore.
Ambedue, che stanno vicino al Signore il più possibile, vengono uniti in questa nuova maniera dal Signore stesso.
In essi deve venir rappresentato - visibilmente e in maniera conforme allo stato di vita - il mutamento della presenza visibile di Cristo sulla terra in una invisibile, là dove due o tre sono riuniti nel suo nome.
Essi devono vivere la possibilità del cristianesimo per tutte le generazioni: la possibilità di trovare realmente il Dio amato nell'uomo amato, senza che l'amore umano minacci minimamente l'assolutezza di quello divino.
Infatti il volgersi al prossimo non solo accade per comando di Dio, ma il divino Figlio e Amico vive nel prossimo, al punto tale che d'ora innanzi lo si può cercare e trovare completamente in questi.
Nella posizione di Maria, che è superiore agli stati di vita e che fonda ( insieme a Cristo ) la loro unità e la loro differenza, viene confermato quello che già prima fu detto sulla priorità della Chiesa rispetto ai credenti che vivono in essa.
In Maria è inoltre evidente che non si tratta di una priorità della « istituzione » rispetto alla vita che in essa viene vissuta, ma molto più: della priorità di una vita libera resa possibile dalla grazia, che dalla sua pienezza sprigiona ambiti istituzionali per poter essere imitata.
La Chiesa non comincia a Cesarea di Filippo o con la chiamata dei Dodici, ma essenzialmente nella stanzetta di Nazareth: col consenso della Vergine a diventare Madre del Figlio di Dio e dei suoi « fratelli », sua « restante discendenza » ( Ap 12,17 ).
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