Summa Teologica - I-II |
Pare che la gravità dei peccati non si misuri dall'oggetto.
1. La gravità di un peccato riguarda la qualità o il modo del peccato medesimo.
L'oggetto invece costituisce la materia del peccato.
Quindi la gravità dei peccati non dipende dalla diversità dell'oggetto.
2. La gravità di un peccato non è che l'intensità della sua malizia.
Ma la malizia di un peccato non viene desunta dalla conversione verso il proprio oggetto, che è sempre un bene desiderabile, ma dall'allontanamento [ da Dio ].
Quindi la gravità dei peccati non si misura dalla diversità del loro oggetto.
3. La diversità dell'oggetto produce una diversità di genere tra i peccati.
Ma realtà di genere diverso, come dimostra Aristotele [ Phys. 7,4 ], non sono comparabili tra loro.
Quindi un peccato non può essere più grave di un altro secondo la diversità dell'oggetto.
Come si è visto in precedenza [ q. 72, a. 1 ], i peccati ricevono la loro specie dall'oggetto.
Ora, certi peccati sono l'uno più grave dell'altro per la loro specie: l'omicidio, p. es., è specificamente più grave del furto.
Quindi la gravità dei peccati viene misurata dall'oggetto.
Secondo le spiegazioni date [ a. prec. ], la gravità dei peccati varia in modo analogo alla gravità delle malattie: come infatti il bene della salute consiste in una proporzione tra gli umori in rapporto alla natura dell'animale, così il bene della virtù consiste in una proporzione dell'atto umano in rapporto alla regola della ragione.
Ora, è evidente che una malattia è tanto più grave quanto più fondamentale è il principio rispetto al quale viene compromessa la giusta proporzione degli umori: p. es. la malattia che nel corpo umano proviene dal cuore, che è l'organo principale della vita, o da altri organi vicini al cuore, è più pericolosa.
Perciò è necessario che un peccato sia tanto più grave quanto più alto nell'ordine della ragione è il principio che il suo disordine colpisce.
Ora, in campo pratico la ragione ordina ogni cosa al fine.
Perciò negli atti umani il peccato è tanto più grave quanto più alto è il fine da esso frustrato.
Ma stando a quanto si è già detto [ q. 72, a. 3, ad 2 ], gli oggetti sono precisamente i fini dei nostri atti.
Perciò la gravità dei peccati si misura sulla diversità degli oggetti.
Per portare un esempio: le cose sono ordinate all'uomo come a loro fine, e l'uomo a sua volta è ordinato a Dio.
Quindi un peccato che colpisce direttamente l'uomo, come l'omicidio, è più grave di un peccato che, come il furto, colpisce le cose o i beni esterni; ed è ancora più grave un peccato commesso direttamente contro Dio, come l'infedeltà, la bestemmia e simili.
Nell'ambito poi di ciascuna categoria di peccati un peccato è più grave dell'altro secondo l'importanza di ciò che esso colpisce.
- E siccome i peccati ricevono la specie dall'oggetto, la graduatoria fondata sull'oggetto è la prima e la principale, in quanto connessa immediatamente con la specie.
1. Secondo le spiegazioni date [ ib. ], l'oggetto, pur essendo la materia [ circa quam ] a cui l'atto termina, ha tuttavia ragione di fine, in quanto richiama su di sé l'intenzione dell'agente.
Ora, come si è visto [ q. 18, a. 6; q. 72, a. 6 ], la forma dell'atto morale dipende dal fine.
2. L'allontanamento dal bene incommutabile, nel quale consiste la malizia di un atto, è una conseguenza dell'indebita conversione verso un bene transitorio.
Perciò il diverso grado di malizia deriva nei peccati dalla diversità di ciò che riguarda la conversione.
3. Tutti gli oggetti degli atti umani hanno un ordine reciproco: perciò gli atti umani appartengono tutti in qualche modo a un unico genere, in quanto sono ordinati al fine ultimo.
Perciò nulla impedisce che tutti i peccati siano paragonabili fra di loro.
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