Summa Teologica - I-II |
Pare che il desiderio o concupiscenza non sia soltanto nell'appetito sensitivo.
1. Stando alla Scrittura [ Sap 6,20 ], esiste una concupiscenza del sapere: « Il desiderio della sapienza conduce al regno ».
Ma l'appetito sensitivo non può aspirare alla sapienza.
Quindi il desiderio o concupiscenza non è soltanto nell'appetito sensitivo.
2. Il desiderio dei comandamenti di Dio non ha sede nell'appetito sensitivo; anzi, l'Apostolo [ Rm 7,18 ] scrive: « In me, cioè nella mia carne, non abita il bene ».
Ma il desiderio dei comandamenti di Dio ricade nella concupiscenza, poiché sta scritto: « Io mi consumo nel desiderio [ concupiscenza ] dei tuoi precetti ».
Quindi la concupiscenza non è soltanto nell'appetito sensitivo.
3. Per ogni potenza è [ desiderabile o ] concupiscibile il proprio bene.
Quindi la concupiscenza è in ogni potenza dell'anima, e non soltanto nell'appetito sensitivo.
Secondo il Damasceno [ De fide orth. 2,12 ], « l'irrazionale che subisce il comando e il convincimento della ragione si divide in concupiscenza e ira.
Ora, si tratta della parte irrazionale dell'anima, passiva e appetitiva ».
Quindi la concupiscenza è nell'appetito sensitivo.
Come insegna il Filosofo [ Reth. 1,11 ], « la concupiscenza è l'appetito di ciò che piace ».
Ora, due sono le specie del piacere, come diremo [ q. 31, aa. 3,4 ]: la prima ha per oggetto il bene di ordine spirituale; la seconda si ferma al bene sensibile.
La prima è soltanto nell'anima.
La seconda invece è dell'anima e del corpo: poiché il senso è una facoltà organica, per cui anche il bene sensibile è il bene di tutto il composto.
Ora, la concupiscenza è la brama di questo piacere, e appartiene sia all'anima che al corpo, come indica il nome stesso di concupiscenza.
Quindi la concupiscenza, propriamente parlando, è nell'appetito sensitivo; e precisamente nella facoltà del concupiscibile, che da essa prende il nome.
1. Il desiderio della sapienza, o di altri beni spirituali, viene talora chiamato concupiscenza o per una certa somiglianza, oppure per l'intensità del desiderio della parte superiore, che provoca una ridondanza nell'appetito inferiore.
E questa ridondanza fa sì che lo stesso appetito inferiore tenda a suo modo verso quel bene spirituale, trascinato dall'appetito superiore, in modo che anche il corpo si ponga a servizio dei beni spirituali, secondo l'espressione del Salmo [ Sal 84,3 ]: « Il mio cuore e la mia carne esultano nel Dio vivente ».
2. Il termine desiderio non si restringe al solo appetito inferiore, ma si addice anche meglio, a rigore di termini, a quello superiore.
Infatti non implica, come il termine concupiscenza, una compartecipazione nell'atto del desiderare, ma [ indica ] il semplice moto verso la cosa desiderata.
3. Ogni potenza dell'anima ha la capacità di tendere verso il proprio bene in forza dell'appetito naturale, non legato alla conoscenza, ma il tendere a un bene mediante l'appetito animale, derivante dalla conoscenza, appartiene soltanto alla facoltà appetitiva.
Desiderare poi una cosa sotto l'aspetto di bene piacevole per i sensi, cioè averne la concupiscenza, appartiene al concupiscibile.
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