Summa Teologica - I |
De Verit., q. 9, a. 7
Pare che la locuzione di un angelo con l'altro sia conosciuta da tutti.
1. Il fatto che non tutti odono il parlare di un uomo con un altro dipende dalla distanza di luogo.
Ma nel parlare degli angeli la distanza locale non influisce in alcun modo, come si è spiegato [ a. 4 ].
E così quando un angelo parla all'altro è inteso da tutti.
2. La capacità di intendere è comune a tutti gli angeli.
Se quindi il pensiero di un angelo è capito da colui a cui è indirizzato, sarà capito anche dagli altri.
3. L'illuminazione è una specie di locuzione.
Ma quando un angelo illumina l'altro la sua illuminazione giunge a tutti gli angeli: poiché, come dice Dionigi [ De cael. hier. 15,3 ], « ciascuna sostanza celeste comunica alle altre l'intellezione ricevuta ».
Quindi anche la locuzione di un angelo con l'altro giunge a tutti.
All'uomo è possibile parlare soltanto a un altro uomo.
Molto più dunque ciò deve essere possibile all'angelo.
Il pensiero di un angelo può essere percepito da un altro, come si è spiegato [ aa. 1,2 ], per il fatto che il soggetto pensante lo indirizza a un altro con la sua volontà.
Ora, può esserci un motivo per cui un pensiero viene indirizzato a uno e non a un altro.
Quindi il pensiero di un angelo potrà essere conosciuto da uno e non dagli altri.
E così la locuzione di un angelo con un altro non sarà percepita dagli altri non per colpa della distanza locale, ma perché così è stato determinato volontariamente, come si è detto.
1, 2. Abbiamo così risposto alla prima e alla seconda obiezione.
3. L'illuminazione riguarda le verità che emanano dalla prima regola della verità, che è la causa universale di tutti gli angeli: perciò le illuminazioni sono comuni a tutti.
La locuzione invece può riguardare cose che si riferiscono direttamente all'esercizio della volontà creata, il che è proprio di ciascun angelo: non è quindi necessario che tali locuzioni siano rivolte a tutti.
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