Summa Teologica - I-II |
II-II, q. 17, a. 6; In 3 Sent., d. 23, q. 1, a. 5; d. 26, q. 2, a. 3, sol. 1;De Virt., q. 1, aa. 10, 12; In 1 Cor., c. 13, lectt. 2, 4
Pare che non sia giusto considerare come virtù teologali le tre virtù della fede, della speranza e della carità.
1. Le virtù teologali sono ordinate alla beatitudine divina come l'inclinazione della natura al fine connaturale.
Ora, fra tutte le virtù ordinate al fine connaturale troviamo una sola virtù naturale, cioè l'intelligenza dei princìpi.
Quindi non ci deve essere più di una virtù teologale.
2. Le virtù teologali sono più perfette delle virtù intellettuali e morali.
Ora, tra le virtù intellettuali non viene enumerata la fede, che è qualcosa di inferiore alla virtù, in quanto conoscenza imperfetta.
E così pure tra le virtù morali non viene computata la speranza la quale, essendo una passione, è al disotto della virtù.
Perciò a maggior ragione esse non vanno computate fra le virtù teologali.
3. Le virtù teologali indirizzano l'anima dell'uomo verso Dio.
Ma l'anima umana può essere indirizzata verso Dio soltanto mediante la parte intellettiva, che abbraccia l'intelletto e la volontà.
Quindi non ci devono essere se non due virtù teologali, una per l'intelletto e l'altra per la volontà.
L'Apostolo [ 1 Cor 13,13 ] scrive: « Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità ».
Come si è già detto [ a. 1 ], le virtù teologali ordinano l'uomo alla beatitudine soprannaturale allo stesso modo in cui l'inclinazione naturale lo ordina al fine connaturale.
Ora, ciò avviene in due modi.
Primo, secondo la ragione, o intelletto, cioè mediante il possesso dei primi princìpi universali, conosciuti da noi mediante il lume naturale dell'intelletto, dai quali la ragione procede sia in campo speculativo che in campo pratico.
Secondo, mediante la rettitudine della volontà, la quale per natura tende verso il bene di ordine razionale.
Ma queste due cose sono al di sotto dell'ordine soprannaturale: poiché, come ricorda S. Paolo [ 1 Cor 2,9 ], « quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano ».
Perciò era necessario che rispetto all'una e all'altra facoltà l'uomo ricevesse soprannaturalmente qualcosa che lo indirizzasse al fine soprannaturale.
In primo luogo dunque, rispetto all'intelligenza, l'uomo riceve alcuni princìpi soprannaturali conosciuti mediante la luce di Dio: sono queste le verità rivelate, oggetto della fede.
- In secondo luogo la volontà viene ordinata al fine suddetto sia quanto al moto dell'intenzione, che appartiene alla speranza, sia quanto a una certa unione spirituale mediante la quale uno viene trasformato in qualche modo in questo fine, il che avviene in forza della carità.
Infatti l'appetito di qualsiasi essere si muove e tende naturalmente verso il fine che gli è connaturale; e questo moto dipende da una certa conformità di ogni essere col proprio fine.
1. L'intelletto ha bisogno di specie intelligibili per intendere: perciò si richiede un abito naturale che completi la potenza.
Invece la natura stessa della volontà basta per stabilire l'ordine naturale verso il fine, sia quanto all'intenzione del fine che quanto alla conformità con esso.
In ordine alle realtà soprannaturali invece la natura della potenza è del tutto inadeguata.
Perciò si richiede il complemento degli abiti soprannaturali rispetto ad ambedue le potenze.
2. La fede e la speranza implicano una certa imperfezione: poiché la fede ha per oggetto cose che non si vedono e la speranza cose che non si possiedono.
Perciò avere fede e speranza per cose che cadono sotto il potere dell'uomo non raggiunge il grado di virtù.
Ma avere fede e speranza per cose che sorpassano le capacità della natura umana trascende qualsiasi virtù proporzionata all'uomo, secondo l'espressione di S. Paolo [ 1 Cor 1,25 ]: « Ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini ».
3. L'appetito richiede due cose, cioè il moto verso il fine e il conformarsi dell'appetito al fine mediante l'amore.
Così nell'appetito umano bisogna porre due virtù teologali, cioè la speranza e la carità.
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