Summa Teologica - II-II |
I-II, q. 66, a. 6; infra, q. 30, a. 4; In Col., c. 3, lect. 3
Pare che la carità non sia la più nobile delle virtù.
1. Le virtù e le operazioni che appartengono a una facoltà superiore sono anch'esse superiori.
Ma l'intelletto è superiore alla volontà, essendone la guida.
Quindi la fede, che si trova nell'intelletto, è più nobile della carità, che risiede nella volontà.
2. La cosa di cui un'altra si serve per operare è a questa inferiore: come il dipendente mediante il quale il padrone compie un'impresa è inferiore al padrone stesso.
Ma « la fede opera mediante la carità » come dice S. Paolo [ Gal 5,6 ].
Perciò la fede è superiore alla carità.
3. L'aggiunta che completa una cosa è più perfetta di essa.
Ma la speranza pare avere questo rapporto con la carità: infatti l'oggetto della carità è il bene, mentre l'oggetto della speranza è il bene arduo.
Quindi la speranza è più nobile della carità.
Sta scritto [ 1 Cor 13,13 ]: « La più grande di tutte è la carità ».
È necessario che le virtù umane, che sono il principio degli atti buoni, consistano nell'adeguazione alla regola degli atti umani, poiché la bontà di tali atti viene misurata in base alla loro conformità alla regola stabilita.
Sopra [ a. 3; q. 17, a. 1 ] però abbiamo detto che esistono due regole degli atti umani, cioè la ragione umana e Dio.
Ma Dio è la prima regola, da cui deve essere regolata la stessa ragione umana.
Di conseguenza le virtù teologali, che consistono nell'adeguarsi a questa prima regola, avendo esse Dio per oggetto, sono superiori alle virtù morali e intellettuali, che consistono nell'adeguarsi alla ragione umana.
Perciò è necessario che tra le stesse virtù teologali sia più nobile quella che meglio raggiunge Dio.
D'altra parte [ è noto che ] i mezzi diretti sono superiori a quelli indiretti.
Ora, la fede e la speranza raggiungono certamente Dio in quanto egli causa in noi la conoscenza della verità e il conseguimento della beatitudine, ma la carità raggiunge Dio come è in se stesso, non in quanto noi riceviamo qualche beneficio da lui.
Perciò la carità è più nobile della fede e della speranza, e quindi di tutte le altre virtù.
Al pari cioè della prudenza la quale, adeguandosi direttamente alla ragione, è superiore alle altre virtù morali, che si adeguano alla ragione in quanto da essa viene stabilito il giusto mezzo negli atti e nelle passioni umane.
1. L'operazione intellettiva si compie portando l'oggetto nell'intelligenza: perciò la nobiltà dell'operazione intellettiva viene misurata in base al grado dell'intelligenza.
Invece l'operazione della volontà, e di qualsiasi potenza appetitiva, si compie mediante un'inclinazione verso la cosa, che ne è come il termine.
Perciò la nobiltà di un'operazione appetitiva viene misurata in base alla realtà che ne è l'oggetto.
Ora, le realtà che sono al disotto dell'anima esistono in maniera più nobile nell'anima che in se stesse, poiché ogni cosa si adegua al modo di esistere del soggetto in cui si trova, come insegna il De Causis [ 12 ], mentre le realtà superiori esistono in maniera più nobile in se stesse che nell'anima.
Trattandosi quindi di realtà a noi inferiori la conoscenza è più nobile dell'amore - e per questo il Filosofo nell'Etica [ 10, cc. 7,8 ] ha anteposto le virtù intellettuali a quelle morali -.
Trattandosi invece di realtà superiori a noi l'amore, e specialmente l'amore verso Dio, va preferito alla conoscenza.
Perciò la carità è più nobile della fede.
2. La fede non opera mediante la carità come se si trattasse di uno strumento, cioè come fa il padrone con il servo, ma usandone quale propria forma.
Perciò l'argomento non regge.
3. L'identico bene è oggetto della carità e della speranza: ma mentre la carità dice unione con tale bene, la speranza implica una certa lontananza da esso.
Per questo la carità non lo riguarda quale bene arduo, come fa la speranza: poiché ciò che è unito non ha più l'aspetto dell'arduità.
E da ciò appare che la carità è più perfetta della speranza.
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