Summa Teologica - I-II |
In 3 Sent., d. 34, q. 1, a. 4; In Matth., c. 5
Pare che le beatitudini non siano ben enumerate.
1. Le beatitudini sono attribuite ai doni, come si è visto [ a. 1, ad 1 ].
Ora ci sono dei doni, come la sapienza e l'intelletto, che appartengono alla vita contemplativa; ciò nonostante non viene posta alcuna beatitudine negli atti della vita contemplativa, ma tutte si collegano alla vita attiva.
E così l'enumerazione delle beatitudini è incompleta.
2. Alla vita attiva appartengono non solo i doni esecutivi, ma anche certi doni direttivi, come la scienza e il consiglio.
Invece tra le beatitudini non c'è nulla che direttamente appartenga all'atto della scienza o del consiglio.
Quindi le beatitudini sono descritte in maniera insufficiente.
3. Tra i doni esecutivi della vita attiva è posto il timore, a cui corrisponde la povertà, mentre alla pietà sembra corrispondere la beatitudine della misericordia.
Non c'è invece nulla che corrisponda direttamente alla fortezza.
Quindi l'enumerazione delle beatitudini non è completa.
4. Nella Sacra Scrittura si parla di molte altre beatitudini: nel libro di Giobbe, p. es., sta scritto [ Gb 5,17 ]: « Felice l'uomo che è corretto da Dio »; nel primo Salmo [ Sal 1,1 ]: « Beato l'uomo che non segue il consiglio degli empi »; nei Proverbi [ Pr 3,13 ]: « Beato l'uomo che ha trovato la sapienza ».
Perciò l'elenco delle beatitudini è insufficiente.
5. L'enumerazione sembra peccare per eccesso.
Infatti i doni dello Spirito Santo sono sette, mentre le beatitudini ricordate sono otto.
6. In S. Luca [ Lc 6,20ss ] troviamo soltanto quattro beatitudini.
Perciò è superfluo enumerarne sette o otto, come invece troviamo in S. Matteo [ Mt 5,3ss ].
L'elenco di queste beatitudini è esattissimo.
Per averne l'evidenza si consideri che l'uomo può seguire tre tipi di beatitudine: infatti alcuni riposero la beatitudine nella vita voluttuosa, altri nella vita attiva e altri ancora nella vita contemplativa.
Ora, queste tre beatitudini hanno rapporti differenti con la beatitudine futura, per la cui speranza meritiamo quaggiù il nome di beati.
Infatti la beatitudine delle voluttà, in quanto falsa e contraria alla ragione, è un ostacolo per la beatitudine futura.
Invece la beatitudine della vita attiva ne è una preparazione.
La beatitudine contemplativa poi, se è perfetta, si identifica essenzialmente con la beatitudine futura; se invece è imperfetta ne è un inizio.
E così il Signore mise per prime alcune beatitudini atte a rimuovere l'ostacolo della falsa beatitudine.
Infatti la vita voluttuosa consiste in due cose.
Primo, nell'abbondanza dei beni esterni, ossia delle ricchezze e degli onori.
E da questi l'uomo viene distolto mediante la virtù, in modo che ne usi con moderazione, o in maniera più eccellente mediante il dono, in modo cioè che li disprezzi del tutto.
Perciò troviamo come prima beatitudine: « Beati i poveri in ispirito »; il che può riferirsi tanto all'abbandono delle ricchezze che al disprezzo degli onori, attuato mediante l'umiltà.
- Secondo, la vita voluttuosa consiste ancora nel seguire le proprie passioni, sia dell'irascibile che del concupiscibile.
Ora, è la virtù che mediante la regola della ragione distoglie l'uomo dal seguire le passioni dell'irascibile, perché in esse non ecceda; ma anche il dono interviene in modo più eccellente a far sì che l'uomo, seguendo la volontà di Dio, ne sia liberato totalmente.
Da cui la seconda beatitudine: « Beati i miti ».
