Summa Teologica - I-II |
Pare che non sempre uno si adiri per un'azione fatta contro di lui.
1. L'uomo, peccando, non può fare nulla contro Dio, poiché sta scritto [ Gb 35,6 ]: « Se pecchi, che gli fai? ».
E tuttavia, stando alla Scrittura [ Sal 106,40 ], Dio si adira contro gli uomini per i loro peccati: « L'ira del Signore si accese contro il suo popolo ».
Quindi non sempre uno si adira per cose fatte contro di lui.
2. L'ira è il desiderio di vendicarsi.
Ora, uno può volere la vendetta anche per offese fatte contro altri.
Quindi non sempre il movente dell'ira è un'azione compiuta contro di noi.
3. Il Filosofo [ Reth. 2,2 ] scrive che gli uomini si adirano specialmente contro quelli « che disprezzano le cose di cui essi si occupano di più: quanti p. es. studiano la filosofia, si adirano contro coloro che la disprezzano »; e lo stesso si dica delle altre cose.
Ora, disprezzare la filosofia non è offendere chi la studia.
Perciò non sempre ci si adira per delle azioni compiute contro di noi.
4. Chi risponde col silenzio all'ingiuria provoca maggiormente all'ira, come nota il Crisostomo [ Ad Rm hom. 22 ].
Ma col tacere non si fa nulla contro chi ingiuria.
Quindi non sempre l'ira è provocata da un'azione compiuta contro chi si adira.
Il Filosofo [ Reth. 2,4 ] insegna che « l'ira riguarda sempre cose che interessano noi.
L'inimicizia invece ne prescinde: noi infatti odiamo una persona anche solo perché ha certe determinate caratteristiche ».
Come si è detto [ q. 46, a. 6 ], l'ira è il desiderio di nuocere a un altro per giusta vendetta.
Ora, non si concepisce una vendetta senza presupporre un'ingiustizia.
Non tutte le ingiustizie tuttavia provocano la vendetta, ma solo quelle che toccano chi vuole vendicarsi: infatti ciascuno respinge per natura il proprio male, come per natura aspira al proprio bene.
Ora, un'ingiustizia commessa da altri non ci riguarda se in qualche modo non ci colpisce.
Perciò il movente dell'ira è sempre un'azione compiuta contro chi si adira.
1. Si dice che in Dio c'è l'ira non come passione, ma come giusto giudizio, che mira a vendicare il peccato.
Infatti il peccatore non può nuocere a Dio efficacemente; tuttavia per quanto sta in lui agisce in due modi contro Dio.
Primo, perché ne disprezza le leggi.
Secondo, perché nuoce ad altri o a se medesimo: e ciò interessa Dio, poiché il danneggiato è sotto la provvidenza e la tutela di Dio.
2. Ci adiriamo contro chi nuoce ad altri, e desideriamo vendicarci di lui, perché i colpiti in qualche modo ci riguardano: o per una certa affinità, o per amicizia, o almeno per la comunanza della natura.
3. La cosa di cui più ci occupiamo la consideriamo come un nostro bene.
Perciò quando viene disprezzata pensiamo di essere disprezzati anche noi, e ci consideriamo offesi.
4. Chi risponde col silenzio provoca all'ira chi lo offende quando mostra di tacere per disprezzo, non dando peso all'ira dell'altro.
Ma la disistima è già un certo atto.
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