Summa Teologica - II-II |
In 4 Sent., d. 15, q. 2, a. 6, sol. 3; In Rom., c. 12, lect. 2; In Matth., c. 25
Pare che nel fare l'elemosina non si debbano preferire i nostri congiunti.
1. Sta scritto [ Sir 12,4.7 ]: « Dà al pio e non aiutare il peccatore; dà al buono, e non dare all'empio ».
Ma talora capita che i nostri congiunti siano peccatori ed empi.
Perciò nel fare l'elemosina non dobbiamo preferirli.
2. Le elemosine vanno fatte per la ricompensa della vita eterna, secondo le parole evangeliche [ Mt 16,8 ]: « e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà ».
Ma questa ricompensa si acquista specialmente con le elemosine fatte ai santi, come si legge [ Lc 16,9 ]: « Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché quando essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne »; parole che S. Agostino [ Serm. 113 ] spiega così: « Chi sono coloro che possederanno le dimore eterne se non i santi di Dio?
E chi sono coloro che da essi devono essere ricevuti in queste dimore se non coloro che soccorrono alla loro indigenza? ».
Quindi le elemosine vanno fatte di preferenza ai più santi, e non ai nostri congiunti più stretti.
3. Ognuno è sommamente congiunto a se stesso.
Ma nessuno può fare l'elemosina a se stesso.
Quindi non pare che l'elemosina vada fatta di preferenza ai congiunti più stretti.
L'Apostolo [ 1 Tm 5,8 ] ammonisce: « Se qualcuno non si prende cura dei suoi cari, soprattutto di quelli della sua famiglia, costui ha rinnegato la fede, ed è peggiore di un infedele ».
Come insegna S. Agostino [ De doctr. christ. 1,28 ], i nostri congiunti più stretti sono toccati a noi come in sorte, perché noi provvediamo ad essi maggiormente.
Tuttavia in ciò si deve procedere con discrezione, badando ai vari gradi di parentela, di santità e di utilità.
Infatti a chi è molto più santo, o si trova in maggiore bisogno, o è più utile al bene comune, si deve dare l'elemosina più che a una persona della nostra parentela; specialmente poi se la parentela non è molto stretta e non abbiamo speciali doveri di assistenza verso tale persona, e se essa non si trova in particolare necessità.
1. Il peccatore non va soccorso in quanto peccatore, cioè in modo da sostenerlo nel peccato, ma in quanto è un uomo, cioè per sostentarne la natura.
2. L'elemosina giova alla retribuzione della vita eterna in due modi.
Primo, in quanto è radicata nella carità.
E da questo lato l'elemosina è meritoria in quanto in essa si osserva l'ordine della carità, il quale esige che provvediamo maggiormente ai nostri congiunti più stretti, a parità di condizioni.
Perciò S. Ambrogio [ De off. 1,30 ] ha scritto: « Questa è la liberalità degna di lode, che tu non trascuri i tuoi consanguinei, se li sai nell'indigenza: è preferibile infatti che tu stesso provveda ai tuoi, i quali sentono vergogna a domandare aiuto agli estranei ».
- Secondo, l'elemosina giova alla retribuzione della vita eterna per il merito di colui a cui essa è fatta, e che prega per il suo benefattore.
E di ciò appunto parla S. Agostino nel passo citato.
3. Essendo l'elemosina un'opera di misericordia, come la misericordia ha per oggetto noi stessi non in senso proprio, ma solo in senso metaforico, secondo le spiegazioni date [ q. 30, a. 1, ad 2 ], così a tutto rigore nessuno può fare l'elemosina a se stesso, se non forse a nome di altri.
P. es., se uno è posto a distribuire l'elemosina, trovandosi nell'indigenza può prenderne anche lui, allo stesso titolo con cui la distribuisce agli altri.
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