Summa Teologica - I |
1 Sent., d. 3, div. Prim. Part. Tetus; 1 Cont. Gent., cc. 13, 15, 16, 44; 2, c 15; 3, c. 64; De Ver., q. 5, a. 2; De Pot., q. 3, a. 5; Compend. Theol. c. 3; 7 Physic., lect. 2; 8, lect. 9 ss; 12 Metaphys., lect. 5 ss
Pare che Dio non esista.
1. Se di due contrari uno è infinito, l'altro resta completamente distrutto.
Ora, nel nome Dio si intende affermato un bene infinito.
Se dunque Dio esistesse non dovrebbe esserci il male.
Viceversa nel mondo c'è il male.
Quindi Dio non esiste.
2. Ciò che può essere compiuto da un numero ristretto di cause non si vede perché debba essere compiuto da cause più numerose.
Ora, tutti i fenomeni che avvengono nel mondo potrebbero essere prodotti da altre cause, nella supposizione che Dio non esistesse: quelli naturali infatti si riportano, come a loro principio, alla natura, quelli volontari invece alla ragione umana o alla volontà.
Nessuna necessità, quindi, dell'esistenza di Dio.
Nell'Esodo [ Es 3,14 ] è detto, in persona di Dio: « Io sono Colui che è ».
Che Dio esiste può essere provato attraverso cinque vie.
La prima e la più evidente è quella che è desunta dal moto.
È certo infatti, e consta dai sensi, che in questo mondo alcune cose si muovono.
Ora, tutto ciò che si muove è mosso da altro.
Nulla infatti si trasmuta che non sia in potenza rispetto al termine del movimento, mentre ciò che muove, muove in quanto è in atto.
Muovere infatti non significa altro che trarre qualcosa dalla potenza all'atto; e nulla può essere ridotto dalla potenza all'atto se non da parte di un ente che è già in atto.
Come il fuoco, che è caldo attualmente, rende caldo in atto il legno, che era caldo solo potenzialmente, e così lo muove e lo altera.
Ora, non è possibile che una stessa cosa sia simultaneamente e sotto lo stesso aspetto in atto e in potenza, ma lo può essere soltanto sotto diversi rapporti: come ciò che è caldo in atto non può essere insieme caldo in potenza, ma è insieme freddo in potenza.
È dunque impossibile che sotto il medesimo aspetto una cosa sia al tempo stesso movente e mossa, cioè che muova se stessa.
È quindi necessario che tutto ciò che si muove sia mosso da altro.
Se dunque l'ente che muove è anch'esso soggetto a movimento, bisogna che sia mosso da un altro, e questo da un terzo e così via.
Ma non si può in questo caso procedere all'infinito, perché altrimenti non vi sarebbe un primo motore, e di conseguenza nessun altro motore, dato che i motori intermedi non muovono se non in quanto sono mossi dal primo motore, come il bastone non muove se non in quanto è mosso dalla mano.
Quindi è necessario arrivare a un primo motore che non sia mosso da altri; e tutti riconoscono che esso è Dio.
La seconda via parte dalla nozione di causa efficiente.
Troviamo infatti che nel mondo sensibile vi è un ordine tra le cause efficienti; ma non si trova, ed è impossibile, che una cosa sia causa efficiente di se medesima: perché allora esisterebbe prima di se stessa, cosa inconcepibile.
Ora, un processo all'infinito nelle cause efficienti è assurdo.
Infatti in tutte le cause efficienti concatenate la prima è causa dell'intermedia, e l'intermedia è causa dell'ultima, siano molte le intermedie o una sola; ma eliminata la causa è tolto anche l'effetto: se dunque nell'ordine delle cause efficienti non vi fosse una prima causa, non vi sarebbe neppure l'ultima, né l'intermedia.
Ma procedere all'infinito nelle cause efficienti equivale a eliminare la prima causa efficiente: e così non avremo neppure l'effetto ultimo, né le cause intermedie, il che è evidentemente falso.
Quindi bisogna ammettere una prima causa efficiente, che tutti chiamano Dio.