- Inoltre la virtù ritrae l'uomo dal seguire le passioni del concupiscibile, usando moderatamente di esse; il dono invece interviene, se è necessario, eliminandole totalmente; anzi, se è necessario, caricandosi volontariamente di afflizioni.
E abbiamo così la terza beatitudine: « Beati gli afflitti ».
La vita attiva invece consiste specialmente nei servizi che rendiamo al prossimo, sotto forma di doveri o di benefici spontanei.
Rispetto dunque al primo compito la virtù ci predispone a non ricusare al prossimo quanto gli è dovuto: il che appartiene alla giustizia.
Invece il dono ci induce a questo medesimo dovere con un affetto più grande: in modo cioè da compiere le opere della giustizia con desiderio ardente, come l'affamato e l'assetato desiderano il cibo e la bevanda.
E abbiamo a questo punto la quarta beatitudine: « Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia ».
- Rispetto poi ai benefici spontanei, la virtù ci induce a donarli a coloro a cui la ragione suggerisce di donarli, ossia agli amici e ai congiunti: il che spetta alla virtù della liberalità.
Invece il dono, in ossequio a Dio, considera la sola necessità di coloro a cui offre i suoi benefici gratuiti, secondo le parole evangeliche [ Lc 14,12s ]: « Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli …, ma invita poveri, storpi », ecc.
E questo è un atto di misericordia.
E così viene posta la quinta beatitudine: « Beati i misericordiosi ».
Le cose finalmente che riguardano la vita contemplativa, o si identificano con l'ultima beatitudine, o ne sono un preludio: perciò non sono ricordate fra le beatitudini come meriti, ma come premi.
Invece sono ricordati come meriti gli effetti della vita attiva che predispongono l'uomo alla vita contemplativa.
Ora, appartiene alla vita attiva, relativamente alle virtù e ai doni ordinati alla perfezione dell'uomo in se stesso, la mondezza del cuore: vale a dire l'immunità dell'anima dall'inquinamento delle passioni.
Ecco quindi la sesta beatitudine: « Beati i puri di cuore ».
- Invece per le virtù e i doni ordinati alla perfezione dell'uomo in rapporto al prossimo l'effetto della vita attiva è la pace, secondo le parole di Isaia [ Is 32,17 ]: « Effetto della giustizia sarà la pace ».
Ecco allora la settima beatitudine: « Beati gli operatori di pace ».
1. Gli atti dei doni propri della vita attiva sono espressi [ nelle beatitudini ] dalle stesse opere meritorie; gli atti invece dei doni appartenenti alla vita contemplativa sono espressi dai premi, o ricompense, per la ragione già indicata [ nel corpo ].
Infatti vedere Dio corrisponde al dono dell'intelletto, e conformarsi a Dio mediante una certa filiazione adottiva appartiene al dono della sapienza.
2. In ciò che riguarda la vita attiva la conoscenza non viene cercata per se stessa, come nota anche Aristotele [ Ethic. 2,2 ], ma per l'operazione.
Ora, siccome le beatitudini implicano qualcosa di ultimo, non possono includere nel loro numero gli atti emessi immediatamente dai doni direttivi della vita attiva, come il deliberare, che è l'atto del consiglio, e il giudicare, che è l'atto del dono della scienza, ma a questi doni vengono piuttosto attribuiti gli atti operativi verso i quali essi dirigono: e così alla scienza è attribuito il piangere, e al consiglio l'aver misericordia.
3. Nell'attribuzione delle beatitudini ai doni due sono i criteri su cui possiamo fondarci.
Il primo di essi è la somiglianza della materia [ oggetto ].
E da questo lato le prime cinque beatitudini possono essere attribuite tutte alla direzione della scienza e del consiglio.
