Summa Teologica - I |
In 1 Sent., d. 19, q. 5, a. 2, ad 3; C. G., I, c. 40; De Verit., q. 21, a. 4
Pare che tutte le cose siano buone della bontà di Dio.
1. Dice S. Agostino [ De Trin. 8,3.5 ]: « Considera questo e quel bene, togli questo e quello e, se puoi, guarda il bene stesso: così vedrai Dio, non buono per altro bene, ma bene di ogni bene ».
Ora, ogni ente è buono della propria bontà.
Quindi ogni ente è buono di quella stessa bontà che è Dio.
2. Al dire di Boezio [ De hebdom. ] tutte le cose sono dette buone in quanto sono ordinate a Dio, e ciò a motivo della bontà divina.
Quindi tutti gli esseri sono buoni della bontà divina.
Tutte le cose sono buone in quanto sono enti.
Ora, non si dice che tutte le cose sono esistenti per l'essere divino, ma per il proprio essere.
Quindi non sono buone della bontà divina, ma della propria bontà.
Nulla impedisce, nel caso di attributi che comportano relazione, che un ente sia denominato da qualcosa di estrinseco, come un oggetto dal luogo è detto collocato, e dalla misura misurato.
Invece riguardo agli attributi assoluti delle cose ci fu diversità di opinioni.
Infatti Platone affermò l'esistenza di specie separate di tutte le cose, e disse che da esse vengono denominati gli individui come se partecipassero delle specie separate: come, p. es., Socrate è detto uomo precisamente perché partecipa dell'idea separata di uomo.
E come poneva l'idea separata di uomo e di cavallo, che egli chiamava uomo per sé, cavallo per sé, così poneva l'idea separata di ente e di uno, chiamandola ente per sé, uno per sé; e diceva che dalla partecipazione di queste idee ogni cosa veniva denominata ente o una.
E questo ente per sé e uno per sé affermava essere il sommo bene.
E siccome il bene, e anche l'uno, si identifica con l'ente, lo stesso bene per sé lo chiamava Dio, dal quale tutte le cose sono dette buone per partecipazione.
- Ora, sebbene questa opinione, come ripetutamente dimostra Aristotele [ Met. 1, 9; 2, 6; 6, 14-15 ], sia irragionevole in quanto pone le specie degli esseri fisici in stato di separazione e per sé sussistenti, tuttavia rimane assolutamente vero che vi è una prima realtà che per sua essenza è ente e bene, e che noi chiamiamo Dio, come si è visto sopra [ q. 2, a. 3 ].
E su questo punto anche Aristotele è d'accordo.
Dalla prima realtà dunque, che è ente e bene per essenza, ogni cosa può dirsi buona e ente in quanto partecipa di essa secondo una certa somiglianza, sia pure da lontano e in misura limitata, come si è detto [ q. 4, a. 3 ].
Così, per conseguenza, ogni cosa è detta buona della bontà divina come della prima causa esemplare, efficiente e finale di ogni bontà.
Tuttavia ogni cosa è detta buona [ anche ] per una somiglianza sua propria della divina bontà ad essa inerente, che è formalmente la sua bontà, e dalla quale essa viene denominata.
E così abbiamo una bontà sola di tutte le cose, e anche molte bontà.
E in base a ciò risulta evidente la risposta alle obiezioni.
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