Summa Teologica - I-II |
In 3 Sent., d. 34, q. 1, a. 5; In Gal., c. 5, lect. 6
Pare che i frutti non siano ben enumerati dall'Apostolo nella sua epistola ai Galati [ Gal 5,22s. Vg ].
1. Altrove [ Rm 6,22 ] egli parla di un unico frutto della vita presente: « Voi raccogliete il frutto che vi porta alla santificazione ».
E in Isaia [ Is 27,9 ] si dice: « E questo sarà tutto il frutto, che il peccato sia rimosso ».
Quindi non si devono enumerare dodici frutti.
2. Il frutto, come si è visto [ a. 1 ], nasce da un seme spirituale.
Ma il Signore fa derivare tre soli tipi di frutto dal seme spirituale, ossia [ Mt 13,23 ] « il cento per uno, il sessanta per uno » e « il trenta per uno ».
Perciò non si possono ammettere dodici frutti.
3. Il frutto deve essere essenzialmente qualcosa di ultimo e di piacevole.
Ora, questa nozione non si riscontra in tutti i frutti enumerati dall'Apostolo: infatti la pazienza e la longanimità sembrano consistere in cose rattristanti, mentre la fede non si presenta come cosa ultima, bensì come primo fondamento.
Perciò questa enumerazione dei frutti è eccessiva.
Sembra che l'enumerazione sia insufficiente.
Infatti abbiamo dimostrato [ a. prec. ] che tutte le beatitudini possono essere chiamate frutti: ma qui non tutte vengono enumerate.
Inoltre non c'è nulla che si riferisca all'atto della sapienza e di molte altre virtù.
Quindi sembra che l'enumerazione dei frutti sia insufficiente.
Il numero dei dodici frutti enumerati dall'Apostolo è giustificato: e possiamo vederne un'immagine nei dodici frutti di cui parla l'Apocalisse [ Ap 22,2 ]: « Da una parte e dall'altra del fiume si trova un albero di vita, che fa dodici frutti ».
La distinzione poi di questi frutti va presa in rapporto ai vari progressi dello Spirito Santo in noi: poiché il frutto è ciò che deriva come un effetto dal seme o dalla radice.
Ora, tali progressi hanno questo sviluppo: prima ordinano l'anima dell'uomo in se stessa; poi la ordinano rispetto alle cose che sono intorno; infine la ordinano rispetto a quelle che sono al di sotto.
Ora, l'anima è ordinata in se medesima quando nel bene e nel male ha una retta disposizione.
E la prima sua disposizione al bene è dovuta all'amore, che è il primo degli affetti e la radice di tutti gli altri, come si è visto in precedenza [ q. 27, a. 4; q. 28, a. 6, ad 2; q. 41, a. 2, ad 1 ].
Perciò tra i frutti dello spirito al primo posto abbiamo la carità, nella quale lo Spirito Santo viene dato in maniera speciale, come nella sua propria somiglianza, essendo egli stesso amore.
Infatti S. Paolo [ Rm 5,5 ] scrive: « L'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato ».
- Ma all'amore di carità segue necessariamente la gioia.
Poiché chi ama gode sempre dell'unione con l'amato, e d'altra parte la carità ha sempre presente Dio che ama, secondo quanto è scritto [ 1 Gv 4,16 ]: « Chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui ».
Per cui alla carità segue la gioia.
- La perfezione poi della gioia è la pace, nei suoi due elementi.
Primo, rispetto alla quiete dai turbamenti esterni: infatti non può godere perfettamente del bene amato chi a motivo di altre cose viene distolto dalla fruizione di esso; ma chi ha il cuore perfettamente appagato in una cosa non può essere molestato dalle altre, poiché non le considera affatto.
Egli attua così le parole del Salmo [ Sal 119,165 ]: « Grande pace per chi ama la tua legge, nel suo cammino non trova inciampo », non essendo egli distolto a motivo di eventi esterni dal godimento di Dio.
Secondo, rispetto alla sazietà del desiderio fluttuante: poiché non si può godere perfettamente se ciò di cui si gode non basta.
Ora, la pace implica queste due cose: il non essere turbati dalle realtà esteriori e l'acquietarsi del desiderio in un unico oggetto.