Quando invece si tratta dei doni esecutivi esse vengono distribuite: cosicché la fame e la sete di giustizia, nonché la misericordia, appartengono al dono della pietà, il quale dispone l'uomo ai doveri verso gli altri; la mansuetudine al dono della fortezza, poiché al dire di S. Ambrogio [ In Lc 5, su 6,22 ] « alla fortezza spetta vincere l'ira e frenare l'indignazione », e d'altronde la fortezza riguarda le passioni dell'irascibile; la povertà invece e il pianto sono attribuiti al dono del timore, che ritrae l'uomo dai desideri e dai piaceri del mondo.
In secondo luogo possiamo prendere in considerazione nelle beatitudini le loro cause moventi: e allora in parte bisogna variarne l'attribuzione.
Infatti alla mansuetudine muove soprattutto la riverenza verso Dio, che appartiene al dono della pietà.
Al pianto poi muove soprattutto la scienza, mediante la quale l'uomo conosce le miserie proprie e quelle del mondo, secondo l'espressione dell'Ecclesiaste [ Qo 1,18 ]: « Chi accresce il sapere, aumenta il dolore ».
Ad aver fame invece delle opere di giustizia muove soprattutto la fortezza d'animo.
Ad aver misericordia infine muove specialmente il consiglio di Dio, secondo le parole di Daniele [ Dn 4,24 ]: « O re, accetta il mio consiglio: sconta i tuoi peccati con l'elemosina e le tue iniquità con atti di misericordia verso gli afflitti ».
- Ed è questo criterio di attribuzione che S. Agostino segue nel suo commento al discorso della montagna [ De serm. Dom. in monte 1,4.11 ].
4. È necessario che tutte le beatitudini esistenti nella Sacra Scrittura si riducano a queste, o rispetto alle opere meritorie [ che raccomandano ], o rispetto ai premi [ che promettono ]: poiché tutte devono appartenere o alla vita attiva o alla vita contemplativa.
Per cui la beatitudine: « Felice l'uomo che è corretto da Dio », appartiene alla beatitudine del pianto.
L'altra invece: « Beato l'uomo che non segue il consiglio degli empi », si riduce alla mondezza del cuore.
La terza poi: « Beato l'uomo che ha trovato la sapienza », appartiene al premio della settima beatitudine.
E lo stesso si dica di tutte le altre che si potrebbero citare.
5. [ S. c. ]. L'ottava beatitudine è una certa conferma e manifestazione di tutte le precedenti.
Poiché dal fatto che uno è confermato nella povertà di spirito, nella mansuetudine e in tutte le altre beatitudini deriva il suo attaccamento a questi beni nonostante tutte le persecuzioni.
Per cui l'ottava beatitudine appartiene, in qualche modo, alle sette precedenti.
6. [ S. c. ]. Secondo S. Luca [ Lc 6,17 ] il discorso del Signore fu tenuto alle folle.
Per cui le beatitudini vengono enumerate secondo la capacità delle folle, che conoscevano soltanto la beatitudine del piacere, terrena e temporale.
Così il Signore con quattro beatitudini esclude quanto sembra costituire tale falsa felicità.
Prima di tutto l'abbondanza dei beni esteriori, che egli esclude con quelle parole: « Beati i poveri ».
- Secondo, il benessere del corpo nel cibo, nella bevanda e in altre cose simili, che esclude dicendo: « Beati voi che ora avete fame ».
- Terzo, il benessere dell'uomo quanto alla giocondità del cuore, che esclude con la terza beatitudine: « Beati voi che ora piangete ».
- Quarto, il favore esterno degli uomini, che esclude con le parole: « Beati voi quando gli uomini vi odieranno ».
- Oppure, come dice S. Ambrogio [ l. cit., su 20 ss.; cf. a. 1, ad 1 ], « la povertà appartiene alla temperanza, che non cerca cose allettanti; la fame alla giustizia, poiché chi ha fame ha compassione, e chi compatisce soccorre; il pianto alla prudenza, che ha il compito di compiangere le cose transitorie; il sopportare l'odio degli uomini alla fortezza ».
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