Summa Teologica - I-II |
Infra, q. 66, a. 1; De Virt., q. 1, a. 11; q. 5, a. 3; In 10 Ethic., lect. 3
Pare che gli abiti non possano avere un aumento.
1. L'aumento, come insegna Aristotele [ Phys. 5,2 ], interessa la quantità.
Ma gli abiti non sono nel genere della quantità, bensì in quello della qualità.
Quindi in essi non ci può essere aumento.
2. L'abito è una perfezione, come nota Aristotele [ Phys. 7,3 ].
Ma una perfezione, implicando il concetto di fine e di termine, non ammette gradazioni.
Quindi gli abiti non possono avere aumento.
3. Nelle cose che ammettono gradazioni troviamo l'alterazione: infatti una cosa che da meno calda diventa più calda si dice che si altera.
Ora, come Aristotele [ ib. ] dimostra, negli abiti non ci sono alterazioni.
Quindi gli abiti non possono aumentare.
La fede è un abito, e tuttavia può aumentare: infatti i discepoli dissero al Signore [ Lc 17,5 ]: « Signore, aumenta in noi la fede ».
Perciò gli abiti possono avere un aumento.
Il termine aumento, come del resto tutti gli altri che si riferiscono alla quantità, dalla quantità materiale è passato a indicare realtà spirituali, data la connaturalità del nostro intelletto con gli esseri corporei, che cadono sotto l'immaginazione.
Ora, un essere viene detto grande nella quantità materiale per il fatto che raggiunge la perfetta quantità a lui dovuta: per cui nell'uomo viene considerata grande una certa quantità che invece non è grande in un elefante.
Perciò, trattandosi di forme, diciamo che una cosa è grande per il fatto che è perfetta.
E poiché il bene si identifica con la perfezione, « negli esseri che non sono grandi in estensione il più si identifica con il meglio », come nota S. Agostino [ De Trin. 6,8 ].
Ma la perfezione di una forma può essere considerata da due lati: primo, dal lato della forma medesima; secondo, dal lato del soggetto che ne partecipa.
In quanto dunque si considera la perfezione dal lato della forma, la forma stessa viene denominata piccola o grande: e così si parlerà di grande o di scarsa salute, o scienza.
In quanto invece si considera tale perfezione dal lato del soggetto che ne partecipa, si dirà che una forma è più o meno intensa: si dirà, p. es., che un soggetto è più o meno bianco, o più o meno sano.
Questa distinzione però non significa che la forma abbia un'esistenza al di fuori della materia o del soggetto, ma significa soltanto che considerare la forma nella sua specie non è come considerarla in rapporto al soggetto che ne partecipa.
Ora, a proposito dello sviluppo e del decadimento degli atti e delle forme, ci furono presso i filosofi quattro opinioni, come riferisce Simplicio [ Comm. praed. 8 ].
Infatti Plotino e altri Platonici ritenevano che le qualità e gli abiti stessi avessero delle gradazioni, poiché sarebbero stati di ordine materiale, e quindi avrebbero avuto una certa indeterminazione, dato il carattere indefinito della materia.
- Altri invece sostenevano che le qualità e gli abiti non avrebbero delle gradazioni per se stessi, ma piuttosto l'avrebbero i soggetti qualificati, secondo la diversa partecipazione delle qualità: le gradazioni, per es., non sarebbero nella giustizia, ma nel giusto.
E Aristotele accenna a questa opinione nei Predicamenti [ 6 ].
- La terza opinione, quella degli Stoici, è una via di mezzo tra le due.
Infatti essi ritenevano che alcuni abiti, le arti p. es., avessero in se stessi delle gradazioni, e altri invece no, p. es. le virtù.
- La quarta opinione infine fu quella di quanti affermavano che le qualità immateriali non ammettono gradazioni, mentre le ammettono quelle materiali.
Per chiarire dunque la vera Analisi del problema bisogna tener presente che l'elemento determinante della specie deve essere qualcosa di fisso e di stabile, e quasi di indivisibile: per cui quanto ad esso si adegua fa parte della specie, mentre ciò che da esso si scosta, in più o in meno, appartiene a un'altra specie, o più perfetta o più imperfetta.
Per cui il Filosofo [ Met. 8,3 ] afferma che le specie delle cose sono come i numeri, nei quali l'addizione e la sottrazione comportano una differenza specifica.
Se dunque una forma o un'altra entità qualsiasi ha ragione di specie, sia in se stessa che per qualche sua proprietà, è necessario che considerata in se stessa abbia un'essenza così determinata da non ammettere aumenti o diminuzioni.
Tali sono il calore, la bianchezza e altre qualità del genere, che non implicano una relazione: e più ancora la sostanza, che è un ente per se.
- Invece le cose che ricevono la specie dal termine a cui sono ordinate possono avere per se stesse queste diversità di gradazione, pur restando della medesima specie in forza dell'unicità del termine a cui sono ordinate e dal quale ricevono la specie.
Il moto, p. es., è per se stesso più o meno intenso; e tuttavia rimane sempre della medesima specie, per l'unità del termine da cui è specificato.
E lo stesso si dica della salute: infatti il corpo raggiunge la salute in quanto ha le disposizioni che convengono alla natura dell'animale, disposizioni però che possono rimanere sempre convenienti anche se diverse: per cui tali disposizioni possono variare in più o in meno, entro i limiti della salute.
