Summa Teologica - II-II |
Pare che tra i motivi del compatimento non ci siano i difetti personali di chi ha misericordia.
1. Compatire è proprio di Dio, secondo le parole del Salmo [ Sal 145,9 ]: « La sua tenerezza si espande su tutte le creature ».
Ma in Dio non ci sono menomazioni.
Quindi la menomazione non può essere tra i motivi della misericordia.
2. Se le menomazioni sono motivo di compatimento, è necessario che i più menomati siano più portati a compatire.
Ma ciò è falso poiché, come dice il Filosofo [ Reth. 2,8 ], « quelli che sono rovinati del tutto non hanno misericordia ».
Quindi le menomazioni non sono un motivo di compassione da parte dei misericordiosi.
3. Subire un'offesa è una menomazione.
Ora, il Filosofo [ ib. ] afferma che « coloro che si sentono offesi non hanno misericordia ».
Perciò la menomazione da parte di chi deve compatire non è un motivo che spinge alla misericordia.
La misericordia è una specie di tristezza.
Ma ogni menomazione è motivo di tristezza: infatti, come si è già notato [ I-II, q. 47, a. 3 ], i deboli sono più portati ad addolorarsi.
Quindi la menomazione di chi deve usare misericordia è tra i motivi del suo compatimento.
Essendo la misericordia, come si è detto [ a. prec. ], il compatimento della miseria altrui, uno è spinto ad avere misericordia di tale miseria dalla stessa ragione per cui se ne addolora.
E siccome la tristezza, o dolore, ha per oggetto il male proprio, in tanto uno si addolora della miseria altrui in quanto la considera come propria.
Ora, ciò avviene in due modi.
Primo, per un legame di affetto: il che avviene con l'amore.
Infatti chi ama, considerando l'amico un altro se stesso, reputa come proprio il suo male, e quindi se ne addolora come di un male proprio.
Per questo il Filosofo [ Ethic. 9,4 ] mette tra i requisiti dell'amicizia « l'addolorarsi con l'amico ».
E l'Apostolo [ Rm 12,15 ] comanda di « rallegrarsi con chi è nella gioia, e di piangere con chi è nel pianto ».
- Secondo, ciò può avvenire per un legame reale, in quanto il male di certe persone è talmente vicino da ricadere su di noi.
E per questo motivo il Filosofo [ Reth., l. cit. ] insegna che gli uomini compatiscono i propri congiunti e i propri simili: in quanto pensano in base a ciò di potersi trovare a soffrire cose consimili.
Ed è per questo che i vecchi e le persone sagge, i quali pensano di potersi trovare male, nonché i deboli e i paurosi, sono più portati alla misericordia.
Invece gli altri, che si credono felici e così potenti da non poter subire alcun male, non sono così facili alla misericordia.
- Così dunque la menomazione è sempre un motivo di misericordia: o perché uno considera propria la menomazione altrui per il legame dell'amore, oppure per la possibilità di subire qualcosa di simile.
1. Dio non usa misericordia se non per amore, poiché ci ama come qualcosa di se stesso.
2. Coloro che sono già colpiti dai mali più gravi non temono più di soffrire altre cose: quindi non hanno misericordia.
- E così pure fanno quelli che hanno troppa paura: poiché sono tanto presi dalla propria passione da non badare alla miseria altrui.
3. Coloro che sono predisposti all'offesa, o perché l'hanno subita o perché intendono infliggerla, sono portati all'ira e all'audacia, che sono passioni virili esaltanti l'animo umano verso le cose ardue, e perciò capaci di togliere all'uomo il timore di dover subire in seguito qualche sciagura.
Per cui costoro, mentre sono in tale disposizione, non hanno misericordia, come dice la Scrittura [ Pr 27,4 ]: « La collera è crudele, l'ira è impetuosa ».
- E per lo stesso motivo non hanno misericordia i superbi, che disprezzano gli altri e li stimano cattivi, per cui pensano che costoro soffrano giustamente quello che soffrono.
Per cui anche S. Gregorio [ In Evang. hom. 34 ] dice che « la falsa giustizia », cioè quella dei superbi, « non ha compassione, ma disprezzo ».
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