Summa Teologica - I-II |
III, q. 46, a. 8, ad 2; q. 84, a. 9, ad 2; In 4 Sent., d. 14, q. 1, a. 4, sol. 2
Pare che ogni tristezza sia contraria a tutti i piaceri.
1. Come il bianco e il nero sono specie contrarie del colore, così il piacere e la tristezza sono specie contrarie delle passioni.
Ma il bianco e il nero sono sempre contrapposti.
Quindi lo sono pure sempre il piacere e la tristezza.
2. I rimedi si desumono da cose contrarie.
Ora, qualsiasi piacere è un rimedio contro qualsiasi tristezza, come spiega Aristotele [ Ethic. 7,14 ].
Quindi qualsiasi piacere è contrario a qualsiasi tristezza.
3. Le cose che si ostacolano a vicenda sono contrarie.
Ma qualsiasi tristezza ostacola qualsiasi piacere, come dimostra Aristotele [ Ethic. 10,5 ].
Quindi qualsiasi tristezza è contraria a qualsiasi piacere.
I contrari non derivano da una stessa causa.
Ora invece può derivare da un medesimo abito il godere di una cosa e il rattristarsi del suo opposto: come infatti scrive S. Paolo [ Rm 12,15 ], deriva dalla carità « godere con chi gode » e « piangere con chi piange ».
Quindi non è vero che ogni tristezza sia contraria a tutti i piaceri.
Come spiega Aristotele [ Met. 10,4 ], la contrarietà è una differenza formale.
Ora, la forma può essere generica o specifica.
Quindi avviene che alcune cose sono contrarie per la forma del genere, come la virtù e il vizio, e altre per la forma della specie, come la giustizia e l'ingiustizia.
Si deve però notare che alcune cose sono specificate da forme autonome, come le sostanze e le qualità, altre invece sono specificate in ordine a qualcosa di estrinseco: le passioni e i moti, p. es., ricevono la specie dal loro termine od oggetto.
Nelle cose dunque che devono la loro specie a forme autonome può capitare che specie appartenenti a generi contrari non siano contrarie nella loro ragione specifica; non capita però che abbiano una qualsiasi affinità o convenienza reciproca.
Infatti l'intemperanza e la giustizia, che appartengono a generi contrari, cioè l'una al vizio e l'altra alla virtù, non sono contrarie per la loro ragione specifica: però non hanno neppure alcuna affinità o convenienza reciproca.
Invece nelle cose che devono la loro specie a qualcosa di estrinseco può capitare che specie di generi contrari, pur essendo contrarie fra di loro, abbiano dei punti di contatto e delle affinità reciproche: poiché l'identico comportamento verso termini fra loro contrari determina una contrarietà - come l'atto di avvicinarsi al bianco e l'atto di avvicinarsi al nero fanno contrarietà -, mentre invece il comportamento contrario verso termini fra loro contrari, come l'allontanarsi dal bianco e l'accedere al nero, determinano una somiglianza.
E ciò appare specialmente nella contraddizione, che è il principio di ogni opposizione: infatti si ha opposizione nell'affermare e nel negare la stessa cosa, p. es. bianco e non bianco, mentre nell'affermazione di un opposto e nella negazione dell'altro si riscontra una coincidenza e una somiglianza, come quando dico: nero, e non bianco.
Ora, le passioni della tristezza e del piacere sono specificate dall'oggetto.
E stando al loro genere sono certamente contrarie: infatti l'una ha di mira il conseguimento, l'altra invece la fuga, cose che, al dire di Aristotele [ Ethic. 6,2 ], « rispetto all'appetito sono come l'affermazione e la negazione rispetto alla ragione ».
Quindi il dolore e il piacere riguardo al medesimo oggetto sono specificamente contrari fra di loro.
Invece la tristezza e la gioia per oggetti diversi non sono termini opposti, ma disparati: l'amarezza per la morte di un amico e la gioia della contemplazione, p. es., non si contrappongono specificamente fra di loro, ma sono cose disparate.
Se poi quegli oggetti diversi sono contrari, allora il piacere e la tristezza, oltre a non essere specificamente contrari, sono addirittura armonizzati e affini: come il rallegrarsi per il bene e il rattristarsi per il male.
1. Il bianco e il nero non devono la loro specie a una relazione con qualcosa di esterno, come il piacere e la tristezza.
Quindi il confronto non regge.
2. Come scrive Aristotele [ Met. 8,2 ], il genere si desume dalla materia.
Ora, negli accidenti è il soggetto a sostenere le parti della materia.
E d'altra parte abbiamo già detto [ nel corpo ] che il piacere e la tristezza sono contrari nel loro genere.
Quindi in qualsiasi tristezza troviamo nel soggetto una disposizione contraria alla disposizione in cui esso si trova quando gode di un qualsiasi piacere: infatti in qualsiasi piacere l'appetito è nell'attitudine di accettazione verso l'oggetto presente, mentre in qualsiasi tristezza è nell'attitudine di ripulsa.
Quindi rispetto al soggetto qualsiasi piacere è un rimedio per qualsiasi tristezza, e qualsiasi tristezza è un ostacolo per qualsiasi piacere: specialmente però quando il piacere è contrario anche specificamente alla tristezza.
3. È così risolta anche la terza obiezioni.
- Ma si potrebbe anche rispondere che sebbene ogni tristezza non sia contraria specificamente a qualsiasi piacere, è tuttavia contraria per i suoi effetti: infatti mentre il piacere dà un conforto alla natura dell'animale, la tristezza le procura una certa molestia.
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