Summa Teologica - II-II |
In 3 Sent., d. 27, q. 3, a. 1; De Verit., q. 10, a. 11, ad 6; De Virt., q. 2, a. 2, ad 11
Pare che in questa vita non si possa amare Dio senza intermediari.
1. Come dice S. Agostino [ De Trin. 10, cc. 1,2 ], « è impossibile amare ciò che non si conosce ».
Ma in questa vita non conosciamo Dio immediatamente poiché, come dice S. Paolo, « adesso noi vediamo come in uno specchio, in maniera confusa ».
Perciò neppure lo possiamo amare senza intermediari.
2. Chi non può fare il meno non può fare il più.
Ora, è cosa più grande amare Dio che conoscerlo: « chi infatti si unisce al Signore » con la carità « forma con lui un solo spirito », come dice S. Paolo [ 1 Cor 6,17 ].
Ma l'uomo non può conoscere Dio in maniera immediata.
Molto meno, dunque, potrà amarlo.
3. L'uomo viene separato da Dio col peccato, poiché sta scritto [ Is 59,2 ]: « Le vostre iniquità hanno scavato un abisso tra voi e il vostro Dio ».
Ma il peccato è più nella volontà che nell'intelletto.
Quindi l'uomo, senza intermediari, è meno capace di amare Dio che di conoscerlo.
La nostra conoscenza di Dio, essendo mediata, è detta confusa e viene a cessare nella patria [ 1 Cor 13,9ss ].
Invece « la carità non avrà mai fine », come dice ancora l'Apostolo [ 1 Cor 13,8 ].
Quindi la carità dei viatori aderisce a Dio senza intermediari.
Come si è ricordato sopra [ q. 26, a. 1, ad 2 ], l'atto delle facoltà conoscitive si compie mediante la presenza dell'oggetto conosciuto nel conoscente, mentre l'atto delle facoltà appetitive si compie mediante l'inclinazione dell'appetito verso la cosa stessa.
Quindi il moto di una potenza appetitiva deve volgersi verso le cose secondo le loro reali condizioni, mentre l'atto delle potenze conoscitive segue la natura del conoscente.
Ora, nella realtà c'è un ordine tale per cui Dio è conoscibile e amabile per se stesso, essendo egli per essenza la verità e la bontà medesima in forza della quale sono conosciute e amate tutte le altre cose.
Rispetto a noi invece sono conoscibili innanzitutto le cose più vicine ai sensi, mentre l'ultimo termine della conoscenza si ha in quell'essere che è più distante dalla sensibilità.
In base a ciò dunque si deve concludere che l'amore, che è un atto della potenza appetitiva, anche nello stato dei viatori tende prima di tutto a Dio e da lui si estende alle altre cose: quindi la carità ama Dio immediatamente e le altre cose mediante Dio.
Invece nella conoscenza avviene il contrario: poiché noi conosciamo Dio attraverso le cose, cioè come si conosce la causa attraverso gli effetti, oppure per via di eminenza e di negazione, secondo le spiegazioni di Dionigi [ De div. nom. 1 ].
1. Sebbene non si possa amare ciò che non si conosce, tuttavia non è detto che l'ordine della conoscenza si identifichi con quello dell'amore.
Infatti l'amore è il termine della conoscenza.
Perciò l'amore può iniziare subito da dove termina la conoscenza, cioè dalla cosa stessa mediatamente conosciuta.
2. Siccome l'amore di Dio, specialmente nella vita presente, è qualcosa di più della sua conoscenza, per questo la presuppone.
E poiché la conoscenza non si ferma alle realtà create, ma servendosi di esse tende a una realtà superiore, così l'amore comincia proprio da questa, per estendersi poi da essa alle altre cose, in una specie di moto circolare: cosicché la conoscenza, partendo dalle creature, tende a Dio; e l'amore, partendo da Dio come dal fine ultimo, giunge alle creature.
3. La lontananza da Dio prodotta dal peccato non viene eliminata con la sola conoscenza, ma con la carità.
È quindi la carità che unisce l'anima immediatamente a Dio con un vincolo di unione spirituale.
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