Per cui il Filosofo [ Ethic. 10,3 ] afferma che « la salute ammette delle gradazioni: poiché l'equilibrio [ degli umori ] non è uguale in tutti, e non è sempre uguale in un medesimo soggetto, ma anche se diminuito fino a un certo limite rimane sempre salute ».
Ora, queste diverse disposizioni relative alla salute sono l'una superiore o inferiore all'altra: se quindi il termine salute fosse riservato alla sola disposizione più perfetta, non si potrebbe parlare di una salute maggiore o minore.
- E così abbiamo chiarito in che modo una qualità o una forma è o non è, per se stessa, passibile di aumento o di diminuzione.
Se invece consideriamo le qualità o forme come partecipate e inerenti a un soggetto, anche allora troviamo che alcune sono passibili di gradazioni e altre no.
Simplicio [ l. cit. ] fa dipendere questa diversità dal fatto che la sostanza per se stessa non ammette gradazioni, essendo un ente per se, per cui qualsiasi forma venga ricevuta in un soggetto in maniera sostanziale non ammette aumento o diminuzione: infatti nel genere della sostanza non si parla di gradazioni.
E poiché la quantità è vicina alla sostanza, e la figura è legata alla quantità, anche in queste non si ammettono gradazioni.
Per cui il Filosofo [ Phys. 7,3 ] fa notare che quando una cosa riceve una forma o figura non si dice che viene alterata, ma piuttosto che viene fatta.
- Invece le altre qualità, che sono più distanti dalla sostanza, e che sono connesse con le funzioni della passione e dell'azione, ammettono gradazioni secondo la diversa partecipazione del soggetto.
Però di tale differenza si può dare una spiegazione migliore.
Come infatti si è già notato, l'elemento che costituisce la specie di una cosa deve rimanere fisso e stabile in un dato indivisibile.
Quindi per due motivi la partecipazione di una forma può escludere delle gradazioni.
Primo, perché il soggetto partecipante è specificato da tale forma.
Ed è per questo che nessuna forma sostanziale viene partecipata secondo una gradazione.
Per cui il Filosofo [ Met. 8,3 ] afferma che « come il numero non ammette gradazioni, così non le ammette la sostanza in quanto rappresenta la specie », cioè quanto alla partecipazione della forma specifica; « si può invece ammettere un più e un meno nella sostanza se questa viene considerata unita alla materia », cioè in forza delle disposizioni materiali.
- Secondo, per il fatto che l'indivisibilità stessa è implicita nel concetto di una data forma: per cui è necessario, se un essere partecipa di tale forma, che la partecipi nella sua indivisibile unità.
Ed è per questo che le specie dei numeri non ammettono gradazioni: poiché in essi ogni specie è costituita di un'unità indivisibile.
E lo stesso si dica delle varie specie della quantità continua numericamente determinate, p. es. delle grandezze di due cubiti, tre cubiti ecc., oppure dei numeri correlativi, come il doppio e il triplo; ovvero delle misure geometriche, come il triangolo, il quadrilatero ecc.
E Aristotele [ Praed. 6 ] accenna a questo argomento nel determinare il motivo per cui le figure non ammettono gradazioni: « Le realtà che attuano la nozione di triangolo, o di cerchio, sono sempre ugualmente triangoli o cerchi »; e ciò perché l'indivisibilità è implicita nel loro concetto, per cui tutti i soggetti che ne partecipano sono costretti a parteciparne in maniera indivisibile.
Rimane dunque chiarito perché gli abiti e le disposizioni, essendo, come insegna Aristotele [ Phys. 7,3 ], delle qualità correlative a un dato termine, possono ammettere delle gradazioni.
E ciò in due modi.
Primo, dalla parte degli abiti in se stessi: cioè nel senso in cui diciamo maggiore o minore la salute, o la scienza, che può estendersi a un numero maggiore o minore di oggetti.
Secondo, in rapporto alla loro partecipazione o inesione nel soggetto: nel senso cioè che un'uguale scienza o un'uguale salute può essere ricevuta in un soggetto più che in un altro, secondo la diversa attitudine derivante dalla natura o dalla consuetudine.
Infatti l'abito e la disposizione non danno la specie al soggetto; e nel loro concetto non implicano indivisibilità. In che modo poi ciò si applichi alle virtù, lo vedremo in seguito [ q. 66, a. 1 ].
1. Come la parola grandezza, che pure deriva dalla quantità materiale, è passata a indicare le perfezioni immateriali delle forme, così è avvenuto per la nozione di aumento, che termina appunto nella grandezza.
2. Certamente l'abito è una perfezione: tuttavia non è una perfezione che segna un limite fisso del suo soggetto, dandogli p. es. la natura specifica.
E neppure include la nozione di limite o di termine, come le specie dei numeri.
Quindi nulla impedisce che possa avere delle gradazioni.
3. L'alterazione si riscontra direttamente nelle qualità della terza specie, ma può trovarsi indirettamente anche nelle qualità della prima specie: infatti in seguito all'alterazione dal caldo al freddo l'animale si altera da sano a malato.
E similmente in seguito a un'alterazione nelle passioni dell'appetito sensitivo o nelle potenze conoscitive sensibili si produce un'alterazione nella scienza e nelle virtù, come nota Aristotele [ Phys. 7,3 ].
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