Perciò, dopo la carità e la gioia, al terzo posto troviamo la pace.
- Rispetto al male invece la buona disposizione dell'anima richiede due cose.
Primo, l'assenza di turbamento nell'imminenza di cose dolorose: e ciò si riduce alla pazienza.
- Secondo, l'assenza di turbamento nella dilazione di cose piacevoli: e ciò si riduce alla longanimità; infatti, al dire di Aristotele [ Ethic. 5,3 ], « la mancanza di un bene ha l'aspetto di male ».
Rispetto poi alle cose che sono vicine all'uomo, cioè rispetto al prossimo, l'anima umana viene ben disposta: primo, quanto alla volontà di fare del bene.
E in ciò abbiamo la bontà.
- Secondo, quanto all'esercizio effettivo della beneficenza.
E in ciò abbiamo la benignità: infatti si dicono benigni coloro che il buon igne [ o fuoco] dell'amore rende fervidi nel beneficare il prossimo.
- Terzo, nell'equanime sopportazione del male ricevuto.
E in ciò abbiamo la mansuetudine, che frena l'ira.
- Quarto, nel non limitarsi a non nuocere al prossimo con l'ira, ma neppure con la frode o con l'inganno.
E in ciò abbiamo la fede, se le diamo il senso di fedeltà.
Se invece la prendiamo come fede in Dio, allora da essa l'uomo viene ordinato alle cose che sono sopra di lui: così che sottometta a Dio il suo intelletto, e quindi tutte le sue cose.
Rispetto alle cose infine che sono al di sotto di sé l'uomo viene ben disposto innanzitutto, quanto alle azioni esterne, dalla modestia, che ne regola tutti i gesti e le parole.
- Quanto alle concupiscenze interiori invece dalla continenza e dalla castità: sia che esse si distinguano per il fatto che, mentre la castità trattiene l'uomo dai piaceri illeciti, la continenza lo trattiene anche da quelli leciti, sia che si distinguano per il fatto che mentre il continente prova le concupiscenze, ma non ne è trascinato, il casto non le prova e non ne è trascinato.
1. La santificazione avviene mediante tutte le virtù, attraverso le quali vengono tolti anche i peccati.
Perciò in quei testi si parla di frutto al singolare data l'unità del genere: questo però si suddivide in più specie, per cui si parla di una pluralità di frutti.
2. I suddetti tre tipi di frutti non dividono il genere secondo le varie specie degli atti virtuosi, ma secondo i diversi gradi anche nell'ambito di una stessa virtù.
Così si dice che la continenza coniugale è indicata dal trenta per uno, quella vedovile dal sessanta e quella verginale dal cento per uno.
- E i Santi Dottori distinguono questi tre tipi di frutti anche in altri modi, secondo tre gradi di virtù.
E si parla di tre gradi perché la perfezione di una cosa può essere considerata nel suo principio, in un punto intermedio e nel suo termine.
3. La stessa assenza di turbamento nelle cose tristi ha l'aspetto di cosa piacevole.
- E anche la fede, se viene presa come fondamento, ha un aspetto di cosa ultima e piacevole, in quanto implica certezza, da cui l'espressione della Glossa [ interlin. ]: « La fede, cioè la certezza delle realtà invisibili ».
4. S. Agostino [ In Gal 5,22s ] nota che « l'Apostolo non si è impegnato a insegnare quali siano » le opere della carne o i frutti dello spirito, « ma a mostrare in quale genere si trovino le cose da evitare, e in quale quelle da perseguire ».
Cosicché si sarebbe potuto enumerare un numero maggiore o minore di frutti.
Però tutti gli atti delle virtù e dei doni si possono in qualche modo ridurre a questi [ dodici ], inquantoché le virtù e i doni devono tutti necessariamente ordinare l'anima in uno dei modi indicati.
Quindi gli atti della sapienza e degli altri doni riguardanti il bene si riducono alla carità, alla gioia e alla pace.
- Tuttavia l'Apostolo ha enumerato questi a preferenza di altri in quanto implicanti meglio o la fruizione del bene o la sedazione del male; il che è legato alla nozione di frutto.
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