Summa Teologica - I-II |
In 2 Sent., d. 26, q. 1, a. 3; In 4 Sent., d. 4, q. 1, a. 3, sol. 3, ad 1; De Verit., q. 27, a. 6
Pare che la grazia non risieda nell'essenza dell'anima, ma in qualcuna delle sue facoltà.
1. Scrive S. Agostino [ Hypognost. 3,11 ] che la grazia sta alla volontà, o al libero arbitrio, « come il cavaliere sta al cavallo ».
Ora la volontà, o libero arbitrio, è una facoltà, come si è visto nella Prima Parte [ q. 83, a. 2 ].
Quindi la grazia risiede in una facoltà dell'anima.
2. Come insegna S. Agostino [ De gratia et lib. arb. 6.13 ], « dalla grazia derivano i meriti degli uomini ».
Ma i meriti consistono in determinati atti, i quali promanano da una potenza.
Quindi la grazia è dotazione di una potenza dell'anima.
3. Se l'essenza dell'anima è la sede propria della grazia, allora è necessario che l'anima sia capace della grazia in quanto è un'anima.
Ma ciò è falso: perché allora qualsiasi [ specie di ] anima sarebbe capace della grazia.
Perciò l'essenza dell'anima non è il soggetto proprio della grazia.
4. L'essenza dell'anima viene prima delle sue facoltà.
Ma ciò che viene prima può essere concepito senza ciò che viene dopo.
E così si potrebbe concepire la grazia in un'anima a prescindere dalle parti o facoltà di quest'ultima, cioè a prescindere dalla volontà, dall'intelligenza, ecc. Il che è assurdo.
Mediante la grazia veniamo rigenerati come figli di Dio.
Ma la generazione ha come termine l'essenza più che le facoltà.
Quindi la grazia è più nell'essenza dell'anima che nelle sue potenze.
Questo problema dipende da quello precedente.
Se infatti la grazia si identifica con le virtù è necessario che abbia la sua sede nelle potenze dell'anima.
Infatti le potenze dell'anima sono il soggetto proprio delle virtù, come si è detto sopra [ q. 56, a. 1 ].
Se invece la grazia differisce dalle virtù è inammissibile che le facoltà dell'anima siano la sede della grazia: infatti qualsiasi perfezionamento delle facoltà dell'anima ha natura di virtù, come si è detto [ q. 55, a. 1; q. 56, a. 1 ].
Perciò rimane stabilito che la grazia, come precede le virtù, così deve avere una sede che preceda le potenze dell'anima: essa cioè deve risiedere nell'essenza dell'anima.
Come infatti l'uomo partecipa la conoscenza divina mediante la facoltà dell'intelletto con la virtù della fede, e l'amore divino mediante la facoltà volitiva con la virtù della carità, così mediante la natura dell'anima partecipa la natura divina, secondo una certa somiglianza, con una certa generazione o ricreazione.
1. Come dall'essenza dell'anima emanano le sue facoltà, che sono i princìpi degli atti, così dalla grazia emanano nelle varie facoltà dell'anima le virtù, che muovono le facoltà all'atto.
E così la grazia viene riferita alla volontà come il motore a ciò che è mosso, cioè come il cavaliere al cavallo, non come un accidente al suo soggetto.
2. È così risolta anche la seconda obiezioni. Infatti la grazia è principio degli atti meritori mediante le virtù, come l'essenza dell'anima è principio degli atti vitali mediante le facoltà.
3. L'anima è sede della grazia in quanto appartiene alla specie delle nature intellettive, o razionali.
Ora, l'anima non è costituita nella sua specie da qualcuna delle sue facoltà, essendo queste ultime proprietà naturali che seguono la specie.
Perciò l'anima umana differisce specificamente dalle altre anime, cioè da quelle delle bestie e delle piante, in forza della propria essenza.
Se quindi l'essenza dell'anima umana è sede o soggetto della grazia, non ne segue che qualsiasi anima possa essere sede della grazia: ciò infatti conviene all'essenza dell'anima in quanto appartiene a tale specie.
4. Essendo le facoltà dell'anima proprietà naturali che accompagnano la specie, l'anima non può esistere senza di esse.
Ma anche ammesso che esistesse in tale modo, l'anima dovrebbe ancora dirsi intellettiva o razionale nella sua specie: non in quanto dotata di tali potenze in maniera attuale, ma per la specie di quell'essenza dalla quale tali potenze per natura derivano.
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