Summa Teologica - I-II |
In 4 Sent., d. 43, q. 1, a. 1, sol. 1; d. 49, q. 1, a. 1, a. 1, sol. 4; C. G., III, c. 48; In 1 Ethic., lect. 10, 16
Pare che si possa avere la beatitudine in questa vita.
1. Sta scritto nei Salmi [ Sal 119,1 ]: « Beato l'uomo di integra condotta, che cammina nella legge del Signore ».
Ma ciò avviene nella vita presente.
Quindi uno può essere beato in questa vita.
2. La partecipazione meno perfetta del sommo bene non distrugge la nozione di beatitudine: altrimenti uno non potrebbe essere più beato di un altro.
Ma nella vita presente gli uomini possono partecipare, sia pure imperfettamente, il sommo bene con la conoscenza e con l'amore.
Quindi l'uomo può essere beato in questa vita.
3. Non può essere totalmente falso ciò che è affermato dalla maggior parte degli uomini: infatti ciò che è più frequente si presenta come naturale, e la natura non può mai sbagliare nel suo complesso.
Ora, i più ripongono la beatitudine in questa vita, come si rileva da quel passo dei Salmi [ Sal 144,15 ]: « Dicono beato quel popolo che possiede questi beni », cioè i beni della vita presente.
Quindi uno può essere beato in questa vita.
Sta scritto [ Gb 14,1 ]: « L'uomo nato da donna, breve di giorni, è ripieno di molte miserie ».
Ma la beatitudine esclude la miseria.
Quindi l'uomo non può essere beato in questa vita.
In questa vita si può avere una certa partecipazione della felicità, ma non la vera e perfetta beatitudine.
E ciò può essere confermato da due argomentazioni.
Primo, partendo dalla nozione stessa universale di felicità.
Infatti la beatitudine, essendo « un bene perfetto ed esauriente », esclude ogni male e appaga ogni desiderio.
Ma in questa vita è impossibile escludere ogni male.
Infatti la vita presente soggiace a molti mali inevitabili: all'ignoranza dell'intelletto, agli affetti disordinati dell'appetito, ai molteplici malanni del corpo, come S. Agostino espone con diligenza nel De Civitate Dei [ 19,4ss ].
E così pure nella vita presente non può essere saziato il desiderio del bene.
Infatti per natura l'uomo desidera il perdurare del bene che possiede, e invece i beni di questa vita sono transitori: poiché è transitoria la vita stessa, che per natura desideriamo e che vorremmo far durare in perpetuo, avendo l'uomo un orrore istintivo della morte.
Quindi è impossibile il possesso della beatitudine nella vita presente.
Secondo, considerando ciò in cui specialmente consiste la beatitudine, cioè la visione dell'essenza divina: visione che l'uomo non può conseguire in questa vita, come si è dimostrato nella Prima Parte [ q. 12, a. 2 ].
Per cui risulta evidente che nessuno in questa vita può acquistare la vera e perfetta beatitudine.
1. Alcuni ricevono in questa vita la denominazione di beati o per la loro speranza di acquistare la beatitudine nella vita futura, secondo quelle parole di S. Paolo [ Rm 8,24 ]: « Nella speranza siamo stati salvati », oppure per una qualche partecipazione della beatitudine, in forza di un possesso parziale del sommo bene.
2. La partecipazione della beatitudine può essere imperfetta in due modi.
Primo, rispetto all'oggetto stesso della beatitudine, quando questo non è visibile nella sua essenza.
E tale imperfezione distrugge la nozione stessa della vera beatitudine.
Secondo, può essere imperfetta rispetto al soggetto che ne partecipa, quando questo raggiunge in se stesso l'oggetto della beatitudine, cioè Dio, ma imperfettamente in rapporto al modo in cui Dio possiede se stesso.
E tale imperfezione non elimina la nozione della vera beatitudine poiché, essendo la beatitudine un'operazione, come si è detto [ q. 3, a. 2 ], la nozione della vera beatitudine viene determinata dall'oggetto che specifica l'atto, non dal soggetto.
3. Gli uomini ritengono che esista in questa vita una qualche beatitudine per una certa somiglianza con la vera beatitudine.
E in questo senso non sbagliano del tutto nei loro giudizi.
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