Summa Teologica - II-II |
I-II, q. 62, a. 3; In 3 Sent., d. 26, q. 2, a. 2; De Virt., q. 4, a. 1, ad 6, 7
Pare che la speranza non sia una virtù teologale.
1. Si dice teologale quella virtù che ha Dio per oggetto.
Ora, la speranza non ha per oggetto soltanto Dio, ma anche altri beni che speriamo di ottenere da lui.
Quindi la speranza non è una virtù teologale.
2. Abbiamo già visto [ I-II, q. 64, a. 4 ] che una virtù teologale non sta come termine intermedio fra due vizi.
Invece la speranza sta fra la presunzione e la disperazione.
Quindi non è una virtù teologale.
3. L'attesa appartiene alla longanimità, che è una specie della fortezza.
Ora, essendo la speranza una specie di attesa, non pare che possa essere una virtù teologale, ma piuttosto morale.
4. Oggetto della speranza sono le cose ardue.
Ma tendere alle cose ardue è compito della magnanimità, che è una virtù morale.
Quindi la speranza è una virtù morale, non teologale.
S. Paolo [ 1 Cor 13,13 ] enumera la speranza con la fede e la carità, che sono virtù teologali.
Un genere viene diviso propriamente dalle sue differenze specifiche: perciò bisogna guardare da che cosa la speranza desume la ragione di virtù, per sapere in quale categoria di virtù debba essere collocata.
Ora, noi abbiamo visto sopra [ a. 1 ] che la speranza ha natura di virtù per il fatto che si adegua alla suprema regola degli atti umani, che essa attinge sia come causa efficiente prima, in quanto si fonda sul suo aiuto, sia come causa finale ultima, in quanto attende la beatitudine nel godimento di essa.
E così è evidente che l'oggetto principale della speranza, in quanto virtù, è Dio stesso.
Poiché dunque la caratteristica della virtù teologale sta nell'avere Dio per oggetto, come fu spiegato in precedenza [ I-II, q. 62, a. 1 ], è chiaro che la speranza è una virtù teologale.
1. Tutte le altre cose che sono oggetto di speranza, lo sono in ordine a Dio come fine ultimo e come causa efficiente prima, secondo le spiegazioni date [ a. prec. ].
2. Nelle cose soggette a una regola o misura il giusto mezzo consiste nell'adeguamento alla regola o misura: se si sorpassa la regola abbiamo il superfluo, se si sta al disotto abbiamo una menomazione.
Ma nella regola stessa non si può determinare il giusto mezzo e i due estremi.
Ora, le virtù morali hanno per oggetto proprio le cose regolate dalla ragione: quindi è proprio di esse in forza del loro oggetto lo stare nel giusto mezzo.
Le virtù teologali invece hanno per oggetto la regola prima e suprema, non regolata da altre regole.
Perciò di per sé, e in forza del loro oggetto, alle virtù teologali non spetta di stare nel mezzo.
Ciò tuttavia può loro competere per accidens, in forza di ciò che è subordinato all'oggetto principale.
La fede, p. es., non può avere un giusto mezzo e termini estremi nell'aderire alla prima verità, poiché nessuno può eccedere in questa adesione; tuttavia per le cose credute ci possono essere il giusto mezzo e i due estremi, in quanto una verità sta come termine intermedio fra due errori.
E similmente la speranza non ha un termine medio e gli estremi per quanto riguarda l'oggetto principale, poiché nessuno può eccedere nel confidare nell'aiuto di Dio; tuttavia in rapporto alle cose che uno spera di raggiungere ci possono essere il giusto mezzo e gli estremi, o perché uno presume cose superiori alla sua condizione, o perché dispera di cose a lui proporzionate.
3. L'attesa di cui si parla nella definizione della speranza non implica una dilazione, come l'attesa che interessa la longanimità, ma implica soltanto un rapporto all'aiuto divino, sia quando la cosa sperata è differita, sia quando è imminente.
4. La magnanimità tende alle cose ardue sperando ciò che è in suo potere.
Perciò riguarda propriamente le opere dei grandi.
Invece la speranza virtù teologale ha di mira cose ardue da raggiungersi mediante l'aiuto di altri, come si è detto [ a. 1 ].
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