Summa Teologica - I-II |
Infra, q. 114, a. 2; In 2 Sent., d. 28, q. 1, a. 1; d. 29, q. 1, a. 1; C. G., III, c. 147; De Verit., q. 24, a. 1, ad 2; a. 14; Quodl., 1, q. 4, a. 2
Pare che l'uomo possa meritare la vita eterna senza la grazia.
1. Il Signore [ Mt 19,17 ] ha detto: « Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti »; dal che si rileva chiaramente che entrare nella vita eterna dipende dalla volontà umana.
Ora, ciò che dipende dalla nostra volontà lo possiamo ottenere da noi stessi.
Quindi l'uomo da se stesso può meritare la vita eterna.
2. La vita eterna è un premio o ricompensa che Dio assegna agli uomini, come appare dalle parole evangeliche [ Mt 5,12 ]: « Grande è la vostra ricompensa nei cieli ».
Ma la ricompensa, o premio, viene assegnata all'uomo secondo le sue opere, come è detto nei Salmi [ Sal 62,13 ]: « Secondo le sue opere tu ripaghi ogni uomo ».
Ora, avendo l'uomo il dominio dei propri atti, è chiaro che è in suo potere il raggiungere la vita eterna.
3. La vita eterna è il fine ultimo della vita umana.
Ma qualsiasi essere esistente in natura è in grado di raggiungere il proprio fine mediante le sue facoltà naturali.
A maggior ragione quindi l'uomo, che è di una natura più nobile, sarà in grado di raggiungere con tali facoltà la vita eterna senza alcuna grazia.
L'Apostolo [ Rm 6,23 ] afferma: « Dono di Dio è la vita eterna ».
E dice questo, come spiega la Glossa [ ord. ], « per farci intendere che Dio ci conduce alla vita eterna per la sua misericordia ».
Gli atti che ci devono condurre a un fine devono essere proporzionati a tale fine.
Ora, nessun atto sorpassa la misura del principio attivo che lo produce.
Vediamo infatti che nella natura una cosa non può mai realizzare un effetto superiore alla propria virtù attiva, ma con la sua operazione può produrre soltanto un effetto proporzionato alla propria capacità.
Ora, la vita eterna è un fine che sorpassa la misura della natura umana, come si è dimostrato [ q. 5, a. 5 ].
Quindi l'uomo con le sue facoltà naturali non può compiere opere meritorie proporzionate alla vita eterna, ma si esige per questo una virtù superiore, qual è quella della grazia.
Perciò l'uomo non può meritare la vita eterna senza la grazia.
Tuttavia può compiere senza la grazia qualche bene di ordine naturale: p. es., come nota S. Agostino [ Hypognost. 3,4 ] rispondendo ai Pelagiani, « lavorare i campi, bere, mangiare e contrarre amicizie ».
1. L'uomo compie di propria volontà le opere della vita eterna; però, come nota S. Agostino nello stesso luogo, per questo si richiede che la volontà umana sia trasformata da Dio mediante la grazia.
2. Commentando l'espressione dell'Apostolo [ Rm 6,23 ]: « Dono di Dio è la vita eterna », la Glossa [ ord. ] afferma: « È certo che la vita eterna è data per le opere buone; ma le stesse opere buone così rimunerate sono dovute alla grazia di Dio ».
Poiché, come si è già spiegato [ a. prec. ], per osservare i precetti della legge nel debito modo, cioè in maniera meritoria, si richiede la grazia.
3. L'obiezione vale per un fine proporzionato alla natura umana.
Ma questa natura, per il fatto che è più nobile, può raggiungere, sia pure con l'aiuto della grazia, un fine più alto, non raggiungibile in alcun modo dagli esseri inferiori.
Come un uomo che può guarire con l'aiuto della medicina è più disposto alla guarigione di uno che non può guarire in alcun modo, come fa notare Aristotele [ De caelo 2,12 ].
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