Summa Teologica - I-II |
Pare che l'ira non causi godimento.
1. La tristezza è incompatibile col godimento.
Ma l'ira implica sempre la tristezza: poiché, come dice Aristotele [ Ethic. 7,6 ], « chi fa una cosa per ira, la fa con tristezza ».
Quindi l'ira non causa un godimento.
2. Il Filosofo [ Ethic. 4,5 ] afferma che « la punizione ferma l'impeto dell'ira, sostituendo il piacere alla tristezza »: dal che si deduce che il piacere deriva dalla punizione.
La punizione, però, toglie l'ira.
Per cui l'ira cessa quando viene il piacere.
Quindi non gli è congiunta.
3. Nessun effetto è di ostacolo alla propria causa, essendo ad essa conforme.
Invece i piaceri impediscono l'ira, come nota Aristotele [ Reth. 2,3 ].
Quindi il piacere non è un effetto dell'ira.
Il Filosofo nel medesimo libro [ c. 2 ] riferisce quel detto [ Omero, Iliade 18,109-110 ]: « L'ira molto più dolce del miele stillante si diffonde nel petto degli uomini ».
Come nota il Filosofo [ Ethic. 7,14 ], i piaceri, specialmente quelli sensibili e materiali, sono come delle medicine contro il dolore: perciò più grande è il dolore o l'angoscia che il godimento è chiamato a lenire, più questo si fa sentire: più uno ha sete, p. es., e più gusta la bevanda.
Ora è evidente, da quanto abbiamo detto [ q. 47, aa. 1,3 ], che il moto dell'ira sorge da un'ingiuria che rattrista, e il cui rimedio è la vendetta.
Perciò all'atto della vendetta segue un godimento, e tanto maggiore quanto più grave era stato il dolore.
- Se quindi la vendetta è già in atto si ha un godimento perfetto, che esclude del tutto la tristezza e acquieta il moto dell'ira.
- Prima invece che la vendetta si attui nella realtà esso diviene presente a chi è adirato in due modi.
Primo, mediante la speranza: poiché, come si è visto [ q. 46, a. 1 ], non ci si adira senza la speranza di vendicarsi.
- Secondo, mediante un pensiero insistente.
Infatti chi ha un desiderio gode nel pensare a lungo a ciò che desidera: per cui sono piacevoli anche le immaginazioni dei sogni.
E così quando colui che è adirato continua a pensare dentro di sé alla vendetta, ne prova piacere.
Tuttavia non è un godimento perfetto, che escluda la tristezza, e quindi l'ira.
1. Chi è adirato gode e si rattrista, ma non della stessa cosa: si rattrista infatti dell'offesa ricevuta, e gode della vendetta pensata e sperata.
Perciò il dolore si rapporta all'ira come sua causa; il godimento invece come effetto o termine.
2. L'argomento vale per il godimento prodotto dalla reale attuazione della vendetta, il quale elimina totalmente l'ira.
3. I piaceri antecedenti impediscono il prodursi della tristezza, e quindi dell'ira.
Ma il godimento della vendetta è conseguente all'ira.
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