Summa Teologica - II-II |
I-II, q. 65, aa. 2, 4; In 3 Sent., d. 27, q. 2, a. 4, sol. 3, ad 2
Pare che ci possa essere una vera virtù senza la carità.
1. È proprio della virtù produrre atti buoni.
Ma quanti non hanno la carità possono compiere atti buoni: come vestire gli ignudi, nutrire gli affamati e altri atti consimili.
Quindi possono darsi delle vere virtù senza la carità.
2. La carità non può esistere senza la fede: poiché, stando a S. Paolo [ 1 Tm 1,5 ], essa deriva « da una fede sincera ».
Eppure negli infedeli ci può essere una vera castità, quando essi frenano le loro concupiscenze, e una vera giustizia, quando essi giudicano rettamente.
Quindi ci può essere una vera virtù senza la carità.
3. Come insegna Aristotele [ Ethic. 6, cc. 3,4 ], le scienze e le arti sono virtù.
Ma esse si riscontrano anche nei peccatori privi di carità.
Quindi ci può essere una vera virtù senza la carità.
L'Apostolo [ 1 Cor 13,3 ] afferma: « Se anche distribuissi tutte le mie sostanze, e dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova ».
Invece le vere virtù portano sempre un grande giovamento, come dice la Scrittura [ Sap 8,7 ]: « Essa insegna la temperanza e la prudenza, la giustizia e la fortezza, delle quali nulla è più utile agli uomini nella vita ».
Perciò una vera virtù è impossibile senza la carità.
Come sopra [ I-II, q. 55, a. 4 ] si è visto, la virtù è ordinata al bene.
Ma il bene è principalmente il fine: poiché i mezzi ordinati al fine non sono detti beni se non in ordine al fine.
Come quindi esistono due fini, quello ultimo e quello prossimo, così esistono due beni: il bene ultimo e il bene prossimo e particolare.
Il bene ultimo e principale dell'uomo è la fruizione di Dio, come dice il Salmo [ Sal 73,28 ]: « Il mio bene è stare vicino a Dio », e ad esso l'uomo è ordinato dalla carità.
Invece il bene secondario e quasi particolare dell'uomo può essere duplice: uno che è un bene vero, poiché di per sé è ordinabile al bene principale che è il fine ultimo, l'altro invece che è un bene apparente e non vero, poiché allontana dal bene finale.
Così dunque è chiaro che la vera virtù in senso assoluto è quella che ordina al bene principale dell'uomo: e anche il Filosofo [ Phys. 8,3 ] afferma che la virtù è « la disposizione all'ottimo di ciò che è perfetto ».
E così non ci può essere alcuna vera virtù senza la carità.
- Se invece si considera la virtù in rapporto a un fine particolare, allora si può parlare di virtù anche senza la carità, in quanto cioè essa è ordinata a un bene particolare.
Se però questo bene particolare è un bene non vero, ma apparente, allora la virtù ad esso correlativa non sarà una vera virtù, ma una sua falsa immagine: come « non è una vera virtù », dice S. Agostino [ Contra Iul. 4,3.14 ], « la prudenza degli avari, con la quale essi studiano i vari sistemi di guadagno; e non è vera la loro giustizia, con la quale si disinteressano delle cose altrui per paura di gravi danni; e neppure è vera la loro temperanza, con la quale reprimono l'appetito della lussuria perché dispendiosa; e non è vera la loro fortezza con la quale, come dice Orazio [ Epist. 1,1,46 ], "attraverso il mare, attraverso i monti e attraverso il fuoco fuggono la povertà" ».
- Se invece tale bene particolare è un bene vero, come p. es. la salvezza dello stato, allora si avrà una vera virtù, ma imperfetta, se non viene indirizzata al bene perfetto e finale.
E in base a ciò, assolutamente parlando, non ci può essere una vera virtù senza la carità.
1. L'atto di chi è privo della carità può essere duplice.
Primo, può essere compiuto proprio in quanto uno è privo della carità: come quando uno agisce in ordine a ciò che lo priva della carità.
E un tale atto è sempre cattivo: p. es. l'atto dell'incredulo in quanto incredulo è sempre peccato, come insegna S. Agostino [ Contra Iul. 4,3.14 ], anche se uno veste gli ignudi, o fa qualsiasi altra cosa del genere, ordinandola alla propria incredulità.
- Secondo, l'atto può essere compiuto da chi è privo della carità non in quanto subisce questa privazione, ma in quanto possiede qualche altro dono di Dio, come la fede, la speranza o anche un bene di natura, che il peccato non distrugge totalmente, come sopra [ q. 10, a. 4; I-II, q. 85, a. 2 ] si è notato.
E da questo lato è possibile un atto buono nel suo genere: non però perfettamente buono, mancando il debito ordine al fine ultimo.
2. Dato che il fine nel campo morale equivale ai primi princìpi nelle scienze speculative, come non può essere vera la scienza se manca la giusta nozione del primo principio indimostrabile, così non può essere vera la giustizia o la castità se manca l'ordine al fine ultimo, prodotto dalla carità, per quanto uno sia ben ordinato in tutto il resto.
3. Le scienze e le arti di per sé dicono ordine a un bene particolare, e non al fine ultimo della vita umana, come fanno invece le virtù morali, che rendono l'uomo buono in senso assoluto, come si è spiegato in precedenza [ I-II, q. 56, a. 3 ].
Perciò il paragone non regge.
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