La terza via è presa dal possibile [ o contingente ] e dal necessario, ed è questa.
Tra le cose ne troviamo alcune che possono essere e non essere: infatti certe cose nascono e finiscono, il che vuol dire che possono essere e non essere.
Ora, è impossibile che tutto ciò che è di tale natura esista sempre, poiché ciò che può non essere, prima o poi non è.
Se dunque tutte le cose [ esistenti in natura sono tali che ] possono non esistere, in un dato momento nulla ci fu nella realtà.
Ma se ciò è vero, anche ora non esisterebbe nulla, poiché ciò che non esiste non comincia a esistere se non in forza di qualcosa che esiste.
Se dunque non c'era ente alcuno, è impossibile che qualcosa cominciasse a esistere, e così anche ora non ci sarebbe nulla, il che è evidentemente falso.
Quindi non tutti gli esseri sono contingenti, ma bisogna che nella realtà vi sia qualcosa di necessario.
Ma tutto ciò che è necessario o ha la causa della sua necessità in un altro essere, oppure non l'ha.
D'altra parte negli enti necessari che hanno altrove la causa della loro necessità non si può procedere all'infinito, come neppure nelle cause efficienti, come si è dimostrato.
Quindi bisogna porre l'esistenza di qualcosa che sia necessario di per sé, e non tragga da altro la propria necessità, ma sia piuttosto la causa della necessità delle altre cose.
E questo essere tutti lo chiamano Dio.
La quarta via è presa dai gradi che si riscontrano nelle cose.
È evidente infatti che nelle cose troviamo il bene, il vero, il nobile e altre simili perfezioni in un grado maggiore o minore.
Ma il grado maggiore o minore viene attribuito alle diverse cose secondo che esse si accostano di più o di meno ad alcunché di sommo e di assoluto: come più caldo è ciò che maggiormente si accosta a ciò che è sommamente caldo.
Vi è dunque un qualcosa che è sommamente vero, e sommamente buono, e sommamente nobile, e di conseguenza sommamente ente: poiché, come dice Aristotele [ Met. 2, 1 ], ciò che è massimo in quanto vero è tale anche in quanto ente.
Ora, ciò che è massimo in un dato genere è causa di tutte le realtà appartenenti a quel genere: come il fuoco, che è caldo al massimo grado, è la causa di ogni calore, sempre secondo Aristotele [ l. cit. ].
Quindi vi è qualcosa che per tutti gli enti è causa dell'essere, della bontà e di qualsiasi perfezione.
E questo essere lo chiamiamo Dio.
La quinta via è desunta dal governo delle cose.
Vediamo infatti che alcune cose prive di conoscenza, come i corpi naturali, agiscono per un fine, come appare dal fatto che agiscono sempre o quasi sempre allo stesso modo per conseguire la perfezione: per cui è evidente che raggiungono il loro fine non a caso, ma in seguito a una predisposizione.
Ora, ciò che è privo di intelligenza non tende al fine se non perché è diretto da un essere conoscitivo e intelligente, come la freccia dall'arciere.
Vi è dunque un qualche essere intelligente dal quale tutte le realtà naturali sono ordinate al fine: e questo essere lo chiamiamo Dio.
1. Come dice S. Agostino [ Enchir. 11 ]: « Dio, essendo sommamente buono, non permetterebbe in alcun modo che nelle sue opere ci fosse del male se non fosse così potente e buono da trarre il bene anche dal male ».
Appartiene dunque all'infinita bontà di Dio il permettere che vi siano dei mali, e da essi trarre dei beni.
2. La natura ha certamente le sue attività, ma dato che le compie per un fine determinato sotto la direzione di un agente superiore, è necessario che esse vengano attribuite anche a Dio, come alla loro prima causa.
E similmente gli atti del libero arbitrio devono essere ricondotti a una causa più alta della ragione e della volontà umana, poiché queste sono mutevoli e defettibili, e tutto ciò che è mutevole, come tutto ciò che può venir meno, deve essere ricondotto a un qualche principio immutabile e di per sé necessario, come si è detto [ nel corpo ].
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