Summa Teologica - I-II |
III, q. 46, a. 7, ad 4; In 3 Sent., d. 15, q. 2, a. 3, sol. 2, ad 3; d. 26, q. 1, a. 5, ad 5; In 4 Sent., d. 49, q. 3, a. 3, sol. 2; De Verit., q. 26, a. 3, ad 6; a. 9, ad 8; Comp. Theol., c. 165
Pare che vi siano dolori o tristezze contrari al godimento della contemplazione.
1. L'Apostolo [ 2 Cor 7,10 ] afferma: « La tristezza secondo Dio produce un pentimento irrevocabile che porta alla salvezza ».
Ora, spetta alla ragione superiore avere Dio per oggetto; ma a tale ragione spetta pure attendere alla contemplazione, come osserva S. Agostino [ De Trin. 12, cc. 3,4 ].
Quindi c'è una tristezza che si oppone al godimento della contemplazione.
2. Cose contrarie hanno effetti contrari.
Se dunque uno dei contrari è causa di piacere come oggetto di contemplazione, l'altro sarà causa di tristezza.
E così il godimento della contemplazione trova una tristezza contraria.
3. Come il godimento ha per oggetto il bene, così la tristezza il male.
Ma la contemplazione può presentarsi come un male: infatti il Filosofo [ Met. 12,9 ] scrive che « ci sono cose che non è bene pensare ».
Quindi ci può essere una tristezza contraria al godimento della contemplazione.
4. Qualsiasi operazione non ostacolata è causa di godimento, come dice Aristotele [ Ethic. 7, cc. 12,13; 10,4 ].
Ma l'atto del contemplare può essere ostacolato in molte maniere, o totalmente o in parte.
Quindi nella contemplazione ci può essere una tristezza contraria al suo godimento.
5. L'afflizione della carne è causa di tristezza.
Ma sta scritto [ Qo 12,12 ] che « il molto studio affatica il corpo ».
Quindi esiste una tristezza contraria alla contemplazione.
Della sapienza si legge nella Scrittura [ Sap 8,16 ]: « La sua compagnia non da amarezza, né dolore la sua convivenza, ma contentezza e gioia ».
Ora, si ha la compagnia e la convivenza con la sapienza mediante la contemplazione.
Quindi non esiste alcuna tristezza contraria al godimento della contemplazione.
Il piacere della contemplazione può essere inteso in due modi.
Primo, nel senso che la contemplazione ne è la causa, non però l'oggetto.
E allora abbiamo il godimento non dell'atto stesso del contemplare, ma della cosa contemplata.
Ora, siccome capita di contemplare sia cose nocive e dolorose che cose buone e piacevoli, nulla impedisce che al godimento del contemplare inteso in questo senso possa corrispondere una tristezza contraria.
Secondo, si può parlare di piacere della contemplazione nel senso che il godimento deriva dalla contemplazione considerata come causa e oggetto del medesimo: come quando uno gode dell'atto stesso del contemplare.
E in questo senso, come dice S. Gregorio Nisseno [ Nemesio, De nat. hom. 18 ], « nessuna tristezza si oppone al piacere della contemplazione ».
E la stessa cosa è affermata più volte da Aristotele [ Topic. 1,13; Ethic. 10,3 ].
Ma ciò vale parlando in senso assoluto.
E lo dimostra il fatto che di per sé un dolore contrasta col godimento del suo oggetto contrario: la sofferenza del freddo, p. es., è contraria al godimento del caldo.
Ma nulla è contrario all'oggetto della contemplazione: infatti le nozioni stesse dei contrari, in quanto conosciute, non sono contrarie, ma piuttosto un contrario è causa della conoscenza dell'altro.
Quindi il godimento che si ha nel contemplare non può avere, assolutamente parlando, alcuna tristezza contraria.
- E neppure è in connessione con qualche tristezza, come invece accade nei piaceri corporali che sono rimedi contro alcune molestie: come uno gode nel bere perché è angustiato dalla sete, e non appena è spenta la sete cessa il godimento del bere.
Invece il godimento della contemplazione non proviene dall'eliminazione di qualche molestia, ma dal fatto che la contemplazione è per se stessa piacevole: infatti essa non è una generazione, bensì un'operazione perfetta, come si è detto [ q. 31, a. 1 ].
Tuttavia indirettamente al godimento del conoscere si può mescolare la tristezza.
E ciò in due modi: primo, a motivo degli organi corporei; secondo, per gli ostacoli alla conoscenza.
A motivo degli organi la tristezza, o dolore, si mescola direttamente alla conoscenza nelle facoltà conoscitive della parte sensitiva, che sono dotate di organi corporei: o perché l'oggetto è contrario alla debita disposizione dell'organo, come quando si gusta una cosa amara o si odora una cosa fetida, oppure per la continuità di un oggetto conveniente che con la sua durata produce uno squilibrio nell'armonia naturale, come sopra [ q. 33, a. 2 ] si è notato, così da rendere fastidiosa quella conoscenza che prima era piacevole.
- Ma queste due cose non possono aver luogo nella contemplazione intellettiva, poiché l'intelletto non ha un organo corporeo.
Per cui nel passo riferito [ della Scrittura ] si dice che la contemplazione intellettiva « non ha amarezza, né dolore ».
Siccome però la mente umana nel contemplare si serve delle facoltà conoscitive sensibili, nell'atto delle quali può determinarsi la stanchezza, indirettamente alla contemplazione può mescolarsi una certa tristezza o dolore.
Ma la tristezza che accidentalmente accompagna la contemplazione non può essere in nessuno di questi due modi contraria al godimento di essa.
Infatti la tristezza che nasce dagli ostacoli alla contemplazione non è contraria al suo godimento, ma è piuttosto in affinità e in armonia con esso, come appare evidente da quanto sopra [ a. prec. ] si è detto.
La tristezza o afflizione poi che deriva dalla stanchezza del corpo è di un genere diverso: per cui è del tutto disparata.
È chiaro quindi che nessuna tristezza è contraria al piacere della contemplazione in se stesso, ed esso non è accompagnato da alcuna tristezza, se non in modo accidentale.
1. Quella tristezza secondo Dio non ha per oggetto diretto la contemplazione mentale stessa, ma ciò che la mente contempla, cioè il peccato, che l'anima considera come contrario all'amore di Dio.
2. Le cose che sono contrarie nella realtà non hanno contrarietà in quanto sono nella mente.
Infatti le nozioni dei contrari non sono contrarie, ma piuttosto un contrario è ragione della conoscenza dell'altro.
Per cui i contrari appartengono a una medesima scienza.
3. La contemplazione di per sé non ha mai ragione di male, non essendo essa altro che la considerazione del vero, che è il bene dell'intelletto, ma può avere ragione di male solo accidentalmente, cioè in quanto la considerazione di una cosa più vile impedisce la contemplazione di una cosa più nobile; oppure sarà cattiva a motivo della cosa contemplata, alla quale l'appetito si attacca con affetto disordinato.
4. Il dolore derivante dall'ostacolo alla contemplazione non è contrario al piacere di essa, ma gli è piuttosto affine, come si è spiegato [ nel corpo ].
5. L'afflizione della carne, come si è detto [ a. prec. ], è accidentale e indiretta rispetto alla contemplazione intellettiva.
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