Summa Teologica - I |
II-II, q. 163, a. 2; In 2 Sent., d. 5, q. 1, a. 2; d. 22, q. 1, a. 2; C. G., II, c. 109; De Malo, q. 16, a. 3
Pare che il demonio non abbia desiderato di essere come Dio.
1. Ciò che non è oggetto di conoscenza non è neppure oggetto di appetizione, poiché è sempre il bene conosciuto che muove l'appetito, sia sensitivo che razionale o intellettivo ( e soltanto in questi appetiti ci può essere il peccato ).
Ma l'affermazione che una creatura possa diventare uguale a Dio non può essere oggetto di alcuna forma di conoscenza, poiché implica la contraddizione che il finito dovrebbe essere necessariamente infinito, per uguagliarsi all'infinito.
Quindi l'angelo non poteva desiderare di essere come Dio.
2. Il fine naturale può essere desiderato senza peccato.
Ma la somiglianza con Dio è il fine a cui tende naturalmente ogni creatura.
Se quindi l'angelo desiderò di essere come Dio non per una vera uguaglianza, ma per una certa somiglianza, non si vede come in ciò abbia peccato.
3. L'angelo nella sua creazione ha ricevuto una sapienza maggiore di quella dell'uomo.
Ora nessun uomo, a meno che non sia del tutto pazzo, può deliberare di essere uguale, non dico a Dio, ma neanche a un angelo: poiché la libera scelta non ha di mira che le cose possibili, intorno alle quali verte il consiglio.
A più forte ragione quindi non poteva peccare l'angelo, desiderando di essere come Dio.
Isaia [ Is 14,13s ] pone sulla bocca del demonio queste parole: « Salirò in cielo, e mi farò uguale all'Altissimo ».
- E S. Agostino [ De quaest. Vet. Test. 113 ] insegna che il demonio, tronfio della sua grandezza, « volle essere chiamato Dio ».
L'angelo peccò, senza dubbio, perché desiderò di essere come Dio.
Ma ciò può essere inteso in due modi: primo, come una [ vera ] uguaglianza; secondo, come una [ qualsiasi ] somiglianza.
[ Ora, l'angelo ] non poté certo desiderare di essere come Dio nella prima maniera: poiché con la sua intelligenza naturale capiva che questa era una cosa assurda; tanto più che in lui il primo atto peccaminoso non era stato preceduto, come invece talora accade in noi uomini, da un abito o da una passione che offuscandone le potenze conoscitive avesse potuto far sì che egli nel suo giudizio particolare scegliesse una cosa impossibile.
- Ma anche ammettendo che la cosa fosse possibile, sarebbe tuttavia contraria al desiderio naturale.
C'è infatti in ogni cosa la tendenza naturale a conservare il proprio essere: ora, questo essere non si conserverebbe se venisse trasformato in un'altra natura.
Quindi nessuna realtà posta in un grado naturale più basso può desiderare il grado della natura superiore.
L'asino, p. es., non desidera di essere un cavallo: poiché se fosse trasformato nel grado della natura superiore non esisterebbe più.
Ma qui abbiamo un inganno della nostra immaginazione: dal momento infatti che l'uomo desidera di occupare nella natura un grado superiore al suo rispetto a certe perfezioni accidentali che possono essere accresciute senza la scomparsa del soggetto, si pensa che l'uomo possa desiderare un grado naturale più alto al quale non potrebbe giungere se non cessando di esistere.
Ora, è chiaro che Dio è superiore all'angelo non per delle perfezioni accidentali, ma per un diverso grado di natura: anzi, anche tra gli angeli uno è superiore all'altro in questa maniera.
È perciò impossibile non solo che un angelo desideri di essere uguale a Dio, ma persino [ che desideri ] di essere uguale a un angelo superiore.
Il desiderio invece di essere come Dio per una [ qualsiasi ] somiglianza può nascere in due modi.
Primo, rispetto a quelle perfezioni nelle quali si è chiamati ad assomigliare a Dio.
E allora, se uno desidera di essere simile a Dio in questa maniera non pecca, purché cerchi di raggiungere questa somiglianza secondo il debito ordine, cioè dipendentemente da Dio.
Peccherebbe invece chi desiderasse, sia pure entro i limiti del giusto, di essere simile a Dio, ma volesse raggiungere questa somiglianza con le proprie forze e non con la virtù di Dio.
Secondo, uno può desiderare di essere simile a Dio rispetto a una perfezione in cui non è ammessa tale somiglianza: se p. es. uno desiderasse di creare il cielo e la terra, che è un'operazione esclusiva di Dio, in questo suo desiderio ci sarebbe il peccato.
Ora, è in questo senso che il diavolo desiderò di essere come Dio.
Non però nel senso di essere simile a lui nell'autonomia assoluta da qualsiasi altro: poiché [ anche ] in questo caso egli avrebbe desiderato la negazione del proprio essere, dato che nessuna creatura può esistere se non in quanto ha il suo essere dipendente da Dio, che glielo partecipa.
Desiderò invece di essere simile a Dio in quanto desiderò come fine ultimo quella beatitudine a cui poteva giungere con le proprie forze naturali, distogliendo il suo desiderio dalla beatitudine soprannaturale che si ottiene mediante la grazia di Dio.
- Oppure, se desiderò come suo ultimo fine la somiglianza che proviene dalla grazia, la volle ottenere con le forze della propria natura e non mediante l'aiuto di Dio, conformemente alla disposizione divina.
E questa Analisi si accorda con l'opinione di S. Anselmo [ De casu diab. 6 ], il quale dice che il diavolo desiderò ciò a cui sarebbe giunto se non fosse caduto.
Ma le due sentenze in qualche modo dicono la stessa cosa: poiché in ambedue i casi il diavolo desiderò di conseguire con le proprie forze la beatitudine ultima, il che è proprio di Dio.
Inoltre, poiché ciò che vale di per se stesso è principio e causa di ciò che ha consistenza in forza di qualcos'altro, da questo primo desiderio del diavolo derivò [ il secondo, che è ] quello di avere preminenza e dominio sulle altre cose.
E anche qui volle con volontà perversa farsi simile a Dio.
È quindi evidente la risposta da darsi a tutte le obiezioni.
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