Summa Teologica - II-II

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Articolo 4 - Se un suddito sia tenuto a correggere il suo prelato

In 4 Sent., d. 19, q. 2, a. 2, sol. 3; De Virt., q. 3, a. 1, ad 18

Pare che un suddito non sia tenuto a correggere il suo prelato.

Infatti:

1. Sta scritto [ Es 19,13 ]: « L'animale che toccherà il monte sarà lapidato »; e si legge ancora [ 2 Sam 6,6s ] che Uzza fu percosso dal Signore perché aveva toccato l'arca.

Ora, il monte e l'arca raffigurano i prelati.

Quindi i prelati non devono essere corretti dai sudditi.

2. All'affermazione di S. Paolo [ Gal 2,11 ]: « Mi opposi a lui a viso aperto », la Glossa [ interlin. ] aggiunge: « come pari ».

Siccome quindi un suddito non è pari al suo prelato, non deve correggerlo.

3. S. Gregorio [ Mor. 5,11 ] afferma: « Non presuma di correggere la vita dei santi se non chi si stima migliore di essi ».

Ma nessuno deve stimarsi migliore del proprio prelato.

Quindi i prelati non vanno mai corretti.

In contrario:

S. Agostino ha scritto [ Epist. 211 ]: « Non di voi soltanto, ma anche di lui », cioè del prelato, « abbiate misericordia, che quanto più si trova in un posto elevato, tanto più si trova in pericolo ».

Ma la correzione fraterna è un'opera di misericordia.

Quindi vanno corretti anche i prelati.

Dimostrazione:

Non spetta ai sudditi nei riguardi del loro prelato quella correzione che, mediante la coercizione della pena, è un atto di giustizia.

Invece la correzione fraterna che è un atto di carità spetta a tutti nei riguardi di qualunque persona verso cui siamo tenuti ad avere la carità, quando in essa troviamo qualcosa da correggere.

Infatti l'atto che deriva da un abito o da una facoltà abbraccia tutto ciò che è contenuto sotto l'oggetto di tale abito o potenza: come la percezione visiva abbraccia tutte le realtà colorate contenute sotto l'oggetto della vista.

Siccome però l'atto virtuoso deve essere moderato dalle debite circostanze, nelle correzioni che i sudditi fanno ai loro superiori si deve rispettare il debito modo: essa cioè non va fatta con insolenza, né con durezza, ma con mansuetudine e con rispetto.

Per cui l'Apostolo [ 1 Tm 5,1 ] ammonisce: « Non essere aspro nel riprendere un anziano, ma esortalo come se fosse tuo padre »; e Dionigi [ Epist. 8 ] rimprovera il monaco Demofilo perché aveva corretto senza rispetto un sacerdote, percuotendolo e cacciandolo dalla chiesa.

Analisi delle obiezioni:

1. Si tocca colpevolmente il prelato quando lo si rimprovera senza rispetto, oppure quando si sparla di lui.

E ciò viene raffigurato dal contatto con il monte e con l'arca riprovato da Dio.

2. « Opporsi a viso aperto davanti a tutti » passa la misura della correzione fraterna: perciò S. Paolo non avrebbe ripreso in quel modo S. Pietro se non fosse stato in un certo senso suo pari rispetto alla difesa della fede.

Ma ammonire in segreto e con rispetto può farlo anche chi non è pari.

Perciò l'Apostolo scriveva ai Colossesi [ Col 4,17 ] di ammonire il loro prelato dicendo: « Dite ad Archippo: Compi bene il tuo ministero ».

Si noti però che quando ci fosse un pericolo per la fede, i sudditi sarebbero tenuti a rimproverare i loro prelati anche pubblicamente.

Perciò S. Paolo, che pure era suddito di S. Pietro, per il pericolo di scandalo nella fede lo rimproverò pubblicamente.

E S. Agostino [ Glossa ord. su Gal 2, 14 ] commenta: « Pietro stesso diede l'esempio ai superiori di non sdegnare di essere corretti dai sudditi, quando capitasse loro di allontanarsi dalla giusta via ».

3. Presumere di essere in modo assoluto migliore del proprio prelato è un atto di presuntuosa superbia, ma stimarsi migliore in qualcosa non è presunzione: poiché nessuno in questa vita è senza qualche difetto.

- E si deve anche notare che, quando un suddito ammonisce con carità il suo prelato, non per questo si stima superiore a lui, ma offre solo un aiuto a colui che, stando a S. Agostino [ Epist. 211 ], « quanto più si trova in alto, tanto più è in grave pericolo ».

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