Summa Teologica - I-II |
In 2 Sent., d. 38, q. 1, a. 2, ad 6; C. G., III, c. 26; In 10 Ethic., lect. 6
Pare che nella beatitudine il godimento sia più importante della visione.
1. « Il godimento è la perfezione dell'operare », come dice Aristotele [ Ethic. 10,4 ].
Ma la perfezione è superiore al perfettibile.
Quindi il godimento è più importante dell'operazione intellettiva che è la visione.
2. L'elemento che rende desiderabile una cosa è ad essa superiore.
Ma le operazioni sono desiderabili per il piacere che procurano: infatti la natura, per impedire che gli animali le trascurassero, ha unito il piacere alle azioni necessarie per la conservazione dell'individuo e della specie.
Quindi nella beatitudine il godimento è più importante dell'operazione intellettiva, cioè della visione.
3. La visione corrisponde alla fede mentre il godimento, o fruizione, corrisponde alla carità.
Ma la carità è superiore alla fede, come insegna l'Apostolo [ 1 Cor 13,13 ].
Quindi il godimento, o fruizione, è superiore alla visione.
La causa è superiore all'effetto.
Ma la visione è la causa del godimento.
Quindi la visione è superiore al godimento.
Aristotele ha sollevato il problema nel decimo libro dell'Etica [ c. 4 ], e lo ha lasciato insoluto.
Ma per chi consideri la cosa con diligenza è evidente che l'operazione dell'intelletto, ossia la visione, deve essere superiore al godimento.
Infatti la gioia consiste in un acquietamento della volontà.
Ora, che la volontà si acquieti in una data cosa dipende solo dalla bontà della cosa in cui essa si acquieta.
Se quindi la volontà si acquieta in una data operazione, l'acquietarsi della volontà dipende dalla bontà di tale operazione.
E non è vero che la volontà cerchi il bene per tale acquietamento: se infatti così fosse, allora l'atto stesso della volontà sarebbe il suo fine, contro ciò che abbiamo già dimostrato [ q. 1, a. 1, ad 2; q. 3, a. 4 ].
Essa invece cerca di acquietarsi nell'operazione perché l'operazione è il suo bene.
È evidente quindi che è un bene più grande l'operazione stessa in cui la volontà si acquieta che non l'acquietarsi della volontà in essa.
1. Nel testo citato il Filosofo aggiunge che « il godimento perfeziona l'operare come la bellezza perfeziona la giovinezza »; e la bellezza consegue alla giovinezza.
Quindi il godimento è una perfezione concomitante, e non una perfezione che rende la visione perfetta nella sua specie.
2. La percezione sensitiva non raggiunge la nozione universale di bene, ma solo un bene particolare, cioè il piacere.
Quindi l'appetito sensitivo, che si trova anche negli animali, cerca le operazioni per il piacere.
L'intelletto invece conosce la nozione universale del bene, al cui conseguimento segue la gioia.
Quindi l'intelletto cerca più il bene che il godimento.
Ed è per questo che l'intelletto divino, ideatore della natura, ha posto il piacere in vista delle operazioni.
Ora, le cose non vanno giudicate in ultima analisi secondo l'ordine dell'appetito sensitivo, ma piuttosto secondo quello dell'appetito intellettivo.
3. La carità non cerca il bene che ama per il godimento, ma il godere del bene raggiunto è piuttosto una conseguenza della carità.
Quindi alla carità non corrisponde come fine il godimento, ma piuttosto la visione, la quale per prima rende il fine presente.
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