Summa Teologica - I-II

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Articolo 6 - Se la beatitudine dell'uomo consista nel piacere

In 4 Sent., d. 44, q. 1, a. 3, sol. 4, ad 3, 4; C. G., III, cc. 27, 33; In 1 Ethic., lect. 5

Pare che la beatitudine dell'uomo consista nel piacere.

Infatti:

1. Essendo la beatitudine il fine ultimo, essa non viene desiderata per altre cose, ma piuttosto le altre cose sono desiderate per essa.

Ma ciò si riscontra specialmente nel piacere: « è ridicolo infatti », scrive Aristotele [ Ethic. 10,2 ], « chiedere a uno perché voglia godere ».

Quindi la beatitudine consiste specialmente nel piacere e nel godimento.

2. Si legge nel De Causis [ 1 ]: « La causa prima ha un influsso più marcato della causa seconda ».

Ma l'influsso del fine si misura dall'appetito corrispettivo.

Quindi la cosa che più muove l'appetito è quella che più presenta la natura di fine ultimo.

Ma questa è il piacere: e ne è segno il fatto che il piacere assorbe talmente la volontà e la ragione dell'uomo da fargli disprezzare ogni altro bene.

Quindi l'ultimo fine dell'uomo, ossia la beatitudine, consiste specialmente nel piacere.

3. Essendo il bene oggetto dell'appetito, il bene più grande sarà quello che tutti appetiscono.

Ma tutti desiderano il godimento, sia i sapienti che gli ignoranti, anzi, perfino gli esseri privi di ragione.

Quindi il piacere è il bene più grande.

E così la beatitudine, che è il bene supremo, consiste nel piacere.

In contrario:

Boezio [ De consol. 3, pr. 7 ] scrive: « Chiunque potrà capire le tristi conseguenze del piacere, purché voglia ricordarsi delle proprie dissolutezze.

Se queste infatti potessero rendere felici non ci sarebbero ostacoli per proclamare beate le bestie ».

Dimostrazione:

Aristotele [ Ethic. 7,13 ] fa osservare che « le soddisfazioni corporali hanno assunto il nome di piaceri perché sono le più conosciute », pur essendoci soddisfazioni molto superiori.

Tuttavia in nessuna di esse può consistere direttamente la beatitudine.

Poiché in ogni cosa bisogna distinguere gli elementi essenziali dagli accidenti propri: nell'uomo, p. es., una cosa è il suo essere animale, razionale e mortale, e altra cosa è il suo essere capace di ridere.

Bisogna perciò considerare che ogni godimento è un accidente proprio annesso alla beatitudine, sia totale che parziale: infatti uno gode perché nella realtà, nella speranza o nella memoria possiede un bene per lui conveniente.

Ora, se questo bene è perfetto si identifica con la beatitudine stessa dell'uomo; se invece è imperfetto si ha una certa partecipazione, o prossima, o remota, o almeno apparente, della beatitudine.

È evidente quindi che neppure il godimento che accompagna il bene perfetto è l'essenza stessa della beatitudine, ma è un qualcosa che ne deriva come un accidente proprio.

I piaceri del corpo poi non possono accompagnare neppure in questo modo il bene perfetto.

Infatti essi derivano dal bene che è oggetto dei sensi, e questi sono facoltà dell'anima che si serve del corpo.

Ma un bene che riguarda il corpo ed è appreso dai sensi non può essere il bene perfetto dell'uomo.

Essendo infatti l'anima razionale superiore a tutte le capacità della materia, la parte dell'anima che è indipendente dagli organi corporei ha una certa infinità rispetto al corpo e alle parti dell'anima legate al corpo: come gli esseri immateriali sono in un certo senso infiniti rispetto a quelli materiali, poiché la forma viene come coartata e delimitata dalla materia, mentre la forma libera dalla materia è in qualche modo infinita.

Quindi i sensi, che sono facoltà corporee, conoscono i singolari determinati dalla materia mentre l'intelletto, che è una facoltà indipendente dalla materia, conosce gli universali, i quali sono astratti dalla materia e abbracciano infiniti singolari.

Per cui è evidente che i beni corporali, i quali percepiti dai sensi producono il godimento materiale, non possono essere il bene perfetto dell'uomo, ma sono piuttosto dei beni insignificanti paragonati al bene dell'anima.

Sta scritto infatti [ Sap 7,9 ]: « Tutto l'oro, al suo confronto, è un po' di sabbia ».

Quindi il piacere corporeo non può essere né la beatitudine, né un suo accidente proprio.

Analisi delle obiezioni:

1. È unica la ragione su cui si fondano il desiderio del bene e quello del godimento annesso, il quale non è altro che l'acquietarsi dell'appetito nel bene raggiunto: come dipendono da un'unica forza naturale la tendenza di un corpo grave a scendere in basso e il suo stare fermo sul fondo.

Quindi il godimento, come il bene, è desiderato per se stesso e non per altro motivo se con il per si intende la causa finale.

Se invece si intende la causa formale, o addirittura motrice, allora il godimento è appetibile per un'altra cosa, cioè per il bene, che costituisce l'oggetto, e quindi il principio e la forma, del godimento: infatti il godimento è appetibile in quanto è l'appagamento nel bene desiderato.

2. La veemenza del desiderio dei piaceri sensibili è dovuta al fatto che le attività dei sensi, che sono alla radice della nostra conoscenza, sono più percettibili.

Per questo i piaceri sensibili sono desiderati dalla maggioranza degli uomini.

3. Tutti desiderano il godimento allo stesso modo in cui desiderano il bene: tuttavia desiderano il godimento a motivo del bene, e non viceversa, come si è spiegato [ ad 1 ].

Quindi non ne segue che il piacere sia il bene supremo ed essenziale, ma piuttosto che ogni godimento deriva da un bene, e che c'è pure un godimento che deriva da quell'oggetto che è il bene sommo e per essenza